LEOPOLDO SANTUNIONE

Leopoldo Santunione
 
 
 

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Stagioni in Virtus (come viceallenatore): 1971/72 - 1972/73

 

COSÌ SORVEGLIA IL NEMICO LO 007 DELLA NORDA

A colloquio con Leopoldo Santunione

di Paolo Castelli - Bologna Basket 1972 - articolo fornito da Claudio Corticelli

 

Quella che voleva essere un'intervista di tipo tradizionale con Leopoldo Santunione, vice-allenatore e "agente segreto" della Norda, è diventata una vera e propria lezione di basket che  a noi comunque è sembrata estremamente interessante anche per tentare di spiegare quello che c'è dietro alle vittorie e alla crescita di una squadra.

"Sono venuto a Bologna per una scelta ben precisa e motivata - esordisce - sono alla Norda perché credo che qui si stia facendo qualcosa di nuovo e di stimolante: le mie convinzioni cestistiche collimano perfettamente con quelle del prof. Messina, una persona che, amicizia a parte, stimo profondamente. La mia concezione del basket è quella di un'atletica giocata e questo non nel senso di affidarsi solo alla potenza atletica, ma come giusta sintesi tra questa e una tecnica di base il più perfezionata possibile. La tattica, pur importante, resta qualcosa di secondario che non deve mai soffocare l'estro e l'inventiva dei singoli; negli USA quello che impressiona è la perfezione raggiunta nei "fondamentali" e la capacità atletica dei giocatori: a Monaco quando hanno voluto rifugiarsi nel tatticismo hanno finito per perdere".

Quindi Lei è per un ritorno alle origini, ad una maggiore semplicità di gioco?

"Esattamente, le cose più semplici sono anche le migliori; e in questo, anche se può sembrare paradossale, possiamo imparare molto dal calcio, che è  un gioco immediato ed estremamente lineare: in primo luogo il senso della verticalità dell'azione. A mio parere in Italia siamo fortunati ad avere una tale possibilità di paragone che in America non esiste, qui abbiamo i mezzi per portare avanti un basket non "costruito", quindi addirittura più vivace ed estroso. Dico questo pur avendo vissuto tutta l'evoluzione della pallacanestro ed essendo cresciuto con una generazione di tecnici che hanno basato molto sulle possibilità della tattica. Dobbiamo sfruttare quello che già ci troviamo in casa: l'estrosità ed il ritmo che i giocatori italiani posseggono in abbondanza. Un'azione deve potersi concludere con 5-6 passaggi al massimo, cercando sempre la via più breve e verticale per giungere al canestro avversario. Personalmente vorrei poter vedere dieci azioni consecutive concluse in dieci modi diversi. Per questo, come dicevo, l'impostazione di gioco voluta da Messina mi trova pienamente d0accordo: verticalità in attacco, aggressività in difesa e possibilità continua di contropiede".

Tutto questo si innesta in una profonda conoscenza di tutte le nostre squadre...

"Be', in questi ultimi sei anni (quattro all'Ignis e due qui), penso di essermi fatto una certa esperienza. Ogni partita va affrontata nella maniera giusta, ogni giocatore deve essere controllato nel modo più efficace e non si può lasciare nulla all'improvvisazione. io debbo rendermi conto del modo di giocare e di difendere di ogni singolo giocatore; per fare questo è necessario conoscere profondamente ogni allenatore, i suoi sistemi di preparazione, la sua personalità, il suo modo di concepire le partite: insomma, quello che io chiamo il suo "pensare-basket". Loro ci mettono tre mesi a preparare una squadra, io debbo rendermi conto di mille cose sfruttando magari anche i particolari all'apparenza più insignificanti".

Ad esempio?

"La fase di riscaldamento: bisogna osservare soprattutto i rincalzi, i giovanissimi, quelli che magari giocano solo pochi minuti, ma che appunto per questo sono i meno smaliziati e i più indicativi; a saperli guardare, il loro modo di muoversi, di tirare, di contrastare, può lasciar trapelare l'impostazione che l'allenatore ha dato a tutto il complesso".

Dpèp qiuasi quarant'anni di pallacanestro, entusiasmo e passione restano evidentemente inalterati in questo personaggio che ha volontariamente smesso di allenare per dedicarsi ad un compito che richiede competenza e capacità oltre alla non indifferente dote di sapersi muovere nell'ombra, stimato solo dagli addetti ai lavori e sconosciuto alla maggior parte delle migliaia che affollano il Palazzo.

"L'unica persona che a volte è scontenta del mio operato - conclude Santunione sorridendo - è mia figlia: quando si perde, mi ritrovo cartelli di contestazione personale appesi ai muri di casa".

 

Virtus - Reyer 79-78 del 28 gennaio 1973. Albonico al tiro, Fultz a rimbalzo aiutato dal blocco di Ferracini, Tony Gennari e Waldi Medeot i difensori. In panchina Nico Messina, Santunione, il dottor Panciroli e Mario Martini (foto fornita da Renato Albonico)