GIANNI BERTOLOTTI

Gianni Bertolotti sfugge a John Laing della Saclà

 

nato a: Milano

il: 12/02/1950

altezza: 200

ruolo: ala

numero di maglia: 15

Stagioni alla Virtus: 1970/71 - 1971/72 - 1972/73 - 1973/74 - 1974/75 - 1975/76 - 1976/77 - 1977/78 - 1978/79 - 1979/80

statistiche individuali del sito di Legabasket

biografia su wikipedia

palmares individuale in Virtus: 3 scudetti, 1 Coppa Italia

 

GIANNI BERTOLOTTI PULEDRO DI RAZZA

di Gianfranco Civolani - Giganti del Basket - Dicembre 1971

 

Ammetto che Porelli e Tracuzzi avevano assai più fede del sottoscritto. Dicevo a Porelli: "non ho dubbi, Gigi Serafini esploderà". E Porelli di rimando: "Prego, Serafini e Bertolotti, mi dia retta". E Tracuzzi: "Guardalo bene, quel Bertolotti. Con un elemento così non si può sbagliare. Ha mille difetti, ma ha pure vent'anni". Per la verità io restavo un po' perplesso. Avrei puntato un patrimonio su Gigione Serafini, ma il Bertolotti mi lasciava freddo, fra l'altro non mi convinceva gran che nemmeno sul tiro. "E come sarebbe? Al Bertolotti - continuava Tracuzzi - gli vuoi disconoscere il tiro? Ma se è la cosa più bella che ha!".

D'accordo, ora tiriamo insieme un po' di somme. A certi livelli il giovanotto ha fatto tombola. I progressi - notevolissimi - non si discutono. In altra occasione ho scritto che questo Bertolotti mi sembrava un grosso mezzo giocatore e cerco ancora una volta di spiegarmi. Bertolotti non ha mentalità difensiva, non lega col collettivo (sul piano tecnico, beninteso) e comunque difende un po' troppo con le mani e non con le gambe. Ma la sua velocità di base è sorprendente per un uomo che misura due metri, il tiro è apprezzabile sul piano estetico nonché estremamente preciso e l'entrata è come una pallottola che brucia tutto quello che c'è intorno. Bertolotti impersona il basket di tipo acrobatico ed istintivo. È un puledro di razza che per ora va accettato così com'è. A Messina il compito di purgarlo, di inoculargli la mentalità della difesa (e qui Messina non lascerà nulla di intentato) e di renderlo un po' più partecipe degli schemi di squadra. Dice Porelli: "Primo si è già accorto del valore del ragazzo. E attenzione: siamo appena all'inizio di una parabola che porterà certamente lontano. Del resto Bertolotti rappresenta la Norda come in uno specchio. Abbiamo una squadra che dovrà calzare gli stivali delle sette leghe e Bertolotti è uno dei massimi atouts di quello che dovrà essere il nostro grande futuro".

Il ragazzo pare consapevole del grosso ruolo che gli è stato assegnato. L'integrazione, per lui lombardo, nella sanguigna Bologna è abbastanza compiuta. Bertolotti è fidanzatissimo, sta per ottenere tanto di diploma, si diletta di musica (roba degli anni settanta, s'intende). Impossibile dire ora se e come il Gianni Perticone riuscirà a toccare certi traguardi. Messina pretende gente che difenda con arte consumata e che sappia scattare a canestro anche prescindendo dallo schema di base. E allora torniamo a bomba sul concetto già espresso. Mezzo giocatore, ottimo dalla cintola in su, fortissimo insomma quando si va nella metà campo degli altri. Chiedo a Dino Richelieu Costa di definirmi l'uomo e il giocatore e Costa mi dice: "L'uomo? Un ragazzo tranquillo, sereno, senza grossi problemi. Il giocatore? Sono d'accordo con te. Deve acquistare la giusta mentalità difensiva, deve insomma completare il suo repertorio. È un giocatore che fa tutto acrobaticamente. Ma occhio: il Gianni ha un equilibrio eccezionale. Fa tutto col baricentro sfasato, ma raramente ricade sbilanciato. Direi che gode di un perfetto equilibrio instabile".

Gianni Bertolotti: ventuno anni, qualche maglia azzurra in guardaroba e un lungo tappeto di rose davanti a sé. Tutte rose da cogliere una per una, giorno per giorno, tenacemente.

GIANNI BERTOLOTTI

Yearbook 1974/75

 

A sedici anni Gianni Bertolotti era un lungagnone magrissimo, non troppo brillante a scuola, ma campione di... ping-pong, assiduo frequentatore dei tavoli dell'Oratorio S. Agostino di Milano. Un giorno lo vide quasi per caso Giuliano Bandini, programmatore IBM e, a tempo perso, grosso "allenatore" di giovani. Non fu facile convincere Bertolotti a scendere in palestra, né insegnargli la pallacanestro partendo da zero. Ma le doti naturali del nostro e la pazienza di Bandini fecero arrivare Bertolotti in serie A nel giro di tre anni. Erano i tempi dell'Onestà di Gennari e Bovone, di Zanatta e Isaac: logico che per un giovane non ci fosse molto posto in mezzo a simili califfi. Sicché nell'estate del 1970 Gianni venne dirottato a Bologna. Fu la sua fortuna: costretto a fare di necessità virtù, Tracuzzi lo lanciò decisamente, e Bertolotti non deluse le aspettative, risultando uno dei maggiori artefici della salvezza della vecchia Virtus.

Nelle ultime tre stagioni, Gianni è andato via via crescendo con la crescita dell'intera squadra, fino a raggiungere il sospirato traguardo della Nazionale. Le sue prime esibizioni in maglia azzurra (Europei '73 a Barcellona) non sono state troppo fortunate, poi Gianni si è inserito meglio ed ora è una delle pedine fisse della squadra di Primo. Gran tiro dalla distanza, un'entrata sciolta e potente (anche se non abbastanza sfruttata), una grossa elevazione e quindi grande utilità come rimbalzista, due garretti d'acciaio e una velocità notevole in un uomo di due metri: queste le doti che fanno di Gianni una delle migliori ali del nostro campionato, e una sicura realtà per il prossimo futuro. La sua principale lacuna è la difesa (migliorabile e come tecnica e come concentrazione), ma ha fatto nelle ultime due stagioni passi da gigante. Quest'anno Gianni si troverà a stretto contatto con un campione di razza come McMillen, e questo non potrà che giovargli. Dovrà fare attenzione a non caricarsi troppo presto di falli, come talvolta è avvenuto nlle passate stagioni, lavorare ancora sulla difesa (Peterson ci sa fare, in queste cose) e giocare più spesso uno-contro-uno.

 

tratto da "Virtus - cinquant'anni di basket" di Tullio Lauro

 

E ancora, in presa diretta dalle parole di Dan Peterson solo poche ore dopo la gioia dello scudetto che aveva fatto delirare, impazzire, una città con tanto di caroselli di macchine imbandierate: "Bertolotti? Oh, lui è una bomba: Gianni quando è in giornata fa canestro come vuole. E dà ancora di più se ha da marcare un grande avversario. Ed è un capitano esemplare.

Già, un vero capitano esemplare per questa Virtus scudettata: "'75/'76 una stagione da incidere a lettere d'oro sul calendario della sua vita" scrive Gianni Menichelli su Giganti del maggio 1976. Qualcuno l'ha definito il "Morse della Sinudyne".

Gianni Bertolotti contro Renato Villalta ancora in forza al Duco Mestre

SONO UN VERO PROFESSIONISTA

di Gianfranco Civolani - Giganti del Basket - Novembre 1979

 

Ha un fiero cipiglio, è un protagonista tanto reputato e referenziato, ma non mi risulta che noi addetti ai lavori ci siamo mai sforzati un minimo di andare a sciogliergli i veli. Sì, d'accordo, Gianni Bertolotti di anni ventinove, un milanese trapiantato a Bologna da un secolo, una moglie toscana, una figlia, centomila palloni infilati dentro per le glorie e le baldorie di chi gli dà da vivere, ma poi?

Alle corte: questo è un servizio giornalistico che faccio molto volentieri perché a ben vedere è un servizio pubblico, nel senso che Gianni va doverosamente spiegato al pubblico suo e di fuorivia. Intanto l'aggancio. Di una semplicità elementare. Ci vediamo due o tre volte la settimana, io abito a cento metri dal Palasport e diciamo pure che per molti versi al Palasport ci vivo parecchio. La proposta: un'ora di chiacchiere a ruota libera. Il Gianni dal fiero cipiglio è uomo di una disarmante gentilezza. Bussate e vi sarà aperto, bussate ovunque e chiunque voi siate, devo supporre.

Incomincerei con Torino e l'Eurobasket, che dolori. Ma preferisco fargli una domanda decisamente provocatoria. Questa: Ti ritieni nella cosiddetta parabola discendente?

Ma nemmeno per sogno, e cerco di spiegarmi. Fisicamente mi sento oggi molto meglio di qualche anno fa. Tu credi che a trent'anni un giocatore non possa migliorare ancora? Io credo di sì e guarda quegli americani che nei professionisti fanno stupende cose fino a trentacinque anni e oltre. Al limite, sono della parabola ascendente, al limite ho ancora un mio margine di miglioramento, puoi scriverlo.

E allora parliamo di Torino...

Una bruttissima pagina.

Per te o per tutti?

Per me e per tutti. Purtroppo ci ha rimesso un uomo solo, il povero Primo.

Sai com'è: paga sempre il generale.

Paga chi aveva già da un pezzo la mannaia sul capo. Primo non poteva più lavorare con la necessaria serenità, non riscuoteva più la fiducia dell'ambiente, era troppo preoccupato, era già mezzo fritto in padella.

Ma chi gli negava la fiducia?

Particolarmente la stampa.

E voi giocatori?

Con noi non esistevano problemi. Io poi cercavo di dargli il centouno per cento di quello che mi chiedeva.

Però hai toppato anche tu.

Avrò semmai toppato come gli altri. Ma tu ti ricordi cosa ti dissi la sera del match con i russi?

Mi facesti la tua pagella: cinque in attacco, sette in difesa e veniva fuori la sufficienza.

Appunto, e ancor oggi ribadirei quella valutazione mia personale.

Valutazione che non concordava con quella della stampa specializzata.

Già, valutazione che non concordava per niente. Tieni presente che molti giornalisti mi valutarono con un crudelissimo quattro tondo.

Caso Bertolotti a parte, è stata una mezza disfatta.

Tieni anche presente come certa stampa aveva presentato l'Eurobasket. Che schifo se non becchiamo almeno la medaglia d'argento, la musica alla viglia era questa e figurati come doveva sentirsi felice Primo a leggere quelle cose.

Ti chiedo: tu Primo l'avresti confermato?

Ribalto il concetto: io al posto suo me ne sarei andato via ben prima degli Europei. Ripeto: non era più possibile per lui lavorare con tutti quei fucili puntati.

Ti chiedo comunque come nei uscito da quella esperienza.

Ne sono uscito abbastanza traumatizzato come credo sia capitato a quasi tutti i miei compagni.

E se ti richiamano in Nazionale?

Ci vado deciso a dare il meglio. Fra l'altro ti dico per la centesima volta che siamo andati male tutti insieme, mica per colpa di tizio o caio.

Cambiamo argomento: un milanese a Bologna...

Come sarebbe?

Rimpiangi mai Milano?

Mai. Papà e mamma vivono a Salò, mia moglie è della provincia di Livorno, come vuoi mai che rimpianga Milano...

Non so, un milanese che a vent'anni cambia città...

Prima cosa: molto meglio passare dalla metropoli a una città di medie dimensioni e poi per uno che gioca a basket Bologna è l'ombelico del mondo. Seconda cosa: quando stavo a Milano ero già legatissimo a Tiziana. L'avevo conosciuta nel '69 in Val d'Aosta, lei in vacanza, io aggregato per premio alla prima squadra di All'Onestà. Sai come succede: io mi chiamo Gianni, io mi chiamo Tiziana, si prende una cosa da bere insieme? Insomma da Milano era dura fare tanti chilometri per stare con l'amato bene. Bologna in quel senso lì era anche più vicina...

E la tua vita adesso com'è?

Gioco a basket come mia unica occupazione. O meglio: a tempo perso mi occupo anche di assicurazioni per conto della Latina-Renana, ma molto a tempo perso. Poi sono pure iscritto all'Isef, ma esami zero, meglio non parlarne.

Insomma fai proprio basket a tempo pieno.

Esatto, faccio basket come sarebbe giusto che tutti facessero, e cioè mettendomi a completa disposizione del club che mi paga.

A proposito: so che al netto delle tasse guadagni diciassette milioni l'anno.

Esatto, ventitrè lordi e cioè diciassette, più i premi.

Non è uno stipendio favoloso.

Non lo è, ma a me basta.

Un protagonista nel calcio guadagna cento milioni...

Ma io uno stadio da settantamila persone non riesco a riempirlo.

Patty Smith becca sessanta milioni a sera.

Idem come sopra, Patty Smith ha una capacità di richiamo mille volte superiore.

Dunque tu ritieni di guadagnare il giusto.

Potrei anche ritenere che il giusto guadagno fosse quattro o cinque milioni in più. Ma cosa cambierebbe?

Tua moglie lavora?

Oggi non lavora, ma domani chissà...

E tu che importanza dai al denaro?

Al mondo ci sono due categorie di persone: le cosiddette lime, coloro che mai offrirebbero un caffè o anche solo un'acqua minerale e poi gli altri, quelli come me, quelli che al danaro danno un'importanza molto relativa.

Siamo in trasmissione da nemmeno mezz'ora, l'uomo a domanda risponde, penso di poter andare un po' più a fondo, ci provo. Ti piace la politica?

Non mi piace.

Però avrai le tue idee?

Come se fosse facile avere le idee chiare. Certe volte penso che la cosa migliore da fare sarebbe votare scheda bianca. Non ho nessuna fiducia negli uomini che ci governano, eppure basterebbe così poco per far marciare un po' meglio il nostro paese. Anche solo l'idea della violenza mi sconcerta. Come puoi reagire di fronte al terrorismo? No, non ho mica paura che mi sequestrino perché soldi da me se ne troverebbero pochi, però penso a cosa rischia mia moglie se per caso si trova per strada di sera, penso a mia figlia che cresce in questa società sempre più barbara. Va bene spiegare tutto con i cosiddetti movimenti di assestamento, ma c'è un limite. Per esempio sarebbe bello e istruttivo che tutti i partiti democratici si mettessero insieme a gestire il paese, ma tutto diventa un gran bordello se ognuno poi non vuole concedere niente alla controparte e allora cosa si deve pretendere oggi in Italia? Che prevalga il meno peggio, ecco...

Sei per un progresso senza avventure...

Senza o con poche avventure perché ho paura di ciò che non conosco, ho paura del peggio e del buio. Oggi in Italia dilaga un certo malessere esistenziale, ma se domani si stesse ancor peggio?

Non ti piace il compromesso storico?

Stupenda cosa in teoria, ma figurati se i grossi partiti riescono a mettersi decentemente d'accordo...

Sei religioso?

Beh, sono credente, ma poco praticante...

In chiesa ci vai mai?

Mi capita pochissime volte.

Ti vorrei chiedere se hai un tuo dialogo con ciò che viene chiamato Dio?

Ho un dialogo continuo, cono fatto a mio modo, ma credo in un'entità superiore e soprannaturale.

Cosa pensi di papa Wojtila?

Penso che si sia messo al servizio della chiesa e che possa far capire ai credenti e ai non credenti molte cose.

Gianni, che tipo di carattere hai?

Sono un tipo un po' chiuso, sono anche molto nervoso.

In campo non direi.

Brucio tantissime energie nervose, magari mi macero nelle attese e nella concentrazione, ma ho grande rispetto per compagni ed avversari perché da loro tutti pretendo grande rispetto nei miei riguardi.

Sei mai stato espulso?

Mai.

Ma allora il fiero cipiglio?

Forse timidezza, mettiamola così.

Il basket e il dopo-basket, penso che vorreste un approfondimento tematico o no?

Cos'è il basket per me te l'ho detto: la mia professione, la mia vita. La mattina con mia moglie portiamo la bimba all'asilo, il pomeriggio mi alleno, la sera sto con qualche amico, qualche volta con i compagni, altre volte no, dipende. Tu dirai che è una vita molto banale, ma è la vita che a me va bene. Non ho hobbies particolari, se si esclude quello della fotografia. Leggo un po' i giornali, ascolto musica, faccio il marito e il padre e cerco di farlo decentemente.

So che vorresti un campionato tutto italiano.

Vorrei che si tornasse ad uno straniero solo, magari come fase di transizione per un campionato tutto italiano, sì. E credi pure che non lo faccio per corporativismo perché penso di non avere problemi di questo genere.

E allora perché vuoi cacciare lo straniero?

So che tu lo straniero lo vuoi e dimmi tu perché lo vuoi...

Perché preferisco vedere giocare McMillian piuttosto che Cantamessi.

Ma se gioca McMillian, quando mai potrai sapere cosa vale Cantamessi?

Possibile che a te gli americani non abbiano insegnato nulla?

Da ragazzo avevo Isaac come modello, mi ha insegnato certamente sul piano tecnico.

E allora?

E allora se non avessi avuto Isaac, avrei imparato da qualcun altro, da quei due o tre califfi italiani che ci sono sempre in ogni squadra.

Sicché il fatto che per esempio la Sinudyne abbia due modelli come Cosic e McMillian non significa niente per i giovani...

Sono due grandi modelli, ma potrebbero essere modelli altrettanto validi anche Caglieris, Villalta e il sottoscritto.

Ma il basket italiano li ha tutti questi giocatori buoni per A1 e A2?

Oggi non li ha, dopodomani potrebbe averli. Un americano solo vuol dire consentire ai nostri talenti di esprimersi e alla Nazionale di utilizzare questi talenti non più in fase embrionale.

Dammi un giudizio sui due stranieri della tua squadra.

Due assi: Cosic uomo-spettacolo, McMillian uomo-tutto, professionalità più semplicità più classe uguale a McMillian, un grande veramente.

Chi lo vince il campionato?

Sul piano logico noi. Siamo certamente più forti dell'anno passato. La Billy, poi Emerson e forse Canon e Sarila possono crearci dei guai, ma se la Sinudyne dà ciò che deve, beh, abbiamo qualcosa più degli altri.

E la Coppa?

Non conosco bene le nostre avversarie, francamente non so cosa prevedere.

Tu cosa vorresti afferrare semmai?

La Coppa dei Campioni. Non ne ho mai vinta una.

Quanti allenatori hai avuto?

Ne ho avuti sei: Bandini, Sales, Tracuzzi, Messina, Peterson e Driscoll.

Mezza riga su ognuno, vogliamo tentare?

Bandini è l'uomo che mi ha insegnato i fondamentali, Sales è colui che mia raffinato e Tracuzzi era e resta un grandissimo tecnico. Poi Messina: un buon allenatore come tanti, Peterson è il coach che mi ha fatto fare il salto di qualità e Driscoll è un altro Peterson, fammelo maturare sul piano dell'esperienza e avremmo appunto un altro Peterson, stessa filosofia del basket.

Concluderei chiedendoti se pensi già al dopo-basket.

No, rinvio sempre ogni pensiero, non mi pongo problemi, vedremo al momento giusto. Per ora mi auguro di giocare sempre in questo club e a fine carriera vorrei restare nell'ambiente, magari come coach dei giovani o della prima squadra, appunto vedremo.

Ma i soldi per vivere?

Sarà un problema che affronteremo a tempo debito. Ti ho detto che mi basta ciò che è strettamente necessario. Non sono una cicala, non sono una formica.

E cosa sei?

Uno che comunque non ha l'angoscia del futuro.

Non so che idea vi siete fatti. Io la mia ce l'avevo anche prima: uomo di rara civiltà e sensibilità, un cuore grande al riparo di quel fiero cipiglio, se non mi sbaglio. Però un'ultima cosa vorrei chiedergli. Ecco: hai due righe per contestare chi a Torino ti ha tanto contestato. Forza, via...

Non accetto di essere processato prima. Appena messo piede a Torino, sono stato preso a sassate. Non mi è sembrato onesto.

Credi davvero a prevenzioni nei tuoi confronti?

Ma no, diciamo che ci sono cascato in mezzo io.

Diciamo che sei stato sfigatissimo.

Diciamo pure così.

 

MISTER 500

di Gianfranco Civolani - Superbasket - 05/12/1985

 

In alto i calici. Per chi? Per Gianni Bertolotti e per i suoi splendidi cinquecento gettoni. Eravamo alla fine degli anni sessanta o all'alba dei settanta, non fa poi gran differenza. Il duce truce felsineo disse davanti al suo specchio: chi è l'idolo delle turbe virtussine? Lombardone, rispose l'immagine riflessa. Bene, e allora io Lombardone lo smammo via e addirittura lo smammo a quelli di strada S. Felice. Ma non solo: io duce smammo pure il gran Cosmelli. E in squadra chi ci metti? sussurrò tremulo lo specchio. In squadra ci metto chi ho in testa io.

In testa aveva Vittorio Tracuzzi, Renato Albonico e quel perticone del Gianni Bertolotti. Il perticone aveva vent'anni e un bagaglio tutto da rifinire. Sulle prime mi fece l'impressione di uno scadente tiratore. Dissi a Tracuzzi: "scusa, ma non è che quello ha la mano quadra?". "Ha la mano tonda e caldissima", mi fece il Trac con gli occhi di brace. Era vero, aveva la mano così morbida e la mia impressione fu un disastro appunto per me che volevo timidamente sentenziare.

La storia del Gianni alla Virtus? Una storia di glorie e di baldorie, una storia fatta di tre scudetti, ma anche una storia condita di qualche lacrima perché quell'ultima annata con Driscoll...

Come appare l'uomo Bertolotti a prima vista: quasi truce come il suo ex duce, spesso ingrugnito e anche un po' sul litigioso, perché in palestra Gianni non porge mai l'altra guancia, mai. E invece gratti e trovi un ragazzo così amabile e semplice, un ragazzo anche timido, un ragazzo che si è fatto uomo mostrando sempre rispetto nei confronti del mondo intero.

Mi ricordo agli Europei di Torino. Squadra un po' deboluccia e comunque scalognatissima, quella di Primo. C'era aria di giro di vite (e infatti poi Gamba subentrò a Giancarlo) e correvano tempi cupi soprattutto per il Gianni, contestatissimo dalla più parte dei miei colleghi.

Hotel Concorde, un giorno che il Gianni era stato strapazzato più del solito. "Se mi valuto onestamente - mi fece lui - mi dò cinque per il quasi niente che combino in attacco e però mi dò sette per il tanto lavoro in difesa. Se faccio la media, mi salta fuori il sei, ma i tuoi colleghi mi stanno distruggendo. Dimmi: che devo fare? Io rispetto tutti e ingoio, ma è dura":

E quella triste annata del suo terzo scudetto. Driscoll lo teneva sistematicamente in panca. Gianni capiva che era venuto il momento di cambiare aria e taceva. Avrebbe potuto dire: "signori della stampa io sono Gianni Bertolotti e adesso pianto un casino". Non lo fece, fu signore fino in fondo.

Nella vita di tutti i giorni perseguiva un suo edonismo fatto di denaro speso anche in piacevolezze e fatto di programmazione a breve, perché no.

Porellone diceva a tutti che Gianni era una sacra bandiera, ma si sa come vanno le cose a questo mondo. Anche la sacra bandiera fu ammainata, il Gianni fece come anni prima il Lombardone (sponda Fortitudo) e poi Trieste, Roma, ancora Trieste e oggi può capitarmi di vedere il Gianni una volta all'anno davanti agli stessi sportelli della stessa banca (segno che forse il Gianni versa, mi rallegro) e francamente non abbiamo più il tempo di parlarci un attimo e insomma non so se il suo edonismo si sia un po' stemperato o cosa.

Gianni Bertolotti: a trentacinque anni è ancora saldamente in sella. Magari l'avvitamento mortifero dei tempi belli mostra qualche piccola crepa, magari le sue percentuali non sono più a raffica, magari le sue entrate pagano qualcosa all'anagrafe, vorrei anche vedere che non fosse così. Ma non c'è dubbio che questo puledro di gran razza ha contrappuntato un'eccellente epoca virtussina (Dan e Terry, tanti bei successi) e non c'è dubbio che cento presenze in Nazionale sono qualcosa che vale assai e non c'è dubbio che cinquecento gettoni più quelli che si aggiungeranno testimoniano un attaccamento e una persistenza che appunto fanno levare in lato i calici.

Pensierino della sera: Bertolotti alla Virtus ha dato tantissimo. Mi piacerebbe rivederlo in città e rivederlo in casa Virtus, non so a quale titolo e con quali competi, ma vorrei sempre vedere in un club dirigenti che nacquero e vissero in quello stesso club perché credo dovrebbe essere buona regola d'ogni società quella di tenersi poi sempre stretti i suoi figli migliori. E se invece il Gianni fra qualche anno si sistemerà in altro modo e in altro luogo, bene, gradirei sapere che l'ha fatto perché aveva di meglio.

Entrata dal fondo e schiacciata a difesa schierata: uno dei pochi italiani a poterlo fare nei primi anni '7

 

Gianni Bertolotti cala a Bologna sull'onda emozionale di un autentico ribaltone. Dado Lombardi detto McLombard si trasferisce sull'altra sponda (alla Fortitudo) e con la sigla Norda arriva da Milano anche quel perticone del Gianni. Vittorio Tracuzzi (redivivo) garantisce per lui: ha un tiro che spacca e un'entrata che mette i brividi.

Vero, Gianni ha il passo della gazzella e un avvitamento quasi mortifero per chi gli si oppone. Si afferma a tutti i livelli, conquista a buon diritto la fascia di capitano e ovviamente è uno dei protagonisti del primo scudetto targato Peterson e di quell'altro targato Driscoll. E il terzo, bè, del terzo Gianni parla così: "Mi sono rimasti impressi tutti e tre, si capisce, ma quel terzo era per me il canto del cigno, la gioia e l'amarezza del congedo. Cominciavo a giocare molto meno e capivo che forse dovevo cambiare aria. Avevo solo trent'anni, ma trovavo spazi sempre più stretti. E so benissimo di non essere originale, quando dico che andare via dalla Virtus è sempre un dolore che non finisce più".

 

BERTOLOTTI, MISTER TIRO

di Alessandro Gallo - Il resto del Carlino - 27/01/2012

 

Ha smesso di giocare a 42 anni, indossando la maglia del Piombino e conquistando un'altra promozione. Gianni Bertolotti - una leggenda per gli appassionati di basket degli anni Settanta e Ottanta - oggi abita a Venturina, in provincia di Livorno. «Lavoro a Follonica - racconta -, facendo la cosa che mi riesce meglio. Insegno la pallacanestro ai bambini delle scuole elementari. Loro non sanno chi sono, eppure mi seguono felici». Chi ha avuto la fortuna di veder giocare il numero 15 di un decennio bianconero (poi con il 5 in Fortitudo), uno come Bertolotti lo seguirebbe sempre. Ascoltando ammirati il racconto della sua vita agonistica. «Sono nato a Milano - dice - giocavo nella seconda squadra della città. Quella che si chiamava All'Onestà. Il mito era Joe Isaac». Lo nota Vittorio Tracuzzi, siamo alla fine degli anni Sessanta, l'ultimo coach di una Virtus tricolore (1956). Tracuzzi lo propone a Porelli: affare fatto. «Io e Albonico a Bologna, Cosmelli a Milano. Cosmelli era un Nazionale, io e Albonico due promesse, ma pure due punti interrogativi». Nella Virtus di Rundo e Serafini, Albonico e Fultz, Gianni diventa un punto esclamativo. Un'ala di due metri, che salta, schiaccia e segna. Un americano aggiunto. Un fuoriclasse: impossibile, agonisticamente parlando, non innamorarsi del personaggio. «Devo tutto a Peterson. Fu lui ad allontanarmi dal canestro, nonostante l'altezza. Fu lui a plasmarmi come giocatore». A farne un fenomeno - Bertolotti, troppo schivo, non lo ammetterebbe mai - capace di realizzare, nell'anno del primo scudetto bianconero dell'era moderna (1976), 23,16 punti di media. E il tiro da tre, tanto per intenderci, non esisteva. «Se sono lievitato come il pane - se la ride - al 90 per cento lo devo proprio a Dan». Bandiera della Virtus (prima di Caglieris e prima di Villalta) poi, nella stagione 1979/80 qualcosa si rompe. Il capitano finisce in panchina, confinato a un ruolo marginale. Il coach è Terry Driscoll, che pure di Gianni è stato compagno di squadra. «Diceva che non stavo giocando bene, non era vero. Avrei preferito un approccio più diretto. C'era Pietro Generali, più giovane e più alto, sul quale la società aveva puntato. Invece non mi disse nulla». Gianni fa le valigie, ma non va lontano. «Un anno di prestito in Fortitudo, poi la possibilità di tornare. Nikolic fu chiarissimo, c'era Bonamico, per me lo spazio sarebbe stato ridotto. Preferii andarmene». Trieste, Roma, ancora Trieste. Poi i campetti di periferia, con la stessa passione e lo stesso talento per i canestri. Fino a 42 anni. «Ho tagliato i ponti con un certo tipo di pallacanestro, che non mi piace nemmeno. Preferisco insegnarla ai bambini. Però mi sento ogni tanto con il mio amico Gigi Serafini». E ricorda tanti campioni. «Tom McMillen un fenomeno, Jim McMillian un signore, in campo e fuori. Cosic? Un pazzo scatenato perché disegnava la pallacanestro del futuro. Ma non voglio dimenticare Wright e Kea a Roma. Starks e Jordan in Fortitudo. E ancora Fultz, Driscoll, Roche, Wells. Morse era l'avversario che mi faceva impazzire. Meneghin il più duro. Duro ma corretto. E chissà quanti ne dimentico». Abitava in via Emilia Ponente, quasi di fronte all'ospedale Maggiore. E aveva un vizietto. «Mi piacevano le auto, forse ne ho cambiate troppe. Sicuramente ho fatto le fortune di un concessionario». Si è trasferito in Toscana, a Venturina, dove il basket è rimasto la sua vita. «Io, un pallone in mano e i bambini. Quando sono in palestra torno fanciullo come loro, mi lascio contagiare dal loro entusiasmo. Si divertono e crescono imparando un gioco e delle regole. Il modo migliore per educarli».

 

Dici Bertolotti e mancano, oggi, i punti di riferimento per far capire chi fosse o cosa abbia combinato. Anche se Dan Peterson, uno che di basket se ne intende, lo ha sempre definito un giocatore proiettato nei futuro. Inutile scomodare il paragone con Julius Erving, anche se Gianni era considerato il «Doctor J» italiano. Forse, con un pizzico di cinismo, ha ragione lui: «Chi è il nuovo Bertolotti? Mah, forse lo vedo guardandomi allo specchio». Nato a Milano il 2 febbraio 1950, Gianni, sposato con Tiziana, è padre di Giorgia (nata a Bologna nei 1974) e Manuela (Trieste, 1982) e nonno di Mia (4 anni), Gabriele (16 mesi) e Anna (14 mesi). In Virtus dal 1970 al 1980 mette insieme 298 presenze e 4.647 punti (dati di campionato). In bianconero quattro trofei: la Coppa Italia dei 1974 e poi gli scudetti dei 1976, 1979, 1980. Nel 1980/81 viene prestato alla Fortitudo, griffata I&B: 32 presenze e 601 punti. Poi Trieste (promosso dalla A2 alla A1), Banco Roma (dove vince la Coppa dei Campioni nella stagione 1983/84) e ancora Trieste. Sono 101 i gettoni con la maglia della Nazionale: il risultato migliore il bronzo agli Europei dei 1975 a Belgrado. Ha preso parte anche alle Olimpiadi di Montreal (1976) e ai campionati dei Mondo di Manila (1978).

BERTOLOTTI AMARCORD "PER PORELLI E PETERSON SCHIACCEREI ANCORA"

di Luca Sancini - La Repubblica - 13/06/2017

 

I frettolosi e tremolanti servizi in bianco e nero della "Domenica Sportiva" salvati da youtube non restituiscono l'idea di che giocatore sia stato Gianni Bertolotti. Il suo palmares fra anni '70 ed '80 parla di tre scudetti e una Coppa Italia con la Virtus, una Coppa dei Campioni a Roma e un bronzo agli Europei del '75 con l'Italia. Ma era, al di là della bacheca, l'ala moderna, spettacolare, amata da Dan Peterson che incoraggiava accostamenti con l'Nba: il Julius Erving italiano, detto tutto.

Partito con la Virtus nel 1971, arrivato con Trieste nell'87, la sfida che s'apre stasera gli spalancherebbe intrecci di sport ed anche di affetti. Nacque a Bologna Giorgia e a Trieste Manuela, le sue due figlie. «Ma terrò per la Virtus, soprattutto in ricordo di Gigi Porelli e di sua moglie Paola. Arrivai a Bologna da ragazzo, avevo bisogno di qualcuno che mi aiutasse. Loro, per me, ci sono sempre stati», dice dalla sua casa in Toscana. Qui s'è rivisto poco. Non potè neppure per la rimpatriata, a tavola da Cesari, dei ragazzi dello scudetto del '76. Nessuno, di chi ammirò quella Virtus, l'ha dimenticato.

Bertolotti, Bologna contro Trieste riapre i suoi cassetti dei ricordi.

«Ho vissuto le due città in maniera diversa. A Bologna arrivai dall'Onestà Milano, insieme ad Albonico, in cambio di Cosmelli. Sono rimasto dai 20 ai 31 anni, la crescita e l'affermazione. A Trieste andai da giocatore maturo. Che bella Bologna, allora. Il derby, la città che si divideva in due...».

In quello non è cambiata. A proposito, lei fece anche un anno in Fortitudo.

«Era l'80, alla Virtus avevo meno spazio e volevo giocare, possibilmente restando a Bologna. Mi aiutò Porelli, cambiai parte e fu una bella esperienza. I tifosi della Virtus non me l'hanno mai rinfacciato, quelli della Fortitudo mi accolsero bene. E così anni dopo, a un derby di vecchie glorie, presi gli applausi da tutti, di qua e di là. Lo sapete, non era facile».

E a Trieste come andò?

«Bellissima città, pubblico caldo e competente. Il primo anno con me c'era anche Piero Valenti, pure lui ex Virtus. Salimmo dall‘A2. L'ultimo anno c'era Tanjevic allenatore, la società mi disse che non servivo più. Scelta legittima, però la fecero a mercato chiuso. E non fu facile trovare un'altra squadra».

Usando il gergo d'oggi, in che ruolo si riconosce?

«Iniziai come guardia, un 2. Peterson mi trasformò in ala, da 3».

Tiro dalla distanza, entrata fulminante, acrobazie. Chi ricorda parla di un giocatore spettacolare. Conferma?

«Sì, avevo un buon tiro, mai stato però un mangiapalloni, Peterson non l‘avrebbe tollerato. Poi mi piaceva mettere fantasia nel gioco, aggiungere qualcosa di personale ai movimenti classici. Le schiacciate al volo con la palla sul ferro le facevo già allora, il passaggio era di Pierangelo Gergati. Non si chiamava ancora alley oop».

Peterson ha stilato di recente una classifica dei dieci migliori giocatori italiani. Bertolotti c'è. Lo sapeva?

«Me l‘ha detto mia moglie. Il caro Dan m‘ha messo al terzo posto: Meneghin, Premier, Bertolotti. È lui che mi ha costruito come giocatore e mi ha dato la mentalità della squadra, del vincere insieme e non da soli. Per me è il numero uno, e mi ha insegnato anche ad essere un uomo. Sul piano tecnico avevo già una buona base, lui m'ha reso completo ».

Per la Coppa Campioni dovette andare a Roma.

«Mi volle Valerio Bianchini. In campionato non posso darti tanto spazio, mi disse, ma in Coppa giocherai. Accettai e la vincemmo. Anno 1984».

Tante vittorie, tanti allenatori che stravedevano per lei. Non c'era posto nel basket anche dopo?

«Sono uscito dal giro e non ho più avuto certe possibilità. Mi sono sentito pure un po' dimenticato. Forse non è l'espressione giusta, ma in sostanza è andata così».

E così niente più pallacanestro?

«Insegno il minibasket in una società di Follonica. Bambini anche di 5 anni, vado nelle scuole a fare propaganda, nel mio piccolo faccio l'ambasciatore del basket».

Virtus-Trieste si giocherà al PalaDozza. Che poi, molto probabilmente, tornerà ad essere il campo di casa delle Vu nere.

«E fanno bene, è una notizia fantastica. Quel palazzo è unico, fatto per la pallacanestro. Bello per chi gioca e bello per chi va a vedere. A chi a Bologna si ricorda ancora di me, faccio una promessa: il prossimo anno una partita vengo a vederla».

Ma capita che ai suoi piccoli allievi racconti del suo passato, di che giocatore era?

«No, loro sono piccolini e io cerco solo di farli appassionare a questo meraviglioso sport. Poi, qualche genitore chiede. Scusi, ho guardato Wikipedia, ma lei è quel Bertolotti?».

La carriera. Venni a 20 anni, giocai pure alla Effe, a Roma vinsi una Coppa Campioni.

Il finale. Chiusi con Tanjevic.

Okay, non gli servivo, ma lo dissero a liste chiuse.


 

IL BLOG DEL COACH: GIANNI BERTOLOTTI

di Dan Peterson - 03/11/2020

 

Gianni Bertolotti è stato “Il Dr. J dell’Italia.” Anzi, per me, dell’Europa. Era alto 200 cm, più o meno come Dr. J, Julius Erving, una volta il più grande saltatore e giocatore più spettacolare dell’NBA. Come Dr. J, Gianni non era una massa di muscoli. Pesava un po’ meno di Erving, 90 kg, mentre Erving pesava 93 kg. Entrambi giocavano ala piccola. Erving era più forte fisicamente di Gianni ma Bertolotti aveva un tiro stilisticamente perfetto. Anzi, dovevano fare filmati di Gianni per tecnica del palleggio-arresto-tiro e tecnica del tiro stesso. Potevano fare un manuale best-seller.

Quando sono arrivato alla Virtus Bologna, nel 1973-74, Gianni Bertolotti era un punto fermo, già al quarto anno con il club, anche un nazionale. Anzi, ha fatto gli Europei del 1973 durante la nostra pre-stagione. Sapevo di avere un attaccante impossibile da marcare per partenza fulminante nell’uno-contro-uno, velocità di base, un’elevazione che cancellava qualsiasi possibilità di una stoppata, un tiro mortifero da qualsiasi posizione. Ma non aveva, ancora, la testa del grande campione. Ci voleva lavoro duro per quello e Gianni ha giocato 1-contro-1 contro mio vice, John McMillen, ogni giorno.  

Il primo anno, però, un inghippo. Penultima dell’andata, a Bologna, battiamo Brill Cagliari, 96-75, e Bertolotti è, davvero, Dr. J!  26 punti più alcune schiacciate a fare concorrenza allo stesso Erving. La Domenica successiva, contro la Reyer Venezia di Tonino Zorsi, a Vicenza, perdiamo, 93-89, e Gianni fa zero punti. Zero. Il giorno dopo, parlo con lui, “Gianni, devi diventare un campione. Io posso battere Cagliari anche senza di te. Ma non una squadra super come la Reyer. Ho bisogno almeno del tuo rendimento standard. La tua media è 13 punti. Da qui in poi, mai sotto 12 in una partita!” E l’ha fatto. Primo passo.

Gianni fa una media di 13 quel primo anno, pure il secondo. Il primo anno, avevamo un USA realizzatore, John Fultz, 30 punti a partita. Secondo anno, Tom McMillen, 33 punti a partita. Ma il terzo anno, 1975-76, prendo Terry Driscoll, uomo-squadra e non on ‘go-to guy.’ Un giorno imposto la rimessa. Volevo dire, “Gianni, farai tu il taglio che, per due anni, ha fatto la stella Americana.” Invece, dico: “Gianni, quest’anno farai tu il taglio Americano.” Lui pensa: “Peterson ha detto che sono un Americano.” Che fortuna!  Bertolotti diventa campione: 26 punti di media e vinciamo lo scudetto!

Vado a Milano nel 1978, ma Gianni rimane alla Virtus e vince altri due scudetti, nel 1979 e nel 1980, oltre la Coppa Italia del 1974 e quello scudetto del 1976. Vince pure la Coppa dei Campioni con la Virtus Roma di Valerio Bianchini nel 1984. Fa pure 101 gare con la Nazionale, 3a negli Europei del 1975, 5a nell’Olimpiade del 1976, 4a nel Mondiale del 1978. Non ho mai allenato un attaccante italiano più forte di Gianni Bertolotti. Roberto Premier va sullo stesso piano. Ma non più forte. Due giocatori diversi: Gianni una gazzella, Roberto un toro. E non ho mai allenato uno più elegante, più bello da vedere giocare.  

 


 

Bertolotti in palleggio contro il Petrarca Gorena Padova, Fultz osserva (foto fornita da Massimo Galanti)

GIANNI BERTOLOTTI

di Ezio Liporesi - Cronache Bolognesi - 26/03/2021

 

Nasce a Milano nel 1950 e cresce in periferia, dove la città diventa campagna, vicino a quella via Gluck resa celebre da Adriano Celentano. Tante corse a piedi e in bicicletta, ma anche il calcio all'oratorio, dove nel 1965 arrivano palloni da basket e canestri e allora Gianni comincia anche a cimentarsi in questo sport e riesce subito bene nella squadra che viene messa insieme. Allievi, juniores e intanto la società è diventata satellite della seconda squadra milanese (All'Onestà) ed è così che arriva in Serie A: è il 1969. Una sola stagione poi l'arrivo alla Virtus Bologna, insieme al compagno di squadra Albonico, che però ha un po' più di esperienza avendo tre anni in più. La squadra bolognese è ringiovanita e i nuovi fanno la loro esperienza sul campo, le cose non vanno benissimo e meno male che, negli spareggi di Cantù, grazie alla differenza canestri, le V nere battendo Biella e perdendo da Livorno, hanno comunque la meglio sulle due avversarie e mantengono la massima categoria. Arriva l'americano Fultz, la squadra cresce, poi nel 1973 giunge a Bologna l'allenatore Dan Peterson ed è la svolta. «Devo tutto a Peterson. Fu lui ad allontanarmi dal canestro, nonostante l'altezza. Fu lui a plasmarmi come giocatore». Nella prima stagione subito la vittoria in Coppa Italia: nella finale contro la Snaidero Gianni mise a segno 17 punti. La Virtus non vinceva un trofeo dal titolo tricolore del 1956. Nel 1976 arriva lo scudetto, con in campo l'americano Terry Driscoll; Bertolotti è il capitano e in quel campionato è il capocannoniere della squadra con 834 punti in 36 gare: Gianni è ormai un campione. Dopo due secondi posti arriva un altro scudetto e nella decisiva gara due di Milano che la Virtus vince 113-92 il numero quindici bianconero segna 28 punti. L'allenatore dei bolognesi da quella stagione è l'ex compagno di squadra Driscoll, ma nell'annata successiva tra i due nasce qualche incomprensione e in quintetto, insieme a Caglieris, Villalta, McMillian e Cosic, nel corso della stagione prende posto Generali al posto di Bertolotti. Arriva un altro scudetto ma che Gianni vive senza il sorriso. Nell'affare che porterà in Virtus Maurizio Ferro dopo averlo lasciato ancora un anno in prestito alla Fortitudo, Gianni passa all'altra squadra della città e con la formazione di via San Felice gioca una buona stagione e rischia di decidere il derby di andata: a quattro secondi dalla fine, sul punteggio di parità, mette a segno due liberi, ma il contestatissimo canestro di Villalta porta le squadre al supplementare e vincono le V nere. Poi la sua vita cestistica passa a Trieste, dal 1981 fino alla fine della carriera nel 1987, con una sola stagione d'intermezzo a Roma, ma molto significativa: con il Bancoroma allenato da Valerio Bianchini e trascinato in campo da Larry Wright, Bertolotti vince la Coppa dei Campioni. Nel suo periodo bolognese vive anche una lunga e importante esperienza in nazionale, dal 1971 al 1979, con 101 presenze e 721 punti realizzati. In particolare nelle Olimpiadi del 1976 a Montreal, con l'Italia quinta classificata, fu il migliore realizzatore azzurro con 16,2  punti di media partita. Nella Virtus 365 gare ufficiali e 5611 punti alla media di 15,37 punti per gara. Non ama ritornare alle rievocazioni a cui i vecchi compagni spesso lo chiamano, ma una delle poche volte che si presentò non fu una serata felice: era il 2004 per un derby di vecchie glorie, c'erano in campo due leggende come Richardson e Danilovic, ma purtroppo Gianni si ruppe il ginocchio e fu portato fuori a braccia. Inoltre la serata non finì bene, i baci di Richardson alla Fossa che lo aveva insultato dall'inizio, il tentativo d'invasione, la polizia, Sugar e Sasha che abbandonano il campo anzitempo, insomma non la fotografia migliore per un derby tra veterani a scopo benefico. Bertolotti, figlio di un altro basket, era già uscito, ma sicuramente quella serata non fu il ritorno che aveva sognato.

BERTOLOTTI RE DEL DERBY

di Ezio Liporesi - 02/01/2022

 

Campionato 1976/77, quindicesima giornata, 2 gennaio 1977. La Virtus campione d'Italia, con il tricolore sul petto, conquistato nell'aprile precedente, uno scudetto che mancava alle Vu nere da 20 anni, deve affrontare la Fortitudo nel derby. La Sinudyne ha vinto dodici delle quattordici gare precedenti, ha patito un solo calo nella nona e decima giornata, con le sconfitte a Roma e in casa contro Varese. Non è una sorpresa, le Vu nere venivano anche da un precampionato sfavillante, cinque tornei vinti con quindici vittorie in quindici incontri, più altre due vittorie in amichevole contro Fortitudo e Pesaro: 17 su 17! In quella domenica d'inizio del 1977 è reduce dal successo contro Forlì, ottenuto nell'ultima gara dell'anno precedente, il 29 dicembre per 122 a 97, un punteggio che le Vu nere raggiungeranno altre tre volte nella loro storia ma senza mai superarlo. L'Alco, che fino al 29 dicembre era appaiato a Forst Cantù e Mobilgirgi Varese con tre sconfitte, perdendo proprio in casa della Mobilgirgi è stato staccato dalle due squadre lombarde. Dunque due sole vittorie separavano le due squadre bolognesi prima del derby. Nella Fortitudo tutto il peso dell'attacco è sulle spalle di Leonard (37 punti con 16 su 24 al tiro e una quindicina di rimbalzi catturati), Raffaelli (18) e l'ex Benelli (16): i tre segnano 71 dei 77 punti dell'Alco, ci sono poi i 4 punti di Biondi e i 2 di Casanova, a secco Stagni, Orlandi, Arrigoni e Bonamico, in prestito proprio dalla Virtus, non entrato Baldelli. Più distribuiti i punteggi in casa Sinudyne: il mattatore è Bertolotti, autore di 24 punti, poi ci sono i 18 di Driscoll, i 12 di Serafini, i 10 di Villalta e gli 8 di Antonelli e Caglieris. Completano il punteggio bianconero i 2 punti di Valenti, senza segnae hanno concluso Sacco, Martini, e Pedrotti. Davanti a 7000 spettatori, la prova di squadra delle Vu nere ha avuto la meglio sulla grande prestazione dell'americano della Fortitudo, 82 a 77 per la Sinudyne che aveva vinto anche il derby di andata per 89 a 80. Da sottolineare la grande precisione in lunetta: il primo tiro libero fallito della gara si è registrato dopo qualche minuto della ripresa. Dopo la stracittadina gruppo sgranato in testa, Sinudyne 26, Forst 24, Mobilgirgi 22, Alco 20. Le quattro squadre concluderanno davanti a tutte la regular season (Virtus 38, Varese e Cantù 30, Fortitudo 28) e anche il campionato con la Mobilgirgi campione, la Virtus seconda, Fortitudo terza e Forst quarta. Al settimo posto il Gira, proveniente dalla serie A2, ma che nei playoff ha fatto tremare la Virtus che ha dovuto faticare per qualificarsi alle semifinali, proprio a scapito dei concittadini.

Fortitudo 77: Stagni, Orlandi, Casanova 2, Leonard 37, Biondi 4, Bonamico, Raffaelli 18, Benelli 16, Arrigoni, Baldelli ne.

Virtus 82: Caglieris 6, Valenti 2, Antonelli 10, Sacco, Martini, Villalta 10, Driscoll 18, Serafini 12, Pedrotti, Bertolotti 24.



 

I CANESTRI DECISIVI DEI GIOCATORI DELLA VIRTUS - DICIOTTESIMA PUNTATA: GIANNI BERTOLOTTI

 

Una Coppa Italia, capitano di tre scudetti, un'alla formidabile, Gianni Bertolotti segnò anche un canestro decisivo:

  • nel 1971/72  ad Ancona contro la MaxMobili Pesaro a 7 secondi dalla fine, sul 73 pari, realizzò il canestro della vittoria.