MATTEO LANZA

Matteo Lanza (foto Giganti del Basket)

nato a: Verona

il: 24/03/1964

altezza: 195

ruolo: guardia

numero di maglia: 8

Stagioni alla Virtus: 1983/84 - 1984/85

statistiche individuali del sito di Legabasket

biografia su wikipedia

palmares individuale in Virtus: 1 scudetto, 1 Coppa Italia

 

INTERVISTA A MATTEO LANZA

di Roberto Cornacchia per Virtuspedia

 

Come hai iniziato?

I miei fratelli sono stati dei buoni giocatori di basket, in casa non si parlava d’altro e tutto è venuto di conseguenza, quasi senza accorgemene mi sono ritrovato a 16 anni nelle giovanili della Virtus, lontano dalla famiglia a fare d’un gioco la mia professione.

Un esordio col botto: al primo anno fu subito stella. Come fu quella stagione?

Magica in tutti i sensi. Il mio primo anno in serie A e subito una grande gioia anche se il merito è stato soprattutto dei miei compagni.

L’uscita da Bologna: motivi e, ammesso che ce ne siano, le cose che avresti voluto che fossero andate in un'altra maniera.

L’anno successivo alla stella è stata condizionata dall’infortunio di Bonamico e dalla schiena di Van Breda Kolff. I risultati sia in campionato che nella Coppa Campioni non sono stati all’altezza e c’è stata la volontà da parte della società di rinnovamento. Ero molto giovane, mi sarebbe piaciuto vedere come sarebbe andata la mia carriera bianconera se quell’occasione l’avessi affrontata con la maturità che ho acquisito successivamente. Ma ogni stagione ha i suoi frutti e mi tengo stretto con orgoglio tutto ciò che mi è accaduto.

Con quali compagni virtussini ti sei trovato meglio? L’aver vinto uno scudetto assieme contribuisce a saldare i legami?

Credo che nella sacralità dello spogliatoio si rafforzino i rapporti tra compagni, anche se poi, come nella vita, si finisca a frequentare le persone con cui hai più affinità. Brunamonti, Valenti, Bonamico. Con Binelli ho condiviso oltre che la dimora, parte dell’adolescenza, le aspettative e le gesta sportive sia nella Virtus che nella Nazionale Militare, quindi è naturale che ci sia un legame speciale. Ma ho avuto un ottimo rapporto con tutti i miei compagni che hanno accompagnato la mia carriera e la Virtus non fa eccezione.

La tua strada prese poila direzione della Toscana, una regione che occuperà la maggior parte del tuo percorso cestistico.

Dopo Bologna ho avuto la fortuna di andare a giocare in una città piena di entusiasmo che anch’essa viveva di basket. La livornesità, il senso di appartenenza alla Pallacanestro Livorno sono entrati nel mio cuore e mi hanno accompagnato nel vivere delle meravigliose stagioni da protagonista.

Un ricordo di Elvis Rolle, assieme al quale ti sei trasferito in Toscana.

Elvis era un vincente, oltre che ad un silenzioso amico. Orgoglioso come non mai, quando decideva di giocare non ce n’era per nessuno.

Altro ex-virtussino era coach Di Vincenzo.

Avevamo un rapporto che andava aldilà del ruolo giocatore e allenatore.

La prima parentesi a Pistoia.

Entusiasmante perché era la prima volta che Pistoia si affacciava alla ribalta del grande basket. Un’euforia contagiosa spinta dalla passione della famiglia Carrara. Le coreografie dei supporters “Untouchable” sono state le più belle mai esistite nella storia della pallacanestro italiana.

Un ricordo del futuro virtussino Claudio Crippa, e del padre di Kobe Bryant.

Claudio per me è come un fratello, compatibilmente al suo lavoro in giro per il mondo continuiamo a frequentarci con regolarità. Solo a fine carriera ha avuto la ribalta che si meritava a coronamento della sua grande passione e intelligenza cestistica. Di Joe Bryant, a parte che non passava mai la palla, ricordo il profondo senso della famiglia che possedeva. Sempre tutti insieme, lui, moglie, figlie, figlio e nonni. Spesso rammento quando negli spogliatoi mi continuava a ripetere quanto suo figlio Kobe, allora bimbo, fosse bravo e io che lo prendevo in giro: aveva ragione lui.

L’anno a Reggio Calabria.

L’anno di Reggio Calabria è stato quello che forse umanamente mi ha arricchito di più. Ho conosciuto persone uniche, di immensa ed incondizionata generosità di sentimenti che hanno arricchito la mia vita e la mia famiglia. Sportivamente ho solo il rammarico di non essere riuscito ad esprimere tutte le mie potenzialità, soprattutto in quanto reduce da un intervento chirurgico, diciamo complicato…

Eri compagno di Hugo Sconochini.

Hugo in quei tempi era un ragazzino con tante qualità. Tutti gli appassionati di basket hanno conosciuto quelle cestistiche, io e la mia famiglia abbiamo conosciuto quelle umane. Lo trattavo come se fosse stato un mio fratellino e così per me è rimasto.  

La seconda parentesi pistoiese.

E’ stata una scommessa vinta e alla faccia di chi scommetteva che dopo il trapianto non sarei più riuscito a giocare in serie A, ho disputato forse la mia miglior stagione dove solo la Virtus di Messina ci ha stoppato.

Un ricordo di Joe Binion.

Sono dispiaciuto di averne perso le tracce. Sto cercando un suo contatto ma con scarsi risultati. Avevamo un rapporto che credo fosse speciale. Conservo come reliquie alcuni suoi regali. Oggetti che avevano come soggetto le ingiustizie razziali con cui aveva convissuto nella sua vita. Ricordo che mi dava dei suoi film per vederli e poi discuterne insieme, il suo regista preferito era Spike Lee. In campo lo chiamavo “my bank”: quando gli passavo la palla sapevo di averla messa al sicuro.  

Il ritorno a Livorno, nella squadra nata dalla fusione di due distinte realtà. Fu l’unica cosa da fare?

E’ stato l’errore più grande della mia carriera e se potessi tornare indietro mi opporrei a quel trasferimento. Sono tornato con gioia a Livorno pensando di ritrovare l’ambiente che avevo lasciato qualche hanno prima ma è stata una delusione. Per la fusione, chiunque ha vissuto a Livorno sa che le due identità non avrebbero mai potuto convivere. L’ideona di metterla in mano a Querci poi ha fatto il resto.

Era una squadra colma di ex-virtussini o futuri tali, da coach Lombardi a Massimo Sbaragli, da Stefano Attruia a Vittorio Gallinari e a De Piccoli.

Le vicissitudini societarie hanno influenzato negativamente l’anno.

Ma soprattutto Sugar.

Sugar è stato uno dei più grandi giocatori che abbiano mai calcato i campi italiani. Lo avevo già incontrato nel primo torneo Open quando ancora era una stella della NBA con i New Jersey Nets. Anche su di lui gli accadimenti societari livornesi hanno pesato enormemente. Il suo motto di quell’anno era: “no money, no play”…

Una carriera di derby, da quelli di Bologna a quelli toscani, dalla rissa con Jones al ritorno in una Livorno “mista”. Spesso alle vigilie di una stracittadina si sente il solito “Il derby è una partita come tutte le altre”. Tu cosa ne pensi?

Per il mio carattere sono stato sempre stato “sposato” dalle tifoserie dove ho giocato. Per me il derby non poteva mai essere una partita come le altre e infatti non lo è mai stato. Spesso ho ecceduto sfociando in rissa il mio agonismo. Ho pagato le multe, mi sono dispiaciuto ma se devo essere sincero non mi sono mai pentito. Il derby di ogni città aveva una caratteristica speciale e che per certi versi lo differenziava dagli altri. Personalmente a Bologna lo sentivo di meno in quanto giocavo contro degli amici. Addirittura alcuni erano stati anche compagni di scuola e poi in quel periodo la superiorità era schiacciante e vincemmo tutti quelli giocati. A Livorno il derby durava tutta la stagione, era una vittoria anche la sconfitta dei cugini. La rivalità tra Pistoia e Montecatini è stato lo stimolo per la crescita di tutte e due le società. Una cosa è certa, la vittoria ha sempre regalato momenti di gioia indescrivibile ai tifosi e questo è forse l’aspetto più bello della professione di un giocatore, quello di riuscire a regalare emozioni.

LANZA A BOLOGNA

tratto da "Vale Tutto" di Lorenzo Sani

 

Lasciò Carrara da ragazzo con Augusto Binelli per le giovanili della Virtus Bologna. Guardia-ala di grande temperamento e qualità tecniche, Matteo vinse il titolo juniores allenato da Stefano Michelini e, all'esordio nella squadra maggiore affidata ad Alberto Bucci, Scudetto della stella e Coppa Italia.

A Bologna è cresciuto nella foresteria bianconera con Paola Porelli che gli ha fatto da seconda madre e andava anche al ricevimento degli insegnanti, quando poteva.

MATTEO LANZA

di Ezio Liporesi - Cronache Bolognesi - 05/11/2021

 

Chi ha abbastanza anni ricorderà la scena vista dal vivo o in televisione, chi è più giovane l'avrà vista nei video di youtube: era il 27 maggio 1984, dieci secondi alla fine della bella della finale scudetto tra la Virtus Granarolo Felsinea e l'Olimpia Simac Milano. Un giocatore salta esultando in piedi sulla panchina bianconera: è Matteo Lanza, numero otto di quella squadra entrata nella storia delle Vu Nere per avere conquistato la stella del decimo scudetto. Mentre Matteo saltava, la gara non era ancora finita, tutt'altro, mancavano dieci secondi, ma la Virtus conduceva di un punto e aveva il possesso di palla, avendo appena rinunciato ai tiri liberi per il fallo subito da Van Breda Kolff ad opera di Bariviera, che diciannove secondi prima aveva fallito i due liberi del possibile sorpasso. Era proprio il pericolo scampato, dopo una gara sempre condotta, che dava la sicurezza a Lanza della conquista ormai prossima. Fu Van Breda ad effettuare la rimessa lanciando Brunamonti verso la schiaccia che sancì il verdetto definitivo: scudetto a Bologna. Matteo arrivò a Bologna da Carrara, con Gus Binelli; nella città toscana i tre fratelli Lanza (Luca e Marco, gli altri due) erano un'istituzione, come racconta Lorenzo Sani nel suo libro "Vale Tutto", ma improvvisamente Matteo si trova, sedicenne, nella foresteria Virtus, affidato, come tanti altri ragazzi, alle cure di Paola Porelli. Lamza vince uno scudetto juniores con coach Stefano Michelini e con compagni, tra gli altri, Gus Binelli, Maurizio Ragazzi, Moris Masetti, Alessandro Daniele e Clivo Righi. Poi quel magnifico scudetto con Bucci in panchina, Messina vice e in campo, con Matteo, Brunamonti, Villalta, Bonamico, Rolle, Van Breda Kolff, Fantin, Valenti, oltre ai vecchi compagni della juniores Daniele e Binelli. L'anno dopo è condizionato dagli infortuni che rendono l'organico insufficiente per il doppio impegno Campionato e Coppa dei Campioni. Così alla fine della stagione 1984/85 Lanza parte e torna in Toscana, terra di derby accesissimi e sentiti, stracittadini come quelli di Bologna o tra città rivali, che ben si addicono al carattere di Matteo. Prima Livorno, poi Pistoia e, dopo una parentesi a Reggio Calabria, di nuovo Pistoia, poi ancora Livorno. Per il suo dare sempre tutto in campo, anche ai limiti del regolamento e un po' oltre, Matteo è sempre stato amatissimo dalle sue tifoserie, ma l'affetto (ricambiato) per la Virtus, per Bologna, da dove arrivò ragazzo e ripartì giocatore professionista, è ancora vivissimo dopo tanti anni.