TIFOSI FAMOSI

Lucio Dalla ha un passato da cestista

 

L’INTERVISTA DEL MESE: LUCIO DALLA

di Dario Colombo – Giganti del Basket, marzo 1980

 

La cosa, in genere, funziona così. Non appena la Sinudyne passa in vantaggio Lucio Dalla si alza dalla sua poltroncina nelle immediate vicinanze della panchina degli ospiti e, rivolgendosi al signore che sta seduto tre posti più in là, gli urla: “Tobia, sto raccogliendo delle firme per non farti più entrare al palazzo, dal tanto che sei incompetente. Guarda qui che squadra!”. A quel punto il volto di Tobia si fa ancora più rosso, i muscoli facciali si tendono tutti come corde di violino per poi esplodere sistematicamente in un: “Fuori la pilla, io non faccio mica delle storie, se sei così sicuro di questa squadra tira fuori la pilla e scommetti sul risultato finale”. La pilla, per chi non l'avesse capito, sono i soldi, la lira, il vile denaro. Tobia, invece, è il nome del manager di Lucio Dalla, il cantautore dell'anno, l'uomo che ha ricreato il mito del cantante italiano di successo, considerato già bell'è morto e sepolto. Ma, molto probabilmente, la parte più ingrata e pesante del suo lavoro il bravo Tobia non la fa quando si mette al tavolo di Gianni Ravera o di qualche importante personaggio della RCA piuttosto che della RAI-TV, bensì proprio la domenica quando, dalle 17,30 in avanti, Lucio Dalla si siede nella sua poltroncina di fianco alla panchina degli ospiti ed inizia la sua ora e mezza di sofferenza per la Sinudyne. Da quel momento Tobia non è più un manager ma un parafulmine: è su di lui che si scarica tutta la tensione, la gioia e il dolore che il basket ogni domenica procura al piccolo grande Dalla. "Perché Tobia lo fa apposta a tifare per tutto quello che non è bolognese" si arrabbia il cantante "senza capire che questa è la più grande squadra che il basket italiano potenzialmente abbia mai avuto". "Lui pensa che io ce l'abbia con la Sinudyne" confessa Tobia "ed invece non si rende conto che io lo faccio per cercare di riportarlo entro i confini dell'obiettività, che lui supera abbondantemente ogni volta che entra al palazzo. Ditemi voi come si fa a dire che questa è la più grande squadra che il basket italiano abbia mai avuto...". E la faccenda va avanti in questi termini anche nel dopo-partita, quando in genere si finisce tutti alla corte del bravo "Cesàri" (con l'accento sulla à, mi raccomando) dove, davanti ad un piatto di lasagne ai funghi, la, discussione può arrivare a sfiorare anche la zona match-up o l'attacco shuffle. Perché la verità vera, non quella di Dalla né quella di Tobia, è questa: nel metro e sessanta di altezza del cantante Lucio Dalla è condensato il prototipo, il modello super raffinato e privo di contaminazioni dello sportivo bolognese e più in particolare del tifoso di basket bolognese. Nessun argomento cestistico per lui è tabù, la competenza viene data come per scontata e direttamente legata al fatto di vivere a Bologna. Una competenza, però, che deriva dall'amore viscerale per questo sport: e se sulla prima si può discutere ed avere qualche dubbio sul secondo, chiunque conosce Dalla, dopo cinque minuti sarebbe pronto a mettere la mano sul fuoco. L'unico poster che una rivista di musica ha dedicato al cantautore bolognese lo ritrae in tenuta da basket, maglia, pantaloncini, adidas e l'immancabile basco. Perfino un  settimanale austero come l'Espresso, che a Dalla ha riservato una copertina e un'intervista a firma Giorgio Bocca, non ha potuto fare a meno di pubblicare una sua foto in mezzo ad un gruppo di giocatori di basket. E allora?

"E allora la verità è che io sono un grandissimo giocatore di basket, un talento naturale incredibile” afferma Dalla. “Ci sono dei momenti in cui davvero faccio delle cose notevoli. Fino allo scorso anno, quando giravo per i palazzi dello sport a tenere dei concerti, portavo sempre la roba e stavo delle ore da solo sul campo a tirare. Ho delle medie notevolissime, anche dalla grande distanza: una volta a Cantù, Lienhard mi è testimone, feci un 10 su 11 da otto metri impressionante”.

Allora la Sinudyne ha risolto un eventuale problema del playmaker? “Mah, sicuramente no, perché la mia statura è quella che è e quindi come giocatore sono ormai tagliato fuori. Rimango comunque un grande allenatore e non è escluso che per sfizio, se me lo posso permettere, prima o poi lo faccia. Capisco sempre in anticipo le cose che stanno succedere in campo. Ho inventato uno schema che ho chiamato 'Rollerball' che non esito a definire rivoluzionario: lo stesso McMillian, a cui l'ho spiegato, mi ha detto che molte squadre pro americane adottano qualcosa di simile. Comunque per ora non posso anticipare niente perché sarà la grande rivelazione della mia squadra di amici nelle prossime partite…”.

Dalla al posto di Driscoll: cosa avresti fatto? “Mah, sai, è difficile, anche perché in un anno sono scoppiati alla Sinudyne tanti problemi che normalmente non si presentano in tre anni. La condizione di Bertolotti, gli infortuni, le polemiche interne… Più che un problema tecnico quello della Sinudyne è un problema psicologico: ed è questa forse l'unica cosa in cui per me difetta Driscoll. Mi sembra che manchi di quella aggressività e di quel temperamento che sono indispensabili al giorno d'oggi per guidare una grande squadra. Diciamo che per me il tipo ideale per la Sinudyne potrebbe essere Lombardi. Non lo dico perché io sono stato uno dei suoi più grandi ammiratori quando era giocatore, ma perché mi sembra che tutto sommato un tentativo si potrebbe fare. Certo, lui ha anche delle altre caratteristiche che probabilmente creerebbero dei problemi di natura diversa: però mi sembra che il gioco potrebbe valere la candela”.

E comunque tu che modifiche porteresti a questa squadra? “Facciamo due discorsi. il primo è quello dei giocatori che uno ha sempre sognato e che vorrebbe vedere nella sua squadra anche se sa che non li avrà mai: e allora dico Meneghin, dico anche Sacchetti, uno che mi è sempre piaciuto. Poi c'è l'altro discorso, quello della squadra ideale sì ma non troppo: magari con un po' di buona volontà la si può fare ed anzi, potrebbe anche verificarsi che si faccia. E qui dico un’auspicabile formazione della Sinudyne 1980-81, qualora restasse uno straniero: Tom McMillen, Bonamico, Villalta, Caglieris e Ferro”.

Ferro? “Ferro è una mia scoperta di alcuni anni fa, quando ne parlavo tutti mi ridevano dietro, adesso è uno dei giocatori più spettacolari del campionato. Si muove come un americano, ha un talento cestistico superiore alla media, ha un grandissimo equilibrio psico-fisico: manca ancora un po' in difesa. però già rispetto all'anno scorso ha fatto dei progressi notevolissimi. Avrebbe bisogno per venir fuori completamente di un grande allenatore, perché McMillen, pur bravissimo, forgiatore di giovani non è. Probabilmente se alla Mercury ci fosse ancora Nikolic, Ferro sarebbe già diventato da tempo un uomo da nazionale”.

Allora non è vero che il pubblico di Bologna è così competente come si vuol far credere, se solo tu ti sei accorto di Ferro… “Io giro anche per gli altri campi d'Italia e devo dire che, rispetto alla media, il pubblico di Bologna è un pubblico attento. Però, avendolo giocato e seguendo il basket con un'attenzione assolutamente critica, cioè non partecipante nel senso negativo del termine, devo dire che sono in pochi anche a Bologna a saper dire 'ecco stanno difendendo a zona', 'ecco quello è un buon difensore' e via dicendo. Del resto io preferisco il basket in assoluto a tutti gli altri sport proprio perché presenta questa vasta gamma di situazioni per cui non ti puoi fermare soltanto al risultato, anche se è quello che conta. In una partita ci sono tanti momenti che nel calcio e nel ciclismo per esempio non ci sono o sono due-tre, contro i cento che si possono vedere e scoprire in un incontro di basket. Ed è proprio facendo riferimento a questa capacità di scoperta che dico che anche il pubblico di Bologna, pur avanti rispetto a quello di altre città, ancora competente in maniera definitiva non è”.

Lucio Dalla: fino a che punto il basket è uno spettacolo in assoluto e fino a che punto non hanno contribuito a renderlo tale gli stranieri? “Devo dire, francamente, che fino a qualche anno fa ero abbastanza polemico e contrario alla presenza degli stranieri, soprattutto di due per squadra. Anche per delle ragioni sentimentali: io sono amico di gran parte dei giocatori italiani e mi sembrava poco bello il fatto che loro venissero confinati in una posizione di secondo piano rispetto ai giocatori stranieri, in tutti i sensi. Poi invece sono successi alcuni fatti che mi hanno costretto a cambiare idea e a rivedere la mia posizione generale nei confronti del problema stranieri. Uno di questi fatti è stato per esempio l'arrivo di Jim McMillian a Bologna. L'inserimento di McMillian è stato un fatto sconvolgente perché lui ha dimostrato che si può fare nel primo tempo 7 su 7 e poi nel secondo decidere di fare solo degli assist ai compagni senza che per questo il gioco, lo spettacolo ne risentisse: e allora ti rendi conto che il tutto va rapportato al valore degli stranieri che hai. Con un americano come lui anche i giovani vengono valorizzati ed hanno la possibilità d'apprendere delle cose utili, con altri americani invece la situazione mi dà onestamente fastidio”.

Ma allora, vedendo le cose da questa prospettiva, ti va bene qualsiasi soluzione politica: due americani, due americani e un oriundo, tre oriundi e via dicendo… “Io sono un uomo di spettacolo, quindi l'unica cosa che secondo me conta alla fine è la capacità di una squadra di produrre uno spettacolo all'altezza. Siccome io tengo alla promozione del basket al pari di tutte le altre cose che mi stanno a cuore, penso che solo attraverso un aumento dello spettacolo si possa accrescere il livello di diffusione del basket, pure già alto. Per esempio io troverei altamente qualificante e positivo il fatto che qualche società riuscisse a mettere assieme una squadra fortissima, strepitosa, con dieci fuoriclasse, che s'inserisse a livello promozionale in tutto quello che già si sta facendo, anche se il basket ha già raggiunto livelli addirittura superiori a quelli che le sue strutture in teoria gli potrebbero permettere. Questo, però, lo ripeto, non deve togliere stimoli a tutte quelle iniziative che possono servire ad aumentare lo spettacolo. Una delle ragioni per cui mi sono riavvicinato alla Mercury sta proprio nel fatto che la squadra di McMillen offre un grandissimo spettacolo, cosa che invece non ha mai fatto la Sinudyne quest'anno. Questo deriva dal fatto che i due americani della Mercury sono due buoni americani; che non soffocano il ruolo e la personalità degli italiani; che infine tutti hanno la mentalità giusta per produrre spettacolo. Loro infatti giocano per vincere ma per vincere facendo spettacolo: invece la Sinudyne non fa nascere niente, se si esclude forse Cosic che è uno showman. Io lo chiamo "Cimiteria" perché lui è sicuramente il giocatore più improbabile che si sia mai visto: eppure inventa delle cose bellissime, delle volte lo sento venire avanti in contropiede cantando, insomma è l'unico che possa suscitare dell'entusiasmo nel pubblico, il quale altrimenti deve affidarsi a leggere tra le righe di una partita gli eventuali motivi di soddisfazione”.

Ma allora questo amore viscerale per la Sinudyne…? “È un amore assoluto, fin da quando avevo 11 anni tifavo Virtus, per me vederla giocar bene è come ritornare ad avere 11 anni, è come se mi ricrescessero i capelli… Eppoi, al di là di tutto è una squadra fortissima, non ci sono discussioni su questo”.

Quanto conta Dalla nella Sinudyne? “No, niente per l'amor di Dio. Sono buon amico di Porelli, ma non ne approfitto. Ecco, senza voler far torto ad altri dirigenti, Porelli è un uomo che ha sempre avuto come obiettivo quello dello spettacolo da migliorare, da creare quando era il caso. Credo che lui sia avanti dieci anni rispetto agli altri. Adesso abbiamo concepito una cosa assieme, una specie di basket-spettacolo da mettere a punto e di cui per ora non posso rivelare altri particolari”.

Perché? “Perché altrimenti ce lo copiano a Milano…”.

Allora rimane questa gelosia, questo complesso nei confronti di Milano… “Non è gelosia, è una rivalità che tra l'altro fa benissimo: a Milano ci sono tifosi della Sinudyne, a Bologna ci sono tifosi del Billy come Tobia: è un modo come un altro per instaurare dei rapporti, dei legami tra la gente”.

Dal particolare all'universale: ci si ritrova a parlare di legami tra la gente in nome dello sport, proprio nel momento in cui lo sport sta per essere usato come arma di divisione tra i popoli… “Guarda, io sono filoamericano, per una certa tradizione apparentemente irrazionale, legata alla musica, al basket, perché penso che gli Stati Uniti siano una nazione democratica: però se loro mi boicottano le Olimpiadi è il più grosso scandalo che si sia mai visto. Ma come: mi vengono a parlare di distensione e poi fanno una cosa di questo genere che è contro qualsiasi concetto di distensione. Boicottare le Olimpiadi non ha alcun peso politico né alcun senso civile. Del resto, il pensare che questo tipo di azione possa svolgere una funzione propagandistica efficace all'interno dell'Unione Sovietica è un'illusione bella e buona: l'URSS ha ormai collaudato dei meccanismi di oppressione e di limitazione delle idee tali per cui è certo che anche questo tipo di propaganda verrebbe in qualche modo fuorviato e limitato. Quindi il tutto si risolverebbe in un'azione di propaganda interna al mondo americano e a quello occidentale più in generale”.

Ma tu ci credi ancora a queste Olimpiadi o no? “Io non ho mai creduto al significato mitologico dello sport e quindi ad un certo modo di presentare anche le Olimpiadi. Credo per che lo sport possa essere un'arma incredibile di aggiramento di taluni blocchi altrimenti considerati insormontabili, quando si faccia riferimento però all'uomo-atleta nudo, non rivestito di ideologie, preconcetti e via dicendo, ma dal puro e semplice desiderio di superare un suo simile, di soddisfare un'esigenza antropologica che è innata in ciascuno di noi e che nello sport può trovare la sua collocazione più adatta”.

Questo è dunque il motivo principale per cui tu vivi in un certo modo lo sport oppure il tutto trova origine anche nell'ambiente in cui sei cresciuto e vivi tuttora? “Il mio rapporto con lo sport nasce da un fatto ben preciso e cioè dal vivere a Bologna. Questa è sicuramente la città più sportiva d'Italia: per quanto riguarda il basket posso dire che non c'è quartiere che non abbia i suoi due-tre campi più o meno coperti, in cui magari c'è sempre un tabellone da sistemare ed un cerchio da sostituire ma che però sono meglio di niente. Noi - intendo io ed i miei amici - abbiamo cambiato almeno trenta volte il cerchio dei canestri sul campo dove giochiamo in collina: lo mettiamo e di notte ce lo rubano, però chi se ne frega: quando vogliamo giocare non dobbiamo far altro che comprarne uno nuovo ed il campo c'è. idem per i campi da calcio, da tennis e via dicendo. inoltre tutti i miei amici sono della mia stessa generazione, hanno iniziato a fare sport assieme a me quindi sentono quello che sento io, vivono le mie stesse emozioni, assieme a loro continuo un certo discorso iniziato tanti anni fa. Per tutti noi la domenica è magica, ma non perché si va a vedere il Bologna o la Mercury o la Sinudyne: ma perché crea fenomeni di aggregazione che sono assolutamente irripetibili. Poi magari si evolvono in forma violenta: però anche questo se vogliamo è comprensibile, fa parte del gioco, perché è falsa la retorica pacifista che si porta dietro da sempre il mondo dello sport. Quest'ultimo è per sua natura antagonismo, lotta, tentativo di supremazia: e talvolta è inevitabile che degeneri”.

Eppure nelle tue canzoni non c'è traccia di questa passione, il basket per esempio non è mai comparso. “Io penso che due amori così grandi come quello per la musica e quello per il basket non vadano contaminati. Mi piace tenerli separati, continuare a pensarli così come li ho pensati finora senza crearmi il problema di farli stare assieme. Del resto c'è stato chi ha scritto una canzone sul basket: è stato Baglioni, con "Il pivot", una canzone tra l'altro molto bella”.

E però il basket ha influito e influisce sulla tua vita di cantante: dicono che organizzi le tue tournée in modo da trovarti a cantare nelle città dove gioca la Sinudyne… “Di sicuro c’è una cosa: che per il periodo dei playoff io non prendo impegni. Poi se posso cerco di trovarmi dove gioca la Sinudyne, altrimenti vado a vedere anche altre squadre”.

Non hai mai temuto di compromettere la tua figura di cantante almeno presso i tifosi avversari della Sinudyne? “No, nel modo più assoluto. La gente vede che io giro per tutti i campi, sono uno a cui piace in fondo in fondo il bel gioco, lo faccia il Billy o la Sinudyne. Quindi i tifosi di Varese che qualche anno fa sfasciarono la macchina (tra l'altro di un mio amico) con cui ero andato alla partita, dimostrarono di non aver capito niente del Lucio Dalla tifoso di basket: allora cosa dovrei fare io con l'auto di Tobia, che viene al palazzo per tifare contro la mia Sinudyne?”

LA VIRTUS SENZA ZUCCHERO NEL CAFFÈ DI TUTTI

Cari amici vi scrivo

di Lucio Dalla - Giganti del Basket - 1988

 

L'inverno sarebbe una lunga notte non solo ai circoli polari ma anche nei palazzi dello sport se non fosse per i derby. Loro sono il sale sulla tavola di un campionato che vede alcune squadre obbligate a giocare ogni volta alla morte e altre che possono evidentemente permettersi distrazioni. Non so quale sia il male minore, se sia più saggio accettare la morte in partite a volte senza storia o spesso capovolte da errori cercando la gloria nel primato assoluto. Inutile insistere, si finirebbe con lo sputate nel piatto in cui divoriamo questo torneo, fino all'abbuffata finale dei playoff, a volte è vero, insipidi di spettacolo, ma sempre saporiti di emozioni.

Ben vengano quindi i derby a salare e pepare le domeniche, e i mercoledì di coppa per contorno; è sempre bello trovarsi con gli amici di una vita intorno a una tavola divisi solo da diversi natali cestistici a giurarsele prima, e a infierire o subire dopo.

E se ieri è toccato a Luca sbigottire per la netta sconfitta patita dalla Fortitudo, certo ha anche sgranato gli occhi per i numeri offerti da Sugar.

La Virtus ha cancellato il dolcificante dalle maglie e per togliere l'amaro sapore delle ultime delusioni versa lo zucchero nel caffè di tutti: oltre alle entrate acrobatiche, ai tiri arcobaleno e ai rapidissimi, micidiali tiri da tre, agli assist repentini e ai contropiedi fulminei, possiede anche un enorme talento da uomo-spettacolo.

L'azione in cui tagliando sotto canestro ha raccolto la cartaccia tirata dai tifosi, li ha guardati, gliela ha rilanciata e uscito dal blocco ha ricevuto e centrato il canestro da tre è la cosa più buffa e irriverente che abbia visto fare su un parquet negli ultimi anni.

Ma il derby non è solo questo e se Silvester ha ben difeso limitando il poderoso "Gino" Banks, lo scontro vero e raffinatissimo lo hanno giocato Gilmore e Johnson.

Anche qui il bianconero ha primeggiato, Clemon è stato inclemente con tutti, ma ha giocato più palloni, avrei voluto vedere qualche palla giocabile in più fra le manone del grande Artis, 39 anni di cui 18 anni nell'NBA, duecentodiciotto centimetri che hanno scritto del basket forse avrebbero potuto scrivere anche questa in maniera diversa. Unica nota positiva per i miei amici fortitudini è il recupero di Giorgio Bucci, un giocatore la cui assenza non puoi regalare mai.

Ora che è rientrato, come Binelli, Villalta e Brunamonti, ora che Bonamico ha ridimostrato la sua fisicità e che Marcheselli ha ripreso a lavorare posso guardare le mura e le torri di Bologna, e pronosticare che non so davvero chi potrà lasciare la città col sacco pieno.

Forse questo è il ghetto del provincialismo se lo rapportiamo alla sfolgorante esaltazione del basket giocato nella capitale America, dove ogni partita è il massimo, l'ultimo dei rincalzi può essere tutto da scoprire e lo spettacolo vive della propria essenza, agonismo compreso.

...

 

UN VIRTUSSINO PARTICOLARE

di Lucio Dalla - Bianconero numero speciale giugno 1998

 

Forse era scritto così che la Virtus dovesse vincere tutto, nonostante una Fortitudo strepitosa ed eroica, nonostante Myers sempre meno italiano e sempre più planetario, stellare, probabilmente non se lo aspettavano in molti tranne a Bologna. Non me ne viene in mente nessuno, me compreso, che alla partenza del campionato si immaginasse un finale così incredibile, così epico e oltre lo sport, dai toni quasi omerici con gli dei sulla nostra testa a muove gli eroi e a divertirsi facendoci divertire, a confondere la logica, il cronometro, e la nostra stessa fede nei colori fino al punto, se mai fosse possibile, di andare oltre il tifo per sognare uno scudetto diviso in due e o per tutte e due le squadre. Io le cinque partite le ho vissute così soprattutto le ultime due tifando per Achille Danilovic e per Ettore Myers, per Aiace Savic e Ulisse Rigaudeau come per Patroclo Rivers. Lo sport che è quasi sempre bello a volte diventa anche sublime, va oltre i meriti dei suoi eroi e dello stesso pubblico, magari cancella città che fino a ieri erano leader con siccità di basket che le fa scomparire per concentrare tutta la sua spaventosa bellezza in una sola città anche se da sempre capitale del gioco più belo, più intelligente, più contemporaneo che esiste. Non vado quasi mai a vedere il derby al palazzo, non mi va di vedere una delle due squadre, delle mie squadre, perdere ma se vi dico che il pomeriggio della quarta partita avevo un concerto e che per non perdere neanche un minuto del secondo tempo in tv ho accelerato tutti i tempi delle canzoni fino a suonare e a cantare le ultime tre quasi a 78 giri avete un'idea di come non solo io ma tutti a Bologna abbiamo vissuto questa epopea.

Ci siamo divertiti e ai tifosi della Fortitudo dico che la squadra è al massimo e potrà vincere contro chiunque, spero che Seragnoli faccia ancora parte del quintetto base il prossima anno perché è anche il suo cuore che ha fatto diventare grande la squadra, ringrazio Abbio che è stato forse l'uomo determinante, Danilovic che ha cominciato a vincere il giorno che è nato, Myers perché se rinascessi vorrei essere come lui, Nesterovic che, nonostante quel piccolo ma visibile difettuccio che è l'altezza, ci ha fatto vedere come in un anno si diventa campioni, Messina che ha pilotato la nave spaziale come una bicicletta ai giardini Margherita, Cazzola che ci ha regalato un bel giocattolo e alla fine anche Tobia che da tanti anni mi porta al palazzo e che, dopo tanto tempo non ho capito ancora per che squadra tiene.

 

Dalla giocatore, con quattro cestisti che indosseranno la V nera: Mucciarelli, Piccinini, Marinozzi e Lebboroni (foto fornita da Giorgio Lanfranchi)

LUCIO DALLA, PASSIONE BASKET: "SONO UN GRANDE PLAYMAKER, MI HA FREGATO L'ALTEZZA"

La Virtus: un vero amore, fin dagli anni '70

di Alessandro Gallo - 01/03/2012

 

“Sono un grande playmaker. Forse il più grande. Mi ha fregato solo l’altezza”. Quante volte, Lucio Dalla, ha manifestato la sua passione per la pallacanestro, ironizzando sulla sua statura, ma sottolineando, sempre, tanto il suo talento quanto la conoscenza di una disciplina nella quale gli americani si sono sempre considerati maestri. E Lucio, sia nel basket sia nella musica, era un vero americano. Tifoso della Virtus e tifoso del Bologna. Negli anni Settanta e Ottanta aveva un posto fisso, in parterre, per seguire le gare della sua amata Virtus.


Un anno – c’era un grande feeling con l’allora proprietario della Virtus, Gigi Porelli – aprì da par suo il trofeo Battilani. Era il classico torneo precampionato, che dava il via alla stagione. Prima ancora della passerella per la sua Virtus, al Palazzo dello Sport, dove era di casa, si mise lui, al pianoforte, per cantare un paio di canzoni di successo.
Ovazioni per la Virtus, certo, ma tutti in piedi per osannare il piccolo-grande uomo della musica italiana.
 

Al Palazzo, poi, ‘litigava’ spesso. Litigava è un termine eccessivo: Lucio ci andava con il suo manager, Tobia Righi, tifosissimo dell’Olimpia Milano. E ogni volta c’era una discussione tra i due, per capire chi fosse più forte tra la Virtus Bologna e l’Olimpia Milano.


Grande appassionato di basket e capace di scherzare su se stesso: indimenticabile quel servizio per i Giganti del basket. Lucio con la sua canotta con la V nera sul petto accanto a un Augusto Binelli che, dall’alto dei suoi 214 centimetri, manco lo vedeva. “Mi ha fregato l’altezza, ma da tre non sbaglio una conclusione. Sono una macchina da canestri”, diceva ridendo.


Al Palazzo o al Dall’Ara, va sottolineato, ma sempre dotato di abbonamento. In periodo di tessere gratis e omaggi vari, Lucio non rinunciava mai alla sua indipendenza. E anzi incaricava l’amico-manager Tobia di acquistare magari qualche abbonamento in più: per avere la certezza di seguire uno spettacolo sportivo, per poter chiamare, magari qualche amico altrettanto appassionato.


Virtussino fino al midollo, ma mai nemico della Fortitudo. “Nel derby tifo Virtus – sottolineava spesso -, ma non posso nutrire sentimenti negativi nel confronti dell’altra squadra di Bologna. Perché anche la Fortitudo è Bologna”.
Bastava fornirgli un pallone da basket per vederlo sorridere: il piccolo-grande Lucio. Cestista forse mancato, ma appassionato di basket vero.
 


 

IL RICORDO DEL CESTISTA CARERA: DALLA VOLEVA FARE IL MIO PLAYMAKER

di Marco Sanfilippo - L'Eco di Bergamo - 12/03/2012

 

Flavio Carera, classe 1963, cittadino, cresciuto nel settore giovanile dell'Alpe Bergamo è senza alcun dubbio il più importante cestista bergamasco di ogni epoca. Nella sua lunga carriera, che l'ha visto vestire per 129 volte la maglia della nazionale, ha portato per cinque stagioni consecutive, tra il '92 ed il '97, la maglia bianconera della Virtus Bologna. 

Quel periodo è stato foriero di grandi risultati sportivi per le «vu nere» felsinee, che tra il '93 e il '95 conquistarono tre scudetti, una Coppa Italia e una Supercoppa Italiana nel '96; in prima fila a festeggiare le vittorie della Virtus c'era sempre Lucio Dalla, bolognese doc, appassionato ed acceso tifoso del Bologna Calcio e della Virtus, di cui era storico abbonato nel parterre. 

«Ho avuto il piacere e l'onore di conoscere Dalla già prima di approdare alla Virtus» racconta Carera. «Durante la mia militanza a Livorno, con la Libertas. Il tramite fu Alberto Bucci, bolognese ex coach virtussino e suo amico. Durante la mia esperienza bolognese ho iniziato a frequentarlo. Probabilmente per il mio modo di giocare, di comportarmi sia dentro che fuori dal campo, Lucio ha sempre avuto, sia durante le interviste televisive che sui giornali, parole di stima e simpatia nei miei confronti, naturalmente ricambiate da parte mia». 

Carera ha anche un ricordo personale particolare di Dalla: «Nel 2001 giocavo a Montecatini Terme. Durante un suo concerto al Pala Terme mi invitò sul palco. Fu molto simpatico e spiritoso; accennando alla differenza di altezza tra noi due - io sono 2,06 metri, lui 1,60 - disse che i piccoli, nella pallacanestro, si occupano della costruzione del gioco mentre a noi giganti spettava soltanto la lotta fisica sotto canestro. «Sono il più grande playmaker di sempre, ma mi frega l'altezza», una sua famosa frase.

TOBIA RACCONTA LA PASSIONE DI LUCIO DALLA

tratto da Pascutti Il signore del gol

 

Umberto Righi detto Tobia su Lucio Dalla: "Lucio aveva allestito una camera  con uno schermo gigante: la chiamava la stanza dello scemo. In quella stanza guardavamo sia il Bologna che la Virtus  e se quelle mura potessero raccontare anche solo un briciolo di amore che Lucio aveva per quelle due squadre, capireste di cosa parliamo".

IL LUCIO BIANCONERO DAI DIBATTITI CON PORELLI ALL' ESTASI PER DANILOVIC

di Luca Sancini - La Repubblica - 02/03/2012
 

LA SERA che Sasha Danilovic lasciò il basket, al PalaMalaguti piangevano tutti. Il capitano Brunamonti e i compagni, e anche Lucio Dalla dietro gli occhiali. Poi prese il microfono, si schiarì la voce e ricominciò il suo canto. Aveva scelto "Ciao" come canzone per accompagnare l' uscita del campione serbo. Un gesto d' amore per quel ragazzo che su queste pagine definì una rondine in jeans, ma anche per quello che aveva fatto in maglia Virtus. Impagabile, come l' amore che Dalla aveva per laV nera, scopertaa 11 anni dentro la Sala Borsa e mai più lasciata. Una passione eterna come i suoi versi. Un poeta non poteva che innamorarsi di sguardi all' insù, braccia aperte come ali, attimi per passare dal dolore alla felicità, e Lucio a pallacanestro ci aveva giocato davvero, playmaker nella squadra Leone XIII, campo di gioco in via Libia, provando a ripetere le movenze dei Rapini e dei Marinelli, e di Cosmelli e Lombardi poi. Ma se ci sono immagini di un amore collettivo e personale, nel caso di Dalla, bisogna riandare al Madison di piazza Azzarita. Se c' è lo sguardo truce dell' avvocato Porelli,i pantaloni a campana di Dan Peterson, l' organista dietro le panchine e Caglieris, Driscoll, Bortolotti, Antonelli in campo, in quell' album c' è anche Dalla che entra a palazzo con una pelliccia lunga fino ai piedi e va a sedersi dietro al canestro, a ridosso degli spogliatoi. Faceva ciao ciao, quando dalla curva scendeva il coro "Lucio Dalla olè", e lui non l' aveva mai nascosto che se il talento immenso che il cielo gli aveva regalato non fosse stata la musica, avrebbe apprezzato fosse calato sulle qualità da cestista. «Se dovessi rinascere, vorrei essere un playmaker di colore» diceva, e non scherzava. E quando vedeva la grazia dentro un giocatore, lo riconosceva come un eguale. Riconobbe la perfezione stilistica dentro Jim McMilllian, il carisma naturale in Creso Cosic, in Sugar Richardson vide un angelo caduto che era tornato a volare, in Manu Ginobili, «quello che fa delle robe che non si capisce come fa». Ma era stato con Danilovic che Dalla aveva trovato il suo campione più virtussino di tutti. L' aveva visto piangere una sera, quel serbo che sembrava di ferro, perché gli aveva fatto ascoltare "Henna", la canzone che aveva scritto sulla guerra in Bosnia. «Aveva i capelli neri che sembravano piume di rondine, e muoveva le braccia lentamente come se remasse, solo che spostava l' aria» lo descrisse quando arrivò. E quando Sasha se ne andò gli disse: «Sei come le rondini che ci lasciano per un inverno senza di loro e se tornerai non sarai lo stesso, perché un pezzo del tuo cuore resta qui. Per amore, per devozione, per sempre». Gli amici ricordano quelle partite al Cavaioni con gli ex virtussini e i fratelli Bonaga. Dalla a dispensare assist, sognando di giocare per la V nera. Sentiva però di esserne parte, come quando si buttava in lunghe discussioni tecniche con l' avvocato Porelli, a cui era legatissimo e con coach Bucci. Dalla voleva bene alla Virtus, le voleva bene assai.


 

QUANDO POSÒ PER I "GIGANTI DEL BASKET". BINELLI: "AVEVA TALENTO COME UN PLAY"

Il mondo dello sport ricorda l'amico. Villalta: "Mi dedicò una canzone"

di Alessandro Gallo - Il Resto del Carlino - 02/03/2012

 

Come giocatore sono tagliato fuori, la statura è quel che è. Anche se avrei potuto essere un grande playmaker. Resto però un grande allenatore: non è escluso che prima o poi mi tolga lo sfizio e lo faccia".

Non è mai diventato un allenatore del basket, Lucio Dalla, ma con i tecnici ha mantenuto fino all'ultimo un grande feeling.

Appassionato di sport, innamorato del basket, Lucio non ha mai nascosto il suo tifo per la Virtus che, nel 1983, lo portò a posare per i Giganti del Basket. Lui, con il suo talento smisurato per la musica, ma una statura limitata, accanto ad Augusto Binelli che all'epoca era già alto 2 metri e 14 centimetri.

Tanti gli allenatori che lo ricordano. Dan Peterson, per esempio. "Seguiva le partite della Virtus - commenta -. Non ci siamo frequentati, ma conosceva l'argomento". Alberto Bucci torna allo scudetto della stella della Virtus, nel 1984. "Un grandissimo personaggio con una modestia innata. Nel 70 per cento delle sue canzoni c'è il riferimento alla stella. E lui, come una stella, illuminava la scena. E oggi s'è preso un posto lassù: nel cielo c'è una stella in più".

Anche Ettore Messina, oggi assistente sulla panchina dei Lakers, torna al 19983. "Bucci era appena diventato capo allenatore, io ero il vice. L'avvocato Porelli ci portò da Cesari, in via Farini. Stavo mangiando un piatto di tortellini: lui entrò e chiese "Sono buoni?' Portò via un tortellino. Rimasi senza parole al cospetto del grande Lucio".

"Ero stato ceduto alla Benetton - rammenta Renato Villalta -. Tenne un concerto a Treviso, io ero tra il pubblico. Lucio dise 'Voglio dedicare questa canzone (era Caro amico ti scrivo, ndr) a un mio amico che è venuto a giocare qui tra voi'. Se ci ripenso mi tornano ancora le gote rosse". Non l'ha dimenticato Sasha Danilovic. "Un grande amico. E pure un grande intenditore di pallacanetsro. Se avesse voluto, con il suo talento, sarebbe potuto diventare un allenatore, come sognava".

Roberto Brunamonti aggiunge altra poesia. "Una volta mi paragonò alla canzone Caruso. È qualcosa che mi porterò sempre dentro, come la sua arte, la sua musica". Marco Bonamico utilizza anche il sito della LegaDue per ricordarlo. "Musica e basket. Bologna era così ai nostri tempi. Al flipper del Giampy Bar, con la complicità di Massimo Antonelli, ci fece sentire l'anteprima del suo Disperato, erotico, stomp". "Realizzammo quel servizio nel 1983 - dice Augusto Binelli -. Ero quasi un bambino e pure imbarazzato. Giocammo per un'oretta: aveva talento come play". Ciao Lucio si legge sul sito della Virtus. "Lo dobbiamo ringraziare almeno due volte - sottolinea Claudio Sabatini - per la sua arte e il suo talento. E perché era un tifoso Virtus". Un grande appassionato di basket, ricorda Amato Andalò, leggendario custode del PalaDozza. "Quando c'erano gli allenamenti si metteva in gradinata. Era sempre gentile. Ogni volta che realizzava un album me lo faceva sempre recapitare in portineria. Voleva fossi uno dei primi ad ascoltarlo".


 

DALLA E LA SINUDYNE

di Lucio Dalla - Giganti del Basket - 03/1980

 

Veder giocare la Sinudyne è come sentirmi ricrescere i capelli.

LA STORIA DELLA VIRTUS

di Gianfranco Civolani - Il Resto del Carlino – 05/08/2003

 

Era appena finita la guerra, il basket lo si giocava solo là dove c'era un pavimento con due canestri montati alla 'brava' e alla sezione (del Psu, partito socialista unitario) Matteotti di Porta d'Azeglio c'era la squadra (appunto la Matteotti con i fratelli Bertelli e i Sangirardi) e i cosiddetti sfidanti. La Matteotti basket vinceva spesso, ma una sera toppò di brutto, solo 13 punti contro 45.
Mio padre — iscritto a quella sezione — il giorno dopo mi disse: «Non vale, avevano di fronte la grande Virtus». E fu così che mi innamorai perdutamente per la seconda volta (l'anno prima mi ero invaghito del Bologna calcio) di una squadra che non avevo ancora visto giocare. Ma rimediai subito e purtroppo toccai con mano il fascino delle vu nere quando appena quelle vu nere avevano conquistato il quarto scudetto consecutivo. Sì, perché di pallacanestro a Bologna se ne era parlato per la prima volta alla fine degli anni '20 quando si cominciò a sforacchiare il canestro sotto le volte più o meno celesti della chiesa di Santa Lucia. E nel '35 la Virtus era approdata alla prima divisione (oggi A-1) e c'era già stato un derby con la Fortitudo 18-5 per la Virtus.
Ecco, dal '35 fino al rombo dei cannoni, la Virtus non aveva primeggiato perché comandavano la Reyer (Venezia) e l'Olimpia (Milano) e però si trattava solo di aspettare e subito nel '45 i nostri eroi — che pestavano i campi in terra rossa della Sef Virtus in via Valeriani — vinsero il primo titolo a Viareggio. E il viaggio di ritorno fu tutto un programma. Un pullmino che attraverso il passo della Collina sbuffava e rantolava e tutti a far baldoria mostrando anche il sedere nudo (e qui Gelsomino Girotti era il più scatenato) o gridando frasi oscene ai viandanti di Ponte della Venturina o ai cittadini di Porretta e di Vergato. Il primo quintetto: Dondi, Vannini, Bersani, Marinelli e Rapini. E gli altri: Girotti, Calza, Cherubini. E il coach? Ma quale coach, c'era il cambista (si chiamava Foschi) che faceva da accompagnatore e che appunto faceva i cambi suggeriti poi da Dondi e da Vannini perché se i cambi non erano per la quale, partiva il solito «te ti 'vut sampar fer l'esen» e insomma Foschi obbediva e schivava le orecchie del somaro.
Per qualche anno di seguito — dicevo — furono successi a catena, ma poi campioni come Dondi, Marinelli e Vannini si ritirarono e c'era sempre l'Olimpia Milano fra i piedi così io mi ritrovai in sala Borsa a soffrire perché non solo la Virtus non vinceva più, ma nel frattempo a Bologna era stato fondato il Gira (in onore del ciclista Girardengo) e stava spopolando anche la MotoMorini e insomma la Virtus si piazzava seconda o terza e ringraziare. Ma agli inizia degli anni '50 arrivò a Bologna Vittorio Tracuzzi, detto «il Moro» per via dei pelacci che aveva sul torace, un truce siciliano (messinese) che cominciò a tracciare il solco con le sue idee geniali (per esempio la zona 1-3-1 altro che quella di Peterson a Milano) e poi gli arrivi del gigantone Calebotta — figlio di un papà diplomatico dalmata —, di Canna e di Alesini e l'esplosione del bolognesissimo Germano Gambini, fecero tornare il tricolore a Bologna e furono due successi in serie e non tre perché lo strampalato Tracuzzi — con la sua Virtus in vantaggio su Milano di 15 punti — cambiò tutto il quintetto nell'apoteosi e Milano inchiodò la Virtus ai supplementari, vinse e si pappò uno scudetto già perso.
Poi per la Virtus arrivarono gli anni meno succosi, con Milano e Varese che dominavano con una bolletta sempre più galoppante. E meno male che negli anni '60 si profilò l'uomo della Provvidenza, un mantovano che inceneriva il prossimo con i suoi occhi di brace e anche con qualche robusto ceffone dato più o meno al momento giusto. Gigi Porelli mise le cose al punto zero, salvò la gloriosa Virtus dalla retrocessione allo spasimo, firmò un bel patto di cambiali («Non dormivo la notte» — dice ancor oggi), ma con lui in sella e con lo sconosciutissimo Dan Peterson in panca e peraltro con buoni giocatori si ritornò ai vecchi fasti, per un bel po' di scudetti (e vale ricordare il bostoniano Terry Driscoll, due su due e record del mondo come allenatore) e il resto è anche storia recente. Coppe internazionali (tre), scudetti a raffica con Alberto Bucci e con Ettore Messina e mentre la proprietà della Virtus veniva trasferita dal grande Porelli (diciamolo: il miglior dirigente della Virtus basket di sempre) ad Alfredo Cazzola, la lunga linea di insuccessi non veniva mai intaccata.
E l'investitura del giovane Ettore Messina (portato a Bologna proprio da Porelli e destinato al settore giovanile) fu davvero casuale. Allenava l'americano Bob Hill (quello che viaggiava sempre con l'abito di vigogna grigia sulla gruccia) e io scrissi che Messina era già pronto per subentrare. Il buon Ettore mi mandò una lettera di ringraziamento, ma il presidente (Paolino Francia) mi disse: «Un attimo di pazienza, non precipitiamo le cose». Ma le cose le precipitò proprio Bob Hill. Si accasò nell'Nba e così Messina diventò il coach della Virtus per un gran colpo — come direbbe il poeta — 't'inchiappa'.
Però che rabbia, che malinconia e che vergogna vedere la Virtus ridotta in questo stato da un uomo solo. Il grande Slam? Facile fare la ruota del pavone con Messina in plancia. E quanti struggenti ricordi per chi ha sempre avuto la Virtus nel cuore. E quanti personaggi.
Gigi Rapini che inventò l'uncino dopo averlo studiato in costa Azzurra, Giancarlo Marinelli che inseguiva tutte le sottane d'Europa, Nino Calebotta che misurava (ai quei tempi) più di due metri che a Bologna veniva chiamato «Filuccone» o «gran Camillo», Achille Canna che in coppia con Mario Alesini sfrecciava come Schumacher, Dan Peterson che si presentò a Bologna vestito come una rock-star, Gigi Porelli che combatteva il mondo intero, Alfredo Cazzola che prendeva per gli stracci chiunque gli stesse sull'anima, gli immensi Sasha Danilovic e Creso Cosic che nessuno di noi nostalgici potrà mai più dimenticare, Lombardi - Brunamonti - Villalta che ci hanno fatto tanto sognare e Manu Ginobili che balzava lassù nell'empireo. E Madrigali che ha fatto peggio della grandine, della siccità, di un ciclone caraibico e di un esercito di voraci cavallette.
Ricordo lo scudetto della Stella, Barcellona, Vitoria, Firenze (c'era Sugar, un immortale). Dei quindici scudetti ne ho vissuti ben undici, dieci di più di quello scudettone del Bologna calcio che ho vissuto e celebrato nel '64.
Risorgeremo? Si, ma non so quando. E chiamerei a raccolta Porelli, Cazzola e quant'altri. E però avrei un desiderio: non vedere mai più questo Madrigali in un'arena sportiva.

"IL COLPEVOLE ORA PAGHI"

"Sarebbe già una piccola consolazione, per noi innamorati senza macchia. Il rispetto delle regole? Sacrosanto, se non fosse applicato una volta sì e una no. Guardate il calcio..."

di Adalberto Bortolotti - Il Resto del Carlino - 08/08/2003

 

Forse nelle sacre tavole del basket sta scritto che chi molto ha goduto molto debba espiare. Così a noi vecchi virtussini storici, arruolati sotto il glorioso segno della V nera per motivi generazionali  ancor prima che sentimentali, non poteva bastare una stagione intera di incubi e tormenti, fuori dai playoff e presi a sberle su tutti i campi d'Italia, per bilanciare, in una sorta di biblico contrappasso, le molte e prolungate estasi di una catena di trionfi. Ci voleva dell'altro, evidentemente, ma questo mi pare un po' troppo.

 

Festa al Madison

Perché perdere ci può stare, anche perdere male e al limite passare da zimbelli. Del resto, proprio noi di più antico pelo abbiamo ancora presente un'altra Virtus sull'orlo del baratro trenta e più anni orsono, quando, scaturito dalla provvidenza o più semplicemente da un'intuizione geniale e disperata di Giovanni Elkan, un avvocato di Mantova chiamato Gianluigi Porelli arrivò a prendere per i capelli la nostra beneamata ormai in apnea e a miracolarla a tal punto da farne in progressione il club più organizzato e più invidiato d'Europa, la terza torre della città, la risposta nel nostro piccolo al rutilante mondo della Nba. Tanto che il palasport di piazza Azzarita era diventato per tutti il Madison, una festa di gusto, un capolavoro cromatico. L'orgoglio di opporre agli onnipresenti sponsor due ferree condizioni: nome e colori non si toccano, a nessun prezzo. E Bologna aveva così tirannicamente ridotto il basket italiano ai propri piedi, che il vate Bianchini lanciava al suo indirizzo oscure invettive e profezie di distruzione, neppure immaginando di prefigurare il futuro.

No, questa botta è sproporzionata persino ai colossali errori che una gestione sventurata, superficiale e arrogante, ha saputo concentrare in un così breve lasso di tempo. La Virtus cancellata per insolvenza, irrisa nei suoi goffi tentativi di mescolare le tre carte, è una ferita ben più grave di qualsiasi smacco agonistico. Sento dire e leggo: come se il calcio perdesse la Juventus. Tranquilli, non succederà, nel caso qualche angelo salvatore piomberebbe in extremis dal cielo a sciogliere i nodi con la spada fiammeggiante. E tuttavia il paragone teoricamente regge, anche la Virtus era una signora e vestiva il bianco e il nero. Debbo usare il passato, e non mi sembra vero. Sono dunque qui, buon ultimo o quasi, a versare il mio sacchetto di lacrime. Sulla scomparsa di un mito e poco importa se nel nutrito gruppo che mi ha preceduto si è pure infiltrato qualche coccodrillo. Capita nelle migliori famiglie, il basket poi è un mondo piccolo, raramente felice, tutt'altro che refrattario alle gelosi e alle invidie.

 

La nonna e gli altri

Così, in un personale e rapido flashback, rivedo la prima Virtus che ho amato, nell'avvolgente frastuono della sala Borsa che non era, come adesso, agghindata a salotto, piuttosto attrezzata a ruvida arena per forti emozioni. Era una Virtus che giocava quasi sempre in cinque, i rarissimi cambi erano figli dell'emergenza, mai di una scelta tecnica. Erano gli anni del dopoguerra, per quanto ne sapevamo noi basketball poteva essere pure una parolaccia. Pallacanestro e basta. Due giocatori di difesa, Bersani e Ferriani. Bersani era chiamato la nonna, aveva un braccio fuori registro, potevano passare due o tre partite senza che azzardasse un tiro, personali a parte. Esercitava grande carisma, su compagni, avversari e pubblico. Sganciava col suo braccio anomalo lanci poderosi sui quali guizzavano in contropiede le due ali, Ranuzzi e Negroni, che erano piccoli per davvero, non come adesso che un'ala piccola stazza sui due metri e sei. Ferriani era un impasto di classe pura, in chiaro anticipo sui tempi. Il pivot era Gigi Rapini che ruotava lento su sé stesso, chiudendo con l'uncino, il suo marchio di fabbrica. Gli avversari erano la Milano di Stefanini, Romanutti e del principe Rubini, il grande Cesare che alle Olimpiadi del 1948 a Londra giocò contemporaneamente in due sport di squadra, pallacanestro e pallanuoto, record credo tuttora ineguagliato. La Roma di Cerioni, Margheritini e De Carolis, un pivot imponente che chiamavano Sonny Boy perché talvolta, provato dall'intensa vita notturna, s'addormentava sotto canestro. I terribili tiratori di Trieste, ragazzini senza paura né riverenza. Quello fu il primo amore, che come noto non si scorda mai.

 

E vennero i derby

Poi vennero i derby e una ininterrotta serie di campioni. Vorrei qui ricordare Gianfranco Lombardi, che per uno scherzo maligno del destino è stato coinvolto, non so con quanta sua specifica colpa, in questo amarissimo tramonto bianconero. Lombardi, un livornese sfrontato, giocò da fuoriclasse in una Virtus minore che non vinse nulla. I maligni dicevano che la sua personalità e il suo talento soffocavano il collettivo. Balle, lo hanno detto pure per Baggio. Lombardi alle Olimpiadi di Roma '60 aveva appena passato i vent'anni e finì dritto nel quintetto ideale del torneo, con tre americani future stelle della Nba, West, Lucas e Robertson. Il quinto era Korac, non so se mi spiego. Lombardi resta uno dei più grandi giocatori virtussini di sempre, appena un gradino sotto all'immenso Creso Cosic, il vescovo che è stato al basket come Alfredo Di Stefano al calcio, il genio universale. E poi al nostro caro, irascibile Sasha Danilovic, bravo e cattivo al massimo, senza dimenticare Sugar Richardson o Renato Villalta, o l'ultima cometa, Manu Ginobili, che dopo essere sbocciato su questi cieli al primo giro in America ha vinto l'anello. E due tecnici come Dan Peterson ed Ettore Messina, così diversi e così ugualmente vincenti.

 

Come Atlantide?

Mica facile mettere una pietra sopra una storia così. Far finta di niente, settant'anni di leggenda scritti sull'acqua: sin qui abbiamo scherzato, la Virtus non c'è più ed è come se non ci fosse mai stata. Avvocato Porelli, che ne facciamo del libro sul mito della V nera, un piccolo ineguagliato capolavoro di editoria sportiva? Lo passiamo ai posteri come le storie di Atlantide sommersa dalle acque o forse solo frutto di fantasia? È giusto e sacrosanto che gli errori si paghino, non è giusto né tantomeno sacrosanto che gli errori e le nequizie di pochi ricadano sulle spalle di tutti. Il rispetto delle regole è uno slogan accattivante, che sottoscrivo. Peccato che venga applicato una volta sì e una no, come le targhe alterne e peggio per chi è pescato a circolare nel giorno sbagliato. Avete presente le fidejussioni - truffa del calcio? Allora che indultino, come invoca l'amico Cucci, per le Vu nere, là hanno promulgato l'amnistia generale. In questo allegro mondo di furbi, dove tutti sono uguali ma qualcuno è più uguale degli altri, muore la Virtus, fra ipocriti o universali compianti. Meglio, l'hanno uccisa, come l'Uomo ragno della canzone. Con la differenza che, in questo caso, chi sia stato lo si sa. Che venga chiamato a pagare, ecco, sarebbe già una piccola consolazione.

 

Adalberto Bortolotti (foto tratta da www.bolognanews.net)

 

ERARDO MANDRIOLI

 

Articolo comparso sulla Gazzetta dello Sport di 77 anni fa che celebra il primo scudetto della Virtus, ottenuto una quindicina di giorni prima, a Viareggio . La firma è prestigiosa: Erardo Mandrioli, corrispondente da Bologna della Gazzetta, nonché già decorato capitano dei bersaglieri distintosi sul Carso nel 1915.Mandrioli aveva fatto il Pier Crescenzi ad inizio '900, poi si era iscritto a veterinaria. Erardo fu il primo giornalista sportivo emiliano, collaboratore della rosea dal 1902 alla fine degli anni Cinquanta (suoi i primi scritti sul Bologna F.C. fin dalla nascita dell’ottobre 1909, fu anche uno dei pochi giornalisti presenti all’incontro Bologna-Internazionale nel maggio 1910 come raccontò nel libro “1909-1959 il mezzo secolo del Bologna”, suo anche un pezzo sull’inaugurazione del sacrario del cestista a Porretta nel luglio del 1956 e scrisse anche di ciclismo e atletica). L’articolo di Mandrioli inizia con un riepilogo delle intrigate vicende del campionato, con la prima fase disputata dai giocatori della Virtus ma sotto l’insegna della Fortitudo Sisma e il trionfale finale con i colori bianconeri; poi un interessante profilo dei giocatori, Giancarlo Marinelli, l’unico a non essere passato alla Fortitudo Sisma e ad aver aspettato di giocare con la V nera, Venzo Vannini, grande difensore ma anche realizzatore, il suo compagno di difesa Gianfranco Bersani, superlativo nel lanciare il contropiede con i suoi passaggi, Galeazzo Dondi, difensore e guida in campo, Gelsomino Girotti, classe e fantasia, il contropiedista Carlo Cherubini, la promessa già certezza Luigi Rapini, il cecchino Marino Calza e l’importante accompagnatore cambista Guido Foschi; infine il resoconto dei festeggiamenti.

 

I GIOCATORI DELLA BOLOGNESE "VIRTUS" CHE HANNO ATTINTO LA META DEL CAMPIONATO ITALIANO DI PALLACANESTRO

di Erardo Mandrioli - la Gazzetta dello Sport - 13/08/1946 (documento fornito dalla collezione Luca e Lamberto Bertozzi)

 

La ripresa della pallacanestro dopo la liberazione della  nostra città trovò i giocatori della Virtus in particolari difficili condizioni, che mettevano nelle più gravi incertezze gli stessi dirigenti del sodalizio. Requisita la bella palestra di Santa Lucia, che era divenuto il campo abituale di gioco dei virtussini, e svanita, nonostante tutti gli sforzi compiuti, la possibilità di riavere il magnifico locale coperto ancora a disposizione dello sport, sembrò, per un momento, che la Virtus si disinteressasse della pallacanestro e della squadra che pure aveva dato alla società non poche soddisfazioni. Dopo mesi e mesi di alternative, di speranze e di dubbi, la Virtus finì per lasciare in libertà i giocatori i quali sotto i colori della Fortitudo-Sisma disputarono il girone eliminatorio del campionato testé concluso. Unica eccezione: Marinelli, il quale preferì restare inattivo in attesa degli eventi. E questi maturarono, diciamo così, in moodo naturale ché ultimata la fase preliminare del campionato tutti i giocatori poterono tornare alla società di provenienza per ricostituire quel forte ed omogeneo complesso che doveva vincere il campionato 1945-46.

La vittoria di Viareggio è stata anche la vittoria della volontà di giocatori i quali hanno gareggiato e lottato tutti per uno ed uno per tutti, sorreggendosi a vicenda nei momenti critici, non scoraggiandosi davanti al forte vantaggio iniziale della Reyer e nemmeno allorché, in seguito a quattro falli personali, Vannini e Bersani, le due colonne difensive della squadra, dovettero lasciare il campo. Lo stesso pubblico viareggino, resosi conto delle condizioni di inferiorità  in cui erano venuti a trovarsi i bolognesi, rivolse ad essi le sue simpatie ed i suoi incoraggiamenti che prima erano stati riservati ai veneziani.

Gi artefici della vittoria nel campionato italiano sono tutti atleti ben noti agli appassionati: riteniamo tuttavia interessante darne le note caratteristiche.

Vannini Venzo, classe 1914. Difesa, capitano della squadra fin dalla sua origine. Combattivo e tenace come pochi altri atleti, è l’animatore della squadra ed è pure un ottimo realizzatore, qualità che manca a troppe difese italiane. Nel 1939 vestì per la prima volta la maglia azzurra che non ha più lasciato. Negli ultimi campionati europei è stato validissima colonna difensiva della magnifica e sfortunata pattuglia degli azzurri. Nelle finali di Viareggio si è comportato da par suo ed è detto tutto.

Bersanì Gianfranco, classe 1919. Forma con Vannini una delle più forti e affiatate coppie difensive che si siano avute in Italia. Tempista eccezionale nel deviare il tiro avversario, brilla per i suoi passaggi sconcertanti e per il mirabile modo di trattare la palla. Negli ultimi tempi è sempre stato sul punto di entrare nella squadra Nazionale, ma senza raggiungere la meta. Vi arriverà senz’altro nelle prossime competizioni internazionali.

Dondi dott. Galeazzo, classe 1915, allenatore della squadra e giocatore di difesa. Dal 1936 fino all’interruzione bellica fece parte della Nazionale, Olimpionico nel 1936. Campione mondiale Universitario nel 1939. Giocatore già brillantissimo nel doppio gioco di difesa e di attacco, interruppe l’attività sportiva dal 1940 per motivi militari. Ha ripreso gli allenamenti giusto in vista delle finali, nelle quali ha dato il suo valido contributo.

Marinelli Giancarlo, classe 1915. Centro, Nazionale dal 1935 a tutt’oggi. Olimpionico e campione mondiale Universitario. A Ginevra, nei recenti campionati europei, quale capitano degli “azzurri”, disputò magnifiche partite. Ancora non si vede in Italia un centro che possa superarlo. Atleta completo sia fisicamente che tecnicamente, è il centro motore della Virtus. Attraverso lle sue mani passano quasi tutte le azioni e ben spesso è lui a concluderle.

Girotti Gelsomino, classe 1914. Avanti. Anch’egli vestì la maglia azzurra nel 1939. Completa con i giocatori di cui sopra il quadro dei “vecchi”. Il suo gioco è pieno di finezze ed astuzie e ben noto è il suo caratteristico caracollare per il campo di gioco.

Cherubini Carlo, classe 1918. Avanti, È il primo anno che milita nelle file della Virtus, pur essendosi forgiato alla sua scuola, ed ha ampiamente guadagnato i galloni. Scattante e volitivo, è il classico giocatore da contropiede, ma si disimpegna egregiamente pure quando la squadra “tiene” la palla.

Rapini Luigi, classe 1924. Avanti. È una delle più vive speranze della pallacanestro bolognese e italiana. Dotato di un “allungo” impressionante è un continuo allarme per la difesa avversaria. Che insista nella preparazione atletica e sarà un campione. Nelle finali di Viareggio è stato fra i giocatori più ammirati.

Calza Marino, classe 1918. Avanti. Fa parte della squadra virtussina già da anni ed è sempre stato un utilissimo elemento soprattutto per la precisione del tiro che, quando è in forma, è davvero un castigo di Dio.

Foschi Guido, accompagnatore. La sua non folta chioma è un completamento ormai indispensabile alla squadra virtussina, e le affermazioni di questa portano anche il suo nome. La sua competenza, la sua calma e sagacia nell’operare i “cambi” meritano il premio dello scudetto.

Intanto l’altra sera, a seconda di quanto avemmo ad annunciare, ai giocatori della Virtus vincitori del campionato è stata offerta una cena d’onore alla quale hanno partecipato numerosi soci del sodalizio cittadino e simpatizzanti. Attorno a Vannini, Marinelli e compagni erano, naturalmente, i dirigenti della Virtus i quali hanno voluto dimostrare ai valorosi atleti tutta la stima e la riconoscenza della società per il grande successo conseguito coi colori della vecchia e gloriosa Virtus in cui questa festeggia i suoi 15 lustri di vita. L’on. Giuseppe Dozza, sindaco di Bologna, rendendosi interprete dei sentimenti della cittadinanza sportiva bolognese, ha fatto dono ad ogni singolo giocatore presente a Viareggio di una medaglia ricordo, in argento, dell’artistico conio del Comune. compiacendosi vivamente per la vittoria conseguita nel nome di Bologna.

Il segretario generale della Virtus dott. Negroni, ha portato agli atleti vittoriosi il saluto dei soci tutti dando anche lettura delle numerose lettere di felicitazioni e di augurio pervenute dalle consorelle italiane, prima fra tutte la valorosa Reyer di Venezia la quale aveva inviato una simpatica e cavalleresca lettera. Infine Baratti, presidente del Comitato emiliano della F.I.P., ha colto l’occasione della presenza del primo cittadino bolognese per spezzare una lancia a favore della restituzione della palestra di S. Lucia al gioco della pallacanestro.

 

Erardo Mandrioli dà il via al giro dell'Emilia nei primi anni '60

I GIGANTI DEL BASKET: PEPPINO CELLINI

di Dan Peterson - basketnet.it

 

Beh, forse il termine 'gigante' fa impressione quando si tratta del piccolissimo Peppino Cellini, per anni una voce giornalistica del basket a Bologna. Ovvio, non ha mai giocato a basket ma, come le persone intelligenti, l'ha studiato attentamente, abbastanza per sapere qualcosa. Era anche un grande ascoltatore, quindi imparava lezioni da giocatori, dirigenti, allenatori, giornalisti, addetti, tifosi e chissà chi altro che è passato al suo negozio di gioielli in Via Clavature 6 a Bologna, quasi sotto le Due Torri, posizione perfetta per un Bolognese ad hoc.
Mi ha aiutato durante i miei primi tempi a Bologna. Diverse volte sono andato a cena con lui e Silvano Stella de La Gazzetta dello Sport. Eranodei geni per trovare le piccolissime trattorie fuori città dove si mangiava da Dio e... si pagava poco! Da loro due, ho capito diverse cose non del basket, ma dell'Italia, di Bologna, della mentalità. No, loro due non hanno mai messo dito nel mio lavoro, mai chiesto un parere su qualcosa, mai offerto un'opinione su una mia scelta, mai criticato o elogiato qualcuno. Da loro due capivo la grandezza dei Beppe Lamberti, dei Gigi Porelli, dell'On. Giancarlo Tesini e altri. Università di vita.
Peppino era anche spiritosissimo. Durante il mio primo anno a Bologna, avevo letto che un allenatore di Serie A è stato affiancato da un altro allenatore. Non capivo la parola affiancato. Passo in negozio a Peppino: "Peppino, cosa vuol dire la parola affiancato?" Lui, "Caro Dan, affiancare vuol dire uccidere." Io, incredulo: "Davvero?" Lui, "No, Dan, tu sei troppo ingenuo. Vuol dire che l'allenatore in panchina è ormai morto, che la società non ha fiducia in lui, che hanno messo uno a suo fianco per fare il suo lavoro." Sono lezioni di Italiano e di vita che sono difficili da dimenticare.
Peppino voleva che il Basket City andasse bene, sia Virtus che Fortitudo. Ovvio, i Virtussini l'hanno accusato di simpatizzare per la Fortitudo e viceversa. Posso dire questo: non vero. Ma quando abbiamo vinto la Coppa Italia a Vicenza nel 1974, per andare nella Coppa delle Coppe, con viaggi in aereo all'estero l'anno dopo, proprio sul campo di Vicenza, gara appena finita, vedo un Peppino impazzito, facendo l'aeroplano, come Montella, urlando, "Cominciamo a volare!!!!!" Ancora, ho avuto bisogno di spiegazioni. Ettore Zuccheri, mio vice: "Coach, per le trasferte in coppa, si va in aereo!" Ah. OK.
Peppino ha poi litigato con tutti. Lui amava l'Avv. Porelli ma, prima del mio arrivo, avevo scritto un titolo a 9 colonne: "Avvocato, vattene!". Insomma, odio-amore fra loro due. E Porelli, con lo studio legale non 100 metri dal negozio di Peppino, passava quasi ogni giorno. Sul muro del negozio, c'era una piccola balalaika russa a 6 corde. Porelli, giocando sulla poca altezza di Peppino: "Peppa, per te, quella lì è un violoncello!!!". Risata da spaccare i muri. Ecco il mio ricordo di Peppino: Amicizia, Umorismo, Competenza, Passione, Imparzialità. Il vero Piccolo Grande Uomo del Basket Italiano.

Peppino Cellini assiste al riscaldamento della Candy

ADDIO PEPPINO DEI GIGANTI

Si è spento Cellini, una vita tra Sala Borsa e Piazza Azzarita. E quel negozio in via Clavature. Tifoso Virtus e giornalista per mezzo secolo di basket. Adorava Lombardi, litigava e faceva pace con Porelli

di Walter Fuochi - la Repubblica - 21/11/1997

 

Peppino non vedrà il derby. Né questo né altri, mai più. È morto la notte tra mercoledì e giovedì, sul suo letto in via Orfeo: l'ha trovato la vicina, che da tempo lo assisteva. I suoi 74 anni erano consunti di malattie: camminava a stento, non usciva quasi mai, da qualche anno non si vedeva più al palasport. Quello in piazza Azzarita, si capisce, ultimo anello di una vita di basket tra Santa Lucia e Sala Borsa: Casalecchio è già un'altra era.

Peppino, che di cognome faceva Cellini, ma nel giro del basket era un'aggiunta superflua, era "il" tifoso di basket: della Virtus, meglio. A Bologna, ma pure in tutt'Italia: non c'era diretta Rai che non l'omaggiasse di un'inquadratura, spesso di un parere, e lui intimamente ne godeva. Di pallacanestro aveva anche scritto, su riviste e quotidiani, farcendo i suoi pezzi di citazioni classiche: latino e musica sinfonica erano gli altri amori. S'era sdoppiato in tante vesti, insomma, però fondendole, in quel teatrino di festoso viavai che era il negozio di bigiotteria in via Clavature. Di mestiere vendeva infatti spille e cammei, ma se stava dibattendo di Villalta e di Fultz, la gentile cliente pazientemente aspettava.

Questa felice centralità, anche fisica, ha fatto attraversare a Peppino un mezzo secolo di quel fenomeno municipale profondo che è lo sport: due strade più in là, davanti al mitico Bar Otello, teneva banco il football, da lui passavano tutte le teste e i muscoli del basket cittadino. Era, appunto, "il" tifoso, un decano con tutte le stimmate del ruolo, ancor più tipicizzate dall'essere un tifoso della Virtus: cioè esteta e inappagato, polemico e snob, incontentabile e volubile. Peppino lo conoscevano tutti, forse anche per il paradosso della sua natura minima nel regno dei giganti. Lui non si negava l'humour, posando mille volte, in fotografia, accanto ai Calebotta e a i Binelli, alti il doppio più di lui.

L'officiava dunque, questo quasi-mestiere di tifoso, nel negozio in Clavature. Un ombelico di Bologna, nel ventre caldi dei portici. "Quando c'era il piacere di fare quattro passi in centro, come oggi non usa più, Peppino era il punto di riferimento di tutti noi", ricorda l'avvocato Gigi Porelli, nume virtussino, il cui arco di dirigenza  incrociò a lungo l'arco di presenza di Cellini. Incrociarsi fu, spesso, un eufemismo: si polemizzava, ci si accapigliava,a una frase più tagliente o bisbetica, veniva dietro una "squalifica", di periodi svariati, "ma sempre in amicizia, con stima, e con ironia. Gli ero affezionato, ha rappresentato una parte della mia vita".

"A dire il vero - riapre l'album dei ricordi l'avvocato -, quando presi ad occuparmi di basket, a metà degli anni Sessanta, Peppino era già dentro. Gli piaceva sentirsi importante, concederglielo era anche un piacere". Li aveva frequentati tutti, i palazzi dei canestri, svettando già nella mitica Sala Borsa. S'era fatto amico di molti giocatori: Pippo Rundo, di una Candy anni Sessanta, l'ha visto fino alle ultime ore. Massimamente prdiligeva Lombardi, insigne solista che un bel giorno la Virtus, cioè Porelli, cedette con gran polverone polemico (alla Fortitudo...) per ricostruire. Fu tra i primi ciceroni dell'Ufo Dan Peterson, che convertì alle sartorie, sghignazzando affettuosamente dei suoi capelli lunghi, delle ballate country alla chitarra, delle braghe a zampa d'elefante. Adorò Cosic e Richardson: come a dire il genio fatto gioco.

S'infiammò, da ultimo, per gli scudetti di Danilovic, poi, pian piano, lasciò il posto in tribuna stampa. Anche il negozio era stato ceduto: i disturbi, soprattutto di circolazione, ne avevano circoscritto la vita alla casa di via Orfeo, frequentata solo dagli amici più tenaci. Da ieri, chiusa per tutti.

1969/70: Battilani, Lombardi, Costa, Leombroni, Zuccheri, Porelli, Regno, Buzzavo, Cellini, Serafini, X, Rundo, Nanni, Masetti, Driscoll, X, X, Cosmelli, Paratore, X

MI PIACE RICORDARE IL PIÙ PICCOLO DEI GIORNALISTI DI PALLACANESTRO, UNO DEI PIÙ GRANDI DEL SETTORE. PEPPINO CELLINI 21 NOVEMBRE 1997

di Fabrizio Pungetti - 21/11/2020

 

Il mio primo maestro.

Un grande a dispetto di tutto.

Aveva creato, insieme a Silvano Stella della Gazzetta, la prima rivista cestistica Il Basket (mitici i suoi corsivi di fuoco che a volte firmava con lo pseudonimo Pier de Le Vigne), poi ha collaborato per anni con Aldo Giordani a Superbasket, poi l'Unità (chiamato dal responsabile sport di allora, quel gran signore dall'aplomb all'inglese che era Franco Vannini: Peppino, amico di tanti "compagni" ma rigorosamente fedele a Santa Romana Chiesa, come diceva), a inizio carriera qualcosa a Stadio, e tanta radio e TV, ai primi albori delle storiche e straordinarie fucine di chi voleva fare questo mestiere (vero Diego  Costa? E tanti altri) che erano le emittenti locali: che ancor oggi sarebbero una lezione di come si fa con un microfono davanti e si raccontano sport ed emozioni, in pratica la vita

Pungente e arguto, stile di scrittura sopraffino e d'alta classe, due lauree, parlava latino e greco antico anche nel quotidiano specie quando voleva mandare a quel paese qualcuno... Magari qualche petulante cliente che (nel suo negozio - eredità di mamma che ha fino all'ultimo voluto onorare - di bigiotteria d'alto pregio in via Clavature, in pieno centro a due passi dalla sua adorata piazza Maggiore), gli portava via troppo tempo e Peppo preferiva intrattenere in acerrime discussioni i suoi amici del basket e non solo (spaziando anche a cultura, politica, filosofia, religione): in realtà, non aveva problemi a farlo capire alle malcapitate signore (o a chiunque gliele facesse girare a prescindere dall'...altezza e dallo status) anche senza troppi giri di parole...

Quanti "fughini" - confesso - da scuola (le prime volte fine '76) per correre nella sua bottega ma Peppo capì presto e fioccavano le ramanzine e in certi giorni anche i divieti ad andarci di mattina.. .

Lì poi conobbi un altro suo e mio grande amico fraterno e compagno di viaggio e di basket, Maurizio Roveri di Stadio, altro giornalista memorabile di Basket City con cui poi condivisi decenni di professione in comune, nei rispettivi ruoli, e mille trasferte. Facevo "fuga" per andare da Peppo. ad ascoltarlo ma anche e soprattutto per imparare e confrontarmi con una grande persona.

Peppo mi dava modo di esporre i miei pensieri in dialoghi quasi quotidiani che mi rimarranno sempre nel cuore, occasioni anche per imparare a scrivere con buona tecnica del mestiere.

E che onore quando, poco dopo, mi consentì di fargli da correttore di bozze, e poi le volate in stazione per consegnare i fuori sacco da mandare a Milano per Superbasket.

Quante trasferte assieme su ogni campo (che fosse la sua V nera o la Effe o chiunque altro, non gli importava, la passione per il basket e l'amore per una vita che pur non gli aveva certo regalato nulla, venivamo prima), con immancabile tappa eno-gastronomica, e anche quante discussioni, lui virtussino storico e io giovane fortitudino, ma ad ampio respiro e su tutto.

E quante storie, che aneddoti, vissuti nella sua bottega dove potevi incontrare umanità varia, personaggi anche della politica, della cultura, dello spettacolo (ricordo Lucio Dalla e lo scrittore Stefano Benni tra gli altri), dell'imprenditoria ma normali, e ovviamente tanti tifosi di ogni sponda.

Scene incredibili, come quando arrivava Porelli e gli intimava il cartellino giallo prossimo all'espulsione per qualcosa che aveva scritto e l'Avvocato non aveva gradito: e non vi dico le...colorite risposte (non solo a parole, immaginate voi) del grande Peppo che non arretrava di fronte a nessuno...

In realtà era uno scontro di titani di grande personalità che si riconoscevano nella loro grandezza e personalità e in comune avevano la Vu nera e il basket.

Nel frattempo io cominciavo a fare le mie prime cose, e lui mi era affezionato sostenitore ma anche pronto a critiche e "cazziatoni" feroci, che capii ben presto essere lezioni per il mio bene e il suo modo di dimostrarmi il suo affetto e la sua stima, penso fosse anche orgoglioso di me: spero di averlo meritato e di non sbagliarmi.

Quanti episodi, quanti racconti, come le trasferte a Mosca dal generale Gomelski, avrebbe potuto scriverne un libro meraviglioso ma le forze venivano meno.

Quanta sofferenza gli ultimi tempi, ormai costretto nel suo letto nella sua splendida casa con torretta in via Orfeo, dove sfilava la processione di tutti i grandi del basket e non, di tutti quelli che lo avevano conosciuto.

Accompagnai li, al suo capezzale, il suo grande amico, uno dei miti del basket più legati a lui, il Professore Aza Nikolic, e Sergio Scariolo che allenava la Fortitudo, ma già' da molto prima era nato il loro legame.

Grazie Peppo, come lo chiamavo, grazie di tutto quello che mi hai insegnato e che mi hai dato, e che mi ha permesso di vivere i miei sogni e le mie passioni, basket e giornalismo, indimenticato Peppino, per sempre nel mio cuore insieme al tuo inseparabile, fedelissimo Tobia, un pastore tedesco cui mancava solo la parola e lo amava davvero come un figlio fa col papà e io...mi sentivo un po' il fratellino.

E grazie a Maurizio Gatti in ...arte Leroy Jethro Gibbs

per questo pensiero e ricordo che meritava e che non sempre gli è stato tributato com'era giusto, un po' perché la memoria oggi sempre più non viene considerata un valore, un po perché di fronte a un gigante i veri nani si nascondono e scompaiono.

Ci ha lasciato il 21 novembre del '97 (poco prima del derby del tiro da 4: chissà quanto mi hai pensato da lassù e te la sei risa) come ha ricordato Maurizio Gatti, dopo una vita piena a dispetto di tutto e contro tutto, arrivando anche a vincere pure la sfida con la vita, che a persone nella sua situazione, molto spesso consente percorsi molto più brevi e un fine corsa troppo presto.

Davvero un bel modo per vivere l'ennesima vigilia di grande attesa di un derby ricordando uno dei più grandi cantori di Basket City, delle sue vicende e dei suoi personaggi. Immagine di come il basket a Bologna, sia vita ,partecipazione, umana, condivisione, esperienze comuni, al di là delle fedi e delle passioni.

Un modo di viverlo che, in un mondo troppo cambiato e non sempre in meglio, e mai come oggi lo vediamo, negli ultimi tempi anche qui ha subito mutamenti non sempre in linea con questo dna. Che invece deve continuare a essere il seme fondante di Basket City (e di tutti gli sportivi, mica solo qui, la passione unisce) e deve restare quello più vero e da salvaguardare anche per le prossime generazioni

Ovunque tu sia, grazie ancora Peppino, chi ti ha conosciuto non ti ha dimenticato e siamo tanti come starai vedendo dal Palasport del basket del Paradiso.

E buon derby a tutti, anche a te, caro, indimenticabile Peppino che lo vedrai da lassù insieme ai tanti, troppi, che ci hanno già lasciato.

Come vorrei poi discuterne appassionatamente, e anche focosamente ancora con te: come quella volta del canestro di Villalta e dei 3 secondi che durarono un po' di più, quel tanto che bastava... E io, ancora ragazzo, dalla curva arrivai furioso da te che eri seduto nel tuo posto della tribuna stampa di piazza Azzarita di fianco a Roverone, urlando esagitato come un forsennato e un po'...in lacrime : "E' stato un furto. - altra confessione: urlai proprio così - se non lo scrivete domani sui giornali, siete tutti dei venduti!". E nei giorni successivi in bottega da te, e tu mi calmasti con una grande lezione umana e di valori sportivi, come fa un maestro con il suo allievo ancora pregno di spiriti giovanili, o come un papà con il figlio.

Come vorrei poter vivere ancora, anche oggi, quei momenti, quelle discussioni, ancora con te, come accadeva in un passato che resterà sempre con noi.

Ecco sono stato ancora una volta prolisso, come mi rimproveravi...e già sento come fossi qui il tuo caro, affettuoso, esemplare brontolio.

PEPPINO, UN GENIO INDISCUSSO

di Diego Costa - 21/11/2020

 

Peppino era un genio indiscusso. E questo non è un teorema (lo fosse sarebbe facile dimostrarlo: uno come lui che scelse il mondo dei giganti è prova inconfutabile). Peppino era un maestro. Prima di tutto di ospitalità, nel suo negozio di via Clavature, dove lui sceglieva chi trattenere e chi invitare ad andarsene, talvolta con modi non maleducati ma... sbrigativi. Peppino è stato il mio primo direttore al "Notiziario dello Sport". Peppino aveva il dono della conoscenza del gioco e del gioco della vita: qualcosa che, poi, con l'esperienza, valorizza la critica. Peppino era un meraviglioso Anfitrione per i giovani e talentuosi arrivi sotto le due torri. Penso a un Walter Magnifico piegato in quattro, per non essere visto, dietro al bancone, il negozio dominato dal suo padrone e dallo splendido pastore tedesco, molto più intelligente di tanti cristiani. Peppino era arguto, divertente, mille e mille aneddoti... Come quando chiamò Porelli, con l'indignazione di chi non comprendeva perché mai chiamare il giardiniere di Buckingham Palace per sistemare il prato del nuovo centro della Virtus anziché investire nel gioco più bello del mondo. "Ha sistemato il suo prato all'inglese? Non vedo l'ora di portare il mio cane a pisciarci sopra!" Peppino che era la faccia della Bologna ironica e intelligente, ospitale e intellettual-leggera. Il sindaco di Basket city! Garantì una sera la presenza sua e di Kreso Cosic a Bar Campione Rossoblu, con me e Zara. Memorabile la telefonata per ottenere la conferma da Kreso, con quest'ultimo che al telefono si spacciava per il fratello di sé stesso...

Peppino insomma che pareva imperfetto ma non lo era affatto, perché Madre Natura si era impegnata a dargli tutto quello che mancava altrove in termini di materia grigia. Peppino ci manca, ma certamente non manca a lui quel che resta del basket, rovinato dai suoi stessi genitori americani, e soprattutto quel che resta della Boston d'Italia, la città del canestro. Peppino è lì, in poltronissima su una nuvola a citofonare a Kreso, salutare Gigi, scherzare col Barone, conversare con l'amico prof Aza, e accogliere nella sua nuvola agghindata e luccicante i draghi volati via troppo presto come Drazen e Kobe...


 

CALEBOTTA ALLA VIRTUS

di Giulio Cesare Turrini - Stadio - 05/08/1953

 

La nuova Virtus, che vuole tornare a sostenere nel prossimo campionato una parte di primo piano, ha aggiunto un altro "pezzo" nuovo alla sua inquadratura o, perlomeno, è sul punto di aggiungerlo. Dicemmo nei giorni scorsi delle trattative concluse con Achille Canna, la fortissima difesa dell'Itala Gradisca. In questi giorni dovrebbe essere perfezionato il tesseramento di un altro nazionale, del "pivot" del Cus Milano, Antonio Calebotta.

Calebotta avrebbe dovuto trasferirsi quanto prima in Brasile con la sua famiglia. Ma non avendo egli ancora svolto il servizio militare gli è stato rifiutato dalle autorità il permesso per l'espatrio e dunque dovrà trattenersi per almeno un altro anno in Italia. A conoscenza di questo particolare, i dirigenti della Virtus-Minganti si sono rivolti al giocatore domandandogli se, in vista di un suo trasferimento a Bologna per ragioni di studio, egli avrebbe gradito far parte della nuova Virtus. Calebotta avrebbe risposto subito affermativamente. Ad ogni modo il passaggio di società potrà dirsi concluso soltanto quando Calebotta avrà firmato il cartellino: in proposito i dirigenti della società bolognese dovranno convocarlo a Bologna fra qualche giorno.

Si tratta di uno dei giocatori più interessanti dell'ultima leva. Pur giocando in Serie B (nelle file del Cus Milano, come si è detto), Calebotta si è segnalato immediatamente, giungendo diciannovenne agli onori della nazionale. Dotato di spiccate qualità di realizzatore, Calebotta è giocatore  che si nota di primo acchito, non fosse altro per la sua statura eccezionale che lo pone a fianco dei più famosi "giganti" della pallacanestro americana, come Bob Kurland, Louvelette e così via  Calebotta misura infatti metri 2,04. Ha vent'anni.

Debuttò in nazionale nel dicembre dell'anno scorso a Madrid, nell'incontro vinto dagli azzurri sugli spagnoli. Giocò in un altro confronto vittorioso della nostra rappresentativa il 29 marzo di quest'anno a Trieste contro i francesi. Fece infine parte della nazionale che poco tempo fa disputò con un discreto bilancio complessivo, i campionati europei a Mosca.

...

 




 

E PAR LA MI BELA BALA...

Era il grido di battaglia dei cestisti:

di Giulio Cesare Turrini - Il Mito della V Nera - 1971

 

ll Palazzo dello Sport ha avuto una mamma che si chiamava Sala Borsa ed abitava proprio in centro, e una nonna che si chiamava Santa Lucia e stava un po’ più in là, in via Castiglione. Una, tutta presa dagli affari. L’altra, per molto tempo dedita a pratiche religiose e solo dagli anni costretta a strizzar I’occhio allo sport e agli atleti. Santa Lucia, sapore di cose vecchie, di cose buone. Cose di prima della guerra, come si dice: di prima di due guerre. Una chiesa riservata al culto per due secoli e dissacrata in occasione della terza guerra d’indipendenza, nel 1866. Sei anni prima, con I’avvento dell’Italia a Bologna, le scuole di Santa Lucia dei Barnabiti erano state erette a Ginnasio Municipale; ed ora il Municipio veniva ad occupare la Chiesa di Santa Lucia per adibirla a deposito succursale del Corpo di Amministrazione del Regio Esercito. Nel ‘73, con un rogito del notaio Giuseppe Verardini l’Amministrazione Comunale che divenne proprietaria ai sensi dell’articolo 20 della Legge 7 luglio 1866 sulla soppressione delle corporazioni religiose. Così, la grande navata che per due secoli aveva riecheggiato la parola dei più grandi predicatori della Chiesa del Gesù, primo fra tutti Giorgio Giustiniani, risuonò delle voci dei soldati di Vittorio Emanuele ll e, dal maggio 1873, delle grida dei ginnasti della VIRTVS, preparati da Emilio Baumann: il Municipio aveva trasformato la vecchia Chiesa in palestra. Ormai era dedicata allo sport, la Chiesa che Girolamo Rainaldi, « architetto del popolo e del Papa », aveva edificato nel diciassettesimo secolo improntandola al grandioso stile barocco romano dell’epoca: la prima pietra era stata posta il 2 aprile 1623 e il 25 maggio 1659 la bellissima Chiesa era stata aperta al culto. Così, è in Santa Lucia che nasce - nella scia delle altre pratiche sportive - la pallacanestro bolognese. Due balconate sui lati lunghi, come interminabili pulpiti; e solo alcuni anni dopo una gradinata di legno alle spalle di uno dei canestri. Nelle nicchie degli altari laterali, gli spogliatoi di fortuna. Un pavimento irreprensibile. Un vago sapore claustrale. I giocatori con la canottiera bianca e la grande « V » nera, i calzoncini pure bianchi. Giancarlo Marinelli che li sopravanza nella statura e nella baldanza atletica, una controfigura di Piola. Il mento pronunciato di Venzo Vannini, il naso di Mino Girotti; Paganelli e Dondi dell’Orologio. Un quintetto di ferro, solo a vederlo. Prima di cominciare, si raggruppavano al centro del campo, a cerchio, si chinavano, e lanciavano il grido di guerra con intenzioni propiziatorie:

« E par la mi bela bala

un occ’ am bala

un occ’ am bala

am bala un occ’

un occ’, un occ’, un occ’... ».

ll Borletti di Milano col suo magico quintetto (Castelli, Brusoni, Paganella, Conti, Marinoni) che collezionava scudetti). La Ginnastica Triestina di Caracoi, Bessi, Bocciai; una sua favolosa esibizione alla Santa Lucia, una specie di primizia, un gioco secco, fiondato, passaggi tesi e violenti. La Reyer di Venezia, un’altra partita che fece epoca, Garbosi svenuto per la stanchezza e deposto ai piedi di un altare. Marinelli e Vannini figure indimenticabili; e con loro Dondi, Paganelli, Girotti e Valvola, Rossetti, e poi Gianfranco Bersani, fino a Rapini, subito prima di passare alla Sala Borsa. Giocavano per nulla, ovvio. ll loro presidente era Alberto Buriani, grande patriarca di tutta la VIRTVS, forse I’uomo di sport più schietto che Bologna abbia espresso. « Un giorno - ricorda Girotti - Buriani ci dice: ragazzi, siamo sempre terzi o secondi, e intanto lo scudetto lo vincono quelli di Milano. Se vincete il campionato, giuro che vi organizzo un bel pranzo. E sotto il piatto forse ci metto qualcosa ». Bè, non siamo mai riusciti a vincere il campionato. Ci siamo riusciti nel ‘46 e Buriani era morto da pochi mesi. Ecco, quello che abbiamo guadagnato ». La palestra coagulava la passione sportiva del rione. Non è soltanto che i giocatori di quella VIRTVS (e di quella subito successiva di Sala Borsa, per quattro volte consecutive campione d’Italia) fossero tutti di Bologna; erano addirittura tutti del quartiere di via Castiglione, di via del Cestello, di via Cartolerie. Nel giro di poche centinaia di metri erano nati e cresciuti. ll caso del povero Gianfranco Bersani è sintomatico. I suoi avevano una bottega nella piazza della Chiesa, gli studenti del « Galvani » e dell’« Aldini » passavano di lì prima di entrare, per prendere la liquerizia e il « sugobachetto », delizie delle generazioni precedenti a quella del juke-box. Così, Bersani (che era nato con una malformazione a un braccio; e sport, fin lì, non ne aveva fatto davvero) era entrato nella Santa Lucia a vedere quelli che si allenavano. Una sera aveva chiesto: « mi prendete con voi », Si era messo in mezzo, aveva imparato, era divenuto virtussino e poi campione d’Italia e nazionale. Poi la guerra, come una lunga ustione. Santa Lucia è un magazzino militare e deposito della Croce Rossa. Per alimentare le cucine e scaldarsi, vengono bruciati i documenti dell’archivio storico della VIRTVS. La guerra finisce e la VIRTVS non ottiene la restituzione, cambia casa, va in Sala Borsa. La pallacanestro, per suo conto, cambia nome: si chiama basket. Una pallacanestro che parla straniero e fa un po’ la schizzinosa. Nasce il « pivot ». A Santa Lucia avevamo creduto che Marinelli fosse semplicemente un centrattacco. Nuove regole, nuovi termini. Le ginocchiere. Le divise più eleganti. Nasce anche una rivalità cittadina, col Gira il cui esordio nel grande basket è fragoroso, gli americani Germain e Mascioni contrassegnano un’epoca in cui non è ancora necessario essere soprattutto alti: Muci nel Gira, Ranuzzi nella VIRTVS lo provano. ll gioco mantiene una percentuale di improvvisazione, di contropiede, di estro. ll ricordo della Sala Borsa è più vicino e stressante. Le tribune al piano terra, quelli della prima fila di sedie con i piedi sulla linea laterale; e soprattutto le due balconate, con la gente che picchia contro le balaustre e urla, un frastuono pazzesco nel quale perdono la testa (e la partita) quelli del Borolimpia, che poi diventerà Simmenthal (Stefanini, Romanutti, eccetera), quelli della Ginnastica Roma (Tracuzzi che gioca col manuale e spiega il basket americano, l’altro Cerioni, Primo), quelli della Reyer, insomma tutti. « Certe volte credevo di diventare matto - dice Ranuzzi - e mi capitava di non essere tanto sicuro che dovevo mirare a quel canestro, anziché all’altro. Una volta mancavano due minuti alla fine, vincevamo di venti punti, ma non mi fermavo, sembravo impazzito, viene Vannini e mi fa: calmati, abbiamo già vinto ». Se la Santa Lucia era stata I’approdo dei padri pellegrini della pallacanestro, fu il basket di Sala Borsa a contagiare senza rimedio i bolognesi. Due epoche, due momenti diversi. Certo, per chi va verso il mezzo secolo, il pathos della Santa Lucia non è dimenticabile. Non c’era il floting, il playmaker, il forcing, non c'erano gli «assist». Non c’era il tabellone elettronico. Di arbitri ne bastava uno, si poteva tirare anche un solo «personale», si poteva dimenticare la lezione teorica (che non c’era stata). Non si sapeva cosa fossero « i lunghi », ma solo che Marinelli era più alto degli altri. C’era spazio per tutte le espressioni dell’animo, fino al leggero sadismo della « melina ». Era un basket in crescenza, sincero, sentito, naturale. E dopo venne I’altro basket, quello che vedete.


 

NON SOLO IL JAZZ HA IL SUO "DUCA NERO"

Chi sono gli atleti della Sinudyne che vincendo lo scudetto del basket hanno portato a Bologna un paniere di gioia

di Giulio Cesare Turrini - Il Resto del Carlino - 13/04/1980

 

I grattacieli di Piazza Azzarita forano le nuvole e svettano ancora nel cielo del basket. In mezzo, una sagoma più bassa e squadrata, sicuramente non tozza, che viene chiamata Caglieris, anzi Charlie. È una specie di centro direzionale che lancia segnali. Lassù, gli altri ricevono ed eseguono, sono così lontani e paiono capocchie di spillo. Il vescovo mormone e il duca nero; il Generali fatto in casa e quel Villalta che nel nome reca una specie di predestinazione. Gianni Bertolotti, cuor di capitano, l'estemporaneo Martini, Valenti biondo di zazzera e di barba, lo smilzo Cantamessi, gli altri che aspettano un cenno da Driscoll, masticando intanto l'amara radice della pazienza.

Sopra questi grattacieli sta - in senso gerarchico se non verticale - il "coach", che è l'americano Terry Driscoll, bostoniano di nascita e di temperamento. La Virtus lo ricercò con caparbietà nel 1975, dopo averne fatto la conoscenza nel 1970, quando Terry era molto giovane, quasi esangue nel suo pallore, con il basket in testa come fece vedere in una memorabile partita milanese e il altre occasioni: il primo Driscoll trovò il suo avversario più spietato in un'alimentazione difficile. Quella sua, di Boston, era lontana in ogni senso. C'è un ristorante laggiù, che pare si chiami dei "quattro moli" o del "quarto molo", dove si trovano aragoste come non avete mai conosciuto, fortunato chi le ha provate. Mi è capitato di conoscerle per merito del personaggio che sta gerarchicamente più su e che è l'avvocato Porelli, factotum, deus-ex-machina, tutte le parole latine che volete. Dai suoi viaggi nel Massachusetts, Porelli cerca di tornare sempre in compagnia di un quintetto di aragoste, che muovono anch'esse i tentacoli come i suoi giocatori, ma in modo più lento e disperato, con un approdo che non è lo scudetto ma l'acqua bollente.

Bella compagnia, questa elettronica Sinudyne targata Virtus. Rovesciando il cannocchiale, chi ha buona vista ne riconosce gli antenati. Il duca nero di una volta poteva essere Venzo Vannini, scuretto di pelle, con mascella aerodinamica, grinta quanta ne serviva. Il vescovo mormone poteva essere Giancarlo Marinelli, natura di leader, il punto di osservazione più alto degli altri. Anche Renzo Ranuzzi aveva il gioco ispirato e spiritato di Caglieris; e poi fermiamoci qui. Era una pallacanestro che si giocava all'aperto, dove si tirava anche un solo personale, di arbitri ce n'era uno, il più conosciuto fra tutti era Vittorio Ugolini, che è ancora là a sgrugnarsi le cose del football, nella segreteria del Bologna FC, e SpA, che vuol dire: speriamo pure ancora.

Da giovane Caglieris ha giocato al calcio, e si vede. Era difensore nelle squadre della Juventus e aveva due compagni di squadra di nome Bettega e Viola. Insegna educazione fisica e (caso forse unico fra tutti quelli arrivati da queste parti) sospira il ritorno a Torino, per un problema di sistemazione professionale. Quel Charlie, che con un pizzico di irriverenza può ricordare Chaplin, sottintende proprio un po' di genio e al tempo stesso di umorismo. Se ne viene in palleggio e con le dita di una mano segnala il numero della formula di gioco. Prima di tornare a Torino deve impegnarsi a dire la verità: ossia che certe volte quel numero non indicava nulla.

Jim McMillian ha avuto meno problemi del giovane Driscoll nel 1969: è entrato subito in sintonia con la cucina di Bologna e con i tortellini. Essendo stato professionista laggiù, vive in un gioco di altra dimensione. Una delle cose più belle, la più bella, è la sua semplicità. Certe volte, la semplicità può essere anche stile: come nella finale di Cantù quando gli lanciarono quel pallone da portare a canestro e lui lo mise dentro con un semplice appoggio al tabellone. Qualunque sbarbatello sarebbe ricorso alla spettacolare schiacciata; non uno che hanno chiamato il duca nero, ricordando Ellington.

Certe volte ha giocato zoppo, ma è riuscito a fare cose belle. Quando alcuni critici ingenerosi dicono che - però - la Sinudyne è clamorosamente mancata in Coppa dei Campioni dimenticano che in quel periodo piuttosto lungo McMillian aveva una caviglia a doppio diametro, Caglieris una fascia muscolare (e spesso era fuori) e Cosic un pervicace mal di schiena, senza contare la crisi di Bertolotti. Poiché questi sono i giocatori più anziani, ed è problematico avere gli anziani al massimo rendimento per tutta la stagione, bisogna dare atto a Driscoll di averli presentati in ordine perfetto alla resa dei conti dei "playoff'". Formula affascinante e crudele, così è detto. La Virtus l'ha interpretata come l'anno scorso, con un poco di spirito. Tre partite nei primi turni e poi la finale. Il presidente della Gabetti che propone un terzo match a Roma, e invece due partite sufficienti per risolvere la questione, come nel '79.

Creso Cosic è jugoslavo, ha scelto la fede dei mormoni nel suo lungo soggiorno americano, parla la nostra lingua con proprietà fino alle frasi idiomatiche; recita un ruolo che - dicono i tecnici - è forse inedito, in un gioco tattico come questo. Pure lui, due anni in Italia e due scudetti. Essendo stato anche campione del mondo, la cosa non lo ha impressionato oltre il logico. Il suo modo di "congelare" la palla è quello di tenerla nel palmo della mano, il braccio alzato verticalmente, lassù non ci arriva nessuno

Mai visto un "due metri e otto" scattante come Pietro Generali, che dopo molti anni rappresenta un campione nato in casa ed affinato a Mestre. Le sue apparizioni sotto canestro sono brucianti come lo erano quelle sotto rete di Pascutti. Renato Villalta è uno straordinario "cecchino", il nome che si dà ai tiratori implacabili. Di lui ci parlò con la saggezza di chi la sa lunga il povero Giulio Battilani, quando Villalta era soltanto un giovane spilungone veneto. A Gianni Bertolotti, che è il decano della squadra, tutti vogliamo bene. Piero Valenti ha (come il collega Caglieris) un precedente nel calcio, in forma indiretta: suo papà fu terzino della Triestina e dell'Udinese.

A tutta questa gente, i bolognesi sono attaccati in virtù di una predilezione che ha radici misteriose, forse nata in Sala Borsa che era nel cuore della città e convogliò il grosso pubblico attorno al gioco nascente, forse derivata dalle graduali delusioni del calcio. Un pubblico che brucia gli abbonamenti in poche ore e garantisce il tutto esaurito per l'intera stagione; un pubblico tenuto caldo dai successi e che nel prossimo autunno tornerà sulle gradinate del Palazzo ad esaltarsi, convinto di farcela ancora perché nel basket c'è il veto ai "tre secondi", ma non ai tre primi.

 

Nota di Virtuspedia: Giulio Cesare Turrini, illuminato cantore delle gesta del Bologna Calcio, non ha mai nascosto il suo amore per la Virtus, nato in età giovanile, ma mai tramontato, anche quando le vicende professionali lo portarono a non poter seguire assiduamente le V nere.

 

Roberto Tranquillo Fabbri era membro del Consiglio della SEF Virtus nel 1957.

 

L'ASSEMBLEA DEI SOCI DELLA VIRTUS BOLOGNA

Stadio 29/03/1957

 

La Virtus Bologna ha tenuto l'altra sera, nella sua sede di Piazza Malpighi, l'annuale assemblea  dei soci. Un'assemblea importante poiché ha dato riprova della grande forza morale insita  nell'anziano sodalizio bolognese. La vecchia Virtus proseguirà con rinnovata lena sulla strada di sempre, ovvero su quella strada che conduce al trionfo del vero sport educativamente inteso.

Le difficoltà recenti (soprattutto di carattere finanziario) sono state superate e poiché è nei momenti di crisi che la vera forza di una società si palesa, la Virtus ha ancora una volta dimostrato di possedere una vitalità che esula dai puri schemi di un bilancio. Questo è stato il succo della relazione fatta da Giorgio Neri, l'appassionato animatore della vita sociale di questi ultimi anni. Neri ha poi voluto ricordare l'opera del comm. Aurelio Brini, nonché la sportività dimostrata dal comm. Dall'Ara circa l'uso del Campo Ravone. "Mi auguro che il comm. Dall'Ara possa campare molto - ha detto Neri - poiché sarà per noi virtussini una fortuna".

Per le singole sezioni relazionavano poi Fontana per la ginnastica, Zamboni per l'atletica leggera, Zoni per la pallacanestro, il col. Daidone per la scherma, Sarri per lo scie e Neri ancora per il tennis. Dal quadro complessivo emergeva una mole invero notevole di attività e di fulgide affermazioni.

Un lungo applauso riconfermava quindi nella carica presidenziale il comm. Brini, il quale ringraziava con evidente commozione ed a sua volta proponeva la nomina del comm. Mario Negroni e dell'ing. Gustavo Baracchi rispettivamente alla presidenza e alla vice presidenza onoraria della società. Altro applauso di caloroso consenso. Seguivano numerosi interventi di soci inerenti ai vari problemi sociali, finché al termine dei lavori si aveva il responso delle elezioni del nuovo consiglio direttivo che risultava così formato: Neri Giorgio, Fischer Carlo, Dal Fiume Giorgio, Baratti Achille, Dall'Ara Renato, Marinelli Giancarlo, Fabbri Roberto Tranquillo, Fontana Astorre, Simoni Giovanni, Zamboni Orazio e Aggio Foscolo.

Nella fase iniziale dell'assemblea gli atleti Gritti, Valentini, Benfenati, Gianfranceschi, Veronesi e De Paulis, passati dalla Giovane Virtus alla società madre, avevano ricevuto la maglia sociale dalle mani di vecchi e nuovi campioni virtussini. Una medaglia d'oro era stata inoltre consegnata all'istruttore Ferretti e agli atleti Zamboni e De Murtas.

 


 

 

LA VIRTUS PREMIA ROBERTO TRANQUILLO FABBRI

Stadio - 04/10/1977

 

La Virtus, organizzatrice del Trofeo Battilani, ha premiato il giornalista Roberto Tranquillo Fabbri per gli oltre vent'anni di benemerita attività professionale dedicata prevalentemente alla pallacanestro. La medaglia d'oro è stata consegnata a Fabbri dal presidente della lega, on. Giancarlo Tesini

Roberto Tranquillo Fabbri, a sinistra, premiato dall'on. Tesini

LEMMI GIGLI

di Ezio Liporesi per Virtuspedia
 

Ha raccolto un'infinità di dati sul Bologna Calcio, sulla S.E.F. Virtus e quindi anche sulla Virtus Pallacanestro. Autore dei libri Il Mito della V nera (con Achille Baratti) e 100mila canestri, lo sport bolognese gli deve tantissimo e anche per noi di Virtuspedia è tuttora un punto di riferimento: Renato Lemmi Gigli.

 

Renato Lemmi Gigli tra Roberto Brunamonti e Venzo Vannini (foto fornita da Franco Vannini)

       

I libri di Lemmi Gigli

ADDIO A GIANNI CRISTOFORI, GIGANTE DI BOLOGNA E BASKETCITY

di Mauro Bassini - Il Resto del Carlino -  27/12/2013

 

E’ morto ieri a 62 anni Gianni Cristofori, storica firma del Carlino e per lungo tempo coordinatore delle pagine sportive bolognesi.

Sembrava invincibile. Dava tranquillità vederlo al suo posto, qui al giornale, con i suoi 190 centimetri che dalla sedia si spalmavano sotto il tavolo del computer, un occhio alla tv e uno alle agenzie, e quella perenne aria da gattone, pigro ma sempre pronto alla battuta secca e dissacrante. Sul suo tavolo, in bell’ordine, i menabò delle pagine di ‘Bologna sport’ che Gianni disegnava con la mano sinistra, in tutti i sensi: era rapidissimo, sicuro e mancino. Era un amico. Gli volevamo bene in tanti e da giovani lo invidiavamo un po’, per molte cose. Quello sciame di ragazze che spesso lo attorniava fin dai tempi del liceo Fermi. L’eleganza naturale sul campo di basket, quando infilava da sei metri quel tiro morbido che pareva così facile. E la capacità di raccontare sul nostro giornale il grande basket, quando il basket era grande, con intuizioni fulminanti che, senza una parola di troppo, davano il senso di una partita, di una sfida, di uno sport. Mai un refuso, mai un luogo comune, mai un ritardo nei tempi stretti di un lavoro che spesso finiva a notte. Un carattere freddissimo, all’apparenza. In realtà appassionato, sensibile e generoso. Di passioni ne aveva tante, anche al di fuori del lavoro e dello sport: i fumetti da collezione, i mercati antiquari, i viaggi, i funghi e le passeggiate in montagna, i suoi affezionatissimi gatti, il tarocchino bolognese. Eppure gli piaceva fare il cinico. Il lavoro? Serve solo a portare a casa lo stipendio, ripeteva. Ma quando spuntavano argomenti che toccavano certe sue corde, arrivavano a razzo splendidi articoli di cronaca o di cultura.

Era fatto così, non rinunciava a quel suo modo di difendersi da tutto e da tutti, quasi che ammettere passioni e sentimenti lo facesse sentire più vulnerabile. Stesse scene quando Gianni parlava di sè. Diceva di essere un commerciante, uno speculatore, non un collezionista. Ma per anni lavorò in perdita per far uscire una rivista di fumetti e collezioni tutta sua. Si chiamava Mancolista, aveva abbonati perfino in Sardegna e oggi è una ricercata rarità. Bisognava chiamare Gianni per sapere con certezza se i Tex, i Topolino o i Gordon trovati in cantina erano prime edizioni da migliaia di euro o modeste ristampe d’epoca. Lo cercavano da tutta Italia, e lui rispondeva a tutti: mail, lettere, telefonate. Con poche parole, ovviamente, com’era nel suo stile così lontano dalla chiacchiera di circostanza, dai convenevoli e dalle frasi fatte, dagli ammiccamenti e dalle vanterie di tanti giornalisti.

Era un figlio d’arte dal talento cristallino e precoce. Il padre Franco, capocronista nel Carlino di Spadolini e scrittore prolifico, ha lasciato saggi importanti sulla cultura bolognese e sul romanzo popolare internazionale. A Gianni, e a quanti lavorarono con lui, lasciò una lezione laica d’altri tempi: il culto del rigore, del rispetto, della severità verso se stessi, dell’onestà e dell’impegno. Naturalmente Gianni non avrebbe mai ammesso nulla di tutto questo.

Cominciò da ragazzino a scrivere di sport sul Carlino e non smise fino a quattro anni fa, quando il pensionamento gli tolse una fatica quotidiana che, nelle sue condizioni, era diventata insostenibile. Non bastava nemmeno, ormai, il costante e affettuoso sostegno dei colleghi di ufficio. Sapeva scrivere di basket come pochi altri. Raccontò con intelligenza e competenza i migliori anni della Virtus e della Fortitudo da scudetto, senza trionfalismi, senza le stupide faziosità così contagiose all’epoca. Non era facile capire, da quei pezzi, che il suo cuore batteva da sempre per le Vu nere. Amico di tanti e complice di nessuno.

Il male che nel 2000, come un velenoso fiume carsico, devastò il cuore e la vita di Gianni, ce lo ha portato via a poco a poco, senza impedirgli di essere ironico e autoironico fino all’ultimo. Aveva 62 anni.

Non sono bastati quell’asciutto fisico da atleta, l’impegno davvero ammirevole di tanti medici di Villalba e del Sant’Orsola, né la vicinanza della sorella Silvia e di Giovanna, la compagna di una vita, una moglie affettuosa e discreta che non si è mai data per vinta in quella estenuante e atroce battaglia. E’ stata una lotta lunga e dolorosa, che negli ultimi mesi tanti colleghi e amici seguivano con sgomento. Lo avremo per molto tempo quel groppo alla gola.

 

Gianni Cristofori consegna a Sasha Danilovic una pagina del Carlino (foto tratta da bolognabasket.it)

FOLLA COMMOSSA PER L'ADDIO A CRISTOFORI

In Certosa ieri l'ultimo saluto

di Alessandro Gallo - Il Resto del Carlino - 29/12/2013

 

Tanti amici, tanta gente e tanti sportivi, ieri, nella chiesa di San Girolamo, alla Certosa, per l'ultimo saluto a Gianni Cristofori. Un tributo a chi, per lungo tempo, ha interpretato il ruolo di marito, fratello, amico e giornalista nel migliore dei modi. Un pezzetto di BasketCity, che Cristofori ha raccontato in tutte le sue sfaccettature con uno stile inconfondibile, gli ha reso omaggio. Della Virtus di un tempo c'erano Gigi Serafini, Fabio Ponzellini (il team manager del Grande Slam), di quella attuale Gigi Terrieri e Marco Tarozzi. C'erano la Fortitudo di ieri, Mauro Di Vincenzo, e quella di oggi, Marco Calamai, c'è il suo Gira, Stefano Dall'Ara, il mondo della pallavolo, rappresentato da Paolo Penazzi e quello dello sport delle Due Torri, Renato Rizzoli, presidente della Consulta per lo Sport di Bologna.

E chi non ha potuto esserci ha voluto comunque testimoniare la propria vicinanza alla moglie Giovanna e alla sorella Silvia con mail e sms, da Vic Luciani a Toro Rinaldi, da Roberto Brunamonti a Ettore Messina. C'erano i compagni di uno dei suoi hobby: collezionare fumetti, poster e cartoline. C'era l'ex senatore Stefano Morselli. C'era, soprattutto, il suo Carlino, il giornale nel quale era cresciuto e per il quale era diventato un punto di riferimento. E che in tanti, volessero bene a Gianni, in fondo lo si è capito dando un'occhiata alla chiesa. Sì, perché con il suo stile inconfondibile Gianni aveva il pregio di mettere tutti d'accordo. Ci mancheranno la sua ironia e la sua capacità di affrontare, con il suo aplomb, problemi e avversità.


 

BOLOGNA, INTITOLATO A GIANNI CRISTOFORI IL CAMPO DA BASKET DEI GIARDINI MARGHERITA

La giunta ha accolto la petizione firmata dai nomi più celebri di BasketCity. Il terreno di gioco porterà il nome del giornalista sportivo del "Carlino"

di Alessandro Gallo - Il Resto del Carlino - 18/12/2018

 

Un campo da basket, il celebre playground dei Giardini Margherita, per ricordare la figura di Gianni Cristofori. E’ un’iniziativa che ha preso il Comune di Bologna con in testa il sindaco, Virginio Merola e l’assessore allo sport, Matteo Lepore, per rispondere a una lettera-richiesta sottoscritta da alcuni amici di Gianni, per ricordare la memoria di un giornalista che, per tanti anni, è stato uno dei cantori di BasketCity. Un campo, se ci passate, la licenza, per il “nostro” Gianni, perché Giovanni (questo il nome di Cristofori), ha vissuta la sua intera avventura giornalistica all’interno de il Resto del Carlino.

Gianni era nato il primo luglio 1951 e ci ha lasciato troppo presto, il 26 dicembre 2013. Era in pensione da cinque anni, Gianni, ma nella sua lunga parentesi in redazione aveva saputo conquistare la stima e il rispetto di tutti. Forse anche per questo, nell’elenco di coloro che hanno voluto sottoscrivere la richiesta, accolta dal Comune, troviamo nomi illustri di chi ha scritto in prima persona alcune delle pagine più belle e suggestive della Città dei Canestri. Da Ettore Messina ad Alberto Bucci, da Sasha Danilovic a Roberto Brunamonti, da Gianluca Basile a Gianmarco Pozzecco. E ancora Sergio Scariolo, Zoran Savic, Renato Villalta, Marco Bonamico, Paolo Moretti, Giacomo Galanda, Alessandro Abbio, Claudio Pilutti, Charly Recalcati, Nino Pellacani, Gigi Terrieri, Stefano Salieri, Stefano Stagni, Stefano Dall’Ara, Mario Martini, Marco Sanguettoli, Marco Santucci, Fabio Di Bella, Luciano Andalò. Un omaggio a Gianni era arrivato anche da altri mondi dello sport, come quello del baseball (Stefano Michelini, Lele Frignani, Marco Nanni, Claudio Liverziani), quello della pallamano (Beppe Tedesco), quello del nuoto (Martina Grimaldi) e quello dell’atletica leggera (Ester Balassini).

Tutti insieme nel nome di Gianni, che allo sport, anche quello di base, aveva dato spazio e visibilità. Forse per il suo passato da giocatore, forse per il suo entusiasmo e la sua passione. E non è un caso che gli sia intitolato proprio il campo dei Giardini Margherita. Perché lì, giovanissimo (abitava in via Castiglione a due passi dal campetto), aveva giocato con il coetaneo e poi collega Gabriele Canè e, soprattutto, nei primi anni Ottanta, aveva ospitato sulle pagine del Carlino leprime storie legate al torneo dei Giardini Margherita, che resta il torneo all’aperto più seguito e amato in Italia.

Tornando al basket, a dimostrazione del rispetto che aveva saputo conquistare nel corso degli anni (pur avendo anche altri interessi, come quello dei fumetti e del collezionismo, che lo avevano portato a dirigere un giornale che lui stesso confezionava, il “Mancolista”), era stato Gianni, nell’autunno del 2000, a consegnare una pagina celebrativa a Sasha Danilovic, nel momento del ritiro dalle scene agonistiche dello Zar dei Canestri. “L’iniziativa che sta alla base di questa intitolazione - dichiara l’assessore allo sport del Comune di Bologna, Matteo Lepore - è bella e generosa per la città. Cristofori è un pezzo fondamentale della storia di BasketCity e merita un campo in cui giocare per sempre”.are per sempre».


Il playground dei Giardini Margherita viene intitolato a Gianni Cristofori il 18/07/2019

CEV, BOLOGNA E VIRTUS NEL CUORE: "AL DALL'ARA IL SINDACO SONO IO"

di Alessandro Gallo - Il Resto del Carlino - 09/05/2012

 

“Al Dall’Ara non c’è storia. Lì il sindaco sono io. O almeno lo sono della curva Andrea Costa”. Maurizio Cevenini, l’amico Cev, onnipresente – “ho tre o quattro cloni, che utilizzo a seconda delle manifestazioni” – scherzava sempre sul suo amore per lo sport, sulla sua passione per il Bologna Fc 1909, sul suo tifo per la Virtus Basket, che non gli impediva di pensare, in una città alle prese con le divisioni create dal derby, anche alla Fortitudo. Tifoso bipartisan verrebbe da dire oggi. Cravatta rigorosamente rossoblù per ricordare il suo Bologna. Il posto fisso in tribuna, al Dall’Ara, ma pure all’Unipol Arena, per seguire la Virtus. Speaker di un derby di basket di vecchie glorie giocato alla Fiera, all’aperto, con Danilovic e Myers, Abbio ed Esposito.
Una parola e un sorriso per tutti. Le ultime alla StraBologna, poche settimane fa. Sul palco, insieme agli sportivi. Lui che lo sport lo faceva davvero. “Nazionale” dei consiglieri: maglia rossoblù, sguardo alto, libero vecchia maniera. Deciso magari nel tirare un “calcione” all’avversario di turno, ma senza cattiveria, con il sorriso sulle labbra, chiedendo pure scusa. Era stato il primo a lanciare la Nazionale dei consiglieri: stagione 1995/96. Le sfide, prima di ogni gara ufficiale del Bologna, tra i consiglieri rossoblù e quelli avversari. Il modo migliore per lanciare un messaggio di fair play tra realtà fieramente divise, il modo per avvicinare le famiglie allo sport, vedendo quei consiglieri, apparentemente così lontani dalla vita quotidiana, in realtà così vicini, in maglietta e calzoncini.Rossoblù tutto d'un pezzo, anche durante le ultime vicende che avevano portato il club (con il presidente Porcedda) a un passo dal baratro. Un pool di imprenditori, capeggiati da Giovanni Consorte, aveva salvato il club. Il progetto prevedeva la creazione di una serie di realtà legate al club: Maurizio Cevenini era diventato, quasi per acclamazione, il presidente, il garante, dell'associazione dei tifosi.

Poche settimane fa, alla StraBologna si era messo a parlare con alcuni ragazzi della Fossa dei Leoni. Scontato l'argomento: il PalaDozza, la Fortitudo e Sacrati. Perché il dono che aveva Maurizio era davvero raro. Oltre a essere sempre presente aveva la capacità e l'onestà intellettuale di stare ad ascoltare, sempre, il suo interlocutore. Prima ancora di StraBologna aveva avuto tempo di far festa al PalaDozza, per la Coppa Italia conquistata dalla Libertas Bologna. "Sono qui in questo momento - diceva abbracciato al patron della Libertas Fabio Landi -, ma almeno non posso essere accusato di un tifoso occasionale. Quando posso, praticamente sempre, non perdo nemmeno una partita della Libertas". Girava con una Smart bianca con due fasce rosse e blu sulle fiancate, per ricordare, ovviamente, la vecchia maglia del Bologna di fine anni Sessanta e inizio anni Settanta. A un matrimonio, uno dei tanti celebrati, trovatosi a cospetto di un "ragazzo" del '64 non aveva potuto fare a meno di ricordare l'anno dell'ultimo scudetto del Bologna.

Ma la passione per lo sport lo portava un po' ovunque. Anche nei "campetti" di periferia. Così, a marzo, non aveva saputo dire no alla richiesta di Stefano Landuzzi e Lele Frignani, rispettivamente presidente e vice presidente delle Blue Girls Bologna, la squadra di softball delle Due Torri, neopromossa in A1. Maurizio s'era tolto la giacca, aveva arrotolato le maniche della camicia (ma la cravatta rossoblù doveva restare al suo posto), aveva infilato un guantone per il primo lancio inaugurale. Senza paura di fare brutte figure perché sapeva che, comunque, il suo sorriso e la sua disponibilità erano armi vincenti.

L’unica cosa sulla quale non transigeva era la maglia da gioco. Che doveva essere rossoblù. E per riconoscergli tanto la passione quanto la leadership i compagni non avevano impiegato molto a consegnargli pure la fascia da capitano. Perché sapevano che quel ruolo era in buone mani. Capitano della Nazionale, sindaco della curva: sempre presente in qualsiasi manifestazione sportiva. Il vuoto che ha lasciato già si sente.

Il politico Cevenini e il cantante e show-man Andrea Mingardi (foto tratta da www.virtus.it)

LE V NERE SON TORNATE

di Andrea Mingardi - Bianconero - gennaio 2005

 

Fine ed inizio anno: auguri e tempo di bilanci. Dopo la tempesta bisesta e madrigalesca abbattutasi sulla Virtus è giunta l'ora di fare alcune riflessioni. Claudio Sabatini, con un carpiato di difficoltà 3,5 e una respirazione bocca a bocca, ha miracolosamente salvato la vita alla Signora dei canestri. Suo padre sarebbe orgoglioso di lui. L'indifferenza della precedente amministrazione comunale, insieme al fuggi fuggi degli... imprenditori locali, ha dato il segno di un momento storico-economico in ui pare sia più facile trovare qualcuno che dia fiducia alle Lecciso che sostegno per un pezzo di storia italiana. Se ci mettiamo anche una frangia di personaggi in seno alla federazione che non vedevano l'ora di vederci in difficoltà, il film è presto fatto. Al di là degli avvoltoi più o meno famosi che si masturbavano neanche tanto di nascosto di fronte al disastro "parmalattiano" bianconero, devo convenire con che parecchi "cugini" invece erano segretamente rammaricati per la nostra penalizzazione. Una cosa è vincere con una gara e un'altra è senza di noi. Grazie, cari "cugini" e complimenti per la vostra squadra giovane, bella e, perché no, anche un po' Virt...uosa. Savic, Smodis e company, per ora avete vinto là come me a... Sanremo!

Vedi che bello sfottersi? In fondo, noi noibli... decaduti, parenti momentaneamente in disgrazia, giocatori di borsa che hanno comprato delle "Seat pagine gialle", sentiamo già l'odore del derby, il sapore delle vigilie e il gustop di ritornare ad essere la capitale del basket. Ma la strada è lunga e irta di insidie.

In campionato di A2 non fa sconti. Bisogna vincere, arrivare primi e tutti sono contro di noi. Giustamente. Batterci, può salvare l'immagine di una squadra e il suo stesso campionato. Quindi dopo i recenti rimpalli, deve farsi largo nella mente dei ragazzi, non sicuramente di Consolini che ha già capito tutto e fa il pompiere, che sarà dura e, ogni partita, ogni tiro, ogni palla, potrebbe fare la differenza. Sabatini, il presidente, il coach, Faraoni, il team, la Carisbo e gli sponsor, li vedo come un pugle in clinch, chiusi in una difesa granitica, senza pazzie, fronzoli ma pronti per colpire l'avversario dove fa male. Dobbiamo lasciare il blasone a casa e lottare come minatore per scavare il tunnel che ci porterà alla luce. A mani nude, con una determinazione operaia e un'umiltà che le settemila persone, a proposito, grazie a tutti, non dovranno mai far perdere al progetto con futili richieste di "schiacciate" e passaggi dietro alla schiena.

Perora, pale e cipolla, poi si vedrà. E sarà ancor più belo, perché la rinascita non verrà da magnati che hanno bisogno di fatture di scarico, non da intrallazzatori che identificano nello sport la possibilità di un indotto personale, non da professionisti del settore che cercano, a loro vantaggio, di rivitalizzare società moribonde per rivederle in plus valenze, ma da qualla sorta di public company tanto auspicata da Claudio che, di fatto, si sta verificando. Migliaia di infermieri sono al capezzale di una splendida donna che sta riprendendosi alla grande. Per amore, perché le parliamo ad un orecchio e la accarezziamo raccontandole storie neanche tanto remote. Lei ha già preso colorito e spesso sorride, non sempre ma spesso. La malattia poteva essere letale ma ora siamo una società, una squadra, abbiamo tutti i nostri trofei belli in bacheca e la memoria in noi è viva e rivendica il posto che le spetta. Quando? Se ogni giorno segni un progresso non è poi così importante quanto. Ora siamo sicuri che succederà.

Pochi giorni fa ero ad Atlantic City per un paio di concerti. Ho acceso la tv americana e la prima immagine impattata è stata quella di Ginobili che passava la palla a Nesterovic. Un tuffo al cuore. Cari Sasha, Sugar, Roberto, Renato, Marko, Ettore, caro Alfredo, credetemi è stato un attimo e poi ho pensato subito a... Peluss! Di due cose con sicuro, che "Pelo" difenderà la mia... famiglia c che, via Ferrara, Fabriano e Capo d'Orlando, stiamo tornando!

Bolognesi, al vespro accendete la radio "Ascolta si fa Sera... gnoli", conversazione di Padre Andrea Mingardi: "Ricordatevi, presto gli ultimi torneranno ad essere i primi e quindi, d'ora in poi nessuno dorma tranquillo".

Forza Virtus!!!!!!!!!

 

«LA VIRTUS È UN ROCK»

di Massimo Selleri - Il Resto del Carlino - 04/08/2013

 

Un nuovo inno per la Virtus. Lo comporrà e lo canterà Andrea Mingardi, il noto artista bolognese che della sua passione sportiva per la V nera, insieme con quella altrettanto nota per il Bologna Fc, ha sempre fatto un motivo di vanto. «Sono onorato - spiega Mingardi - che mi sia stato chiesto di scrivere una canzone che caratterizzi questo new deal bianconero. Dopo il regno di Claudio Sabatini, ora alla guida della società c'è una persona a cui sono legato da grande affetto e di cui ho una grande stima dal punto di vista umano e sportivo. Questa persona ovviamente si chiama Renato Villalta, il capitano della stella nonché l'attuale presidente della società».

Può anticiparci un frame di questo inno?

Ci sto ancora lavorando. La musica si svilupperà su due linee: il rock classico e una melodia che sia molto orecchiabile e che accompagni i giocatori durante la presentazione. Il testo si baserà su una serie di episodi che caratterizzano la nostra storia e le parole saranno molto caratterizzanti, in modo tale che i Forever Boys lo possano subito cantare.

Il derby è compreso in uno di questi episodi?

Per il momento no perché attualmente la partita con la Fortitudo non c'è. Noi virtussini siamo molto dispiaciuti di questo e speriamo che presto questa gara si torni a giocare. Quando succederà aggiungeremo una nuova parte come segno di welcome back per un appuntamento che ha dato emozioni uniche a tutta la città.

Voi artisti bolognesi come affrontavate il clima del derby?

«Nessuno di noi ha mai fatto grande mistero della sua fede cestistica. È sempre stata sotto la luce del sole. Gaetano Curreri ad esempio è notorio che tifi per la Fortitudo, ma noi virtussini ci siamo sempre sentiti superiori perché avevamo il numero uno, vale a dire Lucio Dalla. Era un playmaker molto veloce e abbiamo anche giocato insieme prima che io tra pallacanestro e calcio decidessi per il pallone e andassi nelle giovanili del Bologna.

Per che cosa si caratterizza quello che viene definito lo stile Virtus?

Non credo che esita uno stile bianconero, mentre penso ci sia ancora oggi un modo legato all'avvocato Porelli. Noi siamo stati radiati nell'estate del 2003 e grazie all'intervento di Claudio Sabatini siamo immediatamente ripartiti. A differenza del Bologna che quando era in serie C ha perso le giovani generazioni di tifosi che si sono legati ai grandi club come l'Inter o la Juventus. La V nera, invece, non ha perso il suo appeal e ha continuato ad attirare nuovi tifosi.

Quindi la società in questi anni non si è svirtussinizzata?

No, ma è vittima di quella che potremmo chiamare la sindrome dello scudetto vinto dal Bologna nell'ormai lontano giugno del 1964. A noi bolognesi piace giudicare l'attuale squadra rossoblu pensando ai criteri di allora. Così è anche per la Virtus: in alcune occasioni ci siamo permessi di criticare giocatori del calibro di Marko Jaric e Antoine Rigaudeau. Nel caso del francese all'inizio eravamo diffidenti pensando che cosa potesse venire di buono da un giocatore storto, mentre oggi ci accontenteremmo della sua metà destra. D'altra parte una tifoseria che ha vissuto tante emozioni come il canestro da quattro di Sasha Danilovic, oggi può permettersi di voler bene alla squadra pur criticandola in alcune occasioni.

Ha già rinnovato l'abbonamento?

Certo. La partita per me è l'occasione di incontrare tanti amici con una stessa fede. Io ho avuto la fortuna di vedere la Virtus a fianco dell'avvocato Porelli e il solo fatto che pensasse che io avessi composto la canzone Gig pensando a lui è una cosa che ancora oggi mi riempie di orgoglio.

È fiducioso sul futuro bianconero?

Sì. Intanto perché penso che peggio dell'anno scorso sia impossibile fare e poi penso che la presenza di Renato Villalta e di Bruno Arrigoni siano una garanzia. Dopo tanti anni di esperimenti non riusciti, quest'anno credo che tre americani buoni li riusciremo a prendere anche noi e questo farà la differenza. Sono convinto che quest'anno ci divertiremo.

di Marco Tarozzi - www.virtus.it - 27/12/2014

 

C’è sempre una prima volta. Anche per un artista navigato come Andrea Mingardi, uno che sa ancora vivere di passioni ed emozioni. Come quella di cantare l’Inno nazionale davanti al pubblico della Unipol Arena, prima di una partita della sua squadra del cuore, la Virtus. Come si fa negli States, un mondo a cui Andrea è legato da sempre, per scelte musicali ed artistiche.

È stato toccante, davvero. E comunque, una sfida. C’è differenza, in queste cose, tra Italia e Stati Uniti. Quando fai partire l’inno, da noi, senti subito un po’ di odore di retorica. In Usa affronti l’evento con gioia, qui con una sorta di rispetto. Credo che la mia versione “soul”, che mi impensieriva perché non sapevo come sarebbe stata accolta, abbia fatto capire che non c’è retorica nel nostro inno, ma solo orgoglio, senso di appartenenza a una Nazione e ai colori di questa squadra. Una forma di rispetto che viene dall’anima, non dalla politica o dalle istituzioni. È dentro di noi.

L’appartenenza ai colori della Virtus. Bell’argomento, proviamo a raccontarla dall’inizio?

Da ragazzo uscii da una brutta forma di tonsillite, una malattia che mi impediva di correre, e improvvisamente cominciai a crescere di colpo. A dodici anni ero già altissimo, e scoprii lo sport praticato. Prima di diventare portiere nelle giovanili del Bologna, ho giocato a basket in quelle della Virtus. L’amore è iniziato così, e si è sviluppato in Sala Borsa.

Il “posto dei canestri” per i bolognesi, prima che tutto si trasferisse in piazza Azzarita.

Lì, ragazzino, incrociai i miei primi idoli. Calebotta, Canna, Alesini… E lì incontrai per la prima volta Lucio Dalla, che aveva tre anni meno di me, poco più di un bimbo, e la nostra passione comune all’inizio fu lo sport. Iniziavamo entrambi a frequentare il mondo della musica, ma non sapevamo l’uno dell’altro. Tanto che, ricordo ancora, qualche anno dopo ci incontrammo in un locale dove cantavo, e Lucio mi disse “non sapevo che tu cantassi”. “E io non sapevo che tu suonassi”, gli risposi. A unirci furono calcio e pallacanestro, prima ancora del nostro mestiere…

Il calcio e il Bologna sono passioni di cui ha parlato e scritto, ultimamente anche col volume “Cuore Rossoblù”, uscito prima di Natale per Minerva Edizioni e lanciatissimo. La sua Virtus non l’ha ancora messa nero su bianco…

Perché se scrivessi “Cuore bianconero” in giro per l’Italia penserebbero che tifo per la Juve, e questo non mi va proprio… Scherzi a parte, di aneddoti ce ne sarebbero. Io ho sempre amato la pallacanestro, mi dà piacere seguirla e sono andato, da virtussino doc, a vedere spesso partite di Fortitudo e Gira. Amo i gesti, la tecnica, la velocità. E ho i miei idoli, come tutti. Dopo i tempi della Sala Borsa ci sono stati quelli di Fultz, Bertolotti e Serafini, poi mi sono goduto personaggi come Brunamonti, Cosic, come Sugar che mi ha dato emozioni paragonabili a quelle che ho provato vedendo giocare Ginobili in bianconero.

La più grande, quella indelebile?

Come per tutti i virtussini, dico il “tiro da 4” di Sasha Danilovic. Per mille motivi, su tutti il fatto che da quella partita eravamo già fuori, avevamo perso. Non lo dico con crudeltà, ma ricordo i tifosi della Fortitudo che avevano già quasi un piede in campo, pronti ad esplodere di gioia. Avrei fatto lo stesso, e per loro dev’essere stato un momento tremendo. Sì, per me i momenti incancellabili dello sport bolognese sono due: lo scudetto del Bologna nel ’64 e il tiro da quattro di Sasha.

Rimpiange quei tempi?

Mi piace vivere il presente. Diciamo che me li sono goduti, e non è da tutti. Dicono che il tifoso virtussino sia molto critico, per quello che ha vissuto. Ma io ricordo che anche allora si storceva il naso quando arrivava un periodo negativo. Succedeva anche ai tempi del Bologna di Bulgarelli, Nielsen ed Haller. A volte non ci si rende conto della felicità, quando ci si vive immersi.

La Virtus di oggi che sensazioni le dà?

Rispetto al recente passato, in questa squadra intuisco grandi capacità di corsa e margini di miglioramento ancora indecifrabili. Vedo gente che corre, salta, si sacrifica, dà una precisa idea di gruppo. Ma non possiamo sapere dove arriveranno alcuni di questi giocatori. Magari qualcuno fallirà, ma fanno pensare a una crescita possibile e alimentano le speranze. Ray è un campione vero, un ragazzo come White mostra già un gran talento, lo stesso Gilchrist atleticamente è una forza, se comincia a prenderci un po’ sotto canestro quanto può crescere? Poi ci sono Imbrò e Fontecchio, che rappresentano il futuro per il movimento. Credo che con un po’ di continuità questa squadra possa fare buone cose. Per questo vorrei che a fine stagione si ripartisse tenendo conto di questo nucleo, senza altre rivoluzioni.

L'ULTIMO SALUTO A STEFANO BIONDI

di Ezio Liporesi - 14/05/2022

 

Oggi l'ultimo saluto a Stefano Biondi, giornalista che ha raccontato Il Bologna e Bologna, ma di fede cestistica virtussina.  Oggi naturalmente era presente il Bologna con il gonfalone, Claudio Fenucci, Marco Di Vaio, Carlo Caliceti, ma soprattutto la sua storia con mister Ulivieri, Fabio Poli, Pepe Anaclerio, Franco Colomba, Marco De Marchi, Jonatan Binotto, Gianluca Pagliuca, Renzo e Francesca Menarini. Era presente anche una fetta di storia Virtus, Renato Villalta, Giorgio Bonaga, Cazzola che fu pure presidente del Bologna, l'ex addetto stampa Marco Tarozzi, e qui ci colleghiamo al mondo del giornalismo senza poterli citare tutti. Era presente anche la Fortitudo con la storia, Pellacani, e il quasi presente, con l'ex addetto stampa Andrea Tedeschi fresco di dimissioni. Era presente Bologna con l'assessora allo sport Roberta Li Calzi, l'ex rettore Ivano Dionigi, Paolo Mengoli, Giorgio Comaschi, Orfeo Orlando, Tobia Righi. E tantissimi altri. Insomma c'era la città per il giusto tributo. Stefano è (utilizzo il presente perché i grandi giornalisti non scompaiono ma restano in quello che hanno scritto e raccontato) l'eleganza e la sostanza, la capacità rara di catturare l'attenzione del lettore e dell'ascoltatore, con l'affascinante dilungarsi, ma le sue parentesi non facevano mai perdere il filo erano sempre convergenti all'obiettivo.

VIRTUS CHE RICORDI

di Enzo Biagi - articolo fornito da Claudio Corticelli

 

"Andavamo a vedere gli allenamenti sul campo all'aperto fuori Porta Sant'Isaia. Eravamo affascinati dal gioco, lo sport er aper noi giovani di allora un'evasione, uno dei mezzi per uscire dal clima di trionfalismo e di ottimismo imposto dalla propaganda di allora. Mi piaceva la pallacanestro; e fra gli atleti della Virtus mi colpiva un certo Salviati, grande atleta, uno che prese parte in atletica a un'Olimpiade. Raccontava questo Salviati di improbabili amori con Mirna Loy, e con chissà quante altre stelle del cinema di quei tempi. Alla Virtus ero di casa: ero compagno di banco di Cesare Negroni, uno dei titolari delle "V nere", che fu campione d'Italia, e che era fratello di Carlo Negroni, che fu un grosso giocatore della nazionale".

IO, AYRTON E IL BASKET  

di Carlo Cavicchi - quattroruote.it - 01/05/2019

 

È passato un quarto di secolo e a me sembra ancora ieri. Eppure sono 25 anni che ripenso al grande campione e al felice rapporto che avevo avuto con lui fuori dalle piste. Ayrton Senna era uno che selezionava le persone da frequentare, ben attento a evitare gli adulatori e tutti quelli che lui riteneva opportunisti. Aveva un pugno di amici veri, tra questi il fotografo Angelo Orsi, e una lista molto asciugata di conoscenti con i quali aveva piacere di stare assieme. Io tra questi.

 

A Bologna nel 1989.

È proprio durante queste frequentazioni che ho avuto l’opportunità di apprezzare il lato estremamente paziente di questo asso indiscusso e indimenticabile, capace di accettare anche i capricci di quelli del suo “giro” senza mai far valere il suo status di stella di prima grandezza. Ecco allora un ricordo che mi porto addosso con enorme soddisfazione perché lo considero un gesto di estrema cortesia nei miei confronti. Tutto accadde a cavallo della primavera 1989. Ayrton era venuto a Imola per dei test da fresco campione del mondo con la McLaren e, come accadeva ogni volta, ci eravamo sentiti per uscire a cena e chiacchierare un po’ (peraltro lui parlava sempre e solo di auto e di corse). Succede però che quella sera si gioca a Bologna la finale di Coppa Italia tra Caserta e la Virtus, mia squadra del cuore e vera fede in una città che si è sempre nutrita di pane e basket. Come fare?

 

Due campioni brasiliani al Palasport.

La soluzione per me è una sola: andare alla partita e poi a cena. Ma come potevo intrigare Ayrton che di pallacanestro nulla ne sapeva e tantomeno gli interessava? Mi venne in mente che a Caserta giocava un formidabile campione brasiliano, Oscar (Schmidt), e che sarebbe stato bello farglielo incontrare. Accettò con la pazienza di cui sopra, un atto davvero non dovuto. Finimmo così al Palasport strapieno di spettatori con lui che era molto preoccupato perché era sempre restio agli affollamenti senza protezioni. Chiesi allora al segretario della Lega Pallacanestro, tale Crovetti, se si poteva fare una foto prima della partita, magari a centrocampo, con i due che si stringevano la mano, ma mi sentii rispondere di no perché ne avrebbe patito la concentrazione di Oscar. Una decisione di una miopia assoluta perché quell’immagine avrebbe spopolato in Brasile e fatto il giro del mondo nel giro del basket. Comunque Senna rimase seduto tutto il tempo a guardarsi un incontro di cui nulla capiva, sorbendosi persino un tempo supplementare, prima di mettere i piedi sotto il tavolo di un ristorante in città disposto a servirci anche se dopo le 23 passate. Ecco, questo era Ayrton e questa la sua disponibilità. Mi piace ricordarlo così soprattutto in questi giorni dove tutti i pensieri vanno alle sue leggendarie imprese al volante o al suo disgraziato pomeriggio del primo maggio 1994.

 

 

Cavicchi con Senna

 

RICORDO DI FRANCO VANNINI

 

Marco Tarozzi: Ciao Franco.

Sei stato un signore vero, e forse questi tempi e quelli che verranno, così volgari, non li capiresti più.

Ci vuole stile, per affrontare la vita.

 

Renato Villalta: Ciao Caro Franco! Sei stato un grande amico e lo sarai per sempre.

Persona unica per stile, etica e conoscenza!

 

Alberto Bortolotti: A molti il nome di Franco Vannini, ex collega dell'Unita', dirà poco. Dei vecchi giornalisti, di cui perdippiu' è scomparsa la redazione, non si ricorda di solito nessuno. A meno che non avessero voci e volti conosciuti.

Si è occupato anche di basket, Vannini, ma soprattutto del Bologna. Lui, Stella alla Gazzetta, Benedetti a Stadio, Nordio al Carlino, la Civola a Tuttosport - prima di Stadio e della TV -: era il pacchetto di mischia dei cronisti veri. Aggiungiamo Nando Machiavelli, Guglielmo Giordani, Flavio Parmeggiani. La generazione di Beppe Tassi, Stefano Biondi, Diego Costa, il sottoscritto, è successiva.

Fu soprattutto un grande signore.

Io corrispondevo per il Giornale. Quindi mai linee, specie all'epoca, erano ideologicamente più conflittuali. Parlo del Montanelli pre-Berlusconi, il contrasto tra loro elesse Indro idolo della sinistra, ma era una finta. Da entrambe le parti. Conservatori vs. conservatori. Diversi, questo si.

Mi capita - sono recidivo, lo so - di andare contro il presidente dell'epoca, che mi querela, in modo assolutamente specioso. Era Tommaso Fabbretti. Con cui retrocedemmo due volte consecutive.

Testimone di un colloquio a Castel debole tra me e il Pres fu proprio Vannini. Io mi volevo "servire" della sua testimonianza per avvalorare il fatto che avevo scritto la verità.

Franco conferma, da signore e persona per bene, e io commetto l'errore di riferire il tutto al capo servizio sport. Un personaggio...dimenticabile, molto considerato in categoria, falso come l'ottone, grande carriera anche di scrittore. Meridionale settentrionalizzato...con i difetti, tutti, di entrambe le etnie.

Beh, costui squaderna sul Giornale la testimonianza del collega... dell'Unità. Senza chiedere a me il permesso di firmare con le mie iniziali cotanto abominio professionale e a lui di scrivere una cosa che mi era stata detta in privato.

Conclusioni.

Fabbretti ritira la querela verso di me ma la mantiene verso Montanelli. Al processo il Direttore fu condannato e io persi la collaborazione.

Vannini piglia una lavata di capo dai suoi superiori e per un po', giustamente, fatica a salutarmi. Capirai, il comunista che aiuta i destri...all'epoca. Non c'erano i patetici teatrini di oggi, gli avversari erano tali.

Voglio salutare Franco e ridere di quell'episodio. Di lui ho un ottimo ricordo. Spero altrettanto.

Salutami tutti, lassù, specie Ermanno. Deeh, vecchio livornese!

 

"BASKETCITY” È NATA IN VIA UGO BASSI

di Franco Vannini - Tratto da “I Canestri della Sala Borsa” – Marco Tarozzi

 

La Virtus vinse il primo scudetto di basket nel 1946 in una finale a Viareggio. Dopo il prestigioso successo doveva risolvere il problema del campo di gioco che prima della seconda guerra mondiale era stata la palestra di Santa Lucia in via Castiglione; successivamente furono il Ravone e una palestra di fortuna alla piscina coperta. Dopo pochi mesi dal titolo la Virtus trovava ospitalità in Sala Borsa, che proprio in quegli anni faceva il pieno di tutto. Ospitava il pugilato con riunioni di livello dopo il battesimo della società “Temporale”. Non solo. Il martedì e venerdì erano giorni di mercato. Agenti del consorzio agrario, rappresentanti, fattori, agricoltori, padroncini si incontravano all’angolo Ugo Bassi-Indipendenza, sotto i portici o all’interno della Sala Borsa dove funzionavano i vari box in cui si perfezionavano le trattative e si visionavano i prodotti. L’attività si concludeva nel tardo pomeriggio. Ma a volte i box, nella massima discrezione, restavano in attività anche in serata. Soprattutto quando c’erano riunioni di pugilato. Qualcuno si chiudeva dentro e a sbafo, quando iniziavano i match, usciva e si mescolava agli spettatori paganti.

La Virtus intanto continuava a vincere scudetti. Il contenitore di via Ugo Bassi creava solide premesse alla nascita di “Basketcity”. Si disputò anche un incontro internazionale Italia-Francia che insegnò parecchio cose dal punto di vista tattico alla nostra pallacanestro. Se i virtussini vincevano, la giovane società gira non finiva di stupire coi suoi dinamici dirigenti-giocatori tra i quali c’era Gianni Sinoppi, che poi diverrà un personaggio di primo piano del ciclismo nazionale dopo essere stato, alla fine degli anni Quaranta, tra i fondatori dell’Uisp. Nel ’49 il Gira è in massima serie e con straordinaria abilità riesce a reclutare i giocatori americani: prima Strong, poi Germain e Mascioni. Erano militari Usa in servizio in Italia, elementi capaci di emergere in varie discipline. Germain portava gli occhiali e pareva un professorino, Strong (poi anche tecnico della Virtus) ha fatto di tutto: giocatore, allenatore, si è dato pure al baseball con successo. La Virtus deliziava coi suoi atleti che finivano con l’indossare la maglia azzurra: Ferriani, Bersani, Marinelli, Ranuzzi, Rapini, Zucchi, Negroni, Gambini e altri ancora.

All’inizio degli anni Cinquanta la Sala Borsa è ingolfata di basket: nel ’52 Bologna ha tre squadre nella massima categoria. C’è anche l’Oare (Officine Assistenza Riparazioni Esercito), nella quale milita Rinaldo Rinaldi che aveva già vinto uno scudetto con la Virtus e che in campo si faceva notare per le strane ginocchiere di pelle che avevamo già visto con Strong. Rinaldi, persona squisita, diverrà un apprezzato giornalista prima come capocronista dell’"Avanti", poi alla Rai. L’ambiente del basket è sempre più scoppiettante e movimentato da episodi interessanti e curiosi. I derby Virtus-Gira si fanno caldi e anche il cima si trasforma. Il pubblico in gran parte si sistemava a pochi centimetri dal campo, ma c’era l’anello superiore considerato il “loggione” dove i tifosi più accesi si facevano sentire, pur senza eccessi. C’era pure il supertifoso Peppino, che si aggirava in quella specie di tribuna stampa accogliente in cui c’era un po’ di tutto e di più.

Davvero tanti gli eventi che si ammirano negli anni Cinquanta, prima del trasferimento in quel Palasport, nel 1956, voluto dall’allora sindaco Giuseppe Dozza. Proviamo a mettere in fila un po’ di situazioni per avere il quadro del gran fermento intorno al basket bolognese, che ha risvolti a livello nazionale. Intanto la pallacanestro si era evoluta dal punto di vista tattico dopo quell’incontro con la Francia. Il Gira era una realtà e nel ’54 si permetteva di piazzarsi secondo davanti alla Virtus (abbinata Minganti) terza, che poteva già contare sul pivot Calebotta (m 2,04), un giocatore che faceva la differenza, e su Canna. Un Gira splendido in quegli anni con i vari Macoratti, Bongiovanni, Di Cera, Presca, e quel Lucev che piaceva tanto alle donne. Senza dimenticare il generoso Muci. Sempre sul piano squisitamente tecnico, grossa novità in casa Virtus: l’arrivo di Vittorio Tracuzzi che nella doppia veste di allenatore-giocatore porta la Virtus al quinto scudetto prima che si scateni il trio delle meraviglie: Canna, Calebotta e Alesini (che aveva dovuto stare fermo un anno perché la società di provenienza non gli aveva dato quello che oggi si chiama nullaosta).

La Sala Borsa era proprio diventata la culla del basket. Durante le feste natalizie, verso la metà degli anni Cinquanta, si svolse un prestigioso Torneo Soldaini con Gira, Goriziana, Oare, Moto Morini, Virtus Imola e Solgas. Due ragazzotti della Goriziana fecero sfracelli: Tonino Zorzi e Franco Sardagna in quella occasione di proposero a sorpresa al grande basket. A completare lo straordinario viavai in Sala Borsa ci fu l’entrata in scena della Moto Morini, che aveva la sede nel bar di porta Mazzini. La sua anima era l’ex virtussino Renzo Ranuzzi. La squadra disputò un campionato prima del trasferimento in piazza Azzarita; purtroppo non sopravvisse per molto tempo, ma in pochi anni sfornò fior di giocatori: da Conti a Geminiani, da Roubanis a Sardagna, poi Vittori e Vianello. Fatto è che Bologna aveva ancora tre squadre ai massimi livelli. Ecco perché quando oggi si scrive la storia di “Basketcity” bisogna partire da quell’impianto di Ugo Bassi e da quei favolosi tempi.

 

IL PENDOLARE DEL BASKET

Intervista a Gianluca Pagliuca, un grande portiere dal cuore virtussino

di Jorge de Carvalho - Bianconero

 

Quando uno viene da Casalecchio di Reno e la squadra del cuore gioca al PalaMalaguti, dovrebbe essere facile assistere alle partite della Virtus. Non per Gianluca Pagliuca, di professione portiere e socio del Virtus Club dei 100, che emigrò giovanissimo, prima alla Sampdoria e poi l'Inter. "È vero, ho la residenza proprio lì, a due passi dal "Palazzo", ma lavorando e abitando a Milano riesco a venirci poche volte".

Domanda d'oblbigo. Come sei diventato virtussino?

" È dai tempi di Caglieris e Bertolotti, McMillian e Cosic, Marquinho... da quando per un soffio non abbiamo conquistato la Coppa dei Campioni a Strasburgo. Sono proprio tifosissimo delle V Nere, fin da bambino. Allora la "grande sfida" era con Varese, ma io tenevo naturalmente per Bologna e per la Virtus".

Quando ha iniziato a frequentare il "Palazzo"?

"Avevo circa 12 anni, non giocavo ancora nel Bologna, ero un ragazzo del Casalecchio e andavo con due miei amici a vedere i rossoblù allo stadio e poi al "palazzo" a vedere la Virtus".

Chi ti è rimasto nel cuore tra i giocatori bianconeri?

"All'inizio mi piaceva molto Jim McMillian, il "DucaNero". Poi "Sugar" Richardson, ma il numero uno in assoluto per me è stato Roby Brunamonti. Grandissimo giocatore; quando l'ho conosciuto si è rivelato anche una grande persona. Sono contento che oggi sia il vice presidente esecutivo".

Nella storia del basket bolognese il derby non ha mai vissuto dei momenti di vertice come ora. Come la vivevi prima e cosa significa oggi per te la "stracittadina"?

"Quando ho cominciato a interessarmi al basket, la Fortitudo faceva spesso su e giù tra A1 e A2, non esisteva ancora una vera e propria competizione con la Virtus e allora avevo anche piacere quando i biancoblù salivano inA1, trattandosi di una squadra di Bologna. Ora la situazione è cambiata, però è comunque bello per la città di Bologna avere due squadre così forti e al vertice".

Ma fai il tifo contro la Fortitudo?

"Diciamo che faccio il tifo soprattutto per la Virtus e che non mi dispiace se la Fortitudo perde. Però la squadra che mi sta più antipatica è la Stefanel di Milano".

Quante volte vieni a Casalecchio a vedere la Virtus?

"Vengo tutte le volte che posso e quando sono presente la Virtus vince sempre".

Se ti presenti così ti potrebbe acquistare il presidente Cazzola...

"Pur essendo un grande tifoso bianconero, spero in un futuro prossimo mi compri il presidente... Gazzoni. Così le partite della Virtus le vedo tutte".

 

PAGLIUCA, IL BOLOGNESE GRANDE CON LA SAMP

di Giuseppe Bagnati - La Gazzetta dello Sport - 24/10/2008

 

DA BOLOGNA A VIAREGGIO - "Ho cominciato nell’anno in cui l’Italia ha vinto i mondiali, nell’82". Pagliuca scala tutte le categorie giovanili fino ad arrivare alla Primavera. "Ma giocavo anche a tennis e basket. Sono da sempre tifoso della Virtus e adesso che sono libero vado sempre in parterre assistere alle partite delle V nere". Una brutta prestazione del portiere titolare della Primavera gli spiana la strada. "Il mio allenatore Renzo Ragonesi mi dà fiducia". La Sampdoria mette gli occhi su questo ragazzo di 1,90 e lo chiede in prestito per il torneo di Viareggio. "Verrò premiato come miglior portiere del torneo e la Samp cede in finale soltanto all’Inter".

 

Gianluca Pagliuca (foto tratta da www.virtus.it)

IL FAN PAGLIUCA: «TRISTI LE SEDIE VUOTE MA LA CARICA TORNERA'»

di Elisa Fiocchi - Il Corriere di Bologna - 10/06/2009

 

Gianluca Pagliuca, ex portiere del Bologna nonché tifoso Virtus, lei ha staccato il biglietto per i playoff o ha seguito il trend della maggioranza degli abbonati?

Sono venuto a vedere la prima partita in casa contro Treviso, non la seconda ma solo perché ho avuto un impegno. Non sarei mai mancato.

Che ha pensato dinanzi ai tanti abbonati rimasti a casa?

Ho notato fin da subito il palazzo mezzo vuoto, sembrava una gara invernale di Eurochallenge, non la volata playoff per lo scudetto. Mi è dispiaciuto molto, non fa parte dello stile Virtus.

Come se l'è spiegata una così ampia defezione?

Non voglio credere che sia tutta dovuta a una questione economica. La vera causa è da ricercare nel finale di stagione della squadra, dove la Virtus ha perso le ultime quattro o cinque partite, compresa l'ultima di campionato in casa contro Treviso: un vantaggio scialacquato nel finale e un terzo posto sfumato a quinto. Il pubblico ha cominciato a smettere di credere e sostenere la squadra.

Crede che le voci di mercato a stagione in corso abbiano influito sul disamore della tifoseria?

In parte, ma Boniciolli ha comunque le sue responsabilità oggettive. Oggi sono davvero contento per coach Lardo, è una bella persona e non potevamo ripartire in maniera migliore.

E Sabatini?

Mi auguro non venda, alla Virtus ha fatto molte più cose buone che cattive e quest'anno ha messo assieme un'ottima squadra. Non dimentichiamoci che ci hanno "rubato" la finale di Coppa Italia di un punto contro Siena, per non parlare di quella gara di campionato con il fallo su Boykins. Da lì è scattata tutta l'amarezza. Poi abbiamo vinto l'Eurochallenge, che sarà la coppa del nonno ma è pur sempre un trofeo. Purtroppo il finale di campionato non è stato positivo, altrimenti si starebbe parlando con toni ben diversi.

Il futuro della Virtus le sembra più nebuloso?

Io sono convinto che faremo bene, anche con un budget ridotto. Stando alle ultime voci, si spenderà meno. Ma credo che possano arrivare ugualmente risultati buoni e pure che al pubblico virtussino tornerà ogni entusiasmo.

PAGLIUCA ENTRA NELLA FONDAZIONE VIRTUS

tratto da DailyBasket - 25/10/2012

 

Si attendeva ormai da giorni l’ufficialità che è arrivata questa mattina. Gianluca Pagliuca, ex portiere tra gli altri di Inter, Sampdoria, Bologna e della Nazionale di calcio, diventa uno dei cosi della Fondazione Virtus.
Pagliuca, tifoso storico delle VNere, ha dichiarato tutta la sua soddifazione ai microfoni di Radio International come riportato dal sito www.bolognabasket.it:” Posso ufficialmente annunciare il mio ingresso in Virtus. Ho fatto partire il bonifico e sono molto felice di aver fatto questo passo che mi permette di sedermi al tavolo della mia squadra del cuore insieme ad imprenditori estremamente seri che ho conosciuto, in parte, domenica alla Unipol Arena“.

PAGLIUCA: IO COME MORANDI PER IL BFC. SPERO CHE POETA E GIGLI RIMANGANO. SABATINI VA RINGRAZIATO, SENZA DI LUI NON CI SAREBBE LA VIRTUS

www.bolognabasket.it - 30/05/2013

 

Gianluca Pagliuca è socio della Fondazione Virtus e rappresentante dei soci sostenitori in consiglio di indirizzo. L’ex portiere è stato intervistato da Stadio.
Ecco le sue parole:

Rappresentante dei soci sostenitori. Che effetto mi fa? Bello, è un ruolo nuovo, diciamo che mi sento a casa. Sono entrato ufficialmente a far parte della famiglia. Sento questa nuova responsabilità, ma per la Virtus questo e altro.
Villalta ha detto che sarò l’uomo immagine del club? Lo ringrazio, sono belle parole, fanno piacere, significa che si fidano.
I miei compiti? Semplicemente quelli di uomo immagine, insomma, non ho l’esperienza degli altri, dovrò cercare sponsor, presenzierò ai CDA, diciamo che mi piacerebbe essere per la Virtus quel che Gianni Morandi è per il Bologna.
Da dove partire per la rifondazione Virtus? Beh intanto un po’ di cose sono cambiate. Dal punto di vista tecnico credo che il passaggio decisivo sia la scelta dei nuovi americani.
Quest’anno è andata buca? Non hanno inciso, anzi direi che il problema della stagione storta - aldilà degli infortuni - sono stati gli americani sbagliati. Con tre americani veri, di quelli che spostano gli equilibri, non saremmo certo arrivati terzultimi.
Dove si pescano tre americani buoni? Io intanto preciserei che bisogna prenderli a costi contenuti. In ogni caso ci penserà il nuovo DS...
Arrigoni? A me Arrigoni piace molto. Ma aldilà di chi verrà dovrà essere uno con l’occhio lungo, capace di trovare giocatori utili e magari poco conosciuti. E poi c’è un’altra cosa. Sono d’accordissimo con la linea verde. Abbiamo tanti giovani validi, ragazzi che già quest’anno hanno gravitato attorno alla prima squadra. Saranno fondamentali per ripartire.
Al momento certezze tecniche non ce ne sono? Ma arriveranno. Lo dico subito, spero che Poeta e Gigli rimangano da noi. Sarà importante averli nell’anno della rifondazione. Per la loro qualità, il carisma, il peso specifico. Sono due guide, ci servono.
Cosa penso di Bechi? Tutto il bene possibile. Mi piace, lo apprezzo per quel che ha fatto, non era affatto facile. Ha centrato l’obiettivo che gli chiedevano: la salvezza.
Un momento in cui ho avuto paura di retrocedere? Certo, c’è stato. Mi sono detto: questa è una di quelle stagioni dove tutto va a rotoli, qui andiamo giù senza neanche accorgercene. L’abbiamo scampata bella.
Cosa ha portato di nuovo Renato Villalta? È appena arrivato, diamogli tempo. È un uomo di spessore, conosce l’ambiente, la pallacanestro italiana è la sua casa. Di certo si può dire che ha portato ottimismo in tutto l’ambiente.
C’era molta delusione in giro? A me sono piaciute molto le parole dei Forever. Aldilà degli uomini, la cosa fondamentale è la Virtus.
È un buon inizio? Quando c’è un rapporto di fiducia è sempre un buon modo per cominciare una nuova avventura. Però, visto che c’è stata una fase di passaggio, vorrei spendere due parole per Claudio Sabatini. Lo voglio dire chiaro: se non ci fosse stato Sabatini oggi la Virtus non ci sarebbe più. Non dimentichiamo quello che ha fatto per dieci anni. E sono stati anni difficili, complicati. Claudio ha ricostruito la Virtus. Certo, qualche errore c’è stato, quello è inevitabile. Ma se peso le cose positive e quelle negative, beh sono molte di più quelle positive. Per questo mi spiace quando si dice che sono stati anni fallimentari. Non è affatto vero, ricordiamoci come eravamo messi dieci anni fa.
In cosa dovrà distinguersi la Virtus dalle altre squadre? Ci siamo sempre distinti. Ora l’importante è dimostrare che siamo una società sana, con dei valori. I giocatori devono trovare gratificazione nel venire alla Virtus non tanto perchè si guadagna, ma perchè è la Virtus, un club che ha una storia gloriosa alle spalle e un futuro che vuole essere vincente.
Cosa serve per vincere? E chi lo sa? Non sempre la chimica delle vittorie è la stessa. Bisogna costruire una buona squadra, e ripeto - partendo dagli americani - ci deve essere una società solida alle spalle, e poi serve fortuna. Guardate Roma: sono stati bravissimi, ma vi ricordate come erano messi all’inizio dell’anno? Manco dovevano esserci. Ora sono in semifinale con la finale lì, a portata di mano. Questo per dire che ogni stagione fa gara a sè.
Bisogna creare le premesse per fare bene? Quelle ci sono. Mettiamola giù così: le persone ci sono, la buona volontà pure. Se oltre a queste componenti avremo fortuna anche nello scegliere gli uomini giusti, allora la Virtus qualcosa di buono potrà farlo...

PAGLIUCA: "VIRTUS, PASSIONE DI UNA VITA"

La Sinudyne, Kreso, gli amici da Benso: ricordi di un virtussino doc

di Marco Tarozzi - www.virtus.it - 31/10/2014

 

Gianluca Pagliuca, quando è scattata la passione per la Virtus?

“Ero bambino. Andavo a veder giocare la vecchia Sinudyne. Nessuna eredità familiare, ai miei genitori non interessava il basket, e se devo dire la verità nemmeno troppo il calcio. Non so da chi ho preso la mia vocazione per lo sport. I miei primi idoli sono stati il grande Kreso Cosic, Marquinho, Jim Mc Millian. Poi mi sono esaltato negli anni di Van Breda Kolff e Rolle, Villalta, Brunamonti e Bonamico, quelli dello scudetto della Stella, nel 1984. Rivederli quasi tutti insieme per la festa del trent’anni, la scorsa stagione, è stata un’emozione unica. Sono tornato indietro a quegli anni, quando ero poco più che un ragazzo”.

Le sono rimasti nel cuore, quei campioni?

“Ho un ricordo particolare di Cosic, che era mormone e faceva opera di proselitismo anche a Bologna. Una mattina me lo trovai alla porta di casa, e restai felicemente sorpreso: il mio idolo che veniva a trovarmi a domicilio…”

Ne ha visti passare tanti, in una vita da tifoso.

“Ho legato molto con Roberto Brunamonti. Il lunedì dopo le partite, anche quando ero all’Inter o alla Sampdoria, l’appuntamento al suo ristorante, “da Benso”, era un classico. Lui arrivava sempre con Flavione Carera, e un giorno mi portò Danilovic perché gli avevo detto che volevo conoscerlo. Anche con Sasha è nato un bel rapporto. Ricordo il sabato sera prima di gara5 di finale scudetto con Pesaro, nel 1994: cenai insieme a Coldebella, Myers, Danilovic, tutti insieme. Per me che venivo dal calcio era una cosa impensabile..”

Il più amato?

“Sasha, sicuramente. E Roberto, con cui mi sento ancora molto spesso”.

Che idea si è fatto della Virtus di oggi?

“Per quello che ho visto, mi piace. Ma ho ancora in mente l’inizio della passata stagione, in cui mi ero illuso, e allora preferisco restare con i piedi per terra. Però ci sono bei segnali, ho visto Imbrò e Fontecchio molto migliorati e questo fa piacere, perché sono ragazzi cresciuti in casa nostra. Mazzola contro Caserta è stato super, averlo sempre così sarebbe il massimo. Vedo appena indietro Gilchrist e Hazell, ma ci sarà tempo anche per loro”.

Dove può arrivare questa squadra, secondo lei?

“Spero in un campionato da metà classifica, però penso anche alla stagione che ha fatto Pistoia l’anno scorso e sogno un po’… Chiaro che in casi del genere tutto deve funzionare al meglio, e ci vuole anche una buona dose di fortuna. L’anno scorso abbiamo perso tante partite per un punto o due, a conti fatti con qualche vittoria in più avremmo fatto un bilancio diverso”.

L’entrata in Fondazione Virtus: un gesto d’amore?

“Totale e assoluto. Volevo dare un contributo alla squadra che amo, potevo farlo e non ci ho pensato due volte. Sono felice di quella scelta. E siamo un bel gruppo, andiamo avanti convinti. Amiamo questi colori”.

 

UOMINI DI BASKET - A TU PER TU CON GIANLUCA PAGLIUCA

Abbiamo intervistato l'ex portiere della nazionale che ci ha raccontato diversi aneddoti sulla sua passione per la pallacanestro

di Massimo Mattacheo - wwwbasketindside.com - 22/03/2017

 

Una passione per la pallacanestro che nasce fin da quando era ragazzo, cosa normale per chi cresce a Bologna: abbiamo intervistato Gianluca Pagliuca, ex portiere di Sampdoria, Inter, Bologna e Ascoli, oltre che della Nazionale. Ci ha raccontato del suo tifo per la Virtus, dei grandi giocatori che ha visto passare a Bologna, oltre a un curioso e divertente aneddoto legato alla stagione ’98, quando difendeva i pali dell’Inter.
Ciao Gianluca, quando nasce la tua passione per la pallacanestro?
“Fin da quando ero ragazzo, a Bologna è normale che ci si avvicini alla pallacanestro. Ho iniziato a seguire la Sinudyne Bologna, fin dagli anni Settanta sono sempre andato al palazzetto. Poi ricordo con piacere la Buckler e la Kinder: sono stati anni ricchi di soddisfazioni, in cui ho visto giocare diversi giocatori molto forti”.

Hai seguito solo la Virtus o segui anche altro nella pallacanestro?

“Io sono virtussino fino al midollo, però adoro anche l’EuroLega, più che la NBA. Mi piace guardare il basket europeo perché è un gioco più fisico, vedo squadre che difendono. La NBA è bella da vedere nel momento in cui ci sono le Finals, lì le squadre giocano per davvero: io gioco anche a Bologna nel CSI, mi piace ed è un gioco molto fisico, molto simile a quello dell’EuroLega. Ho sempre seguito anche la Serie A ma quest’anno, essendo virtussino, la sto seguendo meno rispetto al passato”.

A proposito di basket americano, cosa pensi dell’All-Star Game? Pensi sia utile solo per lo spettacolo?

“Sì, è utile per lo spettacolo. Mi diverto a vederlo però penso che la NBA sia davvero bella nel momento in cui le squadra arrivano ai playoff: durante la stagione i giocatori non difendono molto. E’ un meccanismo molto legato allo spettacolo, soprattutto per quanto riguarda il campionato regolare”.

A proposito di Virtus, c’è un’annata che ricordi con piacere?

“Sicuramente la stagione 1997/98, quando abbiamo vinto la nostra prima EuroLega in finale contro l’AEK Atene. Poco dopo abbiamo trionfato anche in campionato contro la Teamsystem, con la partita del tiro da 4 punti di Danilovic”.

Hai seguito la pallacanestro a Bologna e la Virtus in particolare per tanti anni. C’è un giocatore di cui hai un ricordo in particolare?

“Ti posso dire Renato Brunamonti, Villalta, Danilovic e Ginobili. Sono stati tutti grandi giocatori con la maglia della Virtus: Brunamonti ha dato tanto, ma senza dubbio Danilovic è stato incredibile, ha vinto Scudetti ed EuroLega: è stato un giocatore molto forte, tornando a Bologna dopo la sua esperienza in America ed essendo ancora decisivo”.

Tu che li hai visti giocare entrambi, quali sono le differenze tra Danilovic e Ginobili? A livello di carisma, talento e altro.

“Penso che a livello di carisma Danilovic sia imbattibile, Ginobili aveva meno carisma di lui. Ginobili arrivò alla Virtus che era un giocatore giovane, vero che anche Sasha quandò arrivò a Bologna la prima volta era giovane, ma aveva già avuto diverse esperienze e si era rivelato un giocatore dal carisma molto forte. C’è da dire anche che Danilovic aveva la capacità di rendere al meglio anche sotto pressione: quando doveva segnare un canestro importante lo metteva sempre. In questo è stato incredibile”.

A proposito di Sasha: da bolognese e virtussino, come hai vissuto il momento dell’annuncio del ritiro?

“E’ una cosa che era già nell’aria, probabilmente Danilovic non aveva più la determinazione necessaria e ha preferito lasciare nel momento in cui era all’apice della carriera e aveva vinto tutto. Penso avesse capito che in quella squadra ci sarebbe stato meno spazio per lui, forse avrebbe giocato pochi minuti, quindi ha deciso di lasciare. La Virtus aveva già Rigaudeau, arrivarono Griffith e Jaric, era in atto un processo di cambiamento e Danilovic decise di lasciare”.

C’è un aneddoto particolare legato a una partita che ricordi?

“Sì, mi ricordo la partita di EuroLega tra la Kinder e la Teamsystem, nella stagione 1997/98. La partita della rissa di EuroLega: io ero in parterre a quella gara. All’epoca giocavo nell’Inter e avevo chiesto il permesso di potere andare a Bologna a vedere la partita – si giocava di martedì o di giovedì – e l’allora allenatore della squadra, che era Gigi Simoni, non mi diede il permesso per andare. Allora c’era TELE+, le telecamere mi ripresero e mi inquadrarono: quando tornai, l’Inter mi fece una multa. Era marzo e ci stavamo giocando lo Scudetto: a pensarci adesso viene da ridere, ma allora andò così”.

 

PAGLIUCA: STIMO MESSINA MA HA DETTO COSE CHE NON SONO PIACIUTE, PER NON DIRE DEL TATUAGGIO

tratto da bolognabasket.it - 08/11/2022

 

Sentito da Massimo Vitali per il Carlino Bologna, Gianluca Pagliuca ha parlato anche di basket.

“Scariolo mi ha detto che la Virtus è forte, ma in Eurolega non ci sono squadre deboli, puoi vincere e perdere con chiunque. E infatti la Virtus ha vinto sul campo del Real Madrid e poi ha perso in casa con Villeurbanne. Firmerei subito per non fare i playoff in Europa ma essere di nuovo campione d’Italia.
Di Ettore Messina ho una grandissima stima. Però l’anno scorso ha detto cose che non mi sono piaciute, per non dire del tatuaggio: hai vinto tutto quello che c’era da vincere con la Virtus, da allenatore di Milano vinci uno scudetto battendo in finale proprio la Virtus e lo celebri con un tatuaggio?”


 

 

Alberto Tomba (foto tratta da www.basketnet.it)

TOMBA: “GRANAROLO, FAI UN GIRONE DI RITORNO COME LE MIE SECONDE MANCHES…”

di Marco Tarozzi - www.virtus.it - 23/01/2015
 


Se a qualcuno fosse sfuggito, segnaliamo che il più grande atleta italiano del Ventesimo secolo tifa Virtus. Ed è una cosa fantastica: per lui, che nel giugno scorso si è visto assegnare questo riconoscimento dal Coni, votato da appassionati di sport e da tanti atleti di vertice che hanno deciso che è stato il migliore di tutti loro. Ma anche per il mondo bianconero, che si tiene stretto questo figlio della pianura che ha saputo dettare legge tra la gente di montagna.

Alberto Tomba, il più grande sciatore che abbiamo avuto la fortuna di vedere in azione, sorride se gli ricordi i suoi incroci con la V nera. Perché i suoi anni migliori, a rileggerli, coincidono con un grande periodo della sua squadra del cuore. Tra 1987 e 1998, un elenco di successi da far paura. Per Alberto: tre ori e due argenti alle Olimpiadi, due ori e due bronzi mondiali, una Coppa del Mondo generale e otto di specialità, 50 vittorie e 89 podii in gare di Coppa del Mondo. Per la Virtus: quattro scudetti, una Coppa delle Coppe, tre Coppe Italia e una Supercoppa italiana, chiudendo con l’Eurolega, la prima della sua storia, nel ’98. Bologna e i suoi campioni non le raccontavano, le storie di sport. Le scrivevano.

È stata una grande avventura, più di quanto mi aspettassi. Ed è durata a lungo, forse anche perché ho saputo prenderla a modo mio, sempre divertendomi e senza farmi schiacciare dalla pressione. Sono fatto così, da sempre. Con la Virtus di quei tempi ci dividevamo le pagine dei giornali, ma io sono tifoso da molto prima. E finché gli impegni con lo sci non mi hanno portato in giro per il mondo, sono stato un “sostenitore praticante”. Da ragazzino andavo al PalaDozza, che allora era semplicemente il palasport di piazza Azzarita, quasi ogni domenica.

Anche perché l’amore per la Virtus si respirava praticamente in casa.

È così. Mio zio Fiero Gandolfi è stato presidente dal 1971 al 1976. Sono anni di formazione, per un bambino: se ti appassioni a un simbolo, a certi colori, te li porti addosso per tutta la vita. E così è stato anche per me. Ho iniziato a frequentare il palazzo, appunto. Finché non ho preso la strada dei monti…

In realtà, la passione l’ha riportata altre volte a bordocampo, nonostante tutto.

Ci sono tornato, certo, e anche quando ero lontano tenevo monitorata la situazione, anche se magari non era semplice come oggi, con internet e i social che ti tengono aggiornato in tempo reale. Erano anni belli, intensi. Come tanti, ho “sbandato” per un giocatore come Sasha Danilovic, mi sono innamorato del suo spirito vincente.

E nel tempo siete anche diventati amici, perché tra i grandi campioni nasce quasi sempre un’empatia che li fa sentire in qualche modo simili.

Lo considero un amico, sì. Ci sentiamo spesso, anche l’anno scorso quando la società ha ritirato il numero 5 mi ha cercato, ma io ero da qualche parte nel mondo, impegnato per campagne promozionali. In un paio di occasioni sono stato al centro di eventi legati allo sci a Belgrado, lui mi ha raggiunto e siamo andati a cena insieme. Ne ricordo una, cinque anni fa, in cui portò con sé Nole Djokovic e passammo una serata indimenticabile.

Quando lei frequentava il PalaDozza in campo c’era Renato Villalta. Oggi lo ritrova come presidente. Che ne pensa?

Anche Renato è un amico, una grande persona. Poi, certo, non è che arriva un grande della pallacanestro al timone e di colpo la squadra si rimette a vincere tutto. Ci vuole tempo, pazienza. Non è stato un momento facile per la Virtus, è ancora delicato a quanto capisco. Ma lui ha esperienza, da giocatore ha fatto quello che ha fatto e nella vita professionale ha saputo dire la sua. È una garanzia.

Sta seguendo la stagione della squadra?

Mi informo sempre. Siamo lì, nel gruppone, non vedo squadre stellari a parte Milano e le primissime. Ora c’è da affrontare Sassari, che è seconda in classifica e molto solida. Sarebbe bello fare un bel colpo, come con Reggio Emilia. Fin qui, soprattutto in casa, la Virtus è stata una squadra di giovani lottatori. Sai cosa mi piacerebbe? Che nel girone di ritorno questi ragazzi facessero qualcosa di simile a quello che facevo io nelle seconde manches delle mie gare. Hai presente?

Eccome. Chi le ha dimenticate, quelle seconde manches. Significherebbe arrivare chissà dove… Ma la Virtus di Villalta e Valli vuole costruire, prima di tutto. Piccoli passi, ma significativi.

E fa bene. I progressi, soprattutto nello spirito di gruppo, si vedono. E allora è giusto provarci, gara dopo gara, magari senza fare troppi calcoli di classifica. Io facevo così, sciavo prima di tutto per il gusto di farlo.

Prometta che ci tornerà, a vedere la Granarolo dal parterre della Unipol Arena.

L’inverno è ancora bello pieno, per fortuna. Sono impegnato nella promozione di diverse località sciistiche, nei prossimi giorni sarà a Monaco di Baviera, ad una fiera in cui la Mico lancerà un nuovo underwear firmato da me. Viaggio in Francia, Svizzera, andrò anche in Bulgaria per la Coppa del Mondo. Vivo ancora tanto tempo della mia vita in montagna, sarà per questo che ho acquistato solo case in posti di mare per i momenti di riposo…

Quindi, la promessa?

Ci sarò, sicuro. Anzi, facciamo così, lasciatemi mandare un messaggio ai ragazzi: fate in modo di avvicinarvi il più possibile ai playoff, fatemi sognare che poi arrivo a darvi la carica.

Parola di Alberto Tomba. Il migliore di tutti. Campione di un secolo di sport. Bolognese. Virtussino.

 

Paolo Negro con la maglia del Bologna

PAOLO BIANCO... NEGRO

di Jorge De Carvalho - Bianconero n. 8/anno 2 - aprile 1998

 

Grande virtussino!

Sì, può scriverlo, che sono un gran virtussino. Magari non tutti lo sapevano fino a quando non mi hanno visto in tivù con il cappellino della Virtus, dialogando con Bulgarelli che invece è dell'altra sponda.

Ma tu sei vicentino. Come hai fatto a diventare tifoso bianconero?

Tutta colpa della mia fidanzata Lara, che è bolognese e grande tifosa della Virtus.

Raccontaci tutto...

Beh, quando ho iniziato a frequentare Lara giocavo allora nel Bologna, e un po' alla volta ho cominciato a guardare la Virtus. Poi sono diventato tifoso, ma un tifoso proprio DOC.

Un po' come Tarossi per i cugini?

Non so bene quanto sia tifoso lui, per quanto mi riguarda ti dico che se in televisione c'è il calcio e la Virtus, non c'è dubbio, io guardo la Virtus.

Quando hai iniziato a seguire la squadra, chi ti impressionava di più come giocatore?

Nessuno in particolare, non avevo punti di riferimento. Per me contava la squadra e più sono passati gli anni più sono diventato tifoso.

Anche quando sei partito da Bologna?

È chiaro, anche se ora non è facile vederla dal vivo. Ogni occasione però è buona. Per esempio quest'anno l'ho vista due volte qui a Roma e ogni volta che c'è la partita in tv soffro moltissimo. Per esempio, sai che sia Mancini che Ballotta tengono per la Fortitudo!? Dopo l'ultimo derby che abbiamo vinto li ho fatti "morire". Ho attaccato i fogli dei giornali con il risultato dentro lo spogliatoio. Non puoi capire che goduria!

In questa stagione così importante per le V nere, quale dei nostri giocatori vedi più simile a te come giocatore e atleta?

Per me è difficile scegliere, conta soprattutto la squadra, ma se devo farlo, direi Abbio, che è un ottimo difensore e utilizza benissimo il fisico quando gioca.

La stagione sta volgendo alla fine e la tua Virtus è impegnata su importanti fronti, sia in Europa che in Italia. Pensi di trovare il tempo per andare a vedere i bianconeri?

L'Eurolega penso che la vedrò in televisione perché la Lazio oltre che in campionato e molto impegnata anche con le finali di coppa UEFA e Coppa Italia. Per quanto riguarda la serie della finale scudetto tutto dipende se verrò o meno convocato per i mondiali di Francia. In ogni caso starò comunque lì a soffrire e a fare un GRAN TIFO PER LA VIRTUS!

GIANCARLO MAROCCHI: UN VIRTUSSINO SPECIALE

Intervista al capitano del Bologna F.C. 1909, unico virtussino tra i giocatori rossoblù

di Jorge de Carvalho - Bianconero - 1997/98

 

Non tutti sanno che Giancarlo Marocchi, capitano del Bologna F.C. 1909, è l'unico tifoso Virtus tra i giocatori rossoblù ed è anche socio onorario del Virtus Club dei 100. Scopriamo dal suo racconto, i motivi che lo hanno portato a scegliere la metà bianconera della città dei canestri.

"Sono virtussino perché quando si parla di basket a Bologna bisogna scegliere da quale parte stare. Lo sono diventato solo dopo il mio arrivo al Bologna quando avevo 17 anni. Prima mi interessavo quasi esclusivamente di calcio... ma quando vivi a Bologna e automaticamente senti parlare in continuazione di basket, essendo una componente importantissima di questa città, a quel punto devi scegliere ed io ho scelto la Virtus".

C'è un'analogia nel colore delle tue scelte. Dopo la Virtus... la Juve!

"Sì, anche se in tempi diversi, ho preferito gli stessi colori. Forse il bianconero era un segno del destino".

Tra i campioni che hai visto giocare in maglia Virtus, qual è il tuo preferito?

"Più che il giocatore, direi i giocatori. Secondo me Brunamonti e Binelli, perché sono le due bandiere della Virtus. Trai giovani invece mi piace molto Abbio e da tifoso vorrei sempre vedere Danilovic andare a canestro. Brunamonti, perché era un regista, e Abbio per il suo spirito combattente e di squadra, hanno ruoli in qualche modo simili al mio".

Da quando sei tornato a vestire la maglia del Bologna hai trovato una realtà diversa del basket in città, con la crescita dei "cugini" ed una rivalità accesa tra due squadre di vertice. Come senti questa situazione all'interno dello spogliatoio del Bologna, dove sei a quanto pare, l'unico di fede bianconera?

"L'anno scorso l'ho vissuta molto male. I risultati non ci davano ragione ed era difficile difendere la Virtus, però ero certo che sarebbe stata solo una parentesi ed infatti basta guardare ai risultati ottenuti questa stagione".

Diciamo quindi che il mercato di questo inizio stagione ti è stato in qualche modo favorevole con le partenze di Tarozzi e De Marchi?

"Sì, erano soprattutto loro due, grandi tifosi biancoblù, che trascinavano gli altri al tifo per la Fortitudo. A me poi questa situazione di contrasto derivante dal derby è sempre piaciuta. Anche nel calcio, quando giocavo a Torino, era bello attendere il derby per "sfottersi", per divertirsi, senza alcun tipo di rivalità che vada oltre a questo. Il derby per me è divertirsi e prendere un po' in giro la controparte e proprio per questo l'anno scorso per me è stata una brutta stagione".

È innegabile che, visti i risultati ottenuti, l'attuale Virtus è una squadra fortissima. L'hai già vista all'opera?

"In campionato no. Purtroppo la domenica sera non sono nelle migliori condizioni per gustarmi una partita di pallacanestro. Però le partite di Eurolega le ho viste tutte in tv. Spero tanto che il '98 continui come gli ultimi mesi del 1997e penso prima della fine della stagione di poter venire di persona al palasport a TIFARE VIRTUS".

 

  

Giancarlo Marocchi e Oscar Magoni

UNA STAGIONE VISSUTA INTENSAMENTE

di Jorge de Carvalho - Bianconero numero speciale giugno 1998

 

Come la stagione di vittorie più prestigiose della Virtus ha fatto gioire e soffrire il mondo del calcio nell'anno dei mondiali di Francia '98. Il riferimento è sin troppo facile da indovinare, perché a difendere le reti degli azzurri di Maldini c'è un Virtussino, Gianluca Pagliuca. Si è dovuto accontentare di guardarli in tivù, Danilovic e soci durante la conquista della Coppa dei Campioni ma per lo scudetto la storia è stata diversa, Gianluca era sul parterre del PalaMalaguti, a soffire (non è stato facile assorbire due sconfitte consecutive in casa) e a gioire (tantissimo) alla fine di gara cinque e un supplementare.

C'era anche Andrea Tarozzi durante le finali. Teso, speranzoso, anche festante quando poco prima del termine di gara 4 e 5 il titolo sembrava verso la "sua" F scudata. Poi la tristezza del titolo sfumato per un niente ma anche l'orgoglio di stare dalla parte della squadra che più ha messo in discussione la supremazia dei bianconeri.

Questa volta Paolo Negro non ha dovuto guardare la sua squadra del cuore in televisione. Era lì, a Casalecchio, in carne ed ossa (Maldini non l'ha portato ai Mondiali. Speriamo non se ne venga a pentire!). Ci siamo visti prima dell'inizio di gara3 e sorrideva. A fine gara ci siamo incrociati in silenzio. Poi, dopo il messo miracolo di gara4 con la bomba di Abbio che obbligava Basket City al quinto ed ultimo sforzo, l'operazione si è invertita. Poche parole prima della "bella" e poi il naturale sfogo gioioso quando la Fortitudo capitolava sotto i colpi di Sasha nel supplementare. L'ho perso di vista poco dopo il fischio finale e lì per lì mi è venuto in mento che non vorrei essere nei panni di Mancini e Ballotta (tifosi biancoblù) quando dovranno ritrovare Paolo nello spogliatoio laziale.

Già lo si sapeva di capitan Marocchi (grande stagione la sua con la maglia rossoblù), ricorderete le sue parole "quando vivi a Bologna devi scegliere ed io ho scelto la Virtus!", ma di recente ho saputo che anche Oscar Magoni (quello mai dato in formazione dai media ad inizio stagione ma che poi si impone sempre come titolare inamovibile) è inclinato verso i colori bianconeri della Virtus. Per i due annata da ricordare, sia per il girone di ritorno dei rossoblù che per i trionfi della Kinder.

Ultimo appunto. Gara 5 di finale. Il momento era quel piccolo intervallo tra la fine del secondo tempo e l'inizio del supplementare di Dnailovic. Il pubblico si stava ancora riprendendo dalle forti emozioni che gli ultimi secondi (del secondo tempo) avevano riservato, facendo pendere il favoritismo da una e dall'altra parte ad ogni rovesciamento di fronte. Io tornavo di corsa dalla sala stampa. Era il momento della palla a due che poi ha deciso il titolo. C'era uno spettatore che scendeva velocemente le scale della tribuna sopra il parterre e mi sembrò si avviasse verso l'uscita.

Era Marco De Marchi. Gli anni con la maglia del Bologna gli hanno lasciato la passione per la Fortitudo e lui, che era lì a tifare per la squadra che non ha vinto, incredulo per il fallo di Wilkins, su Sasha e per la palla persa di Rivers sull'ultimo assalto al canestro bianconero, se ne andò, prima della fine.

Vitali, ex-sindaco di Bologna e senatore

Introduzione al libro "IL MITO DELLA VNERA 2"

Walter Vitali, all'epoca sindaco di Bologna

 

Bologna la dotta, la rossa, la grassa e... la cestistica.

Il basket - termine inglese ormai imprescindibile che ha sostituito pallacanestro, parola che a sua volta prese il posto negli anni '50 della vecchia espressione palla al cesto - fa ormai parte del sangue che scorre nelle vene di Bologna.

E in qualche modo davvero il basket mobilita al meglio le virtù dei bolognesi: non violenza, senso critico e competenza, partecipazione, amore per il bello e il ben riuscito.

Il basket è uno sport meraviglioso, e la Virtus ha il merito storico di averlo regalato per sempre a Bologna.

Al di là della scelta contingente del tifo, i bolognesi che amano lo sport non possono non dirsi virtussini. Non per gli innumerevoli trofei vinti dalle "V" nere, ma per la cultura sportiva globale che questa gloriosa società ha immesso nella tradizione di Bologna da oltre un secolo.

La Virtus ha anticipato con la sua attività polisportiva la modernità della vita sociale quale oggi la conosciamo, dove l'attività fisica ha recuperato il suo valore di virtù, superando la svalutazione del corpo che la cultura tardo-romantica aveva introdotto nelle abitudini e nei comportamenti dei cittadini.

La storia dello sport italiano è debitrice a questa società che, prima fra tantissime, ha compreso che tutto quanto è giusto realizzare nel mondo è già realizzato nello sport come attività completa: parità di condizioni, lealtà reciproca, promozione dei migliori, rispetto dell'avversario, sforzo collettivo per un fine condiviso.

è con grande orgoglio cittadino, prima che di bolognese e di sportivo, che saluto questa iniziativa, che vuole ricordare a tutti un percorso entusiasmante, per rilanciare nuovi nobili entusiasmi nel cuore dei giovani e di noi tutti.

EVELINA CHRISTILLIN, TIFOSA ECCELLENTE

tratto da Il Resto del Carlino - 16/09/2003

 

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La Virtus scopre una tifosa eccellente all'interno della Giunta Coni. Qual è la tifosa eccellente? Si tratta di Evelina Christillin, , vice presidente del comitato per le Olimpiadi di Torino 2006, ieri in Sala Borsa, per presentare l'appuntamento invernale. "Sono un'appassionata di basket e sono tifosa Virtus.

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Forse perché Alfredo Cazzola mi ha fatto conoscere questa squadra. Ho seguito con attenzione quello che è accaduto durante l'estate. Ma se posso fare qualcosa...".

...

 

 

(foto tratta da www.bdtorino.eu)

Silvia Noè, politica e sventolatrice di pellicce

L'INTERVISTA: SILVIA NOÈ

di Alessio Torri - Bianconero 1/2005

 

Gradita ospite di “Bianconero”, a raccontarci la sua virtussinità è oggi la Dott.ssa Silvia Noè, presidente di Unionapi, libera associazione costituita dalle API - Associazioni Territoriali delle piccole e medie imprese dell'Emilia Romagna. Comprendente oltre 3.500 imprese con circa 80.000 dipendenti, Unionapi opera in stretto rapporto con le Api Territoriali, che in ogni città offrono servizi alle aziende associate e contribuisce alla definizione di strategie ed obiettivi comuni, intervenendo direttamente sulle tematiche che riguardano l'intero sistema produttivo regionale.

Da dove nasce la passione per la Virtus?

Più che passione oserei dire che è una questione di DNA! In famiglia, e più precisamente mio padre è sempre stato virtussino.

Quali i nomi, i momenti, le situazioni del mondo bianconero a cui è più legata?

Brunamonti per la sua classe. Villalta per il suo tiro dalla mattonella. Richardson per la sua estrosità. Danilovic per la sua grinta. Ginobili per il suo talento. Messina per la sua professionalità.

I momenti positivi?

Tutti gli scudetti, in particolare l’ultimo col miracolo del basket: il “tiro da 4” di Danilovic; il candelotto dello stesso Sasha durante la semifinale a Monaco contro la Fortitudo; tutta l’avventura di Barcellona e la trasferta di Vitoria.

Quelli negativi?

In primis la morte di Chicco Ravaglia, l’uscita di Messina dalla società, l’esclusione della Virtus dalla serie A per le recenti vicende finanziarie.

Già in passato s’è mostrata sensibile alle esigenze dei giovani con iniziative legate alle scelte scolastiche. Oggi lo stesso Palamalaguti sta pian piano divenendo motivo di aggregazione per famiglie, luogo sicuro in cui portare i figli, facendoli crescere con quella cultura sportiva (dal rispetto per l’avversario fino al sano valore della competizione) talvolta obliata. Una Sua valutazione in merito al progetto messo a punto e sviluppato dalla stessa Virtus Pallacanestro verso un nuovo approccio al Palasport, attraverso attività collaterali.

Apprezzo e stimo tutti coloro che pongono al centro delle loro iniziative i giovani e le famiglie. E’ molto bella l’idea della Virtus di invitare i bambini alle gare di basket, così aiutano le famiglie ad avvicinare i propri figli ad un ambiente sano come quello sportivo.

Una buona fetta del pubblico bianconero è oggi composto dal gentil sesso, sfatando l’antico luogo comune che stadi e palasport siano ambienti prettamente maschili. Come si pone innanzi a tale prerogativa?

La passione non ha sesso, in particolare verso lo sport. Se il basket ti piace, tanto più a Bologna, si va a “palazzo”. È un altro il palazzo in cui le donne fanno più fatica ad entrare, e si trova a Roma!

Dopo le note vicissitudini oggi la Virtus Pallacanestro sta via via recuperando tutti quegli antichi valori di cui è sempre stata portatrice. In campo e fuori. Come contestualizzare questo rinnovato ottimismo nell’ottica di un movimento sportivo invece in chiara difficoltà nel coinvolgere il mondo imprenditoriale?

L’imprenditore ha sempre considerato lo sport uno strumento interessante per veicolare un marchio. Oggi però, la congiuntura economica porta l’impresa ad essere più attenta verso le forme di investimento tecnologiche piuttosto che promozionali.

Infine un augurio per questo 2005 virtussino.

Prima di dirle cosa mi auguro per il 2005, desidero ringraziare Claudio Sabatini e tutti coloro che l’hanno aiutato a recuperare la nostra mitica Virtus. E poi l’augurio che il 2005 ci riporti a casa: in serie A! Incrociamo le dita.

Ma questa non è una squadra, è un Virtuseidon!

E LE STAR DISSERO CHE...

di Mario Amorese e Piergiorgio Pastonesi - Giganti del Basket - Maggio 1984

 

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Gigi e Andrea, attori comici: "Siamo sfegatati tifosi della Granarolo, e speriamo in un finale in crescendo della Virtus. Il nostro grande auspicio è che la cabala giochi a favore della Granarolo. Non c'è niente da fare: la passione per la Virtus è troppa. Anzi, noi siamo in lista d'attesa per avere tessere o biglietti per il Palasport di Piazza Azzarita. Purtroppo in questo periodo siamo sempre in giro per lavoro e non riusciamo ad andare a vedere le partite della nostra squadra del cuore. Va aggiunto che la Simac straccerà tutte le altre squadre, arriverà alla finale e si troverà di fronte probabilmente la Granarolo. Speriamo che non stracci anche lei".

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Il filosofo Stefano Bonaga

BONAGA: «NOI SIAMO L'ETERNO RITORNO»

di Alessandro Gallo - Il Resto del Carlino - 03/12/2005


Stefano Bonaga, docente di antropologia filosofica alla facoltà di Scienze della Formazione dell’Alma Mater Studiorum e tifoso Virtus: domani sarà in piazza Azzarita?

No. Guarderò il derby alla televisione.

Possiamo chiederle una definizione filosofica di Virtus?

Prego?

Sì. Virtus e Fortitudo, due società rivali. Due club diversi e, forse, anche due modi differenti di affrontare la realtà, le discussioni.

Possiamo farlo, ma prima dovete concedermi un’opportuna premessa.

Ovvero?

Passatemi la battuta. Proviamo a trovare una definizione adeguata, diciamo così, senza perdere mai di vista il senso del ridicolo, pur ricorrendo a un linguaggio filosofico.

Per lei la Virtus è…

Per me è l’eterno ritorno dell’essere. In contrapposizione alla Fortitudo, che può essere considerata il divenire. La Virtus ritorna sempre. Lo dimostra, risultati alla mano, il suo ritorno in serie A. Lo dimostra questo primo posto.

Se l’aspettava una Virtus così in alto?

Non me l’aspettavo io, ma non credo nemmeno fosse nei pensieri del più ottimista dei tifosi. E che la Virtus sia tornata così in alto è una conferma, in fondo, del suo carattere sacro. La Virtus è stabile, la Fortitudo volatile. Me lo faccia dire, ripeto, senza prendersi troppo sul serio. Detto questo, però, resta anche la mia soddisfazione di una squadra che ha ritrovato il primo posto. Di una squadra che, appunto, è tornata là dove doveva essere.

Pronostico secco su questa sfida che una città aspetta?

No. Lasciamo perdere i pronostici.

Giorgio Bonaga ai Giardini Margherita nella squadra delle Vecchie Glorie, sullo sfondo Paolo Moretti (foto tratta dal Corriere di Bologna)

GIORGIO BONAGA E LA VIRTUS

www.virtus.it - 03/04/2015

 

Accademico, pensatore libero, acuto e mai banale, bolognese che conta senza pretenderlo, affascinante crocevia di scienza e filosofia, convincente senza mai prevaricare. Sportivo vero, naturalmente: per trascorsi, passione e mentalità. Segni particolari? Virtussino nell’anima.

Ci è cresciuto, Giorgio Bonaga, con la canotta e la fede bianconera addosso. In quei favolosi anni Sessanta a metà dei quali approdò anche alla prima squadra. “Stagione 1964/65. Ero “aggregato”, allora si diceva così. Giovane all’ultimo anno tra gli juniores, in prima squadra c’erano Giomo, Calebotta, Pellanera, Alesini, e poi Dado Lombardi che segnava a raffica. L’anno dopo misero dentro Giovanni Dondi Dall’Orologio, che era il figlio del presidente, e la strada si chiuse. Io ero cresciuto nel vivaio, mi ero fatto tutta la trafila fino alla categoria juniores. A quel punto successe che la squadra della GD, che si stava mettendo in luce, ricevette il sostegno di Isabella Seragnoli e sotto l’egida della casamadre Gira fu attrezzata per una Serie B di livello. Finii in quel gruppo, dove ricevetti i miei primi soldi, che mi facevano anche comodo. Fin lì avevo giocato per la gloria, cominciai a farlo anche per “vil danaro”. Roba da 300mila lire al mese, che per un ragazzo di vent’anni erano una bella sommetta”.

Venne fuori lì la famosa litanìa. “Bonaga è meglio di Raga”…

Già, opera di Tullio e Maurizio Ferro. Noi della GD giocavamo alle 15, prima della Fortitudo. Iniziarono con quella cantilena che richiamava a Manuel Raga, il messicano di Varese, grandi doti atletiche e un’elevazione mai vista. Io molto discretamente cercavo di farli smettere. Perché era chiaro che Raga era molto, ma molto meglio di Bonaga.

Perché, che giocatore era Bonaga?

Diciamo di medio livello, ma con una mia popolarità. Ma soltanto perché ero piccolo… Ero molto veloce, questo sì. Avevo caratteristiche di dinamismo che per quei tempi erano inadatte. Insomma: quasi nessuno aveva un’accelerazione del genere, ma tanto poi dovevo fermarmi, perché era un basket lento. I lunghi, allora, dovevi aspettarli. A Calebotta dicevo sempre: Nino, ti chiamerò “controflusso”, ti trovi sempre in attacco quando difendiamo e in difesa quando attacchiamo. Ma la realtà è che lui era un grande lungo, per quell’epoca.

Dopo, la Virtus è diventata la passione da coltivare.

È rimasta, direi. Come la pallacanestro. Anche se adesso a palazzo ci vado poco, e c’è stato un lungo periodo in cui avevo proprio smesso. Lo ammetto, sono uno di quelli che pensano che il terreno che aveva generato Basket City si sia un po’ sgretolato sotto i nostri piedi, e non è colpa di questo o quello ma di un declino generalizzato che è passato anche da qui. Il basket europeo, e quello italiano in particolare, oggi hanno giocatori di livello medio rispetto a un tempo. Giocatori atleticamente fortissimi, intendiamoci, perché questo da noi è diventato uno sport superatletico ma molto meno tecnico. Ripeto, è un problema generale. Non voglio fare l’analista, o esaltare una nazione che non amo necessariamente in tutte le sue espressioni, ma è un fatto che negli Usa l’idea sana è che dovendo catturare il consenso, tutto il mondo che ruota intorno a una disciplina viaggia nella stessa direzione. Da noi una squadra come Siena, vincendo sette campionati di fila, al di là di quello che c’era dietro, ha fatto l’interesse di una sola società, non di un intero movimento, distruggendo piazze storiche.

È un fatto, però, che adesso l’abbiamo rivista alla Unipol Arena.

“La passione non svanisce mai. E penso che Renato Villalta e quelli che lavorano con lui si stiano impegnando enormemente per dare una strada alla Virtus. Sì, mi sono riavvicinato a partire dalla partita in casa con Milano della passata stagione, tra l’altro vinta contro ogni pronostico. E anche quest’anno va così, ogni volta che vado a palazzo vedo la Virtus vincere. A Renato ho detto che mi dovrebbe dare un’indennità da talismano, ma lui dice che i bilanci della società non lo permettono. Me ne farò una ragione...

Cosa le piace, di questa Virtus?

Non pretendo che sia come quella degli anni di gloria. Erano altri tempi, e io sono stato fortunato a vedere da vicino il Paradiso. In questa vedo più continuità rispetto agli anni scorsi, senso del gruppo. Elementi incoraggianti per un tifoso. Ho visto vincere partite casalinghe con carattere, personalità. Poi, magari in trasferta si fatica perché lì per vincere devono funzionare simultaneamente molti fattori, nel basket di oggi se ti siedi per sei o sette minuti dal punto di vista dell’agonismo perdi il treno. Poi, anche se è vero che in generale gli italiani tendono ad avere un ruolo sempre più subalterno, qui c’è attenzione per loro, e un ragazzo come Fontecchio ha potenziale, è già in grado di prendere l’iniziativa e anzi per me dovrebbe farlo con sempre maggior frequenza.

Ha idee su questo basket in difficoltà?

Per affezionarsi a una squadra, occorrono tre condizioni. Che vinca tanto, che valorizzi i giovani, che resti la stessa per diversi anni. Oggi raramente se ne trovano almeno un paio insieme. Manca una formazione. Non solo per i giocatori, ma per dirigenti, arbitri, giornalisti, spettatori. Quella formazione per me si chiama scuola. È la scuola che lavora su centinaia di migliaia di ragazzi, e nei paesi in cui c’è una grande cultura sportiva ha la funzione di crescerli. Mi chiedo, perché le federazioni non fanno una battaglia affinché al posto di una incolore ora di ginnastica a scuola non si insegni davvero lo sport? L’istituto scolastico dovrebbe essere un “supermercato” che offre una base, le società sportive dovrebbero poi avere la possibilità di selezionare, non prendendosi a carico lo sviluppo di un gruppo di ragazzi per forza di cose più limitato nei numeri. In questo modo potrebbero sbocciare talenti veri, ma anche buoni arbitri, buoni dirigenti, buoni cronisti. Una questione di cultura sportiva.

Virtus nel cuore. E il resto del basket?

Faccio parte di un gruppo di fanatici degli Spurs. Io, mio fratello, un gruppo di amici che si buttano giù dal letto di notte per vedere e raccontarsi quella che per me è la migliore squadra del mondo. Attenzione: non sto parlando dei singoli, ma della squadra. Il gruppo.

Il posto dove Ettore Messina ha scelto di allargare gli orizzonti della sua già enorme conoscenza.

C’è buona Virtus anche a San Antonio. Bello, no?

QUANDO IL DERBY È ANCHE QUESTIONE DI FASCINO. UN LEGAME SPECIALE: "IO, NATA FRA I CANESTRI E SEDOTTA DALLA V NERA DEL MITICO DANILOVIC"

Susanna Huckstep, miss Italia a 15 anni, nel 1984. pochi mesi dopo la vittoria della Virtus al palazzone di San Siro che valse scudetto e stella. "Tifo per la squadra: troppi cambiamenti, non ci si affeziona più a un solo giocatore"

Di Massimo Vitali - Il Resto del Carlino - 27/02/2008

 

"Da buona triestina, cestista ci sono nata. Virtussina, invece, lo sono da due anni: da quando cioè ho cominciato ad andare al PalaMalaguti alle partite delle Vu nere".

Susanna Huckstep è il bello della Virtus. Pardon: la bella. Miss Italia a 15 anni nel 1984, poi indossatrice di fama e oggi "adittata" dalla Bologna sportiva: sponde Bologna calcio e Virtus.

Come mai una triestina si è appassionata alla Virtus?

"Perché la grande Virtus dei Bonamico, dei Danilovic e dei Rigaudeau la seguivo sempre in televisione. Mi sono affezionata in fretta a quei colori e quando sono arrivata a Bologna ho messo piede al PalaMalaguti soprattutto per curiosità. Adesso è diventata una piccola passione".

La sua passione per i canestri, però, nasce da più lontano.

"Essere triestini e amare la pallacanestro è una cosa sola. Mio padre Gianni giocava in serie B nell'Italsider e andavo sempre ad assistere alle sue partite. Io stessa, a livello giovanile, praticavo il basket. Giocavo nella Ricreatori Riuniti, una società che a livello locale aveva un certo blasone. Poi negli anni ho sempre seguito, da spettatrice, la squadra di Treiste".

Al PalaMalaguti non passa inosservata...

"Diciamo che i bolognesi che seguono il basket hanno avuto modo di conoscermi quando lo scorso anno ho fatto la madrina della Final Eight di Coppa Italia. A fine agosto, insieme con Maurizio Cevenini (il presidente del consiglio provinciale, grande tifoso di Bologna e Virtus, ndr), al Parco Nord ho presentato il derby delle vecchie glorie. Quel giorno c'erano quattromila persone ad applaudire Danilovic e Myers: una bella emozione".

Un derby da tifoda, però, è un'emozione più grande.

"Senza dubbio. Anche se stavolta la Fortitudo ci arriva un po' meglio di noi".

Un'iniezione di fiducia in un momento nero.

"In effetti il nostro campionato mi sembra abbastanza compromesso. Leggere adesso la classifica e scoprirsi così in fondo fa un po' paura. Però vedo che stanno arrivando altri nuovi giocatori: speriamo che siano gli acquisti giusti per chiudere bene la stagione".

Tra arrivi e partenze, la Virtus più che una squadra di basket sembra un aeroporto.

"Da questo punto di vista con Sabatini non ci si annoia. A me personalmente sta molto simpatico. Vedo che spesso è criticato per le sue decisioni un po' impulsive: anch'io a volte resto sconvolta dai suoi cambiamenti repentini. Ma secondo me è un personaggio positivo".

Chi sarà l'uomo derby della Virtus?

"Per vincere domenica bisognerà puntare sul gioco di squadra. E anch'io, se mi chiedi un giudizio sui singoli, punto sulla squadra. Con tutti questi cambiamenti non è facile conoscere a fondo o affezionarsi a un giocatore della Virtus".

Anche se non dalla nascita, l'ex-Miss Italia Susanna Huckstep si dichiara virtussina


 

Colomba ai tempi in cui allenava il Bologna Calcio

COLOMBA: "DOPO L'INDIA, ORA SCOPRO LA VIRTUS"

di Marco Tarozzi - www.virtus.it - 19/12/2014

 

Alla sua vita piena di calcio mancava proprio questo. Un'esperienza all'estero. Così, Franco Colomba, alle spalle diciassette anni da calciatore professionista (otto dei quali vissuti con addosso la maglia del Bologna, 168 partite in tutto da rossoblù) e ventiquattro da tecnico passando da Salernitana, Reggina, Vicenza, Napoli, Livorno, Avellino, Cagliari, Verona, Ascoli, Bologna, Parma e Padova, non ci ha pensato su più di tanto quando gli hanno dato l'occasione di andare a fare il "pioniere" in un campionato nuovo di zecca, pieno di ambizioni ed esotico quanto basta. In quattro e quattr'otto ha fatto le valigie, destinazione Pune, India, la città dove Osho Rajneesh insegnava che "l'amore è l'unica religione. Tutto il resto è soltanto spazzatura". Due milioni e mezzo di abitanti, ma calcisticamente un posto dove tutto è ancora da scrivere. E lui ci ha messo la firma, per primo.

A Pune non c'è alcuna tradizione calcistica, niente al confronto di città come Calcutta o Goa, dove vanno anche in sessantamila a vedere una partita. Però quando è nata la Indian Super League la società locale ci si è trovata dentro. Partendo in svantaggio sugli squadroni, un po' come l'Empoli ai tempi della Serie A, o il Castel di Sangro che arrivò come la squadra dei miracoli tra i cadetti nel 1996. Ho fatto da apripista, e ho anche avuto il piacere di allenare mio figlio Davide. Non è stato semplice, a volte ho avuto la sensazione di fare l'allenatore nei ritagli di tempo, perché c'era soprattutto da organizzare partendo da zero. Dare tempi, superare i problemi di logistica e gestione quotidiana di tutti quei momenti che nel nostro calcio sono routine, ma laggiù sono novità assolute. Alla fine la squadra è cresciuta, ha giocato fino all'ultima giornata per un posto nei playoff, perdendolo con qualche rammarico ma con la consapevolezza di aver vissuto una stagione positiva.

Belle sensazioni, insomma. E un'esperienza che arricchisce, Da portarsi dentro con orgoglio.

L'India è un paese pieno di fascino, ma anche di contraddizioni. Vive di situazioni opposte ed estreme, la povertà ti salta addosso ad ogni angolo di strada, ma a farle da contraltare c'è una società, certamente meno numerosa, che naviga nel benessere anche esagerato, a volte. E' un paese che vuole crescere, e ha deciso che il calcio può essere uno strumento per questa crescita, per guadagnare posizioni e considerazione a livello internazionale. Ed è anche, per molti, un business importante.

Natale con i tuoi, come si dice. Magari pensando a un ritorno.

Non lo escludo, vedremo se la cosa andrà avanti. Ma se ne parlerà nel 2015. Quello è un campionato che ha tempi brevi, condizionato com'è da monsoni e clima tropicale. Intanto, sono qui e torno nel mio giro di sempre.

A Bologna, più vicino anche al basket. Sport che l'ha sempre affascinata. E a una squadra verso la quale non ha mai nascosto la sua simpatia.

Sono cresciuto nel clima del derby, le storie nate dalla lunga sfida tra Virtus e Fortitudo sono pagine intense dello sport cittadino. Devo dire però che sono diventato un frequentatore di palazzetti quando allenavo a Reggio Calabria, e là ho visto venire alla luce il talento di Ginobili, oltre a veder giocare gente come Delfino e "Micio" Blasi. Quando sono tornato a Bologna, ho preso una strada precisa. Mi sono avvicinato alla Virtus. Non posso dire da tifoso accanito, ma da appassionato sì. Non esperto, ma curioso del basket. È un gioco che mi affascina, mi appassiona, mi piacciono i suoi cambi di ritmo, e il fatto che non ci sia mai nulla di scontato. È un gioco che va di corsa, apparentemente senza darti il tempo di pensare, e invece dietro c'è tanto ragionamento.

Al timone della Virtus, da un anno e mezzo, c'è una sua vecchia conoscenza, Renato Villalta.

Un amico. Siamo coetanei, classe 1955 e lui è nato appena tre giorni prima di me. Abbiamo condiviso, da atleti, un lungo periodo dello sport bolognese, fino ai primi anni Ottanta. Poi lui restò e io presi altre strade, da giocatore. Che dire? Credo che sia semplicemente l'uomo giusto al posto giusto. Se si dice Villalta, nel mondo del basket, resta poco altro da dire. È uno che ha fatto la storia di questo sport. Ha dato tanto da giocatore, e ora tutto quello che ha immagazzinato lo sta dando alla Virtus da dirigente. Ed è una ricchezza.

Andrà a salutarlo, alla Unipol Arena?

Sì, ho voglia di rivivere il clima delle partite. Andrò presto a vedere questa nuova Virtus di Renato. E a fare il tifo per il suo progetto.

Davide Cassani, bianconero dentro e fuori (foto tratta da www.radiointernationalbologna.it)

CASSANI: “TRENT'ANNI DI AMORE PER LA VIRTUS. E ORA TORNO A PALAZZO”

di Marco Tarozzi - www.virtus.it - 05/12/2014

 

I romagnoli amano la loro terra, e Davide Cassani non fa eccezione. Ma quando si tratta di passione sportiva, lui che dello sport è stato un protagonista vero non ha dubbi: prende la via Emilia in direzione Bologna. Nel calcio, i suoi colori sono il rosso e il blu. Nel basket, il bianco e il nero. Da sempre. Il Bologna e la Virtus li ha seguiti, dalla tribuna, ogni volta che il suo “mestiere” di ciclista glielo ha permesso. E anche adesso non è meno impegnato: dopo quindici anni di professionismo, è stato uno dei più apprezzati commentatori televisivi per la disciplina che ha praticato ed amato, e la sua esperienza e competenza lo hanno portato a ricoprire, dallo scorso gennaio, il ruolo di Ct della Nazionale. Insomma, il tempo resta tiranno, ma non cancella le ragioni del tifo.

Ero ragazzino, quando mi sono innamorato di quella che allora era la Sinudyne. Ero sportivo praticante, ma anche appassionato degli altri sport, mi piaceva sfogliare i giornali e tuffarmi dentro cronache e storie. Non ero particolarmente esperto di basket, mi piaceva vederlo, ma sono sempre stato campanilista e per me era naturale rivolgermi a Bologna, città che amo. È stato così anche quando ho deciso che nel calcio la mia squadra del cuore sarebbe stata il Bologna. Mai avuto un ripensamento, nel bene e nel male sono sempre stato rossoblù.

Della Virtus ha vissuto il meglio, dalla Stella agli anni d’oro di Sasha e compagni.

Sì, me la sono goduta. Negli anni Novanta abbiamo fatto sentire la nostra voce in Europa. Anche il derby era diventato roba internazionale, perché di fatto metteva di fronte due tra le squadre più forti del continente. C’era sempre lo spirito del campanile, la differenza è che avevamo addosso gli occhi di tutti. Un fenomeno cittadino era diventato storia e presente del basket, e questo ha rafforzato il ruolo di Bologna come luogo di grande cultura cestistica. Ma non sono uno di quei tifosi che si affacciano al davanzale quando la giornata è limpida. Ho seguito e amato la Virtus anche dopo la caduta che è seguita ai grandi trionfi. Ogni tanto qualcuno mi fa notare che sono quasi quindici anni che non si vince nulla. Vero, ma io ricordo sempre che sono quindici anche gli scudetti che abbiamo in bacheca. Vuol dire tanto, la storia. Tornare in alto è sempre complicato, ma quando hai quella parti più sereno. Hai un patrimonio tra le mani.

L’amore per Bologna lo ha dimostrato anche quando stava sui pedali.

Lo sanno tutti che, dopo i Mondiali (nove edizioni disputate, ndr) la gara che ho amato di più è stata il Giro dell’Emilia. Da ragazzo “marinai” addirittura la scuola per venire a vedere l’edizione del 1976, quella vinta da Roger De Vlaeminck, con l’arrivo in via Indipendenza. Non a caso quella classica l’ho vinta tre volte, e non a caso quella del 1995 è stata anche l’ultima vittoria tra i professionisti.

C’è una vecchia storia, a proposito di quel successo: arrivò dopo un… permesso speciale.

La Nazionale stava partendo per la Colombia, che quell’anno era sede del Mondiale. Andai a parlare con Alfredo Martini, che mi considerava un punto fermo di quel gruppo, e gli chiesi di poter rimandare la mia partenza. C’è l’Emilia, gli dissi, lasciami gareggiare lì: lo vinco e poi vi raggiungo. Alfredo sorrise e mi disse di sì, io tenni fede alla promessa. Ma ho altri ricordi legati a quella corsa: quando la vinsi per la prima volta, nel 1990, al traguardo c’era mio figlio Stefano, che aveva appena compiuto un anno. Indimenticabile.

Alla guida della Virtus, da un anno e mezzo, c’è un suo “collega” maratoneta: Renato Villalta.

Renato è uno sportivo vero, o meglio ancora è un grande uomo di sport. Come maratoneta ha tutto il mio rispetto, perché mi ha sempre sorpreso anche solo il fatto che riesca a portare la sua stazza, e quel peso che ovviamente è legato all’altezza, in giro di corsa per quarantadue chilometri. Già quella non è un’impresa semplice. Da tifoso, posso dire che sono felice di avere un presidente così. Uno che sa abbinare passione a competenza. Costruisce seguendo un progetto preciso, e anche se non è facile si iniziano a vedere i frutti del suo lavoro. La vittoria di domenica scorsa contro Reggio Emilia, una delle squadre più attrezzate del campionato, è stata esaltante.

C’è mancato poco che lei potesse viverla direttamente a palazzo.

La società mi aveva invitato, e ho fatto di tutto per esserci. Ero a due passi, impegnato con le premiazioni della Federciclismo regionale a Zola Predosa. Purtroppo all’ultimo momento non sono riuscito a infilare nella mia giornata bolognese anche il passaggio alla Unipol Arena.

La vedremo a bordocampo domenica prossima?

Sto cercando di tenermi libero per qualche ora. Spero di farcela. Ma una cosa posso assicurarla fin d’ora: se non sarà domenica, quest’anno a palazzo ci tornerò. Voglio riprendere a vivere le emozioni che mi dà la Virtus, da vicino.

 

Silvia Mezzanotte, voce dei Matia Bazar

MEZZANOTTE AMMETTE: «TIFO PER LA V NERA»

Il Resto del Carlino - 14/02/2015


Mentre la Virtus si sta allenando al gran completo, la società sta lavorando sempre più alacremente per rendere sempre più un evento singolare la raccolta fondi abbinata a Telethon. La scelta della cantante Silvia Mezzanotte, voce dei Maria Bazar, come interprete dell'Inno d'Italia può in prima battuta sembrare estemporanea, ma in realtà è spesso all'Unipol Arena anche se la sua è una presenza molto discreta.

La passione per la V nera me l'ha trasmessa mia sorella. Siamo spesso in parterre e vedere lo spettacolo di una partita mi affascina. Sono sempre stata un'amante di sport completamente diversi, come il pattinaggio artistico o la danza aerobica. Altri mondi. Non potrei mai seguire il calcio perché non mi ispira. Invece, il basket ha gesti atletici che mi appassionano. E se a compierli sono giocatori che indossano una canotta bianconera, sono più felice.


L'arbitro di calcio Rizzoli in parterre (foto tratta da www.sportando.net)

RIZZOLI: "LA MIA FEDE PER LA VIRTUS E LE SFIDE CON COLLINA"

di Marco Tarozzi - www.virtus.it - 27/02/2015

 

Che poi, io non ho mai capito che gusto ci sia a fare l’arbitro.

Lo dice un tifoso del Bologna, aspettando insieme ad altri in osteria che Nicolò Carosio inizi a raccontare quello che diventerà il leggendario spareggio del ’64. A dirla tutta, siamo dentro a un film celebrativo (“Il cielo capovolto”, scritto da Cristiano Governa ed Emilio Marrese, regìa di Paolo Muran) e la trovata geniale è quella di far recitare questa frase, in un riuscitissimo cameo, a colui che l’Istituto Internazionale di Storia e Statistica del Calcio ha eletto miglior arbitro al mondo nel 2014. Nicola Rizzoli, l’uomo che ha diretto la finale del Mondiale 2014 tra Argentina e Germania. Bolognese, virtussino.

Partiamo da questa domanda, allora: che gusto c’è a fare l’arbitro?

La verità? Ogni tanto me lo chiedo davvero. Credo dipenda dai risultati che uno raggiunge, come in ogni campo. Se hai delle buone performances, c’è senza dubbio la soddisfazione di contribuire a far rispettare le regole, dando il tuo meglio.

Che cosa ha portato Nicola Rizzoli così in alto, in questa professione delicata e difficile?

Credo che un arbitro moderno debba soprattutto conoscere il gioco, e questo vale nel calcio come nel basket. Deve respirare l’ambiente, sentirsi parte di ciò che sta dirigendo. Non basta aver letto e imparato a memoria un manuale di regole. Il gusto è questo, alla fine: rendere un servizio per cui sei apprezzato dagli stessi protagonisti della partita.

Essere riconosciuto come miglior arbitro dell’anno mondiale dall’IFFHS fa parte di questa meravigliosa sensazione.

È il riconoscimento più bello, ambitissimo per chi ama la propria carriera. Ma anche quello dell’AIC, l’associazione italiana dei calciatori, mi ha dato grande soddisfazione, perché ad assegnarlo sono giocatori e allenatori, cioè quelli che stanno in campo. Ecco: questo, per me, significa essere parte del gioco.

Quando ha deciso che in campo la sua parte sarebbe stata questa?

Non è che avessi l’obiettivo di arbitrare. Anzi, io stavo tra i calciatori. Avevo quattordici anni e giocavo nel Lame Ancora. Mi piaceva capire quello che stavo facendo e sono sempre stato curioso, così approfittai di un lungo stop per infortunio per addentrarmi nelle regole, seguendo un corso. È stato un caso, ma quelli che erano dall’altra parte della scrivania videro in me qualcosa di buono, e fecero di tutto per tenermi con loro. Il resto l’ha fatto la mia voglia di migliorare. Io sono sempre in competizione con me stesso, se vado in piscina e faccio dieci vasche la volta dopo voglio farne almeno undici. È andata così anche con il percorso arbitrale.

Avevano la vista lunga, quei maestri.

Persone capaci. Non è un caso se due dei tre arbitri che hanno diretto finali mondiali escono dalla scuola bolognese. Collina e il sottoscritto, dopo Gonella. Anche se Pierluigi, che pure oggi è il mio capo, ha diciamo un piccolo difetto…

Ci lasci immaginare…

È fortitudino, come si sa. E quando si parla di pallacanestro, sono belle discussioni. Ricordo che una volta, durante un raduno a Sportilia, mi trovai a giocare un “baskettino” 3 contro 3, e di là c’erano Collina, Mazzoleni e Romeo, tutti fortitudini. Fu una sfida agguerrita, da gomiti alti. Roba da farsi male…

Siamo arrivati a parlare di basket, e di Virtus.

Passione nata da ragazzino. Avevo dodici anni e andavo a palazzo con mio fratello. Prendemmo subito la strada bianconera, e non era tradizione di famiglia, i miei non seguivano il basket. Ora mio fratello lavora anche in Granarolo, direi che non si può chiedere di più a un virtussino…

L’amore per la Virtus, secondo Nicola Rizzoli.

Ho amato tantissimo le squadre di Ettore Messina, il miglior tecnico in circolazione. Uno che ti fa capire cosa sia la gestione di un gruppo. Dai suoi scritti ho tratto insegnamenti fondamentali anche per la mia professione. La mia passione, in realtà, è nata dai tempi delle bandiere, da Villalta e Brunamonti, ma mi restano nella mente le imprese di Richardson, talento incredibile, e naturalmente sono innamoratissimo della Virtus di Danilovic. Credo che tra i momenti più belli della nostra pallacanestro ci siano le sfide tra Sasha e Carlton Myers nei derbies. Io sono uno di quei virtussini che si augurano il ritorno in A della Fortitudo, perché i ricordi più belli nascono da lì, da quella sfida. E la gente che era sugli spalti al “derbyno” degli Under 19 al PalaDozza dimostra la voglia di ritrovare quel clima che aleggia in questa città.

Contro Cantù era a bordocampo. Tornerà alla Unipol Arena per la sfida con Pistoia. Che cosa pensa della Granarolo di oggi?

Quest’anno, per via delle designazioni, non ero mai riuscito a vedere la squadra dal vivo, prima di Cantù. C’è voluto un infortunio, per fortuna ormai risolto, per riuscirci. Nonostante stesse facendo già bene, in quella partita la Virtus mi ha stupito, vincendo con sicurezza contro una squadra così fisica e preparata. Su tutti, mi ha impressionato Fontecchio, per l’impatto che ha avuto sulla gara, da giocatore maturo. Ed è ancora un ragazzo. Se diventa un leader completo, e quella sera ha giocato con una determinazione unica, può diventare il fulcro di un gruppo importante, una certezza per il futuro. Poi, spero sempre che Imbrò faccia quel salto di qualità che per me è nelle sue corde.

Insomma, impressione più che positiva.

Sono ottimista. È un bel gruppo, dimostra solidità mentale, è stato impostato nel migliore dei modi da Giorgio Valli, che merita la fiducia che la società gli ha dato rinnovandogli il contratto.

A proposito. Proprio Valli, qualche tempo fa, parlò del rapporto con la classe arbitrale, spiegando che le parti dovrebbero incontrarsi, discutere, conoscersi più spesso, non una sola volta all’anno e per poche ore. Che ne pensa?

“Discorso di una maturità incredibile. Da tempi non sospetti dico che gli arbitri di una città dovrebbero allenarsi con le squadre della città, soprattutto se fanno parte della stessa categoria. Questo farebbe bene a tutti. Riuscire a parlare la stessa lingua porterebbe beneficio sia ai giocatori che agli arbitri. Se ci si capisce, tra l’altro, ci si innervosisce meno. E si gioca, e si dirige, meglio.

CAPPELLO E CERVALLATI

di Renzo Ranuzzi - I canestri della Sala Borsa
 
 
Anche i giocatori del Bologna Cappello e Cervellati venivano a vedere le partite e gli allenamenti.
 
A sinistra Cappello, a destra Cervellati su una pachina dello Stadio Comunale. in mezzo a loro Barile (foto tratta da archivio timf)

LUIS VINICIO: "LA VIRTUS, LA MIA SQUADRA PREFERITA"

di Luis Vinicio - Superbasket - 1978/79

 

Per quanto mi consentono gli impegni calcistici seguo abbastanza il basket. A Bologna, dove ero di casa, andavo spesso a vedere le partite e la Virtus, ora sponsorizzata Sinudyne, era la mia squadra preferita, Mi ricordo quando ha vinto l'ultimo scudetto: che festa in città!.

Ezio Pascutti, bomber del Bologna FC degli anni '50/'60, tifoso della Virtus targata Knorr e Candy

 

Dallo Stadio del 23 marzo 1964 a commento di Virtus Knorr Bologna - Ignis Varese giocata il giorno prima: "Presenti in tribuna l'allenatore della Nazionale Paratore ed Ezio Pascutti al quale il pubblico ha indirizzato un lungo e caloroso saluto". (Luigi Vespignani).

PIVATELLI A MILANO A TIFARE VIRTUS

Stadio - 23/12/1957

 

Circa un migliaio di tifosi bolognesi convenuti al Palasport milanese per assistere a Simmenthal - Virtus Minganti e fra questi, applauditissimo al suo ingresso, Pivatelli, autore della terza rete italiana nell'incontro di calcio Italia - Portogallo.

 

GINO PIVATELLI

Stadio - 09/1955
 
 
Al primo allenamento effettuato in Sala Borsa da Calebotta dopo il suo ritorno dal Brasile, ha assistito un buon pubblico e tra questo qualche spettatore di eccezione. Come appunto documenta la foto che mostra il calciatore Pivatelli che si intrattiene con il pivot gigante della Virtus-Minganti. Pivatelli è un appassionato della pallacanestro e quando può non manca di assistere alle partite ed agli allenamenti del basket. Tra Calebotta e Pivatelli fa capolino, sorridente, Gambini mentre a destra occhieggia Alesini (foto tratta da Stadio)
 
www.virtus.it - 23/11/2013
 
 

Galeotto fu… il genero, ovvero Francesco Gazzaneo, ex calciatore e oggi imprenditore di successo, che militò nel Bologna tra il 1983 e il 1986, risalendo con la squadra in Serie B e giocando in tutto 87 partite in maglia rossoblù. E’ stato lui, virtussino dentro, a convincere un’icona della storia del Bologna ad avvicinarsi alla Virtus. Ed è così che, per curiosità nei confronti del basket, il grande capitano del Bologna dell’ultimo scudetto, Mirko Pavinato, ha fatto il suo “debutto” alla Unipol Arena per assistere alla partita vinta contro l’EA7 Milano. Ed evidentemente la curiosità sta iniziando a tramutarsi in qualcosa di più, dal momento che uno dei grandi campioni che hanno scritto un pezzo di storia rossoblù tornerà a bordo campo domani, in occasione della sfida con l’Umana Reyer Venezia.

Per Virtus Pallacanestro Bologna è un onore avere tra il suo pubblico il Capitano. Con la speranza che la sua presenza diventi una bella abitudine, per viaggiare insieme verso il 2014, quando ricorrerà un anniversario importante: quello dei cinquant’anni da quel 7 giugno 1964, il giorno in cui, nello spareggio dell’Olimpico a Roma, il Bologna di Fulvio Bernardini battè 2-0 l’Inter di Helenio Herrera, conquistando il suo settimo e ultimo scudetto.
Con Mirko Pavinato, il Capitano, in mezzo al campo.

 

PAVINATO: "LA VIRTUS? UN AMORE ISPIRATO DA ORLANDO SIROLA"

Il capitano dell’ultimo scudetto rossoblù e la passione per il basket. “Seguo anche la Nba.
Villalta? Una volta siamo anche stati avversari… ma era un torneo di bocce”

di Marco Tarozzi - www.virtus.it - 09/01/2015

 

Era una roccia in campo, il Capitano. E lo è ancora. Il tempo gli ha imbiancato i capelli e temprato quella bella faccia da antico marinaio, ma non lo ha cambiato dentro. Mirko Pavinato ha lo stesso spirito di quando arrivò a Bologna da Vicenza, appena ventitreenne, per costruirsi una concreta carriera da calciatore e lasciare il segno sull’ultimo grande trionfo rossoblù. Da qui non è più ripartito, firmando con una scelta di vita il legame intenso con questa città, che è diventata anche sua.
Ottant’anni festeggiati lo scorso anno a giugno, pochi giorni dopo l’altra festa, quella del cinquantenario dell’ultimo scudetto rossoblù, di cui fu protagonista assoluto guidando la squadra in campo. Da Capitano, appunto. I ricordi di quell’annata piena di colpi di scena, di quella giornata memorabile all’Olimpico, di quello spareggio per lo scudetto che sarebbe rimasto unico nella storia del calcio italiano, sono ancora vivi.

“Fu qualcosa di strano. Dopo la vittoria, restammo a Fregene dove avevamo preparato la partita decisiva, perché c’era da incontrare la Juventus in Coppa Italia. Sapemmo dell’entusiasmo in città dai giornali, ma quando tornammo l’effetto era un po’ affievolito. Anche perché, nonostante avessimo vinto lo scudetto contro tutto e tutti, nessuno allora immaginava che il Bologna non ne avrebbe più conquistati per mezzo secolo. Poi, aleggiava quel senso di tristezza per la scomparsa recentissima del presidente Dall’Ara. Appena arrivammo a Bologna, andammo tutti in via degli Scalini, a casa della signora Nella. Fu un momento di grande commozione, intenso e indimenticabile”.

Quello scudetto aveva basi solide. Renato Dall’Ara e Fulvio Bernardini ci avevano lavorato per anni, in tempi in cui l’idea di un progetto a lungo termine era ancora percorribile.

“Ricordo che nel ’61 mi voleva l’Inter. Volevano fare lo scambio con Burgnich. Ma Bernardini si impuntò, stava costruendo il “suo” Bologna e nell’equilibrio di squadra che aveva in mente io c’ero. Dall’Ara lo sostenne, non se ne fece nulla. Dal punto di vista del gioco, il massimo lo ottenemmo l’anno prima, nella stagione ‘62/63, quella del “così si gioca solo in Paradiso”. Quello per me è stato il Bologna più frizzante, più creativo. Ma perdemmo gli scontri diretti con le grandi, e l’appuntamento con lo scudetto fummo costretti a rimandarlo”.

Rischiò di non arrivare nemmeno in quel fantastico 1964. La macchina del fango tentò inutilmente di travolgere proprio capitan Pavinato, insieme a Perani, Pascutti, Tumburus e Fogli. Ma la storia del doping era ridicola, presto la verità fu ristabilita.

“Oggi sappiamo tutti come andarono le cose, e anche che fu un’operazione goffa, quel tentativo di manomettere le provette a Coverciano. Ma ancora oggi sono convinto che quello scudetto ha avuto come protagonisti non solo noi giocatori, il presidente e Bernardini, ma anche giornalisti, avvocati, istituzioni. Fu una grande azione corale, senza la quale quella battaglia l’avremmo perduta anche da innocenti”.

Ormai l’album dei ricordi è aperto, e davanti agli occhi del Capitano ripassano momenti felici, volti indimenticabili, amicizie cementate nel tempo.

“Eravamo quello che oggi si direbbe un gran bel gruppo. Al di là di certe rivalità montate ad arte, la verità è che si stava bene insieme anche fuori dal campo. Io stavo benissimo con Janich, Pascutti, Nielsen e il grande Bulgarelli. Mi manca, Giacomo. E’ stato un uomo speciale. Un campione che sapeva essere semplice, profondo, ironico, elegante. Abbiamo perso per strada lui, Haller, Furlanis, lo stesso Bernardini. Ma lo spirito di quel gruppo aleggia ancora. Il calcio mi ha dato tanto, mi ritengo un uomo fortunato. Ho incontrato le migliori ali del calcio in Italia, gente come Julinho, Jair, Hamrin, Domenghini, Frignani. Quello è un ruolo che non esiste più, nel senso puro del termine. Ma le cose cambiano, io non vivo certo di ricordi. Allora c’erano fuoriclasse assoluti, oggi certamente la tecnica di base è migliorata”.

Mirco Pavinato ha vissuto di calcio per una vita. Lo conosce profondamente, lo analizza ancora con lucidità. Ma ultimamente si sono moltiplicate le sue apparizioni pubbliche alla Unipol Arena. Stregato dalla pallacanestro, e dalla passione per la Virtus.

“A palazzo mi ha riportato mio genero, Francesco Gazzaneo, anche lui uno che ha il rossoblù nel cuore, da ex giocatore. E la Virtus, naturalmente. Ma io la seguii per un bel periodo anche negli anni Settanta. Ero socio della sezione tennis ed ero diventato grande amico di Orlando Sirola, fu lui a portarmi in piazza Azzarita e a farmi conoscere l’avvocato Porelli, grande personaggio. Ho visto giocare il presidente Villalta… e a dirla tutta, me lo sono anche trovato di fronte in campo, da avversario…”

Calcio o pallacanestro?

“Tutt’altra disciplina. Fummo invitati entrambi a un evento di beneficenza e ce la giocammo in un torneo di bocce a coppie. Ma se devo essere sincero, non so chi fossero i rispettivi partners, né chi la spuntò. Magari se lo ricorda Renato…”

Pavinato ama il basket perché…

“La realtà è che amo lo sport, nel senso più profondo del termine. Mi piace vederlo, seguirlo. La pallacanestro è spettacolo, velocità. Seguo anche il campionato Nba in tv, ed è bello pensare che un prodotto tutto bolognese come Marco Belinelli abbia sfondato in America. E’ anche un grande richiamo per i giovani”.

Che pensa di questa Virtus?

“Che è un gruppo che si impegna, anche nelle difficoltà. E Valli è stato bravo a lavorare con questa squadra di giovani. Se giocatori di poco più di vent’anni vanno in campo e ci mettono l’anima, la voglia, e insomma si sacrificano, mandano un messaggio bellissimo a prescindere dal risultato finale. Poi, certo, se vedo vincere la Virtus vado a casa più contento…”

 

 

CIAO MIRKO, CAPITAN SCUDETTO

di Ezio Liporesi - 07/03/2021

 

Fine anni '60 Virtus Tennis, mia madre parla con un'amica che si lancia in magnifici elogi del marito. Allora mi parve bellissimo, in seguito mi accorsi che un tale incondizionato amore fosse anche molto raro. A casa appresi che era la moglie di Pavinato. Pochi mesi dopo, incamminandomi dalla stessa Virtus Tennis verso lo Stadio, mio padre m'indicò con ammirazione un signore che camminava davanti a noi con l'inconfondibile andatura da ex calciatore: "Quello è Pavinato, il capitano dello scudetto". Avevo 7 anni, il Bologna, lo stadio, quel manto verde, le bandiere erano da pochissimo entrate nella mia vita con grande intensità; non sapevo ancora nulla della vita e del passato, degli scudetti, dei grandi giocatori, ma quel personaggio che suscitava tanta ammirazione in donne e uomini m'incuriosì e da quel giorno m'immersi nella storia rossoblù, imparai a memoria quel ritornello, Negri, Furlanis, Pavinato... Ogni volta poi che lo vedevo in televisione raccontare con modestia la sua meraviglia di essere ancora così amato in città sorridevo pensando come sarebbe potuto essere altrimenti, lui Pavinato, il capitano dello scudetto, tutti non potevano che amarlo. Più tardi, molto più tardi, ho avuto la fortuna di conoscerlo. Insegnando in via Marchetti, lo vedevo scendere verso via Murri, rigorosamente sul marciapiede di sinistra, la sua fascia di competenza anche in campo, quando era il terzino del Bologna da Paradiso; quel marciapiede a due passi dallo Sterlino, dove un tempo sorgeva il campo di un altro grande Bologna, quello del primo scudetto. Mentre Mirko scendeva con quell'inconfondibile andatura da eterno ragazzo io lo indicavo con ammirazione ai miei colleghi e alunni (ricordi Giovanni Poggi?): "È Pavinato, il Capitano dello scudetto del 1964, quello dello spareggio dell'Olimpico". Così diventò una prassi, che poi fossero loro ad avvisarmi, quando a me sfuggiva l'evento: " È appena passato il Capitano". Poi la sera, nell'uscire in bicicletta per tornare a casa spesso lo vedevo ritornare verso casa e il saluto divenne un rito: "Buonasera Capitano". Rispondeva sempre con un sorriso e un cenno, poi presto il saluto divenne una breve sosta e ne scoprii l'umanità e l'estrema competenza calcistica. M'invitava con fare paterno a spostarmi sul marciapiede per evitare che fossi investito, poi parlavamo del Bologna. Quando un Bologna di Bisoli raccolse un punto in cinque partite mi tranquillizzò, la salvezza sarebbe giunta senza patemi perché la rosa era di qualità...e il Bologna arrivò nono con 51 punti. Due anni dopo alla mia preoccupata domanda su una possibile salvezza, rispose con una smorfia: "Speriamo bene". Era più di una condanna, mi resi conto che non c'erano proprio speranze e, infatti, i rossoblù finirono mestamente in B. Poi ci congedavamo e immancabilmente mi diceva di salutare la famiglia. Pavinato, però non lo incontravo solo vicino a casa sua o allo stadio, viveva la città e capitava di vederlo: una volta al supermercato, alla vigilia di un Bologna-Juventus mi disse: "domani andrebbe bene anche un pareggio", perché la sua grande conoscenza del calcio non era sufficiente per cedere alla rassegnazione di vedere il suo vecchio grande Bologna nelle posizioni di retrovia; oppure a sostenere la Virtus Basket alla quale lo aveva avvicinato il genero Francesco Gazzaneo, un altro che alla causa del Bologna qualcosa ha dato, ricordo un gol a Varese in un caldo pomeriggio di giugno, che salvò il Bologna dalla caduta in serie C (quel matrimonio tra la figlia e un ex rossoblù è in un certo senso una fotografia di come Pavinato vedesse il Bologna come una famiglia); un'altra volta lo incontrai mentre ero con mio figlio, che mi chiese dov'era nato Mirko, apprezzando che giocatori venuti da fuori si fossero poi stabiliti in città. Era di Vicenza dove aveva iniziato e da dove arrivò a Bologna nel 1956 e vi rimase per dieci anni, vincendo da capitano quello storico scudetto, protagonista di quel lancio della monetina ripetuto che eliminò l'anno dopo i rossoblù dalla Coppa dei Campioni, nello spareggio a Barcellona contro l'Anderlecht, poi piazzandosi spesso nell'alta classifica. Andò poi a Mantova a giocare con Zoff e Giagnoni, ma poi tornò e Bologna divenne per sempre la sua casa, qui allenò i calciatori della Compagnia Atleti e tornò a vestire il rossoblù nelle gare di vecchie glorie. Ciao Mirko, persona squisita, mi mancherai, mi mancheranno i nostri incontri.

PAVINATO E GAZZANEO

di Marco Tarozzi - Corriere dello Sport - Stadio - 20/06/2023
 

Chissà come sarebbe contento di vedere la sua Virtus giocarsi un’altra finale cudetto. Perché lui, Mirko Pavinato, il capitano di quello storico settimo scudetto del
Bologna, di cui oggi ricorre l’ottantanovesimo anniversario della nascita, ha amato a lungo la pallacanestro e la V nera. Dai tempi in cui era socio della Virtus Tennis e un amico speciale, OrlandoSirola, lo portava con sé a piazza Azzarita. E più di recente, prima di lasciarci due anni fa, aveva ancora condiviso questa passione con il genero, Francesco Gazzneo, un altro che sa cosa significhi indossare una maglia rossoblu.

Francesco Gazzaneo, il dottor Gianni Nanni di Isokinetic, Renato Villalta, Franco Colomba e Nicola Rizzoli (foto Stefano Santi/Virtus Pallacanestro)

       

                     Romano Fogli                                                                         Carlo Furlanis

 

                Giacomo Bulgarelli                                                                                   Ezio Pascutti

 

Ultima giornata 1963/64. Virtus-Simmenthal sabato 13 giugno. Con una vittoria le V nere potrebbero giocarsi il tricolore in uno spareggio contro l'Ignis, come successo al Bologna calcio che sei giorni prima batté l’Inter a Roma. Nonostante la concorrenza della tv che trasmette in diretta buona parte della gara, tanto pubblico e anche i calciatori Furlanis, Bulgarelli, Pascutti e Fogli, accolti da un’ovazione.

 

 

QUELLI CHE IL CALCIO... QUESTA VOLTA PUÒ ATTENDERE

di Marco Tarozzi - www.virtus.it - 02/03/2015

 

Il “deb”, questa volta, è stato Franco Colomba. Quest’anno il tecnico bolognese, che il Bologna lo ha anche guidato (oltre a Napoli, Parma, Livorno, Reggina, Cagliari e tante altre squadre in Serie A) non era ancora riuscito a vedere la sua Virtus dal vivo a palazzo. Fino a Natale era troppo lontano, impegnato con il Pune City nella nuovissima Superlega indiana di cui è stato uno dei pionieri. Finalmente, ieri è riuscito a presentarsi in parterre (“seppure perdendo il primo quarto per colpa di un incidente sullo stradone che porta ad Anzola… ma ho visto tutte le cose migliori, alla fine”). E ha assicurato che tornerà, perché lo spettacolo di questa Granarolo gli è piaciuta.

Seduto accanto a lui Nicola Rizzoli, che a questo punto ha già messo in archivio due presenze, e due vittorie: contro Cantù e contro Pistoia. Se il miglior arbitro del mondo, bolognese e virtussino doc, sia anche un talismano per la V nera non è dato sapere. Di certo, il suo stop per infortunio è per fortuna un brutto ricordo, e da adesso Nicola dovrà rispondere nuovamente alle designazioni. “Vorrà dire”, scherza, “che mi farò assegnare partite a mezzogiorno, per poter correre in fretta alla Unipol Arena. Una Virtus come questa vale mille corse…”

Francesco Gazzaneo, ex rossoblù (87 presenze nel Bologna tra il 1983 e il 1986), ma anche ex di Avellino, Pisa, Empoli e Cosenza, è invece un fedelissimo. Non ha perso una partita casalinga, quasi sempre accompagnato dal suocero Mirko Pavinato, una leggenda per chi ama i colori rossoblù, capitano dell’ultimo scudetto, quello del 1964.

 

SIMPATIA SINUDYNE

articolo fornito da Claudio Corticelli

 

Adriano Fedele quand'era a Bologna andava spesso a vedere la Sinudyne: "È grave - dice - se mi è rimasta della simpatia?". Per carità, niente di grave, tutt'altro.

 

 

SINUDYNE

di Mauro Bellugi - articolo fornito da Claudio Corticelli

 

Tutti i miei migliori amici bolognesi tifano Sinudyne e naturalmente non posso tradire gli amici.

 

 

 

PAVINATO: "LA VIRTUS? UN AMORE ISPIRATO DA ORLANDO SIROLA"

 

“A palazzo mi ha riportato mio genero, Francesco Gazzaneo, anche lui uno che ha il rossoblù nel cuore, da ex giocatore. E la Virtus, naturalmente. Ma io la seguii per un bel periodo anche negli anni Settanta. Ero socio della sezione tennis ed ero diventato grande amico di Orlando Sirola, fu lui a portarmi in piazza Azzarita e a farmi conoscere l’avvocato Porelli, grande personaggio"

Pirro Cuniberti

ADDIO A PIRRO CUNIBERTI, AMICO DELLA VIRTUS E DELL'AVVOCATO PORELLI

di Marco Tarozzi - www.virtus.it - 05/03/2016

 

Ci ha lasciati la notte scorsa un grande artista bolognese, che ha illuminato con la sua opera il panorama dell’arte italiana. Pier Achille Cuniberti, per tutti semplicemente Pirro, si è spento all’età di novantadue anni nella sua casa, immersa in quella Bassa che aveva sempre amato, lui che era nato a Padulle di Sala Bolognese. Allievo di Giorgio Morandi, amico fraterno di Enzo Biagi, con cui collaborò anche al Resto del Carlino quando il grande giornalista ne divenne direttore, grande pittore e disegnatore influenzato negli anni giovanili dal lavoro di Paul Klee, Pirro Cuniberti era anche un appassionato di pallacanestro, sulla quale imbastiva lunghe discussioni con gli amici Concetto Pozzati e Giorgio Bonaga. Ed un amico vero della Virtus.

Era stato l’avvocato Gigi Porelli a riconoscerne il talento puro, e a chiedergli addirittura di collaborare col mondo della V nera. Così, Cuniberti aveva ideato il restyling del palasport di piazza Azzarita, oggi PalaDozza, e addirittura creato con il suo caratteristico e inconfondibile stile, una mascotte per la società. Insieme a Concetto Pozzati collaborò anche al volume “Il mito della V nera”. Restando poi sempre in stretti rapporti con l’Avvocato, come succede tra giganti che fiutano il reciproco talento.

Pirro si definiva “un provinciale, tanto innamorato di Bologna da non averla mai lasciata”. E Bologna aveva risposto organizzando la prima mostra per il grande pubblico dodici anni fa, in occasione dei suoi ottant’anni. Tra le tante opere che ci ha lasciato, quelle più immediate nella percezione comune: il logo di “Bologna 2000”, Città europea della cultura; le meravigliose creature della fantasia con cui aveva illustrato il libro “Stranalandia” di Stefano Benni.

La Virtus Bologna si unisce al dolore della moglie, delle figlie e di tutta la famiglia, per la scomparsa di un grande uomo e di un’artista che ha reso grande Bologna nel mondo.

 

L'artista di fama internazionale Concetto Pozzati (foto tratta da www.virtus.it)

di Marco Tarozzi - ww.virtus.it - 14/03/2016

 

Da quanto tempo non si vedeva a palazzo, per assistere a una partita della Virtus, non è ben chiaro. Niente date precise, neppure nella memoria degli amici più cari. C’è chi dice addirittura un quarto di secolo. Probabilmente, qualcosa di meno. Certo è che ritrovare il maestro Concetto Pozzati, grande artista di spessore internazionale e cuore bianconero, alla Unipol Arena, ieri sera è stata una bella emozione.

“Da quanto tempo non venivo a vedere una partita dal vivo? Non so, io dico almeno da una ventina d’anni. Era un altro basket, ovviamente, e a quello di oggi confesso di non essere molto abituato. Però ho ritrovato certe sensazioni, prima tra tutte quella sofferenza quando sei lì a sperare che alla tua squadra vada tutto come deve andare. Questo contava, contro Varese: vincere, prendere questi benedetti due punti. E ce l’abbiamo fatta”.

La vita sportiva di Concetto Pozzati è nata e cresciuta in Virtus. In bianconero ha fatto la trafila delle giovanili, finendo aggregato alla prima squadra tra il 1953 e il 1955. La Sala Borsa era il suo regno, e lui ricorda ancora, lo ha fatto tante volte, “quel posto meraviglioso dove giocavi con la gente a un passo, e il tifo era fatto di rumori continui e martellanti che stordivano gli avversari. La Virtus è stata la mia casa sportiva, poi ho giocato alla Reyer Venezia, ma soprattutto intorno ai ventiquattro anni ho dovuto decidere se fare il giocatore o il pittore. E ho fatto la mia scelta”.

Senza mai abbandonare il mondo dei canestri. Seguendolo, da fuori ma non troppo. Talvolta anche dalla panchina: con la squadra dell’Accademia di Belle Arti, il Pozzati coach ha vinto tre titoli universitari, ed altrettanti li ha messi in bacheca ai leggendari Playground dei Giardini Margherita. Lo avevamo rivisto, a dicembre, alla Cantina Bentivoglio, alla serata organizzata da Obiettivo Lavoro che aveva richiamato tanti virtussini di ieri e di oggi. Il ritorno alla Unipol Arena coincide con una sfida che richiama un passato di gloria, Bologna contro Varese, “e anche se le cose cambiano, l’ho detto, sono venuto da tifoso per veder vincere la Virtus, e torno a casa contento”.

Sorridono gli amici intorno, da Paolo Magnoni, regista delle reunion dei Maturi Baskettari, a Giorgio Bonaga, che prima di diventare uno stimatissimo professore era quello “che gioca meglio di Raga”. Il Maestro è tornato, raccontando col suo sguardo profondo e carismatico una storia oltre lo sport di altissimo significato: ordinario di pittura prima ad Urbino e poi nella sua città, all’Accademia di Belle Arti, protagonista di mostre internazionali, cinque prestigiose partecipazioni alla Biennale di Venezia. Tuttavia, lasciando ancora trapelare quella passione per la pallacanestro e per la Virtus che, speriamo, lo porterà di nuovo nella casa bianconera. Facciamo finta che quello di ieri non sia un ritorno casuale, ma piuttosto una promessa.

Benché dichiaratemente virtussino, Guazzaloca non s'è mai visto al palazzo da sindaco (foto tratta da www.bolognabasket.it)

ADDIO A GIORGIO GUAZZALOCA, SINDACO "SPORTIVO"

Gianluca Grassi - https://bolognasportime.blogspot.it - 27/04/2017

 

Si è spento a 73 anni, dopo lunga malattia, Giorgio Guazzaloca, Sindaco di Bologna del 1999 al 2004 (primo della storia a strappare la città al monopolio della sinistra), ex macellaio, da sempre personaggio di spicco nella vita pubblica del capoluogo emiliano. Un Guazzaloca anche molto affezionato al mondo dello sport e in particolare ai colori del Bologna calcio, di cui era grande tifoso e nel cui settore giovanile aveva militato per breve tempo sul finire degli Anni 50 (quando si narra che le sue qualità avessero colpito l'allora responsabile Amedeo Biavati): all'epoca risale la sua amicizia con l'indimenticata bandiera rossoblù Giacomo Bulgarelli, uno stretto rapporto che si era consolidato con il passare degli anni, testimoniato pure dalle accanite sfide a carte che non di rado li vedeva protagonisti all'Osteria del Sole di Vicolo Ranocchi, magari in compagnia di Lucio Dalla.

Assiduo frequentatore del Dall'Ara, Guazzaloca seguiva inoltre con interesse la pallacanestro, tifando Virtus ma non disdegnando di incontrare e applaudire campioni della sponsa opposta Come Carlton Myers. Al di là delle sue idee politiche, economiche e sociali, se ne va un uomo che ha sempre rappresentato con orgoglio e fedeltà la sua inguaribile "bolognesità".

ADDIO A ROBERTO KERKOC, CUORE VIRTUSSINO

Ufficio Stampa Virtus pallacanestro - 01/08/2017

 

Se ne è andato in maniera dannatamente rapida e crudele, a soli cinquantasette anni di età, Roberto Kerkoc, imprenditore bolognese titolare di Tecnoform. Un cuore virtussino che ha avuto negli anni diversi incarichi in enti e istituzioni pubbliche. È stato vicepresidente di Bologna Fiere, consigliere e in seguito vicepresidente vicario in Unindustria, ha ricoperto ruoli importanti in Confindustria, ed era tuttora componente del consiglio di presidenza di Confindustria Emilia.

Virtus Pallacanestro Bologna si stringe alla famiglia ricordando un grande amico ed un tifoso generoso e sincero della V nera. Il funerale di Roberto Kerkoc si terrà giovedì 3 agosto alle 11 nella basilica di San Domenico.

LE "V NERE", LA MITICA VIRTUS BOLOGNA, E QUEL GIGANTE DEL BASKET... DADO, QUANT'ERI BUONO!"

tratto da www.sportsenators.it - 20/04/2017

 

Paolo Bertolucci rivive le emozioni del primo impatto di una promessa di Forte dei Marmi con la città, la grande società ed il pivot dal cuore d’oro, Lombardi. Oggi il suo tennis sforna tanti begli atleti che non sfigurerebbero sotto canestro: da Isner a Kyrgios…

Diciamo subito che l’altezza non è mai stata la mia principale qualità. Lo era ancor meno nei primi anni sessanta quando all’età di undici anni, alto poco più di un soldo di cacio (almeno poi sono arrivato a 1.75), fui catapultato in una nuova dimensione. Venivo da Forte dei Marmi, piccolo paese sul mare e sotto la tutela dell’allora presidente della Virtus Bologna, Giorgio Neri, venni accompagnato a visitare le strutture del club. Il capoluogo emiliano apparve enorme ai miei occhi spalancati, pieno di edifici, con tanti negozi e con un numero incredibile di passanti che riempivano le strade. Non mi ero ancora ripreso dal lungo viaggio e dalla gioia per aver superato per la prima volta l’Appennino che, all’ingresso del circolo, mi trovai di fronte la figura gigantesca di un uomo. Alzai la testa per squadrarlo ben bene da cima a fondo e pensai, istintivamente: “Come sono grandi gli uomini che vivono in questa città”. Lui mi sorrise amabile e si presentò: “Ciao, mi chiamo Dado Lombardi”. Persona speciale, buono come il pane, era davvero altissimo, 1.94, e possente (96 chili), ma mi prese in simpatia e nei giorni seguenti mi portò a vedere l’allenamento della squadra di basket. Conobbi così i suoi compagni Calebotta e Pellanera, diventando la loro piccola mascotte e marchiando a fuoco nel mio giovane cuore la “V nera”.

Dopo un paio di stagioni, fui inserito in una competizione fra i circoli regionali e, nelle trasferte, venivo accompagnato dal mitico Avvocato Gianluigi Porelli che, a breve, sarebbe diventato procuratore generale della Virtus e uno dei più importanti dirigenti a livello europeo. Come dimenticare i consigli e le spiegazioni regolamentari che mi impartiva durante i nostri viaggi in macchina? Tra un allenamento e l’altro di tennis, fuggivo in palestra per seguire da vicino i miei idoli del bnasket, guardando i loro movimenti, quel continuo piegarsi sulle gambe, quelle rapide giravolte e i repentini cambi di direzione. Tutti movimenti che ricalcavano con molta precisione i suggerimenti che mi venivano impartiti sul campo da tennis. Nel corso degli anni, diventato professionista, anche quando mi trovavo all’estero, non mancavo di telefonare in Italia per conoscere il risultato della partita appena terminata delle mie “V nere”.

Come non ricordare con affetto Caglieris, Villalta, Brunamonti e tutti i campioni che hanno dato lustro alla Virtus! In particolare, ho ancora davanti agli occhi il tiro da 3 + 1 di Danilovic nel più importante derby cittadino. Gioie, dicevo, ma anche dolori. I risultati odierni non sono certo pari alla gloriosa storia della squadra, eppure la febbre da tifo non accenna a diminuire. Addirittura, quando commento per la televisione gli attuali tennisti e vedo sul campo atleti che sfiorano o superano i 2 metri di altezza (Berdych, Djokovic, Zverev, Isner, Kyrgios, Fritz) mi viene istintivo chiedermi: “Sono braccia tolte al basket?”. In realtà non credo che sia così: in vista del finale di stagione, un paio di questi protagonisti con la racchetta da tennis li vedrei bene con la canottiera delle V nere, penso proprio che non sfigurerebbero e un paio di canestri, magari da 3 punti sarebbero in grado di metterli a segno.

Paolo Bertolucci

 


Paolo Bertolucci giocò per la Virtus Tennis Bologna

PAOLO BERTOLUCCI: «A 11 ANNI MI INNAMORAI DELLA VIRTUS, SEPPI IN ANTICIPO DELL’ARRIVO DI TEODOSIC»

L’ex campione di tennis e commentatore ha da sempre una passione per il basket e le V Nere, a settembre in città con la Coppa Davis: «Se gioca la Virtus...non so che guardare»

di Marco Vigarani - Corriere di Bologna - 06/08/2022


Pensare a Paolo Bertolucci porta a ricordarne le imprese con la racchetta in mano oppure a immaginarlo nel suo attuale ruolo di commentatore del tennis su Sky Sport. C’è però un’altra passione nel cuore del campione: la Virtus.

Come nasce il suo interesse per il basket?
«Quando avevo 11 anni, il presidente della Virtus Tennis Giorgio Neri mi vide a Forte dei Marmi e convinse i miei genitori ad affidarmi a lui per un paio di mesi tutte le estati. Con la città di Bologna fu amore a prima vista. Al primo giorno al circolo mi trovai di fronte un uomo gigantesco: era Dado Lombardi. Mi portò a vedere gli allenamenti dei bianconeri e così conobbi anche Calebotta, Pellanera e gli altri. Da quel momento ho amato il basket e la Virtus. Qualche nome su tutti: Caglieris, Brunamonti ma soprattutto l’avvocato Porelli».

È riuscito a seguirla anche durante la carriera?
«Poche volte dal vivo e quasi sempre in trasferta ma l’ho sempre seguita in tv. Adesso è più facile con internet, ma ricordo ancora le telefonate agli amici alla fine di ogni quarto quando non potevo vedere la partita. Se hai una passione nel sangue è normale fare di tutto. Ho sofferto gli anni della A2 ma adesso siamo tornati in paradiso».

Nelle ultime stagioni in particolare si è divertito parecchio.
«Siamo partiti quasi da zero e grazie agli sforzi di Zanetti siamo tornati sulla luna in pochissimo tempo. Penso fosse impronosticabile anche per i tifosi più fiduciosi. Dovete sapere che i ragazzi del basket a Sky mi tengono sempre una sedia nel loro ufficio perché sanno che mi piace passare un paio d’ore a chiacchierare. Mi dissero dell’arrivo di Teodosic con alcuni mesi di anticipo e non potevo crederci, come gli amici di Bologna a cui riferii l’anticipazione. Un sogno diventato realtà che ha aperto la strada a tanti altri campioni».

Soddisfatto per il ritorno in Eurolega o amareggiato per lo scudetto perso?
«La vittoria europea ha sicuramente tolto benzina alla squadra. Siamo arrivati alla serie contro Milano stanchi, come era accaduto a loro dodici mesi prima. Il clima di nervosismo che si era creato poi non aiuta mai. Perdere contro avversari così ci può stare, ma prima o poi vorrei vedere una serie con entrambe le squadre al massimo potenziale. Non dimentichiamo neppure la sfortuna che ha colpito la Virtus nell’ultimo anno: sarei stato curioso di vedere il contributo di Udoh».

Guardiamo al futuro: come valuta la nuova squadra?
«I nuovi arrivati mi intrigano, li ho visti da avversari ma aspetto di scoprirli negli schemi di coach Scariolo. Sono sicuro che un allenatore con tanta esperienza abbia fatto scelte con caratteristiche precise e che abbia centrato esattamente il tipo di giocatori che voleva. Se è contento lui, penso che lo saremo anche noi tifosi».

Basket City accoglierà anche il tennis con la Coppa Davis dal 14 al 18 settembre.
«Ci sarò con il team di Sky, che trasmetterà sia i gironi che le Finals fino al 2024. Penso che l’Italia ci farà divertire perché abbiamo una fra le migliori squadre al mondo. Però i colleghi sanno già che mi dovranno sostituire se la Virtus disputerà un’amichevole in quel periodo. Non posso perdermi l’occasione di vedere i bianconeri dal vivo».
 

Bertolucci, all'Unipol Arena di Casalecchio di Reno per commentare la Coppa Davis nel 2022, mostra la sua passione per la V nera

ADDIO A BERTI CERONI UNA VITA TRAJAZZ E VELA

Corriere di Bologna - 19/04/2015

 

Se ne è andato venerdì, Sandro Berti Ceroni. È scomparso all'età di 65 anni dopo una lunga malattia (11 anni di immobilità), figlia di un arresto cardiaco avvenuto dopo una regata (fu campione italiano e fece parte del primo equipaggio di Azzurra con Cino Ricci) e una successiva pedalata: vela e ciclismo, alcune delle sue grandi passioni, insieme al jazz e alla filosofia, nonché Bologna e Virtus. Berti Ceroni, socievole e notturno, aveva salvato Steve Grossman dai suoi guai facendogli poi da agente (fu anche manager di Michel Petrucciani). E ancora, studioso di filosofia (una laurea con Santucci e un'amicizia con Roberto Dionigi). L'ultimo saluto domani alle 11,30 i Sala Tassinari a Palazzo d'Accursio. E poi una jam sessions per lui.

 

Sandro Berti Ceroni (olimpionico di vela a Monaco '72) mostra la sua tessera di parterre alla Virtus

ADDIO A SANDRO BERTI CERONI, LO SKIPPER-MANAGER CHE PORTÒ IL JAZZ IN CITTÀ

Appassionato di vela, a fine anni '80 portò a Bologna stelle di grandezza internazionale

ilrestodelcarlino.it - 18/04/2015

 

Bologna, 18 aprile 2015 - Bolognese doc, si laureò alla Sorbonna di Parigi. Filosofo, amava la barca a vela ma fu folgorato dal jazz. Si è spento ieri all’età di 65 anni Alessandro Berti Ceroni, per tutti semplicemente Sandro, skipper e manager italiano di stelle del jazz del calibro di Steve Grossman e Michel Petrucciani, il fenomenale pianista francese scomparso nel 1999, che in Italia diventò un nome di culto.

Berti Ceroni era malato da tempo, da quando un arresto cardiaco improvviso lo costrinse ad abbandonare la sua attività di manager musicale e promotore di eventi rimasti storici in città come il ‘JazBo’, manifestazione con la quale nel biennio 1989-1990 Ceroni portò in città stelle del calibro di Art Taylor, Sal Nistico, Steve Lacy, Steve Grossman, nonché Walter Davis, Kenny Drew, Jack McLean, Louis Hayes, Donald Byrd.

Molto amico di Lucio Dalla, fu lui a spingerlo, negli anni Ottanta, a intraprendere l’attività di manager. Ma la svolta vera arrivò grazie all’amicizia con Grossman, che l’amico Sandro ‘salvò’ da uno dei periodi più bui.

Per Berti Ceroni il Comune ha deciso di allestire lunedì, dalle 11,30 alle 15,30, in sala Tassinari, la camera ardente. In quell’occasione alcuni amici di Ceroni, primo tra i quali Jimmy Villotti, gli renderanno omaggio eseguendo brani musicali.

 

UN FABRIZIO BIANCONERO

Frizzi, il popolare conduttore televisivo, spiega il perché della sua passione virtussina

di Carlo Orzesko - Bianconero

 

Bologna nel cuore. Fabrizio Frizzi, anche se preso da molti impegni, ha una parte del suo cuore che è sempre occupata dalla nostra città e dalle sue squadre. Chi l'ha visto "soffrire" nel corso di "Quelli che il calcio..."nella non esaltante partita dei rossoblù contro l'Inter si può fare un'idea di come lui, se pure da lontano, viva intensamente le vicende legate a Bologna. Appassionato di sport da sempre, sono ormai note le sue escursioni in campo motoristico assieme a Max Biaggi, Fabrizio in campo cestistico non ha mai nascosto il suo feeling con la Kinder.

"Un rapporto ormai più che decennale - dice Fabrizio - nato più che altro di riflesso. I responsabili sono stati i miei cugini che mi hanno spinto ad interessarmi di basket. Andrea in modo particolare è un vero e proprio patito per cui quando si parlava di basket diventava "naturale" mettere la Virtus al primo posto".

Con gli anni il suo rapporto si è consolidato.

"Sì. Ho avuto molte occasioni per incontrarmi con la società bianconera al punto che un anno mi hanno chiesto di fare da testimonial della squadra in una bellissima presentazione che si è svolta a Villa Cicogna. Presentazione che fu preludio di una stagione importante per la Virtus. In quell'occasione ebbi modo di conoscere a fondo molti personaggi.

 

ADDIO A FABRIZIO FRIZZI GRANDE DELLA TELEVISIONE ITALIANA. LA VIRTUS PIANGE UN AMICO

tratto da www.virtus.it - 26/03/2018

 

Nella notte, a soli sessant’anni, è scomparso Fabrizio Frizzi, uno dei grandi protagonisti della televisione italiana, da oltre trent’anni sulla breccia come conduttore di programmi che ne hanno fatto la storia come “I fatti vostri”, “Scommettiamo che…”, “Piazza Grande”, “Cominciamo bene”, “Soliti ignoti” e “L’eredità”. Figlio di Fulvio, che fu direttore commerciale di Cineriz, aveva ereditato dal padre passioni sportive legate alla nostra città, dove ha anche risieduto e aveva mantenuto legami familiari, nel quartiere Barca: amava soprattutto, da calciofilo, i colori del Bologna (la stessa passione di uno dei suoi grandi maestri, Corrado Mantoni), ma anche la sua passione per il basket si era sviluppata, negli anni giovanili, ispirata dai colori della Virtus, che non aveva mai dimenticato. Fu anche chiamato dall’allora presidente Cazzola, a presentare a Villa Cicogna la stagione 1996-1997, di fatto testimone del passaggio di consegne dei gradi di capitano da Roberto Brunamonti ad Augusto Binelli.

“Se ne è andato un fantastico professionista”, commenta il presidente bianconero Alberto Bucci“capace di conquistare l’affetto degli italiani attraverso lo schermo sempre mantenendo un approccio familiare e spontaneo. Ma per me se ne va anche un amico, che ha sempre voluto bene alla Virtus, seguendone le sorti anche da lontano. Conservo con affetto il messaggio che mi ha mandato subito dopo il ritorno in Serie A, complimentandosi, e ultimamente ci eravamo sentiti e gli avevo strappato una promessa: mi disse che, appena avesse potuto, sarebbe venuto al PalaDozza per assistere ad una partita di Virtus Segafredo. Uno come Fabrizio mancherà tanto a tutti”.

Virtus Pallacanestro si stringe in un abbraccio alla moglie Carlotta, alla piccola Stella ed a tutta la famiglia.

 

(foto tratta da www.virtus.it)

 

CIAO BANDIERA

tratto dal gruppo facebook Vecchio Stile Virtus Bologna - 16/10/2018
 
 

Ci lascia oggi un grande imprenditore bolognese che tifava la nostra amata Vnera. Erano i tempi del grande Sugar Ray Richardson.
Fine anni 80, dove il marchio della sua azienda storica conosciuta in tutto il mondo, la Les Copains, griffava le maglie della Virtus Bologna. 
Riposa in pace Mario Bandiera.

 

 

PINOTTI: IL PRIMO A SAPERLO

di Ezio Liporesi per Virtuspedia

 

1997 Stadio Dall'Ara di Bologna. Alfredo Cazzola, proprietario delle V nere della pallacanestro, annuncia a Valerio Pinotti il ritorno di Danilovic: "Ehi Pinotti ho ripreso Danilovic"...nessun bisogno di convocare una conferenza stampa. Basta dirlo a Valerio.

E’ MORTO VALERIO PINOTTI, VOLTO E VOCE DELLO SPETTACOLO BOLOGNESE, AMICO DI LUCIO DALLA. UNA VITA “CONTRO”

tratto da bolognabasket.it - 22/04/2020

 

E’ morto a 72 anni Valerio Pinotti, volto e voce noti di una Bologna che non c’è più. Agitatore radiofonico e televisivo nelle emittenti locali, biassanot eccentrico, grande tifoso della Virtus e del Bologna, sempre polemico, ostinatamente e fieramente “contro” e scomodo opinionista: un personaggio, sotto le Due Torri, che nel mondo dello spettacolo e dello sport tutti conoscevano bene.

Pinotti faceva parte del giro di Lucio Dalla, amico fin da quando erano ragazzi e Lucio lo aveva voluto  anche nel popolare video di “Attenti al lupo” e nella trasmissione televisiva “Un angolo nel cielo”, dove Pinotti interpretava lo psicanalista del cantautore.

 


 

I 50 ANNI DELLA LBA. LUCA FORESTI: 'I MIEI 36 ANNI A RACCONTARE IN NUMERI LA STORIA DEI CANESTRI'

tratto da www.legabasket.it -05/06/2020

 

C’era uno studente di Economia e Commercio, appassionato di basket e di numeri, che dopo avere visto la sua prima gara nella stagione 1972/73 (esattamente Virtus Norda Bologna-Forst Cantù conclusa sul 92-80), con in testa l’idea di provare a fare qualcosa nel basket aveva bussato invano alla porta del Guerin Sportivo, il periodico di sport che dedicava molto spazio alla pallacanestro. “Qui non ci sono possibilità per te: ma perché non provi con la Lega Basket?”. Così nacque il passo successivo, attraverso un colloquio con l’allora segretario di Lega Guido Martinelli: dal Guerino alla Lega Basket, come “apprendista” nel gruppo di ragazzi che si alternavano ad aggiornare le rilevazioni statistiche che al lunedì i club della Serie A dettavano agli addetti di Lega. In quella palestra, dal 1978, si è formato Luca Foresti, prima collaboratore di Lega Basket per 2 stagioni, poi assunto il 26 settembre 1980 e, fino al 5 maggio 2016, l’uomo che ha gestito e coordinato il patrimonio di numeri e cifre ben presto diventato strategico per la Lega Basket e gli appassionati.

Contemporaneamente alla collaborazione negli uffici bolognesi di via Fontanina, dove era passato da un impegno settimanale limitato al lunedì ad un impegno quotidiano a cui si univa anche la rilevazione dello spazio stampa sui giornali, Foresti continuava a seguire il basket a tutti i livelli: rilevatore statistico per varie squadre bolognesi (per una stagione anche della Fortitudo) e contemporaneamente tifoso Virtus in uno strano derby di affetti vissuto in casa che lo portava  a seguire le Vnere anche in trasferta e ad esultare ai loro successi: sino a quando…”Sino a quando esultando sul parquet del Pianella dopo la vittoria dello scudetto della Virtus nel 1980 mi ritrovai davanti il presidente canturino Aldo Allievi. Lui non mi conosceva ma dentro di me dissi basta: il mio era un ruolo super partes che non mi permetteva certo di tifare per una squadra o un’altra”.
Da lì dunque solo numeri, parallelamente ad altre funzioni: da dirigente di una squadra femminile di San Lazzaro (anni dopo anche allenatore sempre nel settore femminile) a collaboratore di riviste specializzate, al rilevamento statistico di Squibb-Barcellona, finale della Coppa delle Coppe a Roma; da coordinatore statistico di finali giovanili nazionali ed europee alla introduzione della rilevazione statistica nel settore femminile. Una passione che non l’ha più abbandonato, tanto che anche ora ha nel cassetto la raccolta della storia europea dei club italiani.

Le statistiche Lega hanno una data precisa di inizio, prima dell’arrivo di Foresti: era il 1975-76 e la Lega, sotto la presidenza di Giancarlo Tesini, decise di ufficializzare il rilevamento statistico gestendolo direttamente.

“Il servizio iniziava la domenica sera – ricorda Foresti - con raccolta dei risultati e formazione delle classifiche che poi, via telescrivente, un addetto della Lega inviava ai giornali. Su spinta di un gruppo di giovani allenatori che collaboravano con l’allora responsabile provinciale CAF Mauro Finelli furono definite le prime regole del rilevamento statistico. La prima “norma” è stata la definizione di assist che fu proposta all’allora Segretario di Lega Piero Parisini che ne vide l’interesse e attivò il servizio del lunedì con la raccolta dei tabellini dai campi della Serie A e la formazione delle classifiche per specialità, elaborate manualmente. Era un lavoro importante e servivano persone che conoscessero la pallacanestro perché le segreterie delle società spesso leggevano i numeri senza sapere di cosa si stesse parlando. Pur con tutti i suoi limiti quella fu la prima, vera chiave per una informazione statistica il più puntuale possibile e che sfociò nella realizzazione di una pubblicazione, denominata “Basket Press” e diretta da Giuseppe Breveglieri, a quel tempo capo ufficio stampa della LBA, formato dalle pagine statistiche che erano state elaborate, poi battute a macchina, ciclostilate, fascicolate e infine inviate ai giornali con la formula del “fuorisacco”.
La rilevazione statistica si arricchiva, anno dopo anno, di nuove voci: “La prima che feci aggiungere quando assunsi la responsabilità del settore, fu quella relativa ai minuti. Poi un altro passo fondamentale che vide impegnato l’ufficio statistico della Lega fu la ricostruzione di tutti i tabellini delle gare del campionato a girone unico: lo facemmo utilizzando l’archivio del quotidiano “Stadio” che aveva sede a Bologna: coordinammo e istruimmo un gruppo di ragazzi che, utilizzando le raccolte del quotidiano, copiarono manualmente i tabellini. Questo ci consentì di avere una classifica storica di presenze e punti realizzati: senza questo lavoro non avremmo avuto la storia del basket e non avremmo potuto attribuire numeri esatti al più grande giocatore del nostro basket e cioè Dino Meneghin, ancora adesso nella Top Ten delle presenze”.

Arriva il 1982 e iniziano a comparire i primi pc: “Grazie a quello migliorammo certo il nostro lavoro e il prodotto “Basket Press”. Poi nel 1985 agli Europei femminili a Vicenza mi resi conto delle potenzialità di Lotus, il foglio elettronico “antenato” di Excel, e cominciammo a informatizzare le statistiche. Così nel 1987, insieme al capo ufficio stampa del tempo, Sandro Crovetti, decidemmo di provare a offrire sempre più spunti ai media con un servizio di pronta informazione statistica iniziando a fornire dati su quanto avvenuto nel turno appena concluso e anche su quello che avrebbe potuto avvenire nel turno successivo: ad esempio che nel turno successivo si sarebbe disputato il derby numero 50, o che un giocatore avrebbe raggiunto una cifra tonda di presenze e punti, iniziando così a sfruttare tutte le potenzialità informative di questi dati. Perché il problema dei media era che, conclusa una gara, doveva aspettare il week end successivo per scrivere la classica presentazione della partita successiva: così creammo occasioni e spunti anche durante la settimana”.

L’inizio degli anni ‘80 vede la Lega diventare anche editore: nasce la Guida di presentazione al campionato con i roster e le squadre che venne distribuita a media e a club stampandone qualche centinaia di copie, seguita anche da una Guida Statistica di fine campionato con i numeri della stagione, compresi quelli del pubblico. Contemporaneamente divennero automatiche anche ulteriori notizie da fornire ai media che prima potevamo fornire con particolari interrogazioni e solo su richiesta”.

Il basket italiano viaggia a velocità sostenuta anche in questo settore: nel 1984, anno in cui viene introdotto il tiro da 3 punti, la Lega introduce la voce statistica dei falli subiti, a quel tempo non ancora pubblicata nemmeno dalla Nba.

La autorevolezza della Lega in questo settore porta all’inizio degli anni ‘90 la Fiba ad affidare alla Lega per un paio di stagioni anche la rilevazione di tutte le gare di Coppa dei Campioni. Una autorevolezza nei contenuti statistici che viene riversata sul neonato sito della Lega Basket che vede la luce alla metà degli anni ‘90, seguito poi nel 1997-98 dalla adozione di unico programma di rilevazione statistica per tutti i club, realizzato da Data Project: “Anche quello fu un passo importante: prima ogni società aveva un suo programma, in quel momento decidemmo con Alberto Bortolotti, responsabile dell’ufficio stampa di Lega, che era necessaria una uniformità e scegliemmo il programma di questa società che già lavorava nel volley e che aveva alcuni “plus” importanti, anzitutto quello di interfacciarsi con la grafica Rai. Nacque così anche una prima edizione del netcasting che fu poi rielaborato, qualitativamente e graficamente, da FullCourt a partire dal 2003”. Nel 2005-06 l’introduzione di quella che è stata l’ultima voce statistica aggiunta al box score della gara, cioè il “plus minus”.

Resta una costante, la affidabilità della Lega su un argomento, quello dei numeri, da sempre nel suo DNA. Merito dei presidenti che si sono succeduti (“tra quelli con cui ho lavorato citerei Acciari e Prandi come i più attenti su questo argomento”) ma merito anche di chi come Foresti, in quasi 40 anni di lavoro, era poi diventato inevitabilmente un punto di riferimento. Tanto da far coniare al giornalista Werther Pedrazzi il paragone con Pico della Mirandola, trasformandolo nella memoria storica del basket.

ADDIO ALL'EX TRADUTTORE CLAUDIO SEGAGNI

di Ezio Liporesi - 07/03/2021

 

Addio a Claudio Segagni. Una vita nel calcio a fare da traduttore alle società più importanti nel calcio italiano e non solo, opinionista in TV italiane ed esperto di calcio italiano su TV arabe. Grande tifoso Virtus.

Claudio Segagni alla Segafredo Arena

IL CORDOGLIO DI VIRTUS PALLACANESTRO BOLOGNA PER LA SCOMPARSA DI PAOLO BARBIERI

tratto da www.virtus.it - 01/04/2021

 

Virtus Pallacanestro Bologna esprime il proprio cordoglio per la scomparsa di Paolo Barbieri, tifoso, partner e grande amico.

I dirigenti, i dipendenti, tutti i componenti dello staff tecnico e i giocatori della nostra squadra si uniscono al dolore dei familiari, ricordando una carissima persona che aveva la Virtus nel cuore.

IL CORDOGLIO DI FONDAZIONE VIRTUS PER LA SCOMPARSA DI PAOLO BARBIERI

tratto da www.virtus.it - 01/04/2021

 

La Fondazione Virtus Pallacanestro Bologna piange sgomenta la scomparsa del Membro e carissimo amico Paolo Barbieri. Tutti i Membri della Fondazione con grandissimo dolore, profondo cordoglio e grande affetto, si stringono alla Moglie ed ai Figli ed ai familiari, in questo momento terribile ricordando un amico buono, appassionato, un gentiluomo che mancherà a tutti noi ed alla Virtus.


 

CIAO PAOLO BARBIERI

di Marco Tarozzi - 01/04/2021

 

E’ stata una giornata faticosa. Certe notizie non te le aspetti.

In un ambiente che ho frequentato per molto tempo, raramente ho incontrato persone come te. Ecco, potrei contarli sulle dita delle mani, quelli come te.

Un giorno, abbiamo costruito insieme un bel progetto. Beh, diciamola tutta: io ci ho messo qualche pennellata, tu hai tirato su l’impalcatura, hai portato i colori e hai affrescato la parete... Da lì è nata una stima reciproca, e poi il rispetto, e poi qualcosa di più. Qualcosa che ci permetteva di rivederci ogni volta con piacere, di abbracciarci con affetto, di raccontarci le cose con franchezza.

L’ultima volta non ci si poteva più abbracciare, ma era facile leggere come sempre il tuo sorriso aperto. Ce l’avevi negli occhi, il sorriso, alla faccia di qualunque dannata mascherina.

Vorrei poter credere ancora, come facevo da bambino, per poterti dire “arrivederci, prima o poi”. Ma se la vita è questa, che toglie là dove non dovrebbe, faccio davvero una fatica immensa a pensare che succederà. Così, ti saluto adesso. Dovunque ti stia portando questo destino ubriaco, non è il posto giusto. Oggi dovresti semplicemente essere ancora qui.

Ti abbraccio, Paolo.


 

CORONAVIRUS, MORTO L'IMPRENDITORE PAOLO BARBIERI, VERO AMICO DEL BASKET

Grande tifoso e sponsor della Virtus, aveva 58 anni ed era già uscito dalla terapia intensiva
tratto da bologna.repubblica.it - 02/04/2021

 

BOLOGNA. Grande dolore e sgomento ha suscitato in città la scomparsa di Paolo Barbieri, 58 anni, imprenditore molto noto nell'ambiente del basket. Vittima del Coronavirus, Barbieri era titolare e amministratore del Gruppo Logital di San Lazzaro, anche sponsor della sua amata Virtus. Paolo era anche anima della Fondazione Virtus, presieduta da Daniele Fornaciari, di cui era membro del consiglio.

Laureato in Ingegneria, dopo aver frequentato il liceo Sabin, Barbieri - sposato con Rita e padre di Riccardo, Filippo e Beatrice - amava fin da ragazzo giocare a basket, passione che continuava a coltivare in canotta non appena possibile. Contagiato un mese fa dal maledetto virus, sembrava proprio che fosse riuscito a sconfiggerlo ed era infatti stato già trasferito dalla terapia intensiva al reparto normale Covid: mercoledì aveva chiamato dall'ospedale i suoi amici per condividere la felicità di aver scampato il pericolo maggiore e intravvedere la guarigione. Invece, improvvisamente, il suo cuore non ha retto.


 

DOMINGUEZ, CON LA SPALLA APPENA OPERATA A VEDERE LA VIRTUS

 
Il primo febbaio 2022, Nico Dominguez, centrocampista argentino del Bologna, cinque giorni dopo l'operazione alla spalla, è alla Segfredo Arena a vedere Virtus - Buducnost di Eurocup. La Virtus gli regala la maglia personalizzata con il suo numero, l'8, quello anche di Hervey, assente...per infortunio.

 

01/02/2022: Dominguez, da pochi giorni operato alla spalla mostra la maglia personalizzata in occasione di Virtus - Buducnost

 

Nel 2020 alla sua presentazione aveva detto: "Ho la passione per il basket, anche se non sono molto alto e non ci so giocare bene. Qui a Bologna ci sono due squadre molto forti e so che in una di queste ci ha giocato un grande campione argentino: Emanuel Ginobili.

Gary Medel

Arthur Theate

Ndoye, Zirkzee, Saelemakers, Beukema ad assistere a Virtus-Fenerbahce del 23/11/2023

LA PASSIONE PER IL BASKET DI ZIRKZEE, DAI MANGA GIAPPONESI ALLA VIRTUS, HA CONTAGIATO IL BOLOGNA. E I ROSSOBLÙ VANNO A FARE IL TIFO TUTTI INSIEME

L'asse col basket dei giocatori-tifosi sempre a palazzo. Zirkzee porta tutti a vedere la Virtus. Da Ndoye a Ferguson, i calciatori quasi sempre presenti nelle partite di Eurolega. Lundberg e Polonara vanno allo stadio

di Stefano Brunetti - la Repubblica - 13/02/2024

 

Se non è un gemellaggio, davvero poco ci manca: una domenica alla Segafredo Arena, quella dopo allo stadio Dall’Ara. Tra Virtus e Bologna «c’è qualcosa di grande», avrebbero cantato i Lunapop. O meglio: tra i giocatori delle rispettive squadre, che appena hanno un momento libero cambiano abiti e vanno a tifare. Perchè nella città più polisportiva d’Italia, calcio e basket possono anche incrociarsi. A casteldebole parte tutto da Joshua Zirkzee. Chi lo segue su Instagram sa che per il suo statous ha scelto un personaggio di un manga giapponese: Daiki Aoimine protagonista della serie "Kuroko no basket", uno dal talento smisurato che apparteneva alla "Generazione dei miracoli". In questa scelta c'è la passione dell'olandese per i canestri. Spesso legati alla musica hip hop. Così Joshua in questi mesi si è innamorato del bianconero della Virtus, che va a vedere quando può, cioè durante la settimana, nelle partite di Eurolega. Trascinando, poco alla volta, anche gran parte dei compagni.

Un esempio? Contro il Monaco, la scorsa settimana, a ridosso del parquet, c'era mezzo Bologna. Appunto Zirkzee, poi Ndoye, Orsolini, De Silvestri e Calafiori. Il quale, a dirla tutta, è andato anche a vedere la Fortitudo. Che pure in A2 continua a tirare. Ci sono andati anche De Silvestri, Urbanski, Ravaglia, Corazza. Tutti insieme, appassionatamente, anche se la star sotto i riflettori resta sempre lui: Zirkzee, tifosissimo, lui sì, dei bianconeri. In Fiera è spesso con la maglia della Virtus, quella di Cacok, scelta espressamente da lui: perché l'ammirazione, in questo caso, è corrisposta. Ma la lista non finisce qui: in casa della V nera si vedono con sempre maggior frequenza pure Saelemaekers, Ferguson, El Azzouzi. E qualche mese fa, dopo essere stato ospite della Fortitudo, si palesò anche Joey Saputo, cui Zanetti regalò una canottiera personalizzata, seppellendo antichi rancori. Si erano infatti contesi il Bologna, nel 2014, fra veleni, ironie e milioni di euro, ma adesso è un'altra storia. Saputo non è mai stato così contento come oggi, Zanetti in pochi anni ha vinto quasi tutti i trofei cui ha preso parte.

Non solo: la Virtus vola in Eurolega e punta allo scudetto, il Bologna cerca un posto nel Vecchio Continente dopo vent'anni d'assenza e lo fa mostrando un calcio nuovo e accattivante. E allora capita che anche il Dall'Ara faccia tendenza, e che gradiscano andarci pure i ragazzi di Luca Banchi. Due su tutti: Polonara e Lundberg. Sembra di essere tornati ai favolosi anni Novanta. quando Bologna, Virtus e Fortitudo facevano sognare i rispettivi tifosi e non mancavano gli scambi di cortesia tra campioni.

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Virtus-Monaco del 9 febbraio 2024: De Silvestri, Orsolini, Ndoye, Zirkzee, Calafiori

TIFOSO D’ECCEZIONE: AL PALADOZZA C’È JANNIK SINNER

di Matteo di Gangi - sportface.it - 07/10/2022

 

Un tifoso d’eccezione per vedere il debutto della Virtus Bologna in Eurolega. Al Paladozza, per il match contro il Monaco valevole per la prima giornata della regular season dell’Eurolega 2022/2023, c’è Jannik Sinner. Il tennista azzurro si è presentato per vedere il match, l’azzurro avrebbe dovuto partecipare all’Atp di Firenze ma ha dato forfait per il problema all’anca conseguenza della caduta e del ritiro rimediato nella semifinale del torneo di Sofia contro Holger Rune. Sinner che insegue una difficilissima qualificazione alle Atp Finals di Torino sta recuperando e proverà a tornare in campo al più presto per gli ultimi tornei dell’anno e poi per dare l’assalto alla Coppa Davis con le finali che si disputeranno a Malaga dove l’Italia giocherà il proprio quarto di finale contro gli Stati Uniti.

Zanetti consegna a Sinner la maglia della Segafredo

ALLO CHEF BARBIERI LA CANOTTA BIANCONERA: “SONO VIRTUSSINO DA SEMPRE”.

Il giudice di Masterchef ha anche dato la sua ricetta in stile V nera per il Natale.
di Luca Muleo - TRC - 1271272022
 

A tifare Virtus c’era anche Bruno Barbieri, il celebre chef omaggiato con una canotta bianconera. “Sono virtussino da sempre”, ha detto il giudice di Masterchef, che ha anche dato la sua ricetta bianconera per il Natale.

Mihajlovic avvicina Djordjevic alla Virtus: “Quando ho saputo di Bologna gli ho scritto subito”

di Mario Puggioni - basketuniverso.it - 10703/2019
 

Due serbi alla guida delle maggiori squadre della città. E’ questo il quadro a cui potrebbe andare incontro Bologna con Sasha Djordjevic, possibile successore di Sacripanti della Virtus, e Sinisa Mihajlovic, attuale allenatore della Bolo calcistica.
Il mister rossoblu ha parlato così al quotidiano Stadio del possibile arrivo in bianconero dell’ex play serbo: «Con Sasha siamo molto amici. Quando ho saputo del suo possibile arrivo a Bologna gli ho mandato un messaggio subito, ma ancora non mi ha risposto». Un’amicizia di lunga data quella tra i due talenti dell’ex Jugoslavia: «Ci siamo conosciuti molti anni fa, e nello stesso hanno io ho vinto la Champions League con la Stella Rossa, e lui con il Partizan Belgrado». L’ultimo incontro fra i due li vedeva in città e panchine differenti (uno a Torino l’altro a Monaco di Baviera) a un anno di distanza, in occasione della gara di Eurocup tra FIAT Torino e Bayern Monaco; chissà che i due non si incontrino di nuovo, stavolta o al PalaDozza o nella splendida cornice dello Stadio Dall’Ara.

 

13 marzo 2019: Mihajlovic a tifare per la Viortus dell'amico Djordjevic contro Le Mans

LA VIRTUS BATTE IL MACCABI NEL RICORDO DI SINISA

di Ezio Liporesi - Cronache Bolognesi - 22/12/2022

 

Venerdì 16 dicembre arriva la triste notizia della scomparsa di Sinisa Mihajlovic, che in gioventù giocò a basket ("Non avrei giocato a calcio se non ci fossero state le punizioni, perché mi piaceva di più il basket. I miei amici in Serbia mi chiamavano 'mano di cotone' perché facevo sempre canestro"), ma soprattutto è stato per il Bologna calcio e la città tutta una figura indimenticabile prima e durante la malattia. Oltretutto ai tempi dell'esonero di Sacripanti nel 2019, anche Sinisa era da poco subentrato sulla panchina dei rossoblù  e quando si sparsero le voci su un possibile arrivo di Djordjevic Sinisa scrisse al coach serbo, poi l'allenatore del Bologna fu subito in parterre a tifare Virtus nella gara di ritorno contro Le Mans in Champions League, esordio di Djordjevic sulla panchina bianconera. Entrambi portarono una scossa, che diede a un Bologna in fondo alla classifica la forza per arrivare decimo con il gioco, con lo spirito, con la voglia di fare sempre un gol in più dell'avversario o due o tre; Djordjevic portò la Champions League, poi in seguito lo scudetto. La città non può dimenticare quell'esordio in campionato a Verona quando uscito dall'ospedale dopo mesi Sinisa si fece portare a Verona per seguire i suoi ragazzi; e poche settimane dopo quando il Bologna recuperò dal 3-1 a Brescia per vincere 3-4, raggiungendo quota sette dopo tre gare e al ritorno tutta la squadra venne sotto la sua finestra d'ospedale. Un binomio nel solco ormai di una tradizione serba che affascina Bologna. Prima della partita contro il Maccabi un ricordo di Sinisa da parte di Federico Fioravanti, alla gara numero 200 da speaker, ha fatto da preludio a un lunghissimo e commovente applauso, lo striscione e il coro della curva. Poi la gara con Mickey out per infortunio. Dal 9-14, la Virtus con un 10-0 va sul 19-14 e chiude il primo quarto 20-16, Nel secondo periodo le V nere vanno anche a più 8, 33-25 ma dura pochissimo e gli israeliani sorpassano, 37-38 ma a metà Virtus avanti 44-41. Con molti rimbalzi offensivi il Maccabi sta a contatto e nel finale di terzo quarto sorpassa, 57-60. Digiuno bianconero per tre minuti e gialli avanti 57-64. Teodosic sblocca i suoi, ma il meno sette rimane, 59-66. Milos sprona i suoi, lo stersso Teodosic, Weems e Hackett chiamano il pubblico che risponde creando una bolgia, Scariolo ordina la box and one su Brown (Cordinier implacabile) e gli effetti si vedono, un 13-0, 72-66 (2+1 di Hackett, Cordinier dopo palla rubata, Shengelia in gancio per il pareggio, 1 su 2 di Jaiteh per il sorpasso, 4 liberi di Toko e un altro 1 su 2 di Mam). Poi la Virtus è sufficientemente precisa in lunetta e chiude 78-73. Hackett ottimo sulle due parti del campo, 15 punti, Teodosic 15 punti, sei assist ma anche preziosi recuperi e rimbalzi in difesa, soprattutto nel finale, Shengelia partito male ha finito fortissimo e ha messo 8 liberi su 8 fondamentali; Pajola e Cordinier preziosissimi in difesa, Isaia anche 6 rimbalzi; Bako e soprattutto Jaiteh hanno lottato sotto. Lundberg sottotono (ormai da un po') ma preciso dalla lunetta e utile in difesa, anche Weems non ha brillato, anche perché ha dovuto essere impiegato da quattro,  ma in un giorno in cui sono entrati solo in 9, c'è stato bisogno anche di lui.


 

Luca Cecconi, ex calciatore e allenatore di calcio (foto tratta da www.virtus.it)

 

Gigi Maifredi, ex allenatore di calcio

 

Pierferdinando Casini festeggia l'Eurolega

 

Prodi, amico di Villalta, per il quale ha scritto la prefazione del suo libro

 

Gianfranco Fini, bolognese e virtussino

 

Diego Abatantuono a palazzo, ha figli virtussini e anche lui simpatizza (foto tratta da www.virtus.it)

 

Sergio Cofferati, un altro ex-sindaco tifoso virtussino

 

Il parterre ingentilito dai testimonial VidiVici: Simona Badescu, Ciccio Graziani ed Elena Santarelli (foto tratta da www.virtus.it)

 

Parterre: Marco Mazzocchi (foto tratta da www.virtus.it)

5 ottobre 2023, Virtus-Zalgiris: Joey Saputo con Zanetti

Sara Errani in tribuna a vedere la Virtus femminile