palmares individuale in Virtus: 4 scudetti, 1 Euroleague
IL PRIMO TROFEO DI SASHA
di Ezio Liporesi - 1000cuorirossoblu - 31/08/2021
Agosto 1992, il già grande Sasha Danilovic veste per le prime volte il bianconero della Virtus, dopo aver trionfato in Eurolega con quello del Partizan. Qualche amichevole poi il primo torneo, quello di Sportilia, il centro sportivo regno degli arbitri non solo di pallacanestro, in località Spinello, frazione del comune di Santa Sofia, non lontano da Forlì. In semifinale, il 29 agosto, le V nere battono la Libertas Forlì, con 29 punti dell'asso serbo, 17 dell'altro straniero Wennington e 14 di un altro neo acquisto, Carera. Nell'altra semifinale vittoria degli spagnoli del Granollers contro l'Olimpiakos Pireo. Quindi sono proprio i catalani a sfidare i bolognesi il giorno dopo, nell'ultima domenica di agosto. La Knorr vince 83 a 74 e il migliore realizzatore è ancora Danilovic con 25 punti, ben supportato da Riccardo Morandotti, 20 punti. In doppa cifra anche Wennington con 10. La Virtus si aggiudica il torneo, il primo trofeo, sebbene a carattere amichevole, dell'era Danilovic.
Danilovic con Brunamonti il giorno della presentazione
UNO DA FISCHIARE
di Walter Fuochi – La Repubblica – 29/10/1992
Lo fischieranno. Entrerà in campo e guarderanno solo lui, non Brunamonti o Binelli, Wennington o Morandotti. Capita. D'altra parte è il primo serbo che torna a giocare in Croazia, dopo la guerra e gli odii: sia pure con la maglia di un club italiano, quello che gli passa un miliardo l'anno, anche per superare esami come questo. Fischieranno Predrag Danilovic detto Sasha, questa sera al Palasport di Zagabria, dove la Knorr gioca contro il Cibona, alle otto, la sua prima partita di campionato europeo. Ma i fischi, da soli, non fanno male: sono tappezzeria sonora consueta, ovunque rimbalzi un pallone, e la gente individui un nemico, anche solo per quaranta minuti di basket. Quelli di stasera saranno più tesi: Danilovic era il giocatore in sboccio della nazionale di un paese sparito (la Jugoslavia) ed ora non ha più una nazionale (la Serbia sotto embargo) e solo una patria ad ingaggio, Bologna. Ora, semplicemente, per questa gente è un serbo venuto a giocare in Croazia. La partita vera sarà dunque capire se a Danilovic, detto anche Nikita perché ha la lucida freddezza del killer (di canestri, si intende), salteranno per questo testa e nervi; se due giorni in un paese improvvisamente straniero, dove il suo ex-compagno Djordjevic, ora alla Philips, non ha rimesso piede per prudenza, riescono a scavare nei pensieri di un ragazzo che ha tutto del campione, ma ha pure i suoi ventidue anni chiazzati d'acne, sotto una barba rada per sembrare più duro e dimenticare un'infanzia difficile: nato a Sarajevo, passato a Belgrado, squalificato per un'irregolarità di tesseramento, vissuto per un anno in America, a imparare quel basket dove dovrà tornare, da professionista. I due giorni sono cominciati ieri. No, erano cominciati prima, quando la Knorr si chiedeva se fosse giusto o no portarlo, e lui rispondeva con la baldanza dell'età: sicuro che vengo, non ho paura di nessuno, io. Ma ieri alle tre, quando il charterino a venti posti è atterrato, alle spalle della cautela della società, già rassicurata dal consolato, e della disinvolta indifferenza di Sasha, c'erano due guardie del corpo. Non solo dieci giocatori, tre tecnici, due dirigenti, un medico e un massaggiatore, ma anche due giovanotti muscolosi e discreti che parevano in gita premio: perché erano facce usate, ragazzi che tutte le domeniche si vedono nel servizio d'ordine al Palasport di Bologna, dove danno la caccia ai lanciatori di monetine. "Sei tranquillo perché ci sono loro, Sasha?". "No, sono tranquillo e basta", ha sorriso lui, che un po' deve imporsele, queste cose, visto che torvo lo è sempre, anche quando fa 30 punti e la curva bolognese, che ha ritrovato uno da amare, uno come Sugar Richardson, canta il suo nome, ottenendone al massimo un cenno del capo. Il copione da recitare, che stasera gli imporrà la massima umiltà, quando lo speaker croato chiamerà il suo nome serbo, era del resto già stampato. Aeroporto, ieri. Fila con gli altri, passaporto in mano, visti già apposti in Italia: uno sguardo della poliziotta in guardiola, un timbro. Uno come tutti. In aeroporto, gran viavai di caschi blu dell'Onu, ma sembrava che neppure lo conoscessero, quel piccolo di diplomazia sportiva, annegato in un paese con ben altri pensieri, che non mostra vistose ferite di guerra, ma presenta una rarefazione di traffico insolito, malata, per una capitale, sia pure piccola e recente. Così in albergo. Danilovic chiede di Ivo Nakic, che giocava con lui l'anno scorso nel Partizan, quando vinsero il campionato d'Europa. E se ne va poi all'allenamento, dove arriveranno giornalisti croati e al microfono della radio croata, che gli aveva chiesto da prima l'appuntamento, dirà la cosa più scontata. "Ok, sono qui, ma parliamo solo di sport. Anche stasera. Giochiamola a basket".
'ODIOSO SÌ, MA VINCO SEMPRE IO'
di Walter Fuochi – La Repubblica – 30/05/1994
Adesso che ha vinto, in due stagioni, il secondo scudetto, e che a 24 anni la sente come una storia un po' difficile da ripetere per tutti, e se ne inorgoglisce, è diventato anche più scorrevole parlargli, smontare la sua faccia scontrosa e diffidente, farsi raccontare canestri e dintorni. Il tavolino all’aperto è al bar più "in" della città, sotto il portico delle boutiques. A Sasha Danilovic, ragazzo di Sarajevo ricco e famoso (e pure bello, dicono le signorine), piace così. Macchina da 200 milioni, come quella del presidente, Harley Davidson, vita da califfo. "Ho i soldi per comprarmi quel che sognavo quando vivevo a Belgrado. Guadagno molto, spendo abbastanza: ma i sacrifici li ho fatti io, cosa interessa alla gente?". Bologna curiosa, quella che ti conta i soldi in tasca e ha in garage le stesse Harley e Bmw pagate da papà, ha pazziato fino a mezzanotte, coi bandieroni e le trombe. Sasha e Coldebella erano in negozio a spostare scatoloni: aprono oggi "Playground", vicino al palasport, scarpe e magliette da basket, ci si riverserà tutto il popolo dei campetti. Scudetto e affari in due giorni: verrà anche Carlton Myers, era un avversario, non un nemico. Dicono che Sasha è antipatico. Poche parole, sorrisi storti. "Che v'importa del mio carattere? Devo giocare, non esservi amico". è scorza, aggiunge, per arginare l’invadenza. Più che un misantropo, un indurito dalla vita. Via da casa a 15 anni, da Sarajevo a Belgrado, per secondare la vocazione del basket. Squalificato per due anni, perché non si poteva. A 16 in America: "Un anno schifoso, a Nashville. High school, famiglia, studio, basket. Però utile". A 17 in prima squadra col Partizan e in Nazionale. E dopo, guai veri, non di sport. Una famiglia in guerra: metà a Sarajevo, metà a Belgrado. "Un mese prima che scoppiasse tutto, e si capiva che arrivava il finimondo, portai i genitori con me, a Belgrado. Ma mia madre aveva lasciato un fratello a Sarajevo, serbo di Bosnia nel quartiere musulmano, la casa a pezzi. Volle tornarci, ospitarlo a casa mia, stargli vicino. Sono stati 7 mesi terribili, ora il peggio è passato: li sento quasi ogni giorno, mando loro soldi. Ma quella guerra è davvero assurda. Lo so, tutto il mondo odia i serbi, ma per fare una guerra si deve essere in due. O in tre, come in Bosnia". Antipatico, ma generoso. Poteva starsene ingessato due mesi, con la caviglia rotta, nella Buckler che rischiava di buttar via la stagione, perché Levingston era scappato col mal di schiena e voleva lo stesso il suo milione di dollari. Invece Sasha spinse per rientrare, provocando liti fra medici e un’etichetta di "stregone" al suo dottore e amico, Stanislav Peharec, non ancora mandata giù. Giocare col dolore, pensare alle partite di oggi e non ai dollari di domani l’ha avvicinato alla gente: il rinnovo del contratto è stato quasi un furor di popolo. Tra Nba e Bologna, farà il terzo anno qui. Golden State può attendere, ma forse Danilovic è già dei Phoenix Suns: quelli che lo torchiarono all’Open di Monaco, per vedere di che pasta era ed, evidentemente, apprezzarono. "Per l’America non sarei pronto fisicamente: devo far pesi, ingrossarmi, in estate sgobberò. Tecnicamente mi sento a posto, e la testa l’ho dura. Credo che, se anche andasse male subito, farei come Drazen Petrovic: fallito a Portland, si riprese tutto a New York, con la volontà. Ma se dovessi giocare due minuti a partita, fare lo spettatore in panchina, tornerei indietro". Adesso che i soldi di Bologna sono 800.000 dollari l’anno, non scorda i debiti. "Debbo questo a un allenatore, Dusko Vusojevic. Mi prese al Partizan, mi mandò in America, mi impose a Belgrado, dove ho vinto tutto: scudetto, Euroclub, Korac, Europei con la Nazionale. Si viveva insieme, tutti i giocatori. E si guadagnava bene, per là. Ma quasi nulla rispetto a qui. Si vinceva e vincere resta il massimo. Dopo vengono i soldi. Molto dopo". Gli manca la Nazionale. L’ultima Jugoslavia fu quella che vinse gli Europei di Roma '91. L’inizio della catastrofe, quando una telefonata del suo governo escluse Zdovc, lo sloveno, dalla finale. "In squadra eravamo uniti, talvolta Aza Petrovic o Arapovic facevano discorsi strani, stupidi, sulla Croazia, ma con Kukoc e Radja andava bene. Badavamo a giocare, la politica non c’entrava. Peccato non aver più una nazionale, ho invidiato la Croazia quando ha fatto i Giochi di Barcellona, solo perché ha avuto più diplomazia di noi. Mi sarebbe piaciuto giocarci contro. Non per odio, ma per misurarci, sul campo, come sempre. Io, Divac, Paspalj, Djordjevic, Savic contro Petrovic, Kukoc, Radja, Komazec, Tabak. Bello, no? Com’era bello il nostro campionato. Soldi pochi, tanta rabbia. Perdevo e stavo nero 4-5 giorni. Ma la pressione è più alta qui. Non per i tifosi o la stampa. La vera pressione sono i soldi. Perdi una partita, e tutti perdono soldi, lo sponsor, il club, l’Euroclub che non si fa, gli incassi mancati. Quello si sente. Ma io vinco, per fortuna".
STRANAMORE E LA MURAGLIA (INTERVISTA AD ALBERTO BUCCI)
tratto da "3 volte Virtus" di Werther Pedrazzi
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Nel basket, lo sapete, i casini sono veramente come le ciliege, che uno tira quell'altro, e dopo il tormentone della schiena di Livingston, ecco di nuovo in scena il copione dell'anno precedente: Danilovic e Morandotti, i duellanti.
"Ricky non si sentiva partecipe, non si sentiva coinvolto dalla squadra. Da lui ho accettato cose che da altri non avrei mai accettato. Non per debolezza, ma perché conosco lui e la sua storia. E so che certi sfoghi portano via le tensioni interne. Sapevo con certezza che per la squadra Ricky avrebbe dato un braccio, e l'ultimo suo passaggio per la vittoria sarebbe stato per Sasha, senza esitazioni. Anche Danilovic mi fece molto soffrire. Sasha in campo non voleva semplicemente esistere, ma sterminare. Sempre più diventava l'uomo che "doveva" risolvere le partite, e sempre più prendeva rischi assurdi. Tiri che erano tuffi con il coefficiente massimo di difficoltà. Ma Sasha, insieme a Paolo Moretti, era anche l'unico a cui madre natura avesse messe il lampo nelle mani, e allora eri costretto ad accettare anche qualche puttanata. Andava spesso fuori dal gioco, rubava tiri logici ai compagni? Sì, certo. Ma la Virtus è una squadra fatta di uomini intelligenti. Che capiscono tutto, anche quello che può dare loro fastidio. Avrei potuto prendere Sasha e dirgli: tiri solo quando sei libero. Lo avrei costretto a pensare. E pensando avrebbe perso tutta la cattiveria, l'istinto del killer, la rabbia di ammazzare la partita. L'istinto omicida è sempre una furia cieca".
Già, chi solo i killer? Quelli che sparano meglio, perché hanno più mira degli altri. Nossignori. Sparano meglio, semplicemente perché sono più crudeli e non gli trema mai la mano. Sasha Danilovic, "la rondine coi jeans" era davvero crudele, anche con sé stesso.
Il 7 novembre '93 la Buckler perde a Pesaro (76-68) - che novità... Sono dieci anni che la Virtus non ci vince - Danilovic quel giorno col pallone non avrebbe preso in una vasca da bagno. Sul pullman del ritorno chiede a Frattin le chiavi del Palazzo e appena arriva in Piazzale Azzarita, che erano le dieci, (ore 22:00), entra e non esce finché non ha segnato trecento tiri. Senza cenare. Autopunizione: bella e buona. Tipi tremendi.
Noi, poi, siamo rimasti davvero impressionati da un altro fatto, che lui stesso ha raccontato nel suo libro: quand'era bambino, siccome voleva molto bene a sua sorella, un giorno che la sua sorellina giocando si fece male, lui prese uno spavento da morire, uno spavento tale, che diede un sacco di botte alla ragazzina.
Spiegati meglio: cercherai mica di tirare in tondo un gran campione? Ci mancherebbe altro. A prima vista, il fatterello sembrerebbe un po' bastardo, invece è solo un pochettino complicato. Siccome Sasha amava la sorella e picchiarla gli sarebbe dispiaciuto, per farsi del male, cioè, per autopunirsi, probabilmente perché non l'aveva attentamente sorvegliata, ecco che la menò, senza remissione. Ecco perché! Chissà cos'è che, dal di dietro, se lo mangia vivo? Chissà cos'ha dentro alla pancia? Quale tremendo fuoco di contraddizione?
Ohi, ma non c'avete fatto caso? Era un anno e mezzo che Morandotti e Danilovic si davan le mazzate, ma ogni volta che la Virtus vinceva una partita erano proprio Predrag e Riccardo i primi ad abbracciarsi in mezzo al campo.
"Ed erano sinceri. Due come loro non facevano niente per comodità o per ipocrisia. La voglia di arrivare divora Sasha, Bologna era per lui un trampolino di continuità, Quel suo bisogno quasi violento di autoaffermazione lo porterà a sfondare anche nella NA. Non chiedetevi se, ma solamente quando - iniziate pure il conto alla rovescia - Sasha arriverà nel quintetto base di Miami".
Danilovic ha fregato anche il suo coach. E voi non fatevi fregare, statevi accorti, dal nostro diacronismo esasperato, che stiamo ancora raccontandovi le vicende del campionato 1993-94, però osservando il carattere dei fatti nella loro evoluzione, abbiamo attraversato il tempo fino ai giorni nostri, autunno del '95.
Giorni "zero". Il 4 novembre 1995, infatti, all'esordio nel campionato professionistico americano, mentre Rusconi non si alzava dalla panchina, ed Esposito guardava la partita dalla tribuna, Danilovic Predrag, detto Sasha, è partito nello "starting-five", anche nella NBA, anche qui miglior realizzatore della sua squadra, con 16 punti. Ha tirato pure una gomitata ad un avversario, ed è stato espulso. Prima però il nemico gli ha risposto, aprendogli uno squarcio sullo zigomo, ricucito con 12 punti di sutura. Ma cos'ha Sasha, dentro alla pancia, che se lo mangia vivo?
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DANILOVIC ALLA KINDER PER 10 MILIARDI
Il bomber serbo torna a "casa"
di Lorenzo Sani - Il Resto del Carlino - 02/06/1997
A Bologna c'era già fisicamente, prima di tornarci anche per l'anagrafe dei canestri. Con la testa forse non era mai andato via. Ecco Danilovic, dunque. Ora è ufficiale. Il bomber dei tre scudetti Virtus, classe 1970, torna a casa dopo un volo nel pianeta Nba che per lui, come per tante stelle europee, è stato abbastanza breve: due stagioni, la prima di sole 22 partite per colpa di un infortunio al polso (che già tanti problemi gli diede a Bologna), l'altra divisa a metà con la Miami di Pat Riley e Dallas, ultima stazione del suo sogno a stelle e strisce.
La performance che ha fatto il giro del mondo è datata 3 dicembre 1996, 21 punti sui 99 a 75 della sua squadra nel blitz al Madison Square Garden di New York, con un percorso netto dalla linea dei tre punti che ha lasciato tutti sbigottiti: 7/7. In quei giorni ci trovavamo proprio a Belgrado con la Kinder che di lì a poco avrebbe poi giocato contro la sua veccia squadra, il Partizan. Erano i giorni drammatici, carichi di tensione e di rabbia, ma anche di quella speranza che filtrava dalla marcia quotidiana degli studenti contro il governo Milosevic che aveva invalidato le elezioni amministrative sfavorevoli in molti distretti e in particolar modo nella capitale.
Vlade Divac, il centro dei Lakers e poi degli Hornets, solidarizzò via internet con i dimostranti e divenne come tanti campioni dello sport serbo un simbolo della rivolta, ma anche l'impresa di Danilovic al Madison, vissuta e rivissuta decine di volte in tivù e nei telegiornali, divenne un cavallo di battaglia e produsse entusiasmo tra i giovani, sfuggendo forse al tentativo del regime di stimolare, proprio attraverso quella super prestazione, l'orgoglio nazionalistico nella maniera più bieca distogliendo l'attenzione dell'opinione pubblica dai veri problemi.
Sasha II La Vendetta, volendo cercare un titolo per questo ritorno che stabilisce oltre al rilancio in grande stile della Kinder dopo due stagioni più sofferte dentro che sul fronte dei risultati, anche il record in materia di ingaggi per gli stranieri del nostro campionato, se per i tre anni in maglia bianconera verrà confermato che Danilovic percepirà una cifra molto vicina ai 10 miliardi di lire.
Del gruppo che ha lasciato imbarcandosi per l'Nba, il bomber troverà sicuramente, oltre a Robby Brunamonti - ora dietro una scrivania -, anche Picchio Abbio, che proprio ieri ha rinnovato il contratto (biennale), ed Ettore Messina, il coach della sua prima avventura italiana e del primo scudetto. Potrebbero esserci anche Carera e Binelli, anche se l'arrivo scontato di Frosini e quello in via di definizione dello sloveno di passaporto greco Nesterovic, imporrà verosimilmente una scelta.
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DANILOVIC, UN GIGANTE SUL DERBY
di Andrea Tosi - La Gazzetta dello Sport - 22/11/1997
Predrag Danilovic, in arte Sasha, campione della Kinder, entra nel derby di Bologna in punta di piedi. Non parla mai alla vigilia di questa sfida: non è una novita', lo faceva anche nel suo primo periodo virtussino. Ma da allora, Sasha in campo è cambiato, diventando, se possibile, ancora più forte. E ce lo facciamo raccontare da chi gli sta vicino, in palestra e in campo. Ettore Messina ha allenato il Danilovic giovanissimo. "Aveva 22 anni, era alla prima stagione del suo ciclo di tre scudetti, era anche la sua prima esperienza fuori dalla Jugoslavia - ricorda il coach -. Allora come adesso non è cambiato nella voglia di vincere e di prepararsi per vincere. Dal punto di vista tecnico, prima era quasi esclusivamente una macchina da punto, il nostro terminale offensivo; adesso, invece, come tutti i grandi campioni sa quando deve preoccuparsi prima dei compagni che di se stesso. L'esperienza gli ha insegnato molto. Tornando a Bologna ha fatto una scelta coraggiosa, sentiva di avere il carattere e la serenità per riuscire nella sfida. Ha impiegato poco a riadattarsi al gioco europeo, subito si è riappropriato del suo ruolo di leader naturale. è migliorato in difesa, e può marcare quattro avversari diversi, dal play all'ala forte; spesso prende l'uomo più difficile. Concordo con un telecronista che lo ha paragonato a Larry Bird, nel senso che prende tutto quello che l'avversario gli concede". Sandro Abbio ha vissuto con Danilovic l'ultimo scudetto. "Il Sasha attuale è molto meglio di quello che ricordavo io. Nessuno può fermarlo nell'uno contro uno. La sua visione di gioco e l'abilità di passaggio, pur non essendo un play, sono notevoli. è bravo ad attirare i raddoppi scaricando sul compagno libero. In attacco non forza quasi nulla, non cerca più di fare i 30-35 punti di una volta, il suo ruolo di uomo-squadra lo coinvolge molto. Nella Nba ha imparato a sopportare e accettare le botte senza perdere la serenità. Per questo è grande quando vuole giocare anche infortunato". Zoran Savic stravede per il suo connazionale. "Danilovic è tornato dalla Nba più maturo mentalmente e più forte fisicamente. Sa esser decisivo anche quando gioca male perché fa sempre la cosa giusta al momento giusto. Sasha conosce la pallacanestro, non è sorprendente vederlo oggi difendere forte perché lo faceva anche da giovane. è un giocatore totale, che esalta il nostro gioco di squadra". Anche per questo Danilovic stellare c'è però da superare l'esame del derby, una partita diventata negli ultimi due anni dominio assoluto della Fortitudo, che vanta una striscia aperta di 7 successi (5-0 l'anno scorso). "è il campo a dire che entriamo in questo derby da favoriti - dice Messina - ma il loro potenziale tecnico è talmente grande che in una partita secca può ribaltare ogni situazione. Lo spettro dei 7 k.o. potrà pesare se ci faremo assalire dall'ansia di rivincita. Tuttavia non credo che commetteremo l'errore di aggredirli, cercheremo di avere pazienza e di fare, insieme, quello che fa Danilovic: prendere quello che la Fortitudo ci concederà. Non uso pose, ma francamente vivo questa vigilia con molto distacco perché l'ultimo mio derby risale all'aprile del '90. Sentivo più quelli del settore giovanile. Male che vada perderemo, ma saremo sempre primi in classifica". Anche Abbio e Savic (a parole) sono tranquilli. "Ci danno tutti per favoriti ma nei derby quello che è successo fino a ieri non conta più - sostiene l'azzurro -. Ciò che conta invece è l'assetto di squadra e l'intesa coi compagni nei 40'. Noi ce l'abbiamo e siamo consapevoli della nostra forza. Vogliamo inoltre riscattare le sconfitte di ieri". Chiude il rigenerato Zoran: "Ho cambiato ruolo, diverso dallo scorso anno. Gioco più lontano da canestro e, quando sono solo, tiro. A 31 anni mi sto costruendo una carriera da ala. E sotto le cure del prof. Grandi sono diventato anche più tonico. Il derby? è importante per le tifoserie, i media, il prestigio delle società ma non per la classifica. A Bologna li ho persi tutti ma a Salonicco col Paok ne ho vinti 12 su 13 contro l'Aris. è una gara particolare, nella quale non esiste pronostico".
DANILOVIC, DA UNA COPPA ALL'ALTRA: "IO NON SO PERDERE? CHE IDIOZIA"
di Andrea Tosi - La Gazzetta dello Sport – 05/02/1998
In attesa di ritornare in campo per l'ininfluente turno di Eurolega, stasera al PalaMalaguti di Casalecchio (lo sponsor dell'impianto e’stato presentato ieri) e’di scena il Racing Parigi di Bozo Maljkovic, la Virtus risponde a Giorgio Seragnoli. Il patron della Fortitudo aveva definito Sasha Danilovic un "bad loser", cioé uno che non sa perdere avendo il serbo snobbato nelle interviste il k.o. di coppa Italia. "Mi meraviglia - ironizza coach Messina - che il proprietario inventatosi psicoterapeuta, capace di scuotere la Fortitudo regalando dischi, non abbia saputo cogliere nelle parole di Sasha il suo grande senso di responsabilità nell'attrarre su di se’i postumi della sconfitta scaricando questo peso ai compagni". Il bomber serbo è più ficcante. "A 18 anni avevo già vinto 5 titoli - sottolinea l'ex Heat -, all'epoca ero un ragazzo e potevo dire delle stupidaggini. Ma adesso io e anche quel signore (Seragnoli, n.d.r.) abbiamo superato la fase della pubertà. Dall'89 fino a oggi ho sempre conquistato qualcosa di importante nella mia carriera, perciò conosco il valore della vittoria e i sacrifici che ci sono dietro. Parlando con la stampa, ho espresso un giudizio personale: per me la coppa Italia è il traguardo minore rispetto a scudetto ed Eurolega. Ma non per questo ho voluto minimizzare il successo della Fortitudo e la gioia della sua gente. Anzi, a fine gara sono stato il primo a entrare nello spogliatoio avversario per congratularmi con Myers e Wilkins. In quei tre giorni loro sono stati più forti. Aggiungo che mai ho parlato male dei giocatori, della società e dei tifosi della Fortitudo, non mi faccio gli affari degli altri. Perciò chiunque dica che non so perdere è un idiota completo. Ripeto: chiunque. Niente nomi specifici...". In effetti, Danilovic si guarda bene dal citare direttamente l'accusa di Seragnoli. Tornando all'Eurolega, stasera la Kinder riporta nei dieci Ricky Morandotti. "Il fatto che la Kinder abbia fallito come Taugres, Barcellona, Panathinaikos e Olympiakos le finali delle Coppe nazionali non mi consola - dice Messina -. In questo caso, aver compagno al duol non scema la pena ma la accentua, perché da noi ha vinto una pretendente allo scudetto, invece in Spagna e in Grecia hanno fatto il colpo squadre senza ambizioni. Abbiamo bisogno di una buona gara per smaltire la delusione, anche se adesso il nostro obiettivo immediato e’il campionato".
DANILOVIC, MISTER VITTORIA
di Walter Fuochi - La Repubblica – 25/04/1998
Se la mezza città che ha vinto la Coppa imita oggi Massimino, il compianto, folclorico presidente del Catania, è tutta colpa sua. Fu Sasha Danilovic a rispolverare quello sgangherato "Io può", che adesso, dopo l’Europa conquistata, rimbalza dalle ramblas di Barcellona ai portici di San Luca come la parola d’ordine della città bianconera. "Noi può", stava scritto sugli striscioni del Sant Jordi. "Io può", ha ripetuto Danilovic tornando a casa, la notte, sul charter di quelli stanchi ma felici. "Sono vuoto, mi fa bene solo pensare che è finita e sono felice perché, più invecchi, più apprezzi certe conquiste, sapendo che potresti non averne più". Sarà che il più caro amico di Bologna, da un po’, è Stefano Bonaga, il filosofo sfinito d’amore per Alba Parietti, lettore e divulgatore di lettere di Seneca, ma non pare proprio Danilovic, questo crepuscolare pensatore delle umani sorte. Lui, il ragazzaccio delle grandi energie e dei soverchi disprezzi, l’Antipatico senza paura sul campo, che alla fine della partita sfoggiava un sigaro smargiasso, alle interviste, come si vede nei film americani, a missione compiuta, o come aspira Michael Jordan, quando vince a Chicago. No, sull’aereo c’era quest’altro Danilovic, pacato, riflessivo. "Avevo vinto questa coppa nel ‘92, col Partizan, la squadra di casa mia. Avevo 22 anni, quasi non me ne accorsi. Eravamo ragazzi, fu soprattutto un gioco. Ma non una sorpresa. Non eravamo favoriti allora, ma quando giochi una finale giochi sempre per vincerla. Certo, stavolta c’era più pressione, cinquemila splendidi tifosi che ci chiedevano questa Coppa ed è stato bello vincerla per loro. Ma è stata una gioia soprattutto per me: quando invecchi, apprezzi di più". Vecchio a 28 anni sembra una bestemmia, ma quando hai vinto tanto, e soprattutto sbranato finali internazionali, prendendone 7 su 8 in carriera (unica persa: contro il Dream Team ad Atlanta), puoi pure cominciare a pensare che siano più i canestri fatti di quelli da fare. "Certo, eravamo favoriti. Ma una finale non è mai scontata. E anche se abbiamo dominato la stagione, quella che ha vinto non era più la squadra progettata in estate per non temere nessuno. Amaechi se n’era andato, Papanikolau non era mai arrivato: ci siamo ritrovati un po’ più deboli e allora, penso, un po’ più bravi. La coppa l’ho sentita vicina prima dei derby con la Teamsystem. Ne parlavo con Savic: passiamo qui e andiamo fino in fondo. è stato così. La Teamsystem era come noi, fortissima. Anche più di noi". Danilovic ha così rilucidato la storia di un binomio, con la Virtus, limpido da leggere come una linea retta. Bologna aveva sempre vinto finché c’era stato lui: tre scudetti a fila. Poi mai più vinto, quando Sasha aveva provato l’America. Ha rivinto, subito, quand’è tornato. Lo amano, a Bologna, e spesso lo sopportano, lo dice anche lui di avere un caratteraccio, perché stipula di queste polizze. Care, certo. Prende tre miliardi e mezzo, più di Baggio e più di tutti i cestisti d’Italia, ma riaverlo fu, per il presidente Cazzola, pure un’operazione d’immagine. L’anno precedente era stato avvilente: solo una Coppa Italia, la fede dei tifosi avvilita da mille delusioni, e soprattutto da 5 derby persi su 5, roba che a Bologna è peggio che smarrire il biglietto vincente della lotteria. Danilovic ha ripagato, con la prima Coppa dei Campioni della Virtus. L’hanno festeggiato a Barcellona, l’hanno aspettato all’aeroporto Marconi, alle 4 del mattino. In città s’erano appena spenti i caroselli. Quasi tutti festosi, pochi stupidi. Spaccare le vetrine del Fortitudo Point, il negozio della fazione rivale, era solo stato stupido. Ma c’è gente incapace di essere felice anche per una coppa aspettata da una vita. Invece di gioire, che poi si diventa vecchi...
La caratteristica sospensione di Danilovic, col pallone molto alto
DANILOVIC, SHOW E RISSA. SOLO TREVISO VA ALLA BELLA
di Walter Fuochi - La Repubblica – 29/04/1998
Quarantasette punti di Danilovic. Poi, alla fine, qualcuno dei suoi irridenti marameo: che non piacciono alla gente, e ancor meno piacciono a Caja che, uscendo, gli sbatte contro, petto contro petto, rimbalza via e, mentre Sasha tira dritto fino al tunnel, sotto una pioggia di contumelie, cartacce e peggio, trova Messina che, col dito alzato, gli dice di non farlo più. Poi, nel sottopassaggio, incontro ravvicinato con un ragazzotto che prova a tirargli una testata: colpendolo sul petto, per ovvie questioni di centimetri. La Kinder passa così in semifinale, dove troverà Varese che ha vinto a Rimini: e i quadretti agrodolci del finale verranno magari ricordati più d’una partita mostruosa del suo asso, che vale alla Kinder mezza qualificazione, e anche di più, e a lui il record di bottino personale da quando è in Italia. Danilovic ha segnato 26 punti nel primo tempo e 21 nel secondo. Ha infilato 8 bombe su 13 tentate, 8 tiri su 10 da due, 7 liberi su 7 e aggiunto 7 rimbalzi e 3 assist. A Roma che mille volte ha rialzato la testa, orgogliosamente, inseguendo una partita sempre in passivo (tranne un iniziale 13-9), ha dato sempre lui il colpo che la faceva indietreggiare. Altro veleno è scorso poi in sala stampa, dove uno scurissimo Messina ha accusato Roma di vittimismo, "e se Danilovic ha risposto con 47 punti a gente che lo insulta tutta la partita e a uno striscione che lo chiamava zingaro, se è uscito vincitore da questo campo dove solo Obradovic accettava il suo gioco, ne sono contento. Roma è l’unico campo d’Italia dove vengo sputato e preso di mira, e nessuno ha avuto il buon gusto di farci i complimenti per una coppa che mancava in Italia da dieci anni". Non è sembrata neanche una partita della Kinder: tiro a segno in attacco, esaltato da quel Danilovic, difesa meno ruvida del solito e soprattutto distrazioni a metà campo, sulle quali il razzo Busca partiva in contropiede. Pure lui aveva 16 punti alla pausa, ma nessuno che lo seguiva. La Kinder la metteva sul fisico, pur senza Savic, seduto con la caviglia inservibile e con mezzo Sconochini. Contro Sasha, peraltro poco assistito da Rigaudeau (molto invece da Abbio, 15 punti con 5/6, di cui tre bombe), Caja tentava tutto: zone d’ogni tipo, uomo, difese miste. Nulla da fare, poteva segnare bendato. Sasha pare placarsi nel secondo tempo, ma sono solo 8 minuti, in cui sbaglia 5 tiri e non è più l’incubo dei quattromila, eccitati pure dalla presenza di Zeman, Totti, Paulo Sergio e Di Biagio. Quando riattacca, e Roma è appena arrivata a un punto (50-49), è però micidiale: stiverà, in 12’, altri 21 punti. Roma galleggia indietro, costringe Messina a usare i 4 piccoli e un lungo per volta, perché hanno tutti 4 falli, con la rinascita di Ambrassa sfiora il sogno. Sul 75-78 Obradovic perde palla in entrata e, dopo un fallo di Busca, Rigaudeau timbra dalla lunetta l’80- 75, a 1’20’’. Poi, tanto per farsi odiare un po’ di più, Danilovic l’83.
"NON PARLATE SOLO DI ME E PORTATE RISPETTO A WILKINS"
di Walter Fuochi - La Repubblica – 01/06/1998
E della Kinder la squadra a rinfrescare una doppietta che al basket italiano mancava dall’87, 11 anni fa: campionato e Coppa dei Campioni. "Ma sì, sono un leader - ha esalato con gli ultimi fiati in spogliatoio Sasha il terribile, che per incrudelirsi s’è pure tatuato un ragno velenoso sul bicipite -, o lo sono quando occorre. Ma senza squadra, tutta, non saremmo mai arrivati qui. È stata meravigliosa. Della Fortitudo non ho nulla da dire, parlo solo di Wilkins: sento brutte cose intorno a lui, portategli rispetto, lui è un mito, certe cose dovrebbero essere proibite". Del mito, aveva raccontato di averlo avuto appeso in poster nella stanzetta da letto a Belgrado, da ragazzo: ieri sera ha giocato malissimo, il vecchio Nique, ma Sasha, dal superattico dei grandi, non lo lasciava toccare. E anzi, quando diceva "io ho vinto tutto e qualcosa l’ho vinta più d’una volta" spediva un messaggio all’altra anima della Fortitudo, che invece ama meno, quel Carlton Myers che gli si è opposto con estrema energia, che forse, faccia a faccia, l’ha anche battuto, ma che non era mai, né ieri né giovedì, sui pedali per lo sprint decisivo. Myers che non vince mai: solo una Coppa Italia, quest’anno, che non sazierà spese e ambizioni del colosso Fortitudo adorato e arricchito dal suo patron Seragnoli. Myers che, dopo una partita vinta di questa serie infinita di finali, aveva sibilato: "Il migliore? L’hanno premiato questa sera", alludendo alla Polo Cup di miglior giocatore dell’anno che Sasha aveva avuto all’intervallo. Danilovic l’aveva subito cercato: in campo potevano darsi di tutto, fuori dirsi niente, lo sapesse Carlton. Ieri sotto, sotto il pullman, si son dati la mano. Bello. "Ho passato dieci giorni terribili - ha continuato Sasha -, ero dimagrito, non dormivo, faticavo a camminare, sentivo questa pressione pazzesca. E non stavo bene, per niente. Stasera si mangia, finalmente, e si mangia gratis, al ristorante di Brunamonti". La notte di Sasha è così scivolata via verso la gioia, notte fratturata in due nella Bologna che aveva appena goduto e sofferto quei cinque derby cui è voluta l’appendice d’un supplementare, per assegnare lo scudetto. Sono stati dieci quest’anno, spesso furibondi, sei ne ha vinti la Virtus, quattro la Fortitudo, che fece festa solo per la Coppa Italia. "Ma io - parla ancora Danilovic -, quando dissi allora che non me ne poteva fregare di meno, non volevo svilire la conquista altrui, ma dire che mi pagavano, e bene, per campionato e Coppa dei Campioni. Che sono arrivate". Sono arrivate e il più felice, saltellante sulla balaustra del suo palasport, era il presidente Alfredo Cazzola, che questa squadra l’aveva ricostruita pezzo a pezzo, richiamando Messina dalla nazionale, stanziando 12 miliardi di stipendi (esattamente come il dirimpettaio Seragnoli). Cazzola l’ha dedicata ieri sera a una madre "che m’ha tirato su insegnandomi a lavorare duro e a sacrificarmi e cui ora voglio pensare con grande affetto". Cazzola, il vecchio ragazzo della Bolognina, il quartiere popolare da cui spiccò il volo per il Motor Show, poi per il Salone di Torino, adesso per nuovi progetti a Napoli e al Lingotto, nonché per una leadership nella Lega Basket da cui avviare la modernizzazione di uno sport "in cui gli imprenditori vengono solo torchiati": Cazzola ha vinto e ha tenuto a dire che viene dal poco, che alla testa della nobile e coronata Virtus che ha tenuto alla sete, ancora, la rampante Fortitudo, c’è uno che non aveva niente e oggi ha tutto, anche la felicità di uno scudetto nel quale pareva, a pochi secondi dalla fine, perfino folle credere.
PAROLA DI AMBASCIATORE
Bianconero n. 15/anno 2 - ottobre 1998 (tratto al libro "Slavi d'Italia, trionfi e misteri" di Marco Valenza)
È stato scritto che Danilovic riterrebbe Alfredo Cazzola una sorta di fratello maggiore: "Non esageriamo: Cazzola mi ha fatto diventare ricco, ma anch'io credo d'aver fatto qualcosa per lui. In 4 anni in cui mi ha pagato, ho vinto 4 scudetti. Lo rispetto, gli sono grato per i soldi che mi ha dato, ma credo anche che, se non ci fosse stato lui, qualcun altro mi avrebbe dato molti soldi per giocare a basket e vincere. Piuttosto, il mio rispetto per l'uomo Cazzola nasce da un'alatra cosa, dal fatto che si è costruito da zero, un autentico impero. Mi piace questo, io faccio un altro lavoro ma in un certo senso mi riconosco: è un duro che usa metodi spicci, a volte suona come un difetto, ma i risultati lo premiano".
Si diceva dell'Nba. Al momento di firmare per i Miami Heat si fecero vivi dall'Olympiakos e dal Panathinaikos. Per un momento, Sasha ebbe il dubbio: poi Miami rilanciò, facendo un'offerta migliore e scattò il biglietto di sola andata. A Miami prese una casa a Key Biscane, il quartiere migliore dove in cui vivere, un'isola collegata alla città da un ponte a pedaggio, il quartiere dei ricchi. Quando non c'erano partite, dopo le quattro ore di allenamento del mattino, andava a casa a mangiare poi al mare; la sera usciva con degli amici serbi. Una vita "passabile" per quasi due milioni di dollari all'anno. Per sua fortuna trovò sul suo cammino Pat Riley. Se avesse trovato un medio allenatore della Nba sarebbe stato peggio.
"Riley non mi ha regalato niente e, come tutti gli allenatori, ti usa finché gli sei utile, poi ti butta via. Però è un grande personaggio e con lui si lavora. Non vai in campo perché sei binaco o perché sei un tiratore o semplicemente perché sei il migliore giocatore d'Europa. Giochi se te lo meriti. Se non te lo meriti ti caccia via. E poi probabilmente il fatto di aver lavorato tanti anni a Los Angeles lo ha fatto diventare un grande motivatore":
Alla prima partita nella Nba, l'esordio assoluto, Sasha non si è limitato a segnare 16 punti, ma è anche stato espulso a cinque minuti dalla fine per una rissa con Chris Mills, che gli ha procurato una squalifica ed altri 12 punti, ma di sutura, sul mento. "Su un mio taglio sotto canestro mi ha messo il gomito sulla faccia per non farmi passare. Quando ti capita una cosa del genere hai due possibilità: o gli dai un pugno in testa, o subisci e ti prepari ad essere trattato così per gli altri 3-4 anni che pensi di passare nella Nba. Io oprati per la prima strada. E per due anni nessuno mi ha fatto nulla del genere".
L'esile Danilovic della prima parentesi virtussina
LO ZAR
di Gianfranco Civolani - I cavalieri della V nera - 1996
Quella sensazione di fisiologica sgradevolezza, subito a pelle. Lo vedo per la prima volta incrociare i ferri con la Virtus in una doppia sfida di Coppeuropa. Sicuramente gli esteti sono più conquistati dalla raffinata eleganza dell'altro Sasha (Djordjevic) e invece io sono come rapito da quel satanasso che usa la scimitarra e che serra i pugni con tutti e contro tutti. Per esempio baruffa con Coldebella (che diventerà poi suo amicone) e mi pare insomma che vada contropelo con il mondo intero. Ma al momento del dunque lui risolve la faccenda, la Virtus resta al palo e chiaramente mi viene da pensare che un fringuello così in Virtus sarebbe quasi il massimo. Non passa poi tanto ed ecco il fringuellone con la V nera sul petto. Ho il sospetto - lo ripeto - che non sia tanto amabile e accostabile, la sua perenne mutria (e dico questo perché viene ad abitare nel palazzo attiguo a casa mia) è tutta un programma. E infatti. Organizziamo al giornale un incontro con Sasha e con la sua procuratrice Mira Polio. Parte una mia domanda che definirei abbastanza innocua e sicuramente non provocatoria. Caro Sasha, ti pesa l'eredità di Sugar Richardson? Mira si infuoca. Se lei fa altre domande del genere, noi ci alziamo e ce ne andiamo. E meno male che invece lui non mette lingua e per il resto del colloquio si presta, mai regalando un mezzo sorriso, ma rispondendo con garbo e professionalità. Bene, chi se ne frega se non è un allegrone. Purché poi sul campo faccia gli sfracelli che dovrebbe. E in effetti sul campo non ce n'è per nessuno. Com'è con i compagni? Abbastanza potabile, mi dicono. Com'è con i tifosi? Talvolta regala anche quel mezzo sorriso, evviva. Com'è con la stampa? Lui chiarissimamente i giornalisti non li ama e anzi. Però non fa le boccacce e insomma si comporta come può anche comportarsi un tipo ispido e burbero e comunque molto introverso e solitario. Fosse angelico com'è Brunamonti, mi sussurra qualcuno. Ma poi perché Caino dovrebbe farsi Abele? Ma attenzione: dico Caino per comodità di immagine e invece dovrei anch'io fare un po' di pubblica abiura, perché per esempio lo incrocio un giorno sì e un giorno no e lui mi fa anche un mezzo saluto e ringraziare. Io non ho occasione dì intervistarlo, ma ho occasione di ammirarlo massimamente e di imparare a memoria la sua storia, la storia di un ragazzino che comincia a giocare a basket piuttosto tardi, che con la perseveranza impara i primi rudimenti e che a Belgrado subito si fa valere alla grandissima. Serbo dì Bosnia, si definisce lui, e io fingo di capire e non capisco l'accostamento. Ma sono solidale con lui quando in Croazia lo riempiono di sanguinosi insulti perché la cattivissima Serbia è in guerra contro la soave Croazia e magari non è affatto vero che i cattivi stiano da una sola parte, ma in genere i commentatori politici ci raccontano questo e quello e non abbiamo tanti elementi per separare il grano dal loglio. Com'è Sasha in campo? Il suo primo passo è incontenibile, il suo tiro è una bellezza. Ma soprattutto la grinta, la rabbia, la cattiveria, l'odio sportivo contro l'avversario dì turno, un odio che peraltro non sconfina mai nella ribalderia o nella scorrettezza spicciola. Tre anni di Virtus, un negozio messo su insieme all'ex nemico (ma per un attimo solo) Coldebella e poi la partenza per gli Usa perché l'Nba chiama e può un fringuellone di venticinque anni dare un calcio ai supermiliardi e alla supergloria? Il fringuellone a Bologna viveva senza mai trasmodare. Mi dicono che da ragazzo non avesse che pochi dinari da spendere. A Bologna veste in modo sobrio, gira con un paio di belle auto, vive con la sua donna, non dà confidenza a nessuno e quando peraltro se ne va alla volta dei cieli chiari della Florida (a Miami, per giocare con gli Heat) tutta Bologna lo omaggia e lo saluta. Una giovane fan gli dedica pure un libro e quella sera che da Morandotti c'è festa, Sasha se la ride beato, incredibile ma vero. Qualcuno ogni tanto mi chiede di ricordare i più grandi stranieri Vìrtus del passato remoto e prossimo. E io per forza di cose elenco sempre gli stessi, Cosic e Mc Millian e Richardson e Driscoll e Swagerty e via cantando. E mai potrò dimenticare il serbo di Bosnia che venne, vide e vinse e stravinse. Una Coppa dei Campioni e quattro scudetti Virtus - tre consecutivi - portano la firma a caratteri d'oro di quel fringuellone che non ama propriamente il prossimo e che farebbe a pezzi i giornalisti e che ha sulla pelle cuciti certi tormenti adolescenziali e che comunque qui in Virtus fu tanto grande. No, dì più, tantissimo e grandissimo.
Dabilovic con la Coppa dell'Eurolega 1998
IL GIOCATORE PIÙ COMPLESSO
Tratto da "Dialogo sul Team" di E. Messina e M. Bergami
"Danilovic è stato il giocatore più complesso che ho allenato nella mia carriera: è un giocatore che mi ha frequentemente messo alla prova. Proprio per la pressione che lui metteva su compagni e allenatori, dopo averla messa su sé stesso. Per intenderci, lui non è stato un Maradona; lui è sempre stato uno che ha dimostrato con i fatti perché pretendeva così tanto da quelli che gli stavano vicino. Il problema è stato quando, con il passare degli anni, questo iniziava a diventargli sempre più difficile. E man mano che questo diventava difficile cresceva l'intolleranza verso chi non gli dimostrava di saper stare ad alto livello, di saper stare al suo livello".
The Shot
SASHA, L'ULTIMO CANESTRO
di Franco Montorro
Settembre 1991, al palazzo dello sport di Piazza Azzarita si gioca un torneo precampionato. Con la Virtus Knorr il Partizan Belgrado, nel quale il collega Roberto Martini mi indica un giocatore: "Ti risulta che la Virtus sia interessata a quel Danilovic?". Non risultava, e chissà se all’epoca era vero, però pochi mesi dopo quel magrolino incolore era campione d'Europa e la Virtus, da lui ferita nei playoff di coppa, se lo prendeva a Bologna. Nessuno avrebbe immaginato che stava arrivando il più straordinario campione nella storia delle Vu Nere, anche se i segnali premonitori non tardarono ad arrivare soprattutto in un playoff vinto 7-0. Il resto è leggenda, storia, cronaca e anche fantascienza che i quotidiani e gli altri media hanno già ampiamente rinfrescato e irrobustito la settimana passata. Forse il punto più oscuro della storia rimane il suo autore, l'uomo e il giocatore dal momento che è difficile separarli. Danilovic cestista non sarebbe diventato il campione che è stato senza il suo atteggiamento di carica contro tutti e tutto. Atteggiamento, perché abbiamo qualche sospetto e molte prove che Sasha si obbligasse a recitare una parte e a viverla convinto che fosse la realtà oppure divertendosi. Ad esempio nel classico rapporto "andante mosso" con qualche giornalista, che lui motivava con l'insofferenza a rispondere sempre alle stesse domande sulle stesse cose. Salvo poi ribadire che di basket lui ne capiva più di qualsiasi cronista. Ma a differenza di altri giocatori di minor successo che si sono aperti solo dopo aver cominciato ad annotare qualcosa nella casella "vittorie", Sasha ha sempre avuto comunque momenti di confessione e disponibilità. Magari bastava essere fortunati o pazienti. Una sera, dopo una partita di Eurolega, disse di no a un nostro redattore che gli chiedeva un appuntamento a suo comodo. Era già un palasport mezzo deserto, Sasha sali in macchina e sgommò via. Poche centinaia di metri più avanti, sulla strada, c'erano altri due giornalisti di Superbasket, ignari di tutto. Sasha li vide, bloccò la macchina, fece inversione e una mezza rotonda in senso contrario, abbasso il finestrino e... "Dov’è il vostro collega? Se lo trovate, ditegli che ci vediamo in sala stampa per fissare l'appuntamento". L’indomani parlò per ore. Con me fece altrettanto una sera, a una cena nella quale conquistò a tal punto Gianni Morandi da convincerlo a invitarlo, insieme a Lucio Dalla, in una trasmissione Tv poi ricordata da tutti con piacere. Quella volta di basket si parlò poco e forse questo è un altro dei segreti di Danilovic, che la pallacanestro probabilmente la considerava come uno o più sentimenti propri, difficili da spiegare o da condividere con altri. Quella sera mi sembrò anche un po' timido, quella volta mi nacque l'idea del Sasha attore ed ebbi pero la conferma di quale fosse il suo carburante: "lo voglio vincere, qualsiasi cosa sia. La vittoria é sempre la stessa, per me: un titolo NBA vale quanto un'amichevole, una partita o la vinci o la perdi".
- L’uomo stanco che ha annunciato il suo ritiro dalla pallacanestro giocata dice di aver deciso in mezza giornata. C'è da credergli e non c'è da pensare che la spinta decisiva gliel'abbia data la prospettiva di guadagnare di meno, visto che con un gesto alla Larrv Bird ha comunque rinunciato a un bel pacco di milioni (di dollari). Forse non c’è da pensare proprio niente e nemmeno stupirsi, Danilovic era stanco e ormai svogliato. Con il senno di poi, assume un altro significato la pur sorprendente dichiarazione che mi fece Sasha a Sydney, nel suo perfetto italiano e con l'ottima padronanza di verbi e vocaboli della nostra lingua che tutti conoscono e che non genera mai dubbi di interpretazione. Dopo aver dichiarato il famoso scetticismo sulla sua permanenza a Bologna (ai Giochi fece però riferimento all'importo del contratto), parlando della sua Jugoslavia mi disse: "Rompe farti un mazzo così per tre mesi per poi arrivare secondo... È una cosa che hai dentro, c’è poco da fare, dai. Ti alleni e ti sbatti con la consapevolezza che puoi vincere solo per arrivare al secondo posto. Che scatole partire per arrivare secondo". Con la nuova Kinder non sarebbe partito con quella consapevolezza, tutt'altro, ma anzi con il gusto di una nuova sfida finale. Gusto che evidentemente non poteva compensare più quello più amaro del calo del desiderio cestistico. Perché ho appena scritto che non c'è da pensare né da stupirsi, tanto ovvia dovrebbe essere la ragione dell'ultimo "tiro" di Sasha, immediato e spiazzante come erano quelli sul campo. Inutile chiedersi ancora un perché, quando lo stesso Sasha lo ha spiegato immediatamente: "Non ce la faccio più". Non ce la faceva, non ne aveva più voglia, gli faceva male (un male anche, se non soprattutto, fisico) allenarsi e giocare con intensità, non gli sarebbe piaciuto, gli avrebbe fatto male (un male, anche se non soprattutto, emotivo) giocare a un livello più basso. Non giocherà più e questo forse spiazzerà più lui che noi all'annuncio. Auguri, per aver avuto un coraggio che molti giocatori non hanno: Crescere e trasformarsi, lasciare anche senza avere molte idee su cosa fare dopo, come quelli che non si decidono a staccarsi da una mammella anche senza quasi più latte perché temono di non saper cercare e trovare una latteria, nella vita da ex cestisti.
- Domani, domani... Non c'è ancora un domani, perché è ancora allo stato di progetto sia il futuro di Danilovic senza il basket che quello della Kinder senza di lui Torna in un'altra Jugoslavia e lo fa in un momento cruciale per una nazione che lui ha sempre amato e impersonificato. La caduta di Milosevic apre una nuova epoca, che non sarà né facile né incruenta per chi era da una parte o dall'altra. In questi casi, pochi pilastri e poche certezze aiutano a traghettare verso il cambiamento migliore; Danilovic potrebbe diventare uno di questi punti di riferimento ed essere una coperta calda per molti, compresa la sua famiglia. L’unica certezza proiettata sugli anni a venire, tornando al basket, è che quello che ha fatto Danilovic in Italia resterà impresso come epocale. Sì, mentre la cronaca si trasforma in storia, e già sicuro che Sasha è stato uno dei personaggi simbolo di un'era. Di più, uno che un'epoca l'ha scritta e una realtà l'ha trasformata. Insieme a lui pochi altri, restando nel campo degli stranieri: Morse negli anni '70, McAdoo, D'Antoni, Wright e Oscar nel decennio successivo. Sasha, solo lui, negli anni '90.
- Il campione sconfitto dall'uomo stanco lascia dopo un ultimo, inatteso omaggio. Sta abbandonando la sala stampa del PalaMalaguti, qualcuno dei giornalisti che hanno intervistato per l'ultima volta il giocatore Danilovic gli chiede di firmare il pass di accesso riservato ai cronisti. In silenzio, lo imitano due, tre, tutti come in un rito di massa. Sasha comprende capisce che quel gesto inconsueto da parte dei giornalisti è come l'ultimo applauso dei tifosi: "Non mi aspettavo una cosa del genere", mormora "ma non immaginate quanto mi faccia piacere... Davvero, un grandissimo piacere". Reciproco, diremmo.
ADDIO, SIAMO STATI MAGNIFICI
di Walter Fuochi
«Ragazzi, non ce la faccio più. Sono stanco. Smetto». Sasha Danilovic alza le braccia al cielo per l’ultima volta davanti al suo pubblico, e chiede che lo lasci parlare, perché quello interrompe coi vecchi, cari cori, e ci crede a stento che non lo vedrà più sfrecciare col 5 bianconero su questo campo di Casalecchio. Si sapeva che razza di serata sarebbe stata questa, il tam tam dei portici l’aveva battuta nel pomeriggio, la notizia, di bocca in bocca, e la rete locale l’aveva data nel tg, prima che s’alzasse il sipario di quest’ultima notte.
Ma lo stesso, al PalaMalaguti, nella sera d’addio di Danilovic, e quasi non più di presentazione della nuova Kinder, la commozione correva a ondate. Lui, Sasha, maglione e jeans, era entrato per ultimo sulla lunga passerella illuminata, dopo che la squadra era sfilata in ordine di numero inverso (dal 20 Jaric in giù) e mancava solo lui, il 5, l’ultimo. «Da due ore Danilovic non è più un giocatore», annunciava invece Madrigali, ed eccolo lì, Sasha, gli occhi lucidi, e l’usata spietatezza addolcita, quasi sfumata sulle tempie ingrigite.
«Buonasera, vi ringrazio molto — ha esordito — . Ci sarebbe tanto da dire, ma non c’è tempo. Vi prego di ascoltarmi». E zittiva i cori, «Sasha sempre numero uno», «Sempre con noi». «Non ho preso questa decisione in 5 minuti. Ci sto pensando da un po’. Sono diventato uno dei presidenti del Partizan Belgrado e questa è stata l’ultima spintina. Ma non ce la facevo più. Sono stanco e basta. Voglio che non vi arrabbiate con me. Siete stati magnifici in questi 67 anni, ma neanche noi, come squadra, siamo stati male. Vorrei ringraziare una persona più di tutti, Roberto Brunamonti. Non ero riuscito a dirgli, quando smise, quanto piacere avevo avuto a giocare con lui. Glielo dico adesso. E’ l’uomo che più ama la Virtus. Ed è un mio amico».
Un lungo applauso, la promessa di Madrigali di offrirgli un contratto in bianco ove ci ripensasse («mi conoscete, non capiterà mai»), e mentre in scena entrava Dalla, per le canzoni, per dirgli d’essere il suo vero padre, per rivendicare che «un re non abdica, emigra», usciva lui, a dettare in sala stampa altre parole tristi e quiete. «La scelta è mia e della società, l’ho comunicata martedì sera, ma prima delle 9 non sapevo ancora che avrei smesso.
Ci pensavo molto, ed anzi m’ero allenato con la squadra che mi pare davvero buonissima. Non c’entra il contratto, la società è stata corretta con me. Semplicemente sono stanco e non mi diverto più. Ringrazio i tifosi, Ettore, la squadra, Cazzola: talvolta è stato difficile sopportarmi, ma è stato un periodo bello insieme. Era giusto finire così ed è bello che, partita dalla Virtus la mia carriera fuori dalla Jugoslavia, questa carriera sia finita qui. Tifate Partizan, magari porterò qui la mia nuova squadra per la partita dell’addio. Farò il dirigente, non l’allenatore. Mai, con questo carattere. Né mai entrerò in politica. L’ultimo a cercare di convincermi è stato Brunamonti, ma mi conosce. E io conosco lui, l’unico vero, grande capitano della Virtus, senza togliere nulla ad Abbio, che lo farà degnamente, o a me, che avrei potuto farlo. Non so se ci sarà un nuovo Danilovic qui. Lo spero. Ma uno come me in giro sarà dura trovarlo. Un personaggio, scusate se m’allargo. E adesso, se permettete, me ne vado».
Lucio gli ha dedicato «Ciao» , nella vasta arena, e Sasha spariva. Non sarà facile ricostruire i percorsi attraverso i quali, da un diffuso senso di sazietà per lo sport che gli ha dato tutto, ma gli ha pure succhiato tanto, sia passato alla risoluzione di chiudere la carriera, a trent’anni, potendone ancora cavare molto. E’ stato onesto con se stesso. Di più, si direbbe: spietato. Com’era contro tutti, a giocarci. Ci si potrà romanzare, su questa fine poco annunciata, tanto il personaggio è complesso e controverso, ma largo, da contenere di tutto. Quel che si sa di sicuro è che, martedì sera, ne ha informato Messina, Brunamonti e Madrigali. Che a mezzanotte l’ha pescato Alfredo Cazzola, il «suo» presidente, cui era arrivata una voce. Che gli amici slavi, Savic in testa, fratellone maggiore, sapevano e l’avevano fatto sapere. Fare il vicepresidente del Partizan non sarebbe incompatibile col giocare (Divac, presidente, lo farà nella Nba), ma c’era altro per smettere, anche se alle 13, presentando la squadra alla Cassa di Risparmio, lo speaker bianconero Gigi Terrieri l’aveva messo tra i giocatori. L’annuncio era previsto per la sera, davanti al fedele pubblico. Ed è arrivato, in una serata a metà tra entusiasmo per quelli che ancora correranno, dietro Abbio, nuovo capitano molto acclamato, e già nostalgia per quello che non correrà più.
GLI ANNI '90, DOMINATI DALLO ZAR...
di Walter Fuochi - La Repubblica - 12/10/2000
Con un superbo, clamoroso colpo di teatro, quasi riannodando il filo della sua luminosa vicenda bolognese, Sasha Danilovic esce dal campo. La tronca alla grande, questa vita di basket: su un palcoscenico, accanto al poeta che lo definì, all’alba di quel viaggio, la «rondine con i jeans». Sasha smette, ma resterà l’icona più adorata di tutta la storia Virtus, il giocatore più vincente, il timbro sul decennio del grande dominio. Finisce un’epoca, si può dire: e finisce con un cambio di scena che era già stato preceduto dall’abdicazione di Alfredo Cazzola, il Re Alfredo di quel decennio che Sasha lo ingaggiò due volte. Quando, appunto, era la rondine coi jeans che aveva appena squassato una sua Virtus; e quando, fatto ricco e famoso dalla Nba, Danilovic pensò che l’America non era il sogno della sua vita, e accettò di tornare, di incarnarsi nell’unico club per il quale (dopo il nativo Partizan) ha giocato, e per il quale poteva giocare. Un’identificazione assoluta, e reciproca, ben oltre il rapporto di lavoro. E se la Virtus ci s’è appesa in modo dolce e sicuro, perché Sasha ha garantito vittorie come nessuno, l’adesione dell’altro è stata altrettanto forte, e non solo per i dollari. Diceva che non poteva immaginarsi dentro un’altra maglia. Lasciandole tutte a trent’anni, va creduto. Danilovic connota un decennio di questo sport, a livello europeo. Ma addirittura ne imbeve la città di Bologna, non a caso denominata Basket City, interpretando il senso più forte della sua sfida fascinosa tra guelfi e ghibellini di sponda Fortitudo e di sponda Virtus. «Quel» canestro da 4 punti che cambiò volto a uno scudetto, soavemente o crudelmente, scolpirà ricordi di una vita, in tanta gente: fu la sua beatificazione, per chi l’amava, o l’invito a dannarsi per chi l’avversava, ma odiandolo in fondo lo temeva e rispettava. Danilovic-Myers è stato il duello di campioni di questa saga, così come Cazzola-Seragnoli riassumeva la sfida dei due sovrani. La coppia bianconera è uscita di scena, quasi insieme, lasciando la Virtus al suo rinnovamento. La coppia biancoblù ha raccolto il primo premio quest’anno e ora vorrebbe prolungarlo a dominio. La sfida non perderà attrattive, anche se ci vorranno facce e anime robuste a interpretarla, perché quello uscito di scena ieri non è stato mai un interprete banale, sia per qualità tecniche che per doti caratteriali. Progettata per vincere anche senza l’idolo, magari tra un anno, alla fine del contratto ora risolto, la Virtus spartirà ora i tesori dello Zar, contando che la ridistribuzione di ruoli copra la perdita. La prima punta sarà Ginobili, il leader Rigaudeau, il capitano Abbio. Da secondo straniero verrà tesserato Jestratijevic, non proprio un vice-Danilovic. E allora pensate questo: che, liberato insieme a Sasha anche un ingaggio da due miliardi e rotti, la Kinder potrà assumere presto uno straniero super, nel ruolo che si rivelerà scoperto. Marcando la Fortitudo, nel derby infinito.
DANILOVIC DICE BASTA: IL BASKET PERDE LA STAR
di Walter Fuochi - La Repubblica 12/10/2000
A trent' anni soltanto, consumato ma non decrepito, partito da sedicenne prodigio e arrivato a vincere, in Europa, più di tutti, Sasha Danilovic ha deciso che il suo tempo nel basket è finito. Si ritira, dalla Kinder e da tutti i campi, perché sente di non aver più molle dentro. Così l'ha spiegato l' altro ieri a Ettore Messina, il suo coach, a Roberto Brunamonti, il più caro ex compagno di gioco, più che l' attuale vicepresidente, ai presidenti bianconeri Alfredo Cazzola e Marco Madrigali: il primo, ora ex, che lo fece grande e ricco, il secondo che non l' avrà, nella sua Virtus rifondata. E così l' ha raccontato ieri sera ai seimila abbonati della Virtus, scegliendo per l' annuncio choc la festa d' inizio stagione e un sipario suggestivo. Cantava, al PalaMalaguti, Lucio Dalla, che della Virtus è tifoso: Dalla che lo chiamò, all' indomani di uno dei suoi 4 scudetti, la "rondine con i jeans". Come l' aveva visto ragazzo, a 22 anni, primattore del Partizan Belgrado, all' alba della sua gloriosa avventura bolognese. Danilovic lascia tra i cori e gli applausi, perché uno che aggrediva canestri, persone e palloni come lui, per sbranarli, non solo per vincerli, non poteva giocare senza questa rabbia feroce, alimentata da una perfetta condizione fisica. Aveva partito molte usure, le ultime due stagioni erano state un calvario di infortuni, e nelle stesse, recenti Olimpiadi della disfatta jugoslava (appena sesti), s' era fermato nelle ultime tre partite. Uscendo di scena prima del declino ("come Platini, rispettando se stesso", ha detto Messina), forse anche lasciando un gruppo nel quale stava diventando ingombrante, Danilovic chiude una piccola era di questo basket, il decennio Novanta dominato dalla Virtus di cui è stato l' icona vincente, amatissima dai suoi fedeli, odiatissima dagli altri. Tornerà a Belgrado, casa sua, farà il vicepresidente del Partizan, in un senato di grandi di quel basket: il presidente è Divac, che comunque continuerà a giocare nella Nba, gli altri vice sono Dalipagic e Paspalj. Quattro scudetti e una Coppa Campioni a Bologna, innumerevoli titoli con la nazionale jugoslava, Danilovic era passato pure, per due anni, in America. Non gli piaceva il paese, non gli piaceva la Nba, ma giocandoci stabilmente in quintetto base, a Miami e a Dallas, aveva dimostrato, a sè e agli altri, che era pane per i suoi denti. E, una volta che l' ebbe fatto, tornò a Bologna, ormai una patria adottiva. Dieci miliardi per tre anni: più di Baggio, approdato in città gli stessi giorni. Ma per rivincere, subito. In totale, sono state sei stagioni: tre prima e tre dopo, due scudetti con Bucci, due con Messina. Il più incredibile nel ' 98, con quel canestro da 4 punti (bomba più fallo), che a pochi secondi dalla fine stoppò nelle gole l' urlo di gioia della Fortitudo, acerrima nemica cittadina. Danilovic era all' ultimo anno di contratto, aveva svariati malanni e una voglia ormai flebile. Una Kinder in rifondazione era pronta a prescinderne: è più che un sospetto che, all' annuncio del ritiro, nessuno l' abbia rincorso per dissuaderlo. Celebrata l' apoteosi, lo sentiranno da Belgrado. Fra pochi mesi farà anche il papà. Una femmina. Chissà se si chiamerà Futura.
11 ottobre 2000 Danilovic annuncia l'addio
DANILOVIC SPIEGA LA SUA SCELTA
di Alessandro Gallo
Eccomi qua, cosa volevate sapere? Adesso avete capito perché non potevo parlare oggi alla Carisbo?
Il tono di voce di sempre, ma gli occhi lucidi nella sala stampa del PalaMalaguti. Sasha non piange, ma è commosso. Lo si capisce dalle pause. Da come cerchi, riuscendoci, di provocare la risata. Per stemperare la tensione dell'addio. Per nascondere la commozione del commiato (da giocatore) dalla sua Bologna.
Il suo addio, una sorpresa.
Sì, sì. è stata una scelta, mia e della società, di parlare stasera, davanti ai miei tifosi, che sono stati tali per 6-7 anni. Era giusto farlo così. è che non ce la faccio più, sono stanco. Mi sono divertito molto, ma una volta che non ci si diverte più con questo gioco bisogna smettere.
Resterà nel cuore dei tifosi.
Anche loro resteranno nel mio. Sono stati fantastici, magnifici in questi anni. Ci hanno supportato quando le cose non andavano bene. Sono stati bravi, ma anche noi non siamo stati male. E poi sapete bene che io non parlo tantissimo, per scelta. Ma quando parlo cerco di dire le cose giuste.
Quando ha comunicato la sua decisione a Madrigali?
Ieri sera.
E quando ha maturato la scelta?
Sempre ieri sera.
Fino all'allenamento era un giocatore della Virtus?
Sì. Dopo l'allenamento non lo sapevo ancora. Verso le 9-10 di sera ho preso la decisione. La società è stata molto corretta nei miei confronti per il contratto. Non avrebbe senso, ragazzi, andare avanti. Non mi diverto più.
Tornerà subito a Belgrado?
Sì. Devo sistemare le cose. Mi devo incontrare con gli altri. Non ci sarà Divac, ma Paspalj sì. Credo che ci sarà la partita di addio, in una delle soste.
Le piacerebbe giocare un tempo nel Partizan e uno nella Virtus?
Se dovessi fare tutto con la Virtus non mi dispiacerebbe. E viceversa. Però può essere una bella idea.
La questione del contratto.
Non conta nulla. Ragazzi si vede che doveva finire così.
Pensa di entrare in politica?
Politica? Con il mio carattere? Dubito, dubito.
C'è stato qualcuno che ha cercato di farla desistere?
Roberto Brunamonti. Anche gli altri, ma Roberto di più.
Perché proprio Roberto?
Una ragione c'è. Siamo amici, molto. Più che amici. Mi auguro che Roberto resti sempre nella Virtus. L'amore che ha lui per questa squadra non l'ho visto in nessuno. Sono qui da sette anni, ho visto passare tanta gente, ma nessuno come lui. Lui è un vero capitano. E sarà sempre il capitano. Anche se magari, se restavo, diventavo capitano io. Il vero capitano resta lui. Con tutto il rispetto per Abbio. Sono sicuro che Sandro lo sostituirà bene. Come ha fatto Binelli, del resto.
DANILOVIC CHIAMA, SAVIC RISPONDE
di Alessandro Gallo - Il Resto del Carlino - 23/11/2000
A Barcellona, dove la Virtus ha scritto una delle pagine più belle della sua storia, c'è un gentiluomo che sta preparando la valigia. Quel gentiluomo, mercoledì, sarà qui a Bologna. Quel gentiluomo è Zoran Savic.
Savic, anche lei convocato da Danilovic?
Sì. Una chiamata che mi ha fatto piacere. Di Bologna conservo un ottimo ricordo.
Ma lei come sta?
Sto completando la riabilitazione. Sono stato operato a marzo, al ginocchio. Nelle prossime due o tre settimane prenderò una decisione.
Quale?
Se imitare Sasha e smettere oppure continuare.
Perché?
Mi hanno cercato molti club anche in questo periodo. Ma non mi andava di firmare un contratto e poi di chiamarmi fuori dopo un paio di settimane. Voglio vedere come reagisce l'articolazione operata. Vorrei giocare senza provare dolore.
L'ultima partita vera?
Marzo '99. Qualificazioni per la final four di Eurolega. Con lo Zalgiris, se non ricordo male.
Le manca il basket?
Tanto, molto.
Perché Danilovic, che pure è più giovane di lei di quattro anni ha deciso di ritirarsi?
Credo sia stanco. Ha giocato molto, troppo. Sin dai tempi dei cadetti: vita di club e nazionale. Da allora non ha mai avuto una vita normale. Pensavo potesse andare avanti un altro paio d'anni. Ma i problemi fisici e gli interventi chirurgici alla lunga si fanno sentire. Per questo potrei imitarlo.
Dopo la sua partenza la Kinder ha vinto solo una Coppa Italia.
Aveva vinto molto prima. Ha cambiato tanto. E poi la Fortitudo è cresciuta. Hanno cambiato parecchio fino a trovare il giusto equilibrio.
Virtus che non sa come marcare Fucka...
Non credo. La difesa di Ettore è sempre stata famosa.
Ma da quando lei se n'è andato Fucka si diverte di più.
Fossi rimasto non sarebbe cambiato nulla. È Gregor che è cresciuto molto.
È arrivato Smodis, fisicamente la ricorda.
L'ho visto poco. Ho visto poco la Virtus. Solo a Vitoria. Mi è sembrata la solita Kinder: tosta, grintosa.
Lei era l'unico che poteva riprendere Sasha, giusto?
No. Per abitudine ho sempre detto quello che pensavo. L'ho fatto con Sasha, siamo amici. E poi...
Poi?
Mi viene in mente una cosa: se c'era da vincere una partita volevo solo due uomini al mio fianco: Danilovic e Prelevic.
Scusi, Savic, ma visti gli acciacchi mercoledì gioca?
Sì. Sicuro. Se Messina (e qui comincia a ridere, ndr) mi lascia...
ANCHE MORANDOTTI NELLA NOTTE DI SASHA
di Alessandro Gallo - Il Resto del Carlino - 24/11/2000
Riccardo Morandotti?
Presente.
Conferma la sua presenza per mercoledì sera?
Attendo il nullaosta della mia attuale società. Ma non credo che ci siano problemi in merito.
Anche lei alla lunga notte di Sasha.
Non poteva andare diversamente.
Perché?
Quando ho saputo del ritiro di Sasha gli ho spedito un messaggio sul telefonino.
Che diceva, se è lecito saperlo?
Beh, dopo gli insulti classici che ci scambiamo di solito mi dicevo felice per lui. Soprattutto se lui era contento e felice per la sua scelta. Poi ho aggiunto: Se non mi inviti alla tua festa allora sei uno str...
Insomma, Danilovic si è piegato alle sue minacce.
Macché. Lui non si cura delle minacce di nessuno. Figuriamoci delle mie.
E allora?
Beh, si vede che tra noi c'è grande rispetto.
Lei a Bologna, ci pensa?
Sì, ci penso da alcuni giorni.
Che effetto fa?
Strano. Magari prendo quella sfida come la mia partita d'addio. Che bello esserci. Tra me e lui, nonostante le botte che ci siamo scambiati in allenamento, c'è sempre stato rispetto. E poi lui si è interessato a me, ai miei problemi, quando sono stato fermato per il ginocchio. Io poi ho conosciuto due Danilovic.
Addirittura.
Il primo, quello che doveva arrivare a tutti i costi. Il secondo, quando è tornato, ed era già arrivato.
Danilovic l'irascibile e Morandotti il musone: nella stessa squadra, ma così diversi.
Credo sia difficile essere Danilovic. Ma capisco la sua scelta.
Perché?
è ancora giovane, d'accordo, ma ha avuto la fortuna di raggiungere tutto quello che si era prefisso. Intendiamoci: è una fortuna che si è costruito da solo perché nessuno gli ha regalato niente. Voleva la Nba, c'è andato. E lì non ha fatto il turista, ma uno che faceva la differenza, sempre. Poi è tornato. Ha vinto tutto quello che c'era da vincere. Ha guadagnato tanto e magari ha perso qualche stimolo. Credo sia bello poter decidere. Avere la forza di dire: Basta, io smetto.
E lei?
Chissà. Battute a parte, al di là del mio carattere — brutto anche il mio, non scherzo — credo di aver vissuto un periodo importante della Virtus. E alla Virtus mi sento ancora legato.
Al punto che indosserà ancora quella canotta. Vedremo commuoversi lei, Danilovic, il pubblico o chi altri?
Difficile dirlo. Posso aggiungere, però, che Sasha, se lo sai prendere, è buono come il pane. Ma se non lo sai prendere allora quello stesso pane diventa raffermo, duro come il marmo. E lui è capace di tirartelo dietro...
Morandotti, la domanda era un'altra.
Già, le lacrime. Guardate che lui è uno che si commuove. Solo che si chiama Danilovic e allora non lo può fare, perché lui è Sasha, il duro. E invece visto che gli passeranno davanti mille ricordi io dico che si commuoverà come tutti gli altri. Forse di più. Solo che uscirà dalla situazione come solo lui sa fare. Magari dirà: Ragazzi, mi sono commosso perché non potevo fare diversamente. O ancora: Il pubblico voleva questo da me. Mitico. Un duro per finta. Leggendario.
ALBERTO BUCCI: "SASHA, UNO CHE NON TRADISCE MAI"
di Alessandro Gallo - Il Resto del Carlino - 25/11/2000
Nella lunga notte dedicata a Danilovic non poteva mancare Alberto Bucci. Coach che alla Virtus ha portato in dote tre scudetti, una Coppa Italia e una Supercoppa.
Bucci lei ha allenato tanti campioni. Nella sua classifica personale Danilovic è...
Il numero uno.
Perché?
Per tanti motivi. Per la completezza del repertorio. Per il talento, per la capacità di coltivarlo, giorno dopo giorno, senza fermarsi mai.
Facile allenare uno così.
Sì. Anche se Sasha ha un carattere forte, grande personalità. Uno che non puoi trattare come gli altri.
Difficile da gestire?
Al contrario. Una persona stimolante che ti offre l'opportunità di dialogare.
Aneddoti?
In tanti anni è difficile pescarne uno.
Proviamoci.
Una volta lo ripresi, durante un allenamento. Alla fine mi chiese spiegazioni perché, come dicevo, è un personaggio che cerca il dialogo. Che vuole capire e poi...
Poi?
Beh, un'altra volta in mezzo al campo difese Binion, fischiato dai tifosi.
A quattr'occhi, però...
A quattr'occhi magari lo riprendeva, ma davanti alla gente e alla stampa ha sempre difeso i compagni. Uno per uno, fa parte della sua grandezza. Senza dimenticare che ha giocato con infortuni incredibili, rischiando sulla sua pelle. In una settimana si rialzava. Altri, con lo stesso problema, sarebbero rientrati dopo un mese.
Perché ha deciso di smettere?
Non si è mai fermato. Ma chissà che questo riposo e la successiva paternità non gli facciano cambiare idea.
Sasha ancora in campo?
è un uomo orgoglioso, per me non può aver finito con la pallacanestro. In questo pensiero, però, c'è il mio augurio. Il basket ha bisogno di lui.
Stiliamo una classifica europea.
Secondo me è da primo quintetto. In certi momenti è stato il numero uno assoluto.
Danilovic è...
Quello che ha vinto tanti trofei. E l'ha fatto a ripetizione. Uno che ha la maschera da duro, ma che fondamentalmente è dolce. Chi si è legato a lui, lo ha fatto per sempre: è leale e onesto. Uno che, nei momenti difficili, non ti abbandona mai. Questa lealtà, all'interno dello spogliatoio, lo rende unico.
Locandina della partita d'addio di Danilovic (foto fornita da Antonella Capelli)
DANILOVIC: "CON IL BASKET HO SCORDATO LA GUERRA"
di Flavio Vanetti - Il Corriere della Sera" - 27/11/2000
Sasha Danilovic, dopodomani a Bologna, giocando metà partita con la Kinder e metà con il Partizan Belgrado, festeggerà l'addio al basket, dopo essersi ritirato un mese fa.
Si sta abituando all'idea di non essere più cestista?
Non completamente. Per due ragioni: tutto è nato da una mia scelta e il nuovo lavoro, come presidente del Partizan, è ancora nel basket. Anche se adesso vedo la pallacanestro da un altro profilo e mi rendo conto che essere dirigente è duro tanto quanto giocare.
Dopo la decisione, c'è stato un momento in cui ha avuto, se non un pentimento, almeno un po' di smarrimento?
No. Quando scelgo, scelgo.
Qual è la prima cosa che le viene in mente della carriera?
In un flash non ci stanno quindici anni di basket, tutti pieni di bei ricordi.
La Nba, a Miami: una squadra, quando lei andò in Florida, non ancora vincente. Non crede di essere stato sfortunato, a differenza di un Kukoc, che a Chicago si è ritrovato a fianco di Jordan?
Il campionato professionistico è la competizione più dura che si possa immaginare. Lo capisci solo se sei lì. Non puoi mai definirti sfortunato, se superi la selezione e ottieni un ingaggio. È chiaro, però, che se giochi con Jordan, sei a metà dell'opera e ti togli delle soddisfazioni. Kukoc, peraltro, è stato bravo a dare il suo contributo all'era dei Bulls.
Le resta il rimpianto di non aver vinto il titolo?
A Miami nessuno voleva andare perché gli allenamenti di Riley sono di una durezza inimmaginabile. Io ci sono stato e ho sempre giocato nel primo quintetto: il titolo che ho vinto è questo. Ne sono felice.
Tanjevic, c.t. azzurro, dice che gli americani, anche nel basket, hanno qualcosa da imparare dall'Europa.
Boscia è un amico ed è un grande allenatore. Ma a volte le spara grosse. Diciamo che avrei dei dubbi, sulla sua idea...
A proposito di americani. Dopo la guerra, è rimasto un po' di rancore nei loro confronti?
Non si potrà mai dimenticare quello che hanno fatto al popolo jugoslavo. Meglio: non si dovrà mai dimenticare. Ma la vita prosegue e questo mondo, nell'economia e in tanti altri settori, non può funzionare seriamente senza gli Usa. In qualche modo, allora, bisognava riavviare il dialogo.
La guerra che ha spaccato la Jugoslavia, una ferita nel suo cuore.
Non ero interessato alla politica, la guerra non mi stava creando problemi diretti. Ma quando ho saputo che a Sarajevo avevano ucciso mio zio, sparandogli per strada, mi sono chiuso in me stesso. Il basket mi ha aiutato ad uscire da quel brutto momento.
Bologna è stata la sua Nba?
No. È stata un'altra cosa. Probabilmente più importante. Ma l'Nba è in America. Ed è unica.
Danilovic, un duro: è giusto?
È una leggenda che i tifosi hanno voluto. Lasciamogliela.
Ma è vero che, in fondo, lei non è così cattivo?
Io chiedo solo di distinguere il giocatore dall'uomo. Per il primo parlano i risultati; per quanto riguarda il secondo, giudichino le persone a me più vicine. Hanno detto che sono troppo crudele. Non ne sono contento, ma la cosa che mi ha reso speciale è la crudeltà. Se non fossi stato crudele, non avrei mai fatto nulla nella mia vita.
Ha elogiato Myers, in questi giorni.
Myers è uno dei migliori giocatori che ho affrontato: tra di noi c'è rispetto reciproco. Ma il cestista che ho stimato più di tutti è Roberto Brunamonti.
Quale avversario, invece, butterebbe giù dalla torre?
Tutti. Chi è contro di me, automaticamente mi sta sull'anima.
Chi ha veramente fermato Sasha Danilovic?
Nessuno. Danilovic non lo si fermava, al massimo lo si limitava. Vale anche per Myers e per tutti i campioni.
Danilovic, uno dei più forti cestisti della storia recente del basket: esagerato, corretto o sbagliato?
Mi fa piacere sentire questa frase. La accetto e non penso sia una bufala.
Lei disse: «Credi in te stesso, fregatene degli altri. Il tempo ti aiuterà a far rimangiare il fango a chi te l'ha tirato addosso». Lo conferma, a fine carriera?
Non ho mai pronunciato banalità, non ho mai detto nulla che non pensassi.
Una bambina in arrivo, una vita davanti: che cosa sogna Danilovic per il futuro?
Una famiglia serena, il lavoro. Un profilo tranquillo, non chiedo di più. Però mi piacerebbe, questo sì, scoprire un nuovo Danilovic.
Se la grande Jugoslavia del basket non si fosse spaccata in varie nazionali, dopo la frantumazione politica del Paese, avrebbe battuto il Dream Team?
No. Gli americani avrebbero avuto solo più rispetto. Non si sarebbero mai rilassati e per questo motivo non avremmo comunque avuto scampo.
PREDRAG 'SASHA' DANILOVIC
di Dan Peterson – www.basketnet.it
Chi ha coniato il termine 'vincente' non lo sa ma ha descritto perfettamente Sasha Danilovic. Difficile trovare ciò che non ha vinto nella sua carriera cestistica. Classe 1970, ha iniziato la sua carriera con il leggendario Partizan Belgrado, sotto noto coach Duje Vujosevic, poi sotto Zelimir Obradovic. Ha fatto quattro anni con il Partizan, con una Yugo Kup e Korac Cup nel 1989 (2° nella YUBA, quindi quasi Piccolo Slam) sotto Vujosevic; poi, il Grand Slam nel 1991-92 sotto Obradovic: YUBA, Yugo Kup, EuroLega. Un en plein raro.
Poi, alla Virtus Bologna, sotto Ettore Messina e Alberto Bucci per tre anni, 1992-95. In questo tempo vince tre scudetti. Poi, nell'NBA, con i Miami Heat di coach Pat Riley, 1995-97. In una partita a Madison Square Garden, Danilovic, una guardia-ala di due metri, piazza un bel 7-su-7 da tre punti. Dopo, torna alla Virtus per gli ultimi tre anni della sua carriera, 1997-2000. In questo periodo, sotto Ettore Messina, vince uno scudetto, una Coppa Italia e un'Eurolega, nel 1998. Poi, nel 2000, a solo 30 anni di età, chiude la carriera, certamente una decisione influenzata da tanti seri infortuni in carriera.
Con la nazionale della Jugoslavia, fa quasi piazza pulita. Ha vinto quattro Europei: 1989, 1991, 1995 e 1997. Poi, la Jugoslavia era squalificata per quelli del 1993 o, certamente, ne avrebbe vinto cinque. Ha fatto l'argento all'Olimpiade del 1996 ad Atlanta. Ha anche messo insieme qualche onore personale durante la sua carriera: MVP dell'Europa nel 1995; MVP della Serie A nel 1998; candidato per la FIBA Hall of Fame; eletto uno dei 35 giocatori più importanti nei 50 anni dell'Eurolega. E forse sto dimenticando altri premi che lui ha vinto. E altrettante volte che è stato nei primi tre della votazione.
Sasha Danilovic aveva una grande intesa del gioco uno contro uno. Diversamente da molti giocatori Europei, lui giocava come un Americano in partenza dai ... blocchi. Niente 100 finte. Lui faceva un passo lunghissimo da fermo, un palleggio dietro al suo uomo e la pratica era già chiusa. Aveva anche il grande tiro da tre, da fermo. Aveva pure il super palleggio-arresto-tiro. Sapeva andare a canestro per concludere in traffico, spesso con canestro più fallo. Era uno dei giocatori più difficile da marcare che io abbia mai visto in Europa. Anzi, faccio fatica a pensare ad un Europeo più difficile da marcare.
Ma oltre ogni cosa, Sasha Danilovic era uomo-partita. Chi può dimenticare il canestro da tre più fallo (per poter fare quattro punti) contro la Fortitudo allo scadere del tempo di Gara 5 della finalissima del 1998, con la Fortitudo a +4. Risultato: canestro più libero per andare al tempo supplementare, dove la Virtus ha vinto la partita e lo scudetto. Con questo esempio eclatante, cito solo un caso in cui lui, con tecnica, con mentalità, con cuore e con personalità, lui ha risolto una partita positivamente per la sua squadra. È un giocatore fra quelli che avrei voluto allenare. I campioni ti danno questa sensazione.
Il Danilovic post-Nba schiaccia di prepotenza a difesa schierata
Tratto da "Euro Virtus", di Gianfranco Civolani
Simpatico? Ma chi se ne frega. Amabile? Ma chi se ne strafrega. Aveva cominciato un po' tardi. Ragazzo - gli dicevano a casa sua - se vuoi far strada nel basket devi farti un mazzo così. Detto e fatto: lui sta sul campo per ore e ore perché vuole fortissimamente diventare un numero uno e già a vent'anni è una colonna del Partizan (lui e Djordjevic, che lusso) e Cazzola fa un colpo memorabile quando lo cattura per tempo. E per noi giornalisti l'impatto è brusco e anche sconcertante perché lui non fa nulla per nascondere che siamo dei gran rompiballe e che lui ci sopporta solo perché non può saltarci addosso. E però ha intelligenza sveglia e un'arte inimitabile. Sa fare di tutto e dopo aver vinto tre scudetti su tre va in America a raffinarsi e a smerigliarsi e a Bologna in Virtus piangono calde lacrime perché pare scontato che semmai tornerà qui quando avrà le primi varici.
E invece no, Miami è seducente, ma Dallas è un pianto e vuoi mettere con Bologna e vuoi mettere gli spocchiosi owners Usa con Alfredone Cazzola? Torna qui con noi e - matematico - subito si vince qualcosa di grosso. E torna appunto raffinato e smerigliato perché non insegue più i grossi bottini che inseguiva da fanciullone e al contrario lui vuole fare lievitare la squadra tutta e quindi Rasciolone Nesterovic abbia pazienza se ogni tanto Sasha gli fa dei cazziatoni omerici. Com'è Di-Din-Danilovic fuori dal campo? Ma non lo so e non mi interessa nemmeno. E in realtà a nessuno interessa se sa sorridere (ma direi di sì) e se sa anche essere amabile (qualche volta, ma certo) e se ogni tanto ai giornalisti dice qualcosa giusto per non lasciarli a pane e acqua. Ai fans dopo tutto interessa che lui sia l'alfa e l'omega di una Virtus stravincente e in effetti così è e io di giocatori virtussini vincenti e stravincenti in cinquant'anni ne ho visti e ammirati millanta, ma uno così mai, lo giuro.
Alcune pillole del Sasha-pensiero tratte dai libri "Io Sasha" e "Slavi d'Italia"
- "Non posso mettermi a parlare di basket con gente normale, che non gioca al mio livello, gente che non sa. Altri miei colleghi fanno i comizi, pensano con questo di diventare più bravi, più popolari. Che continuino pure, per me parlano i risultati: c'è chi può e chi non può, io modestamente... può. È la legge del più forte."
- "Se un tifoso si sporge dalla transenna per insultarmi puoi star sicuro che come minimo quel poveraccio si becca una rispostaccia o un gestaccio. Non va fatto, mi devo controllare, non è educato? Me lo dicono tutti: ma è educato da parte sua offendermi quando io non posso difendermi? è forse educato che un allenatore (si riferisce ad Attilio Caja, coach dell'ADR Roma) che mi arriva alla cintola entri in campo per offendermi in una partita in cui ho fatto 47 punti? Mi ha offeso per tutta la partita e io non ho fatto gestacci, ho solo portato la mano all'orecchio per sentire cosa diceva dopo il mio 47esimo punto..."
- "Con Myers eravamo amici ed è pure migliorato molto come giocatore. Ma purtroppo si è circondato di gente stupida che gli fa credere di essere chissà chi. A me di lui "non me ne po' fregà de meno". Ma ho saputo che si è permesso di fare il mio nome. Ha detto che finché era in campo lui nella finale scudetto, io non avevo giocato bene. Per forza: giocavo su una caviglia sola, avendo un legamento rotto. Quando stavo bene non è riuscito a tenermi sotto i 27. Quanto al confronto fra noi due, quando lui avrà vinto la metà della metà della metà di quello che io ho già vinto un paio di volte, forse si potrà parlare. Tanti non hanno vinto. Il problema è che lui ha perso ed ha perso tanto. Per esempio, avrei voluto vederlo mettere dentro il tiro decisivo per la squadra del suo paese. L'ha sbagliato e poi, anziché vergognarsi, ha parlato male di me..."
- "Grido ai miei compagni, grido per ricordare le regole, l'invidia che abbiamo attorno, voglio vederli cattivi. E loro sanno che se un giorno, qualcuno prova a urlare loro qualcosa, quello deve sapere che intervengo io, Sasha Danilovic, ma non per gridare, per ammazzare."
- "Io non sono onnipotente e non ho vergogna a dire che senza i miei compagni non potrei giocare come gioco. Io ho bisogno di loro. E per chiunque è così. Umiltà: un'altra lezione. Così come è umiltà giocare sul dolore e sapere che, statistiche alla mano arriveranno le critiche: ho sentito dire, che avrei giocato male, per esempio, in gara5 di finale scudetto, fino al famoso gioco da 4 punti a un minuto dalla fine. Ma cosa vuol dire giocare male? Io sono un campione perché posso rendermi utile alla squadra anche se non sono in grado di segnare e quello ho fatto in quella partita: quasi non potevo correre, credetemi. Ci sono partite in cui giochi bene senza segnare tanto: io l'avevo detto prima, scordatevi il Danilovic da 30 punti a partita, non ho più fame di statistiche, altri numeri parlano per me, quelli delle vittorie".
DANILOVIC: IL TIRO DA 4? TUTTA FORTUNA
di Marco Martelli - La Repubblica - 07/05/2004
Derby delle vecchie glorie, stasera al PalaDozza (20.30, 10 euro). Da una parte s'aspettano Danilovic, Richardson e Brunamonti (guarderà, non giocherà); dall'altra Vrankovic, Zatti e Pellacani. E ancora Crippa, Fultz, Morandotti, Masetti, Kovacic. Doppio trio in panca: Bucci-Peterson-Zuccheri per la Vu, Di Vincenzo-Dalmonte-McMillen per la Effe. Ieri, gli allenamenti: all'Arcoveggio tutti attendevano Danilovic, arrivato con le scarpe in mano per mettersi agli ordini di Dan Peterson. «È sempre una bella sensazione entrare qui: da qui partivano tutti i nostri successi». Danilovic è stato il più votato dai tifosi. «Mi fa piacere, sono contento perché sono legato alla Virtus e la gente non dimentica. Ma il più grande resta Brunamonti». Molti non vedono l'ora di vedere in campo la coppia Sugar & Sasha: «È un po' tardi... Ma l'importante è esserci, e spero che la gente lo capisca, riempiendo il palazzo. È un derby e c'è una nobile causa come la beneficenza». Un altro dei votati, Savic, non ci sarà. «Capisco, ora lavora per la Effe. M'avrebbe fatto piacere rigiocare con lui, pazienza. Tanto mi serviva per i blocchi e basta...». Impossibile non ritornare al '98 e a quel tiro che cambiò la storia. «Una domanda nuova... Ho avuto culo, non ci si allena per una roba del genere». Poi s'è parlato d' Eurolega. «L' ho vista, ma il Maccabi l'ha vinta contro lo Zalgiris. In finale è andata così, ma non ci sono 44 punti». Ultima battuta sulla Virtus. «So che ora va meglio, ma non la seguo, e seguo poco il campionato italiano. Ho il mio Partizan».
"VIRTUS, DEVI USARE LA TESTA"
Parlando di passato, presente e futuro, anche il grande campione scende in campo. "Consolini sta facendo il massimo. E si vede che c'è la sua mano. In bianconero ho trascorso stagioni bellissime e sono orgoglioso di quello che ho combinato, V nere in Eurolega e in serie A. Io per ora resto a Belgrado"
di Alessandro Gallo - - Il Resto del Carlino - 31/05/2005
Era in città con la moglie e non ha resistito al richiamo del PalaMalaguti e della sua gente. Non sa se oggi sarà ancora in città, ma qualora dovesse fermarsi allora lo rivedremo a Casalecchio a fare il tifo per la Virtus. Perché Sasha Danilovic vuole la Virtus in serie A e in Eurolega.
Danilovic, cos'è la Virtus per lei?
"La squadra, la mia squadra. Con il Partizan fa parte della mia storia e, in particolare, dei miei affetti".
Lei, invece, cosa rappresenta per la Virtus?
"È una domanda che dovreste girare ai tifosi. In bianconero ho trascorso stagioni bellissime".
Si è ritirato da quasi cinque anni, ma l'affetto per lei non viene meno.
"Sono passati cinque anni, è vero. Ma sono ancora orgoglioso di quello che ho fatto. E orgoglioso per come vengo trattato. Mi rispettano, perché sanno che rispetto loro".
Era un 31 maggio come oggi, ma sono passati sette anni. Il suo celebre tiro da quattro: per i tifosi Virtus il tempo sembra essersi fermato.
" È stato un momento particolare. Avevamo quasi perso poi, in un secondo, la situazione si è ribaltata e abbiamo vinto lo scudetto. Per questo alla fine la gioia è stata doppia".
Veniamo al presente: la serie con Montegranaro.
"Era la prima volta che vedevo la Premiata. La Virtus mi sembra favorita anche se dovrà far tesoro delle ultime due frazioni. Giocare di più con la testa. Nel primo tempo hanno giocato veramente bene, poi è subentrata la pressione. Ma questa pressione non durerà un anno. Anzi, mi auguro duri pochi giorni".
Tra i bianconeri di oggi c'è qualcuno che, a suo giudizio, incarna lo spirito Virtus?
"Sarebbe ingiusto rispondere. Ho visto la partita di domenica e, magari, finirei per dimenticare chi, fino a questo momento, ha dato tanto".
In panchina, però, c'è un signore che lei conosce bene, Giordano Consolini.
"Ha fatto il massimo. Non ha tra le mani giocatori da due milioni di dollari l'anno. Ha fatto il massimo, la sua mano si vede".
Non la sorprende questo?
"No, assolutamente. Giordano è una persona seria, sia come uomo sia come allenatore. Fosse dipeso da lui, probabilmente, la Virtus sarebbe già in serie A".
Il suo futuro?
"Questa estate andrò al mare...".
Si dice che lei potrebbe tornare a Bologna con un importante incarico dirigenziale.
"Lo si dice da tempo. Per ora non ci penso, ma non si sa mai. Anche se sono cambiate alcune cose. Mi sono sposato, ho una figlia di quattro anni. Quando giocavo potevo muovermi liberamente. Ora, appunto, sono cambiate alcune cose. Devo confrontarmi con la mia famiglia, che vive a Belgrado".
E con il Partizan?
"Non ho incarichi ufficiali. Ma sono ancora legato a quel club".
Un suggerimento per Consolini in vista di gara due?
"Giordano non ha assolutamente bisogno di consigli. È bravo".
Lei è fiducioso?
"Sì".
Vede sempre la Virtus in serie A?
"Proprio così. In serie A e in Eurolega".
Sulla Virtus in Eurolega, in Italia, si sono levate voci polemiche.
"Non sapevo di queste polemiche. So che la Virtus è una delle fondatrici dell'Eurolega. E se ci sono dei problemi mi auguro possano essere risolti. La Virtus deve fare la serie A e prender parte all'Eurolega".
DANILOVIC: "IO, SASHA, NEI VOSTRI CUORI DA OTTO ANNI MAI PIU' PENTITO DA QUELLA NOTTE DELL'ADDIO"
di Stefano Valenti - La Repubblica - 08/09/2008
Sasha Danilovic continua per ora a fare il presidente del Partizan, di cui resta una delle leggende, trasmigrata dal campo ad un ruolo dirigenziale. Ma mentre parla di pallacanestro scorrono in tv le immagini di Jelena Jankovic, che vince la semifinale degli US Open, e quando inquadrano emozioni ed espressioni di parenti e tecnici sulle tribune pensa che magari un giorno, in tutto il mondo, mostreranno le sue. Non più da campione. Da padre.
Olga, la figlia maggiore, sette anni e mezzo, è su quella strada. «Si allena tutti i giorni, fra le due e le tre ore, sui campi del Partizan. Che non è solo basket: da noi sono usciti Ana Ivanovic (numero 1 del mondo tra le donne) e Novak Djokovic (numero 3 tra gli uomini): è stato lui che, conosciuta Olga, le ha pure regalato una racchetta. Non so che futuro avrà, so solo che lei sembra già una professionista. Anch’io, quando iniziai a giocare, avevo quattordici anni...».
Trentotto anni compiuti, sposato con Svetlana, giornalista della tv di Stato, tre figli (8 mesi fa è arrivato il maschietto), da quella notte postolimpica del 2000 che scioccò i virtussini con la notizia del ritiro, a palasport gremito, varcati appena i trent’anni, Sasha non ha più fatto sport, se non qualche scambio sulla terra rossa con la figlia; nonostante questo, di troppo ha solo qualche sigaretta, ma pochi chili addosso. E nessun rimpianto per quella scelta che fece scalpore, uscendo dalle arene dopo aver vinto tutto quello che c’era da vincere ed aver fatto la sua parte anche nella Nba.
«Mai ripensato a quella decisione. Non c’era nulla di programmato, intendo come uscita, come spettacolo. Fisicamente non ce la facevo più: lo dissi allora, lo ripeto ora, perché non ci sono altre verità. Era meglio smettere da Danilovic, non da uno vecchio che si trascina per il campo. Ho guardato alla mia carriera ed a quello che desideravo: giocare nel Partizan, arrivare in prima squadra, vincere il campionato, giocare in Nazionale. A ventidue anni potevo già andare nella Nba, con Golden State, ma non ero pronto. L’Italia mi avrebbe preparato. è stato così, ho vinto tutto con la Virtus, l’Eurolega e lo scudetto del ‘98 sono state le cose più belle, dopo gli anni a Miami. Logorato il fisico, non mi volevo logorare anche la testa. E anche questa è stata un’altra delle scelte giuste della mia vita».
Una vita vissuta sul campo, per essere il migliore di tutti. Riuscendoci. Lui parla di fortuna («senza la quale non si va da nessuna parte»), mentre ne accenna arriva Sasha Djordjevic e pare quasi l’esempio che serviva per dare forza al discorso, pur così minimalista. «Ti dico che senza quel suo canestro da tre, all’ultimo secondo della finale dell’Eurolega ‘92, a Istanbul contro Badalona, la mia carriera non sarebbe stata la stessa. Sarei stato Mvp di una Final Four persa. Invece, arrivare in Italia, a ventidue anni, da campione d’Europa, ha cambiato molte cose. Come aver fatto parte di un generazione di grandi giocatori. E come ritrovarmi a Miami al momento giusto: Riley non mi ha regalato nulla, ma al tempo stesso non aveva pregiudizi e mi ha concesso di avere tutto quello che mi meritavo, come il quintetto base, fin dall’esordio nella Nba».
Sulle sliding doors, le occasioni fugaci che aprono o stoppano le fortune d’una vita, ci hanno pure fatto un film, e magari anche Danilovic, illustrate quelle che si sono spalancate davanti a lui, potrebbe continuare con quelle che lui ha propiziato ad altri. Voce di popolo, per dire: il suo ritiro dalla Virtus, in quell’alba della fragorosa stagione 2000-01, fece la fortuna di Ginobili. S’aprì un varco, Manu poté sfrecciarvi dentro, con tutta la sua energia. «Falso. Ero il più contento del suo arrivo, ci siamo allenati bene insieme. E, fossi rimasto, avrei vinto ancora: io avrei aiutato loro a renderlo più facile, loro m’avrebbero fatto fare meno fatica... Di Manu poi sono sempre stato convinto che il suo stile di gioco fosse più adatto alla Nba che all’Europa».
A breve, Danilovic diverrà una delle icone del museo della Virtus, che sarà inaugurato sabato alla Futurshow Station. «L’ho scoperto perché Ricky (Morandotti) s’è presentato a casa mia facendomi vedere un video. Se mi sento pronto ad essere visitato in un museo? Ma io ci sono da otto anni, nel museo della Virtus». E ci sarà all’inaugurazione, quando verrà aperta la sezione delle leggende bianconere? «Io finora non ho sentito nessuno, se arriva una telefonata e sono libero vengo. Ma da solo non m’invito, pure se per me l’Italia è la Virtus e Bologna è la mia seconda casa». Si informa attraverso i contatti rimasti più solidi: «Brunamonti, Cazzola, Messina, Morandotti, che resta unico perché secondo me del basket non gliene è mai fregato nulla... Scherzo». E non si ferma più: passa Bulleri, della malconcia nazionale azzurra, e gli chiede «ma ancora giochi?», poi Di Giuliomaria, che gli ricorda un cazziatone brutale a Frosini, reo di non avergli fatto un blocco («ma non li faceva mai...»). Non resta che tornare a chiedergli se un Danilovic dirigente alla Virtus lo vedremo mai. «Certo, dipende solo da quanti soldi mi offrono».
Ormai la deriva del colloquio, diventato via via lieve e scherzoso, è chiara, fino all’epilogo. «So che la Fortitudo ha dato tutto in mano a Savic: ma come si può far costruire una squadra ad un pivot?». Col tempo, Sasha il truce è divenuto anche un umorista. Il colore della Lacoste resta però quello preferito. Nero.
DANILOVIC: "GLI ANNI ALLA VIRTUS I PIÙ BELLI DELLA MIA VITA, SUPERIORI ANCHE ALLA NBA"
tratto da bolognabasket.it - 17/11/2018
Sasha Danilovic è stato intervistato da Luca Maggitti su davidemoretti.it
Un estratto delle sue parole.
Sono Presidente della Federazione di Basket della Serbia – a dicembre saranno 2 anni – dopo i miei 15 anni da dirigente al Partizan Belgrado. Rispetto all’incarico che avevo nel club, questo ha una responsabilità più grande trattandosi dell’intero movimento cestistico: maschile, femminile, giovanile. Devo però dire che per certi versi è più facile, perché ho uno staff composto di bravissimi collaboratori, che conosco da 20 anni e che svolgono un lavoro eccellente, facilitando il mio compito.
Cosa ha provato ad essere il presidente del club che l’ha lanciato? Il Partizan era il motivo per il quale sono arrivato da Sarajevo. Fa parte della mia famiglia. È una cosa molto intima direi, e sarà sempre così anche se non sono più nella dirigenza del club. L’emozione sarà sempre quella.
Come ha vissuto l’esperienza alla Virtus? L’ho vissuta come gli anni più belli della mia vita. A parte le nascite dei miei figli, quelli sono per me gli anni migliori della mia vita, senza alcun dubbio.
Superiori addirittura agli anni in NBA? Certo! La NBA è un mondo perfetto, solo che la vita americana a me non è mai piaciuta. Se fossi andato a 22 anni magari sarei rimasto lì, invece no. Invece l’Italia è il mio secondo paese e Bologna la mia seconda città.
Per il basket meglio l’Italia o l’America? Beh, per me era molto più facile giocare in NBA che in Europa. Mi spiego. In NBA ci sono regole precise e tu hai il tuo lavoro da fare. Io ero la guardia tiratrice e non soffrivo i raddoppi come in Europa, dove magari ti marcano anche tre giocatori. Insomma: per me era più facile. E poi ho avuto la fortuna di giocare con atleti della vecchia scuola, gente che avevo raffigurata nei poster che tenevo appesi in camera. Comunque, per concludere il ragionamento, l’Italia resta il miglior periodo della mia vita: sia per quanto riguarda il basket sia per tutto il resto.
Qual è il segreto per non mollare? Molto semplice: allenarsi bene. Dico sul serio. Non bisogna complicare le cose. Io, ad esempio, quando arrivai in Italia avevo grande nostalgia di Belgrado. E come la scacciavo? Allenandomi molto bene.
Detta così sembra semplice. Arrivare alla semplicità è molto complicato.
Frase da stampare e incorniciare in tutte le palestre. Ma è così. Io, quando guardavo Maradona o Van Basten giocare a calcio, pensavo: cavolo, ma potrei farlo anch’io! Invece no, era molto complicato… solo che loro, con la classe che avevano, lo facevano sembrare molto semplice. Quindi, ripeto: per raggiungere la semplicità la strada è molto complicata, ma bisogna tendere alla semplicità, nella vita come nel basket. Perché per quanto siano complicate le cose, alla fine c’è sempre una risposta vera fatta di un sì o un no.
Danilovic e il futuro? Io non faccio piani, non li ho mai fatti così come non faccio programmi a lungo termine. Sono molto contento di quello che sto facendo. Il mio mandato è quadriennale, poi si vedrà.
PREDRAG DANILOVIC
tratto da klebbasketferrara.com - 06/05/2020
Inutile girarci intorno. Il “tiro da 4” con cui ha deciso una serie finale infinita e incendiaria, un derby scudetto passato alla storia del basket italiano, il canestro e fallo più cliccato di sempre dagli appassionati di pallacanestro delle nostre parti, è il fotogramma che potrebbe racchiudere tutto e ha diviso in due, devoti idolatri del campione serbo e suoi accesissimi rivali, la Bologna dei canestri e non solo.
Ma Danilovic è tanto altro.
Nasce nel 1970, proprio mentre la Jugoslavia di Cosic comincia a impressionare il mondo intero, è bambino quando “Deli” e “Dali”, le due D precedenti, spadroneggiano in patria e a livello internazionale, e ragazzino mentre Petrovic incanta i palasport di mezza Europa, giusto per ricordare il contesto e la continuità con cui la fucina jugoslava ha sfornato gioielli d’oro massiccio.
Precocità, si diceva, e Danilovic, soprannominato Sasha, non sfugge alla regola. E’ un adolescente smilzo e dinoccolato, una guardia, dotata di velocità ed elasticità, con un tiro preciso, reso devastante da ore di allenamenti, quando entra nel giro Partizan. E’ taciturno, dote che mantiene anche lungo la sua carriera, preferisce fare parlare il campo, ha quella faccia un po’ così, fra lo scoglionato e l’irriverente, tagliata spesso a metà da un sorrisetto sornione, e a Belgrado costituisce con il play, Djordjevic, guarda caso… un’altra D…, una coppia di ragazzini terribili e predestinati. Esordisce in prima squadra nella stagione ’88-’89, appena maggiorenne.
Apprendistato, prospetto, fare esperienza? Evidentemente da quelle parti sono vocaboli che non si usano…
Sasha è subito protagonista e la squadra è una imberbe outsider che immediatamente si trasforma in corazzata che trita gli avversari. Coppa Korac subito, al primo anno, insieme alla coppa nazionale, e dopo due stagioni arrivano il titolo jugoslavo, un’altra coppa nazionale e la Coppa dei Campioni.
A quel punto, scatta la corsa ad aggiudicarsi i pulcini più fenomenali di quella nidiata di talenti. Golden State lo sceglie per la Nba, ma lui, come Petrovic quasi 10 anni prima, vuole crescere ancora in Europa.
E’ l’estate 1992, e su Danilovic, avversario imbattibile nella precedente stagione europea, investe e parecchio la Virtus Bologna, nobile della pallacanestro italiana, con un blasone arricchito da qualche coppa Italia, una Coppa Coppe e talenti come Sugar Ray Richardson tra la fine degli anni ’80 e inizio anni ’90, ma a cui lo scudetto manca dal 1984. Pur arrivando da campione d’Europa in carica, sembra un po’ spaesato, al suo sbarco in Italia, quel ragazzo che sceglie la sua canotta, la numero 5. Ma è solo un’impressione, la sua indole. Umiltà, voglia di allenarsi e migliorare, doti che tutti i fenomeni slavi uniscono al talento di madre natura, presto sono evidenti a tutti, a cominciare dai compagni di squadra, lo staff e… il custode del Palasport, il mitico “Andalò”, costretto a straordinari fino a tarda ora per aspettare che Sasha la smetta di provare e riprovare tiri, movimenti, controllo di palla, per chiudere le porte.
Danilovic non tradisce le aspettative, il suo gioco fatto di corse, schiacciate e tiri piazzati si arricchisce, diventa un maestro nel gioco schematico di coach Messina, nell’uscita cronometrica dai blocchi, nella difesa. E i risultatati sono eccezionali. In una lega seconda solo alla NBA per talento, contro avversari come Kukoc, Radja (a proposito di slavi…), Daye e tanti altri, la Virtus torna a vincere il titolo. Danilovic ha 23 anni quando all’esordio in A1 conquista il suo primo scudetto, 24 quando vince il secondo alla sua seconda stagione, 25 quando vince il terzo di fila in tre anni.
E’ pronto. E’ tempo di provare la carriera in NBA. Va a Miami, e alla sua seconda partita, pur ancora dotato di un fisico esile e imparagonabile rispetto ai colossi muscolari americani, dopo un blocco duro e non esattamente regolare, reagisce avviando una scazzottata degna di un saloon. Brutto gesto, che però Dan Peterson, in telecronaca stigmatizza a suo modo… “Non si fa” dice più o meno “ma questo rookie magrolino ha la faccia giusta per sfondare…”.
In America Sasha mette su i muscoli e si ritaglia un ruolo da specialista, quasi chirurgico, sia negli Heat che a Dallas, sua seconda franchigia. Le sue medie, uscendo dalla panchina, sono di 12,6 e 16.6 punti a partita, con prestazioni record come i 30 segnati contro Phoenix o il 7 su 7 da 3 infilato contro i Knicks al Madison Square Garden. Tolta la “voglia” di cimentarsi contro i maestri d’oltreoceano, Danilovic rientra in Europa, a Bologna, la sua seconda casa. E’ un giocatore diverso, meno “elastico”, ma più solido nel fisico e ancor più determinato e capace di dare il meglio sotto pressione, e l’estate cestistica italiana del ’97 è infuocata da un mercato ricco e folle. Le squadre investono miliardi, la lega si arricchisce di talenti, in un contesto che porterà poi la competitività della pallacanestro tricolore al titolo europeo del ’99, ma è proprio a Bologna, ridefinita Basket City, che si scatena la vera sfida a suon di colpi a nove zeri. I più rumorosi sono di certo l’arrivo della stella NBA Wilkins in Fortitudo e, appunto, il ritorno di Sasha in Virtus.
La storia è nota, coppa Italia alla F, la prima storica Eurolega nella bacheca V, e quella finalissima, 5 partite sconsigliate ai cardiopatici, in una bolgia di 9.000 persone al palazzone di Casalecchio, con il titolo che cambia padrone mille volte… fino a quel tiro da 4, di un Danilovic fino a quel momento in ombra e mezzo zoppo, che poi nei supplementari porta il quarto scudetto in 4 anni ai bianconeri, a cui aggiunge poi una coppa Italia la stagione successiva, preludio del suo ritiro.
Già perché il fisico di Sasha fa le bizze, le sue caviglie portano i segni di scontri, mutamenti fisici e allenamenti continui. E lui non è tipo che si accontenta, che può accettare di non essere al massimo e vincere. E allora, nel 2000, a soli 30 anni e alla vigilia delle Olimpiadi di Sydney si ritira, senza troppo clamore. Quasi in silenzio, come sempre, ma con una serietà e un carisma che gli hanno poi consentito un seconda vita da dirigente ai massimi livelli nel suo sport, in patria.
Pur penalizzato da questo finale anticipato e dagli eventi storici che hanno disgregato la Jugoslavia e impedito alla Serbia di ripartire subito tra le grandi nazionali mondiali, il palmares di Sasha è segno indelebile di un percorso vincente:
1 campionato jugoslavo, 2 coppa jugoslave, 4 scudetti italiani, 1 coppa Italia, 1 coppa Korac, 2 Eurolega con i club, 2 ori europei prima della divisione della Jugoslavia, altri 2 ori e 1 bronzo europeo dopo, 1 argento olimpico, con la nazionale, 1 titolo individuale come Mister Europa, 1 MVP Eurolega, 1 MVP Italiano.
IL NUMERO 5 ERA IL NUMERO 1 NEL SEGNARE CANESTRI DECISIVI: I 51 ANNI DI SASHA DANILOVIC
di Ezio Liporesi - 1000cuorirossoblu - 26/02/2021
Sei stagioni, quattro scudetti, un'Eurolega, altre finali. Questo è stato Danilovic a Bologna, ma soprattutto è stato il giocatore che ha manifestato la più feroce voglia di vincere. E lo ha fatto mettendo a segno tantissimi canestri decisivi, che hanno deciso scudetti, serie playoff, singole partite, persino amichevoli; pochissimi quelli invece falliti. Nessuno nella storia della Virtus è stato così tante volte determinante negli ultimi secondi delle gare come Sasha, nessuno ha segnato tanti canestri decisivi come lui. La Rondine con i jeans, come amava definirlo Lucio Dalla, in quei momenti diventava, ancor più che d'abitudine, un falco lesto e rapace. Riviviamo insieme le sue prodezze durante i due periodi trascorsi sotto le Due Torri:
25 febbraio 1993 quattordicesima giornata Girone A: a Badalona, negli ultimi 30 secondi con la Virtus a meno 12, dovendo perdere al massimo con 10 punti di scarto per qualificarsi, segna 4 tiri liberi che fanno uscire sconfitta la Virtus di 8 punti e quindi praticamente vincente.
21 marzo 1993 ventottesima giornata: sul punteggio di 88-88 nel 1992-93 a Torino, canestro da due in avvitamento a due secondi dalla fine.
10 aprile 1993 gara due quarti di finale: sul meno uno, canestro da due a Pistoia per il definitivo 95-96 che porta la Virtus in semifinale.
9 gennaio 1994 quindicesima giornata: contro Montecatini sul meno due a dieci secondi dal termine, parte in palleggio e allo scadere scocca la tripla del sorpasso, 88-87.
24 aprile 1994 gara due quarti di finale: sul meno due, tripla a Treviso che sancisce il 75-76 che porta le V nere in semifinale.
31 agosto 1997 amichevole: contro il Partizan, sul meno due, segna sulla sirena la tripla vincente, 68-67.
2 settembre 1997 andata ottavi di finale: a Reggio Emilia, con i locali che hanno rimontato dal 65-73 alla parità, realizza il canestro decisivo sulla sirena, 73-75.
23 novembre 1997 decima giornata: nel derby casalingo, sul meno uno segna i due liberi decisivi a quattro secondi dalla fine, 78-77.
7 febbraio 1998 diciannovesima giornata: contro Verona, sul meno uno canestro vincente dall'angolo, 74-73.
31 maggio 1998 gara cinque di finale: a diciotto secondi dal termine, sul meno quattro segna la tripla e realizza anche l'aggiuntivo, mandando le squadre al supplementare dove sarà dominante portando la Virtus allo scudetto.
4 aprile 1999 gara uno dei quarti di finale: tripla del pareggio nel primo supplementare contro Roma, la Virtus vincerà poi nel secondo supplementare.
DO YOU REMEMBER? PREDRAG SAŠA DANILOVIC, LO ZAR VINCENTE DELLE VUNERE
di Acjille Amadi - basketitaly.it - 26/02/2021
Predrag Saša Danilovic: si è ritirato a soli 30 anni dopo aver vinto ogni trofeo possibile con la sua Yugoslavia, il suo Partizan Belgrado e la sua Virtus Bologna. L’uomo del Tiro da 4 punti, lo Zar vincente della Bologna bianconera e attualmente il presidente della Federazione di pallacanestro serba.
11 Ottobre 2000.
Siamo al PalaMalaguti, l’odierna Unipol Arena di Casalecchio di Reno. E’ mercoledì. Il patron della Virtus Bologna Marco Madrigali, successore di Alfredo Cazzola, ha programmato la presentazione della sua nuova Kinder con gli ultimi giocatori ingaggiati, Marko Jaric ed Emanuel "Manu" Ginobili.
Predrag Danilovic è da poco tornato in Italia dai Giochi Olimpici di Sydney in Australia disputati con la nazionale della sua Yugoslavia, un deludente sesto posto dopo essere stato battuto ai Quarti di Finale dalla Lituania. Danilovic viene chiamato da Madrigali sul palco. Lui, Saša, maglione e jeans, entra per ultimo sulla lunga passerella illuminata, dopo che la squadra bianconera era sfilata in ordine di numero inverso (dal 20 Jaric in giù) e mancava solo lui, il 5, l’ultimo. «Fino ad un’ora fa pensavo di avere 12 giocatori, adesso so di averne 11 – recita Madrigali – e un collega in più, il presidente del Partizan, Sasha Danilovic». Saša, acclamato dai tifosi virtussini presenti, prende il microfono.
“Siete stati stupendi in questi miei sei anni con voi, ma anche noi non siamo stati male. L’incarico al Partizan mi ha dato una spintina verso questa decisione che maturavo da tempo. Non l’ho presa in due ore, il motivo è che non ce la faccio più. Sono stanco e basta. Non voglio che vi arrabbiate con me, spero invece che mi capiate”.
Lacrime in gradinata, Sasha è commosso a capo chino, Brunamonti piange senza nascondersi, è un momento intenso.
Predrag Saša Danilovic decise di smettere con la pallacanestro il giorno prima, il 10 ottobre del 2000, dopo un solo allenamento del nuovo anno con la Virtus Bologna. Il primo della stagione, per lui l’ultimo. Non aveva più voglia di soffrire, a quanto disse. Chiamò subito al telefono coach Ettore Messina, e subito dopo «l’amico di una vita, l’unico vero capitano della Virtus», Roberto Brunamonti. Ai tifosi decise di dirlo durante la festa di presentazione della nuova squadra, con Lucio Dalla sul palco, la sera seguente. Aveva scelto “Ciao” come canzone per accompagnare l’ uscita del campione serbo.
Ma facciamo un passo indietro…
Chi è stato Predrag Saša Danilovic, il giocatore che ha fatto innamorare i tifosi virtussini (e non solo) negli anni ’90?
Predrag nasce a Sarajevo il 26 febbraio 1970 da una famiglia di serbi della Bosnia Erzegovina. Durante l’adolescenza, trascorre le sue estati e gli inverni principalmente nei rispettivi villaggi dei suoi genitori e nella città di Trebinje, dove aveva zie e zii. E’ un ragazzo alto e allampanato, Danilovic eccelle in vari sport, tra cui calcio, pattinaggio di velocità e basket di strada. Si allena all’alba prima della scuola.
Va via da casa a 15 anni, passa dal Bosna Sarajevo a Belgrado al Partizan Belgrado del suo primo grande maestro, coach Dule Vujosevic, contro il parere di sua mamma. Viene quindi squalificato e sospeso per due anni dalla federazione bosniaca, perché non si poteva, allenamenti senza giocare.
A 16 anni come tutti i talenti prodigio prodotti del sistema jugoslavo era già un giocatore fatto e finito. Si trasferisce quindi in USA alla Cookeville High School. «Un anno schifoso, a Nashville in Tennesse. High school, famiglia, studio, basket. Però utile».
A 17 in prima squadra col Partizan e in Nazionale giovanile (vince nel 1988 l’Europeo Under-18 con la sua Yugoslavia battendo in finale l’Italbasket) ci trova l’altro Sasha, Djordjevic. E’ nel gruppo della Nazionale senior che vince la FIBA EuroBasket nel 1989 a Zagabria, la Yugoslavia di Drazen Petrovic, di Vlade Divac, di Dino Rada e Toni Kukoc.
Nel 1991 vince un altro FIBA EuroBasket, quello disputato a Roma battendo in finale l’ItalBasket. Con il Partizan, intanto, Predrag Danilovic vince tanto coi bianconeri di Belgrado: due Coppe di Yugoslavia nel 1989 e 1992, la Coppa Korac 1989, la Yuba Liga 1992 e soprattutto la Coppa Campioni 1992: in quest’ultimo trofeo vinto nella Final Four a Istanbul, è decisivo nei Quarti di Finale contro la Knorr Virtus Bologna ribaltando il fattore campo con 23 punti nella gara-3. Ne segna 22 con 10 rimbalzi nella semifinale all’Olimpia Milano e in finale contro la Penya, la Joventut Badalona, ne segna 25 nella vittoria per 71-70 del suo Partizan campione d’Europa con il canestro-vittoria di Djordjevic. È ovviamente proclamato Mvp delle Final Four di EuroLeague.
Nel frattempo la sua famiglia è in guerra: metà a Sarajevo, metà a Belgrado. Una famiglia divisa nel bel mezzo di una guerra civile sanguinosa.
1992, L’ARRIVO ALLA VIRTUS BOLOGNA PER UN TRIENNIO D’ORO
Il presidente della Knorr Virtus Bologna è Alfredo Cazzola, il padre del Motorshow, che decide di mettere mano al portafogli per riportare le VuNere ai massimi livelli. Sulla panchina siede un trentaduenne di belle speranze, ha imparato il mestiere da gente come Sandro Gamba e Alberto Bucci. Si chiama Ettore Messina. Il nativo di Catania è capo-allenatore dal 1989, e al primo colpo si è portato a casa la Coppa Italia e la Coppa delle Coppe 1990, la prima vittoria in Europa della Virtus che non vince però lo scudetto dalla stagione 1983-1984. Così, ai giocatori bianconeri presenti della vecchia guardia con Augusto Binelli, Bill Wennington e Riccardo Morandotti, viene aggiunto questo ragazzo di ventidue anni, con l’acne tardiva come molti della sua età e lo sguardo di chi ne ha viste tante. Non ride mai Predrag Danilovic. Non è simpatico, era due metri ed esile. Danilovic scelse la Virtus anche perché c’era Roberto Brunamonti, il capitano bianconero, incontrato chissà dove e visto di sfuggita in qualche differita del campionato italiano trasmessa in Jugoslavia. «Volevo giocare con lui» ha sempre detto.
In una sera di fine ottobre del 1992 nel palazzetto di Zagabria, la Knorr verrà travolta 82-66 dal Cibona all’esordio in Coppa Campioni e lui, serbo in terra croata, venne subissato di fischi dall’inizio alla fine. Nelle interviste della vigilia Sasha aveva mostrato la solita faccia tosta, «parliamo di basket», aveva detto. Ma due giorni in terra straniera, da nemico di un intero popolo, con le guardie del corpo sempre alle spalle, avevano fiaccato anche il suo ego spropositato.
Al primo anno nelle VuNere, nonostante la Knorr vada fuori contro il Real Madrid in Coppa Campioni nei Quarti di Finale per 2-0, è subito Tricolore! La Virtus Bologna di coach Ettore Messina si rivela una squadra forte e grande macchina di punti, grazie a dei reparti esterni e di lunghi di assoluto valore. Predrag Danilovic guida la squadra bianconera in attacco (durante la stagione regolare, solo due partite chiuse con 9 punti contro Treviso e Reggio Calabria, per il resto va sempre in doppia cifra), il resto lo fanno i compagni di squadra come Claudio Coldebella, Flavio Carera, Paolo Moretti, Brunamonti, Binelli…. Le VuNere vincono la regular season con uno score di 24-6 che diventa 7-0 nei playoff. Percorso netto contro nell’ordine Kleenex Pistoia, S. Clear Cantù e Benetton Treviso, campione in carica, spazzate via. Soprattutto in finale la differenza si mostra incolmabile per i biancoverdi di coach Petar Skansi e della star Toni Kukoc, capaci comunque di vincere la Coppa Italia contro la stessa Virtus (75-73 a Forlì nonostante 27 di Danilovic) e raggiungere la Finale di Coppa Campioni contro il Limoges: 97-80 in gara-1, 97-108 al PalaVerde in gara 2 e addirittura -34 nella decisiva terza partita, 117-83. La Bologna bianconera festeggia l’undicesimo titolo della sua storia, per Predrag Danilovic le Finali chiuse con media superiore ai 23 punti.
Stagione 1993-1994. La Virtus cambia sponsor, da Knorr diventa Buckler Beer e, in sostituzione di Ettore Messina che va ad allenare la Nazionale, torna in bianconero quell’Alberto Bucci già head-coach Virtus nello scudetto 1984. Se ancora in Europa non va meglio con le VuNere eliminate dall’Olympiacos ai Quarti di Finale di Coppa Campioni, in campionato Predrag Danilovic si trova un nuovo avversario che lo caratterizzerà per il resto della sua carriera. È nato a Londra da padre caraibico e madre pesarese, è italiano, si chiama Carlton Myers e gioca nella Scavolini VL Pesaro. I due si erano già affrontati l’anno precedente in una epica gara di Coppa Campioni, in cui il plavo aveva fatto la conoscenza di questo giocatore più giovane di lui e con la sola esperienza della A-2 a Rimini, ma che prendeva i tiri quanto lui e con percentuali molto simili alle sue. In più riusciva a batterlo.
Coach Bucci racconterà a Werther Pedrazzi nel libro “3 volte Virtus” un aneddoto paradigmatico. «Il 7 novembre ’93 la Buckler perde a Pesaro (76-68), Danilovic quel giorno col pallone non avrebbe preso in una vasca da bagno (finirà con 6/16 al tiro e “solo” 17 punti). Sul pullman del ritorno chiede al custode le chiavi del Palazzo e appena arriva in Piazzale Azzarita, che erano le dieci, entra e non esce finché non ha segnato trecento tiri. Senza cenare. Autopunizione».
La Buckler vince la Regular Season con record 24-6, ma nonostante perda la semifinale della Coppa Italia contro la Glaxo Verona per 73-72, riesce a vincere il secondo Tricolore consecutivo, il 12°. Fa fuori la Benetton Treviso ai Quarti, si vendica contro Verona in semifinale, e vince a gara-5 contro Pesaro, 79-68 con Predrag Danilovic a segnarne 33 nella gara decisiva.
Stagione 1994-1995. Sasha continua a fare canestro sempre, «ha il lampo nelle mani» coach Bucci dixit. La mette con estrema semplicità anche da otto metri e quindi è un vero problema per le difese avversarie che lo devono sempre rincorrere e temere. L’istinto del killer porta Danilovic a prendere tutti i tiri decisivi, tiri fuori tempo e fuori logica, con il benestare di Bucci. Non ha per niente timore di nessuno. Ha un carattere burbero come dal primo giorno alla Virtus. “Che v’importa del mio carattere? Devo giocare, non esservi amico”. Intanto Carlton Myers gioca di nuovo in A-2, rientrato a Rimini a causa di un pasticcio sulle comproprietà non risolto a proprio favore da Pesaro. Questa mossa costa alla Scavo l’addio anticipato alla lotta per il titolo. Nuovi e vecchi avversari contendono lo scudetto a Sasha e ai suoi: innanzitutto i cugini della Filodoro Fortitudo del patron Giorgio Seragnoli, che al secondo anno nella massima serie arrivano secondi in regular season, sconfitti soltanto in semifinale dalla ben più esperta Benetton Treviso. Appunto i biancoverdi, nuovamente contro le VuNere in finale e ancora spazzati via in tre partite. È three-peat virtussino, Predrag Danilovic ne piazza 40 nella gara-3.
Ma se in Italia la Virtus è imbattibile, in Europa la musica ancora diversa. Il naufragio del 1995 con il famigerato -43 di gara-3 subito dal Panathinaikos a Piazza Azzarita è una sconfitta forse chiave nella scelta di Predrag Danilovic di salutare e provare il salto in Nba, rimandata per diversi anni. Intanto vince con la sua Yugoslavia il suo terzo EuroBasket in Grecia tenendo una media di 17.4 punti, memorabile la sua schiacciata su Arvydas Sabonis.
IL SALTO NELL’NBA, LA PARENTESI AMERICANA
Nel draft NBA del 1992 Sasha venne scelto come 43º giocatore, chiamato dai Golden State Warriors. I diritti su di lui vennero poi ceduti, nell’ambito della trade per Rony Seikaly, ai Miami Heat. Ma Predrag sentiva di non essere pronto fisicamente, non abbastanza grosso per il gioco molto fisico della Nba, all’epoca piuttosto refrattaria ai giocatori europei. Però i primi tempi nella Nba non sono per niente semplici e una partita del novembre 1996 è il chiaro esempio di tutte le contraddizioni vissute da Sasha negli Stati Uniti. A Miami viene a far visita “un certo” Michael Jordan coi suoi Chicago Bulls. Danilovic va in difficoltà e Michael ne mette dentro 50. Sasha si difende coi suoi 15 punti a referto, ma quella sera forse comprende che negli Stati Uniti il suo ruolo può essere “soltanto” quello di specialista del tiro dall’arco.
Nelle sue due stagioni negli Stati Uniti ha giocato 75 partite, tenendo una media di 12,8 punti con il 38% da tre punti. Nella prima annata gioca solo 22 partite per colpa di un infortunio al polso (che già tanti problemi gli diede a Bologna). Dopo che nell’estate 1996 vince l’argento olimpico con la Yugoslavia battuta solo dal secondo Dream Team USA, viene ceduto dai Miami Heat ai Dallas Mavericks durante la stagione 1996-97 (media di 16,6 punti), di lui si ricordano due prestazioni in particolare, entrambe con la franchigia della Florida: i 30 punti segnati ai Phoenix Suns il 9 dicembre del 1995 e il 7/7 da tre realizzato contro i New York Knicks al Madison Square Garden il 3 dicembre del 1996. Ma a parte questi due lampi, la vita americana non gli piace per niente, certo l’organizzazione sportiva è il massimo che si poteva aspettare, ma per il resto sta chiuso in casa e questo non fa per lui. Danilovic, che vuole lottare per vincere ed essere al centro di un progetto, non riesce ad accettare di giocare per una squadra che non lotta per l’Anello.
LA SECONDA ESPERIENZA VIRTUSSINA
1997 è l’anno della vittoria nel FIBA EuroBasket in Spagna con la sua Yugoslavia battendo in finale l’ItalBasket, ma è anche l’estate del ritorno a Bologna. Senza di lui la Virtus ha sì vinto la SuperCoppa Italiana e la Coppa Italia, ma vuole vincere nell’Europa dei grandi, finalmente. Sasha stabilisce oltre al rilancio in grande stile della Virtus dopo due stagioni più sofferte dentro che sul fronte dei risultati, anche il record in materia di ingaggi per gli stranieri del nostro campionato e percepirà una cifra molto vicina ai 10 miliardi di lire. A Bologna Predrag Danilovic trova una squadra piena di campioni: Antoine Rigaudeau, Radoslav “Rascio” Nesterovic, il compagno di Nazionale Zoran Savic, Hugo Sconochini, e poi i vecchi amici Gus Binelli e Ricky Morandotti. Non è più Buckler lo sponsor, ma Kinder. A Bologna ci sono quindi due sfide: i cugini della Fortitudo con lo sponsor Teamsystem, diventati fortissimi, da battere e un’Eurolega da vincere.
Alla Effe c’è Carlton Myers, diventato capitano. Ed è una stagione assolutamente incredibile per Bologna sulle due sponde del Reno: la Regular season della Serie A sarebbe starvinta dalla Kinder se non ci fossero i cugini della Teamsystem. La Virtus perde tre partite su 26 e lascia agli avversari una media misera di 69 punti segnati. Mentre dall’altra parte la Fortitudo ne perde appena cinque ed è subito dietro. Lo scontro però è su tutti i campi e Bologna diventa il centro del mondo del basket prendendo il nome, oggi piuttosto appannato, di Basket City. 1 febbraio 1998, semifinale di Coppa Italia vinta 73-64 dalla Fortitudo sul parquet di Casalecchio. Myers e soci porteranno a casa trofeo e titolo di miglior giocatore. La rivincita arriva a febbraio con i quarti di Eurolega. Due sfide palpitanti e infernali che la Virtus vince sul filo, punteggi bassi e tanta, troppa tensione, fino all’inevitabile rissa conclusiva, protagonisti Danilovic e Myers che non se le mandano a dire…
Alle Final Four di Barcelona dal 21 al 23 aprile 1998 al Palau Sant Jordi sarà dominio bianconero: prima in semifinale contro il Partizan Belgrado (83-61), e poi in finale con l’AEK Atene (58-44).
Il giornalista Walter Fuochi raccoglie per Repubblica sul volo di ritorno Barcellona-Bologna le dichiarazioni di un Predrag Danilovic neo campione d’Europa. «Sono vuoto, mi fa bene solo pensare che è finita e sono felice perché, più invecchi, più apprezzi certe conquiste, sapendo che potresti non averne più. Avevo vinto questa coppa nel ‘92, col Partizan, la squadra di casa mia. Avevo 22 anni, quasi non me ne accorsi. Eravamo ragazzi, fu soprattutto un gioco. Ma non una sorpresa. Non eravamo favoriti allora, ma quando giochi una finale giochi sempre per vincerla. Certo, stavolta c’era più pressione, cinquemila splendidi tifosi che ci chiedevano questa Coppa ed è stato bello vincerla per loro. Ma è stata una gioia soprattutto per me: quando invecchi, apprezzi di più».
Lo Zar bianconero è al suo massimo splendore e si concentra sul prossimo obiettivo: lo scudetto da far riportare in casa Virtus. Predrag Danilovic viene eletto MVP del campionato con medie di 21.1 punti e 3.6 rimbalzi (mai sotto la doppia cifra durante la stagione regolare), Ettore Messina miglior coach. Nei Quarti di Finale la Kinder supera la Calze Pompea Virtus Roma 3-1 con Predrag a segnarne 47 in gara-4 al Palazzetto dello Sport della Capitale. Numeri impressionanti con 8/13 da tre, 8/10 da due, che fanno il 70% dal campo, 7 su 7 a cronometro fermo più 7 rimbalzi e 3 assist. Talmente superiore e irridente da far impazzire di rabbia Attilio Caja e un giovane tifoso avversario che prova ad aggredirlo tra insulti e sputi di un pubblico romano inferocito.
La Pallacanestro Varese di Vescovi e Pozzecco verrà sconfitta 3-1 in semifinale dalle VuNere. E’ tempo quindi di finale tutta bolognese: Predrag Danilovic contro Carlton Myers, Kinder contro Teamsystem, Virtus contro Fortitudo.
IL TIRO DA 4
Sono cinque gare incredibili, allucinanti, entusiasmanti e tesissime che nemmeno si immagina. Gara-1 va alla Effe che ribalta subito il fattore campo, 34 di Myers, 80-81, 1-0 per la Fortitudo. Gara-2 se la riappropria la Virtus, 78-76 al PalaDozza con 30 di Danilovic, 1-1. Gara-3 è di nuovo della Fortitudo che si porta sul match-point, 69-76, 1-2 per la Teamsystem. Gara-4 la vince in rimonta la Kinder, di nervi è 57-59. Si va alla bella, la gara-5 che si gioca il 31 maggio 1998.
E’ una battaglia finale, vibrante e adrenalinica. Kinder sotto di quattro a 26 secondi dalla fine, Gregor Fucka è sulla lunetta ma sbaglia il secondo tiro libero. Predrag Danilovic ha giocato veramente male sia in gara-3 che in gara-4, e fin qui ha messo dentro 7 punti con un pessimo 3/10 al tiro, 0/5 da tre. Ma Sasha vuole a tutti i costi l’ultimo tiro, tutto passa dalle sue mani. Così l’uomo nato a Sarajevo, con una caviglia ormai fuori uso passa in una frazione di secondo dal palleggio al tiro, sono quasi otto metri, quello deve essere il suo posto. L’ex Atlanta Hawks Dominique Wilkins (non in serata di grazia) lo controlla, ma troppo troppo vicino, commettendo un grave errore, madornale: lo tocca. La palla entra e Danilovic avrà un tiro libero supplementare. Pareggio, si va all’Overtime. Non c’è più storia perché la Teamsystem si smarrisce, finisce 86-77 per la Kinder. Per Predrag Sasha Danilovic è l’ennesima finale vinta, grazie a lui che in una sera di fine maggio ha inventato il tiro da 4, ha scelto quando azzannare. La Kinder realizza una doppietta che al basket italiano mancava dal 1987: campionato e Coppa dei Campioni.
Ci sarà tempo per affrontarsi di nuovo nella final four dell’Eurolega 1999 e sarà ancora una volta la Virtus a vincere (57-62) con l’emblematica immagine di Sasha Danilovic con in mano il fumogeno come segno di vittoria che ancora oggi è adorata dai tifosi virtussini. Ma la Kinder si dovrà inchinare allo strapotere dei lituani dello Zalgiris Kaunas di Stombergas e Tyus Edney. In campionato invece due eliminazioni in semifinale contro i Roosters Varese nel 1999 e la Benetton Treviso nel 2000, l’anno dello scudetto Fortitudo. In mezzo per Sasha il terzo posto agli Europei ’99 e il sesto alle Olimpiadi australiane. Oltre a una splendido spot per la Kinder girato da Danilovic lasciato ai posteri in tema natalizio: “Bologna in una sera di neve”.
Così Predrag Sasha Danilovic si ritira a soli trent’anni compiuti nell’ottobre del 2000 dalla pallacanestro giocata. Ha preferito essere un campione rimpianto anziché un veterano compatito (“Qualunque altro campione del suo livello avrebbe potuto guadagnare un altro pacco di uomini, gestendo le energie e gli impegni. Invece, Sasha, come Platini, ha avuto grande rispetto di se stesso e di quello che ha saputo costruire decidendo di uscire di scena a 30 anni” Ettore Messina dixit).
Tornando nella sua Belgrado, Danilovic diventa co-presidente del Partizan insieme a Žarko Paspalj, Dražen Dalipagić e Ivica Divac, lavorando sotto il nuovo presidente del club Vlade Divac. Diverrà presidente successivamente nel 2007.
Il 18 maggio 2013 Sasha viene accoltellato in un ristorante di Belgrado a seguito di una rissa riportando ferite alla testa, alle braccia e all’addome. Viene trasportato in gravi condizioni in ospedale e operato d’urgenza.
Il 2 marzo 2014 la Virtus Bologna decise di ritirare la sua maglia numero 5.
Il 15 dicembre 2016 Sasha Danilovic diventa Presidente della Federazione di Basketball della Serbia KSS, rieletto il 1 dicembre 2020.
Si è sposato con Svetlana, giornalista della RTS, ha avuto tre figli tra cui la tennista professionista Olga, Sonja e Vuk.
IN ALTO STAT VIRTUS, IN ALTO CON DANILOVIC
«La nostra avventura è andata oltre le mie più rosee aspettative. – così disse tempo fa Roberto Brunamonti, la bandiera della Vu-Nere – Non è stato solo un compagno di squadra straordinario, e questo potevo aspettarmelo, ma ho incontrato un amico e una persona cara a cui voglio bene. Gli faccio tantissimi auguri, l’ho conosciuto che era poco più di un ragazzetto e adesso è un uomo che ha figli, famiglia, presidente della federazione serba, che ha continuato ad avere successo in quello che fa».
Predrag Danilovic ha diviso, a Bologna si poteva essere pro Danilovic o contro Danilovic. Indifferenti, MAI. La sua grandezza da atleta è stata l’assoluta capacità di vincere e di non deludere mai i suoi compagni di squadra disposti a tutto per stare in campo come voleva lui. Farlo significava alzare i trofei al cielo. Ha dominato senza divorarsi la palla, dando alla squadra l’impressione di esserne soltanto un pezzo, scegliendo il momento in cui fare sua la gara. Altri aspetti che vanno sottolineati sono la sua dedizione e la sua etica di lavoro. Per lui la pallacanestro era tutto, e ciò che ha realizzato in carriera è stato frutto di ore e ore trascorse in palestra ad allenarsi, con quel tiro dalla parabola alta che è diventata iconica.
Si è detto molto anche dei suoi duelli memorabili con Carlton Myers, in campo e fuori. Due che parevano volersi scannare, e poi sono diventati amici.
Chi è cresciuto in quegli anni, ne è rimasto segnato per sempre.
C’è chi può e chi non può. Noi, anzi io può.
COSIC E DANILOVIC
Gli aneddoti di Tavcar a Possesso Alternato su Basket 108
di Ezio Liporesi - Cronache Bolognesi - 12/03/2021
Cosic non è raccontabile, è un giocatore che è nato troppo presto, era un giocatore di una grandissima tecnica, come quella di un playmaker, bravissimo nel passare e nel tirare, con uno straordinario tiro da fuori, velocissimo, quando ancora era giovane saltava moltissimo, un 2,11 molto filiforme ma solido come una roccia. In preparazione agli europei del 1971, con la Jugoslavia che affrontava la forte selezione americana Gillette di Jim McGregor, giocatori americani che cercavano contratti in Europa, vidi fare a Cosic una cosa strabiliante: prese un rimbalzo in difesa, partì in palleggio con la mano destra dirigendosi verso di me, verso la linea laterale e con la mano sinistra dietro la schiena fece un passaggio che attraversò tutto il campo e raggiunse Simonovic in entrata. Sarebbe anche nel basket di oggi in grado di fare sfracelli.
Danilovic era nato a Sarajevo, di etnia serba, era tifoso del Partizan e allora la sua famiglia si trasferì a Belgrado, ma la Bosnia non diede a Sasha il nullaosta, allora giocò amichevoli sotto falso nome, finché finalmente la situazione non si sbloccò e poté giocare gli europei juniores del 1988. Una volta venne a giocare a Trieste un'amichevole il Partizan, andò a vederla mio fratello ma io non andai perché avevano mandato la squadra B, Quando tornò mi chiese se conoscevo un tal giocatore giovane e fortissimo che non avevo mai sentito nominare: capii subito che avevo perso l'occasione di vedere Danilovic.
Danilovic a Monza in posa con la Rossa
La sua passione non raggiunge forse quella del "ferraristissimo" Gus Binelli, ma all'altro virtussino Danilovic la formula piace eccome. Eccolo in posa con la Ross a Monza. La foto è di Angelo Orsi inviato e primo fotografo di Autosprint, ma grande appassionato ed esperto di basket
I PRECEDENTI VIRTUS - JOVENTUT BADALONA NEL SEGNO DI SASHA
di Ezio Liporesi - 1000cuorirossoblu - 23/03/2021
Otto gli incontri ufficiali tra Joventut Badalona e Virtus Bologna. Sei in Eurolega in tre stagioni consecutive dal 1992/93 al 1994/95, con quattro vittorie bianconere, di cui una in trasferta, e due successi spagnoli. Le altre due sfide in Uleb Cup nel 2003/04 con la Virtus in A2 dopo le vicende dell'agosto 2003: una vittoria per parte sempre per la squadra in trasferta. Anche cinque amichevoli con quattro vittorie delle V nere: nel 1953/54 successo in trasferta, poi le vittorie nel Trofeo Fumagalli a Bologna nel 1968 e nel Torneo di Sanremo agosto 1981, bilancio invece in parità in Spagna nelle due sfide del 24 e 25 agosto 1994. Le gare di Eurolega coincisero con la prima esperienza di Danilovic alla Virtus. La prima di quelle partite si disputò il 7 gennaio 1993 a Bologna. La Knorr prevalse 95-85 con 35 punti di Sasha, 9 su 12 da due, 4 su 5 nelle triple, 6 rimbalzi e 3 recuperi; lo affiancò, come protagonista del match, un ottimo Moretti, 21 punti. Knorr avanti all'intervallo 55-44, poi nella ripresa Moretti mise a segno da solo un parziale di 8-2, la Virtus un 16-2 e al 33', sul 79-59, gara chiusa con gli spagnoli a limitare i danni fino al 95-85 finale.
Dopo il turno preliminare la coppa era strutturata su due gironi, con le prime quattro qualificate al turno successivo. Alla fine del girone A, però, la sfida Virtus - Joventut assunse le dinamiche di un playoff. All'ultima giornata la classifica si presentava infatti così: Paok, Scavolini e Limoges 14, già qualificate, Virtus 12, Badalona e Cibona 10, Maccabi, già escluso a 4. Con Pesaro ferma per il turno di riposo, essendo il girone a sette squadre, il Limoges sconfitto a Tel Aviv, il Paok vinse il girone battendo il Cibona ed escludendolo dalla competizione. Con questi risultati Joventut - Knorr diventava decisiva. I bianconeri qualificati vincendo oppure, grazie al più dieci dell'andata, perdendo con meno di undici punti in Spagna; si parte con un po' di rammarico per la gara di Bologna, che la Knorr conduceva di 20 punti e solo nel finale il divario si dimezzò. Subito avanti la Virtus, 4-10 al 5', 8-16 al 7', 15-21 al 10', poi gli spagnoli rimettono la gara in equilibrio e nella ripresa provano a scappare, ma due triple di Brunamonti, tengono le Vu nere a galla. Nel finale i catalani allungano e a 30" dalla fine mettono la Virtus alle corde, 81-69, un punteggio che eliminerebbe la squadra di Messina dall'Europa, ma a questo punto entra in cattedra Danilovic che firma i 4 liberi che portano la Virtus sull'81-73, ma per festeggiare bisogna ancora attendere qualche secondo e l'ultimo errore della squadra di casa. Per Danilovic, 24 punti, 7 su 12 al tiro, 9 su 12 dalla lunetta, 4 rimbalzi, 3 assist, 9 falli subiti e i fondamentali 4 liberi negli ultimi 30 secondi, cioè in quella fase di partita, dove Sasha da fuoriclasse diventava campionissimo, che potremmo definire zona Danilovic, viste le tantissime gare che sono state risolte da sue giocate negli attimi finali: quel giorno a Badalona Sasha fu per la prima volta decisivo in tal senso. Nei sei incontri di Eurolega contro gli spagnoli il serbo mise a segno 35, 24, 20, 23, 26 e 28 punti alla media di 26 per gara.
7 marzo 2023: in occasione di Virtus- - Partizan, Zanetti dona la maglia con il numero 5 a Danilovic
UNO "ZINGARO" FELICE
Pagina facebook de La Giornata Tipo - 26/02/2022
28 aprile 1998. Cinque giorni prima la Virtus aveva alzato al cielo l'Eurolega a Barcellona, ma i playoff scudetto ricominciano subito. C'è gara 4 dei quarti di finale, a Roma.
Il clima al palasport è rovente. In quel periodo, su tutti i campi italiani ed europei il più bersagliato in assoluto risponde al nome di Sasha Danilovic. Il motivo è semplice: è il più forte.
A Roma ci sono tutti: sindaco, Francesco Totti, giornalisti famosi, un grande tifo. Ma anche uno striscione con scritto "zingaro" a lui dedicato.
Danilovic, subissato dai fischi (più di paura che di odio), nota lo striscione. Inizia la partita e comincia il suo show. Dopo ogni canestro, sorride. Vuole schernire quelli delle prime file perchè evidentemente riesce a sentire ciò che gli dicono.
Continua a segnare ed inizia anche a rispondere alle provocazioni, soprattutto a quelle del giornalista Gianni Ippoliti.
Gli dedica anche un paio di canestri.
Ettore Messina ad un certo punto gli dice di calmarsi. Lui non lo ascolta e chiede ai compagni di passargli sempre la palla.
E continua a segnare.
Finisce la partita, vince la Virtus che vola in semifinale.
Il tabellino di Danilovic:
47 punti (sugli 84 di squadra)
8/10 da due
8/13 da tre
7/7 ai liberi
7 rimbalzi
3 assist
"Nessuno ha mai capito che più mi fischiavano, più io segnavo. Più gente avevo contro, più godevo nel fare canestro".
52 anni fa nasceva a Sarajevo uno dei più grandi giocatori europei di sempre. Uno straordinario fenomeno che ha vinto tutto, innalzando il suo livello di gioco nei momenti più importanti e nei climi più ostili.
Buon compleanno Sasha Danilovic.
I CANESTRI DECISIVI DEI GIOCATORI DELLA VIRTUS - PRIMA PUNTATA: SASHA DANILOVIC
di Ezio Liporesi - 1000cuorirossoblu - 10/03/2023
Pochi giorni fa è stato festeggiato che il pubblico della Virtus gli tributava quando era in campo quasi un quarto di secolo fa. Ha conquistato con le V nere quattro scudetti e la prima Eurolega della società bianconera. Già questo basterebbe a descriverlo, ma aldilà dei titoli la sua grandezza stava anche nel segnare i canestri decisivi, quelli per vincere la gara o portare la squadra al supplementare per poi vincerla in quei minuti ulteriori. Nessuno nella storia delle V nere ne ha segnati quanti il numero 5 bianconero, aveva negli ultimi secondi delle partite punto a punto percentuali altissime ed era capace di ribaltare gare, serie, campionati con un solo tiro. Nessuno ha fatto meglio di lui prima, nessuno dopo e difficilmente saranno ripetibili in futuro queste sue prodezze, figlie di un istinto vincente straordinario. Ecco l'elenco dei suoi tanti canestri vincenti:
nell'ultima gara del girone a Badalona nel 1992-93, negli ultimi 30 secondi con la Virtus a meno 12, dovendo perdere al massimo con 10 punti di scarto per qualificarsi, segna 4 tiri liberi che fanno uscire sconfitta la Virtus di 8 punti e quindi praticamente vincente;
sul punteggio di 88-88 nel 1992/93 a Torino, ventottesima giornata, canestro da due in avvitamento a due secondi dalla fine;
sul -1 canestro da due a Pistoia nei quarti playoff 1993;
sul -2 a 10 secondi dalla fine palleggio e bomba contro Montecatini in casa nel 1993-94;
sul -2 canestro del +1 a Treviso nei quarti playoff 1994;
anche in precampionato tripla per la vittoria di un punto nell'amichevole col Partizan al suo rientro in Italia nel 1997;
due giorni dopo, a Reggio Emilia, in Coppa Italia, quando i locali rimontano, dal 65-73 al 73-73, negli ultimi novanta secondi, canestro decisivo del 73-75 sulla sirena;
sul -1 i liberi del +1 contro la Fortitudo in casa nel 1997-98 a 4 secondi dalla fine;
nella stessa stagione sempre sul -1 canestro da due punti contro Verona;
lo storico canestro da 4 punti in gara 5 di finale contro la Fortitudo che portò la Virtus al supplementare (in cui fece 9 punti e 2 assist) e al trionfo;
tripla del pareggio nel primo supplementare contro Roma in gara uno dei quarti 1999 che poi venne vinta nel secondo supplementare.
LA VIRTUS E LE FRASI CELEBRI - SESTA PUNTATA: SASHA DANILOVIC
di Ezio Liporesi - 1000cuorirossoblu - 21/07/2023
"Alla fine vince sempre Virtus"
In un'intervista televisiva dopo uno dei trionfi del suo periodo bolognese.
“A me della coppa Italia non me ne può fregar di meno, li batteremo quando servirà”.
Al termine della semifinale di Coppa Italia del 30 gennaio 1998 persa dalla Virtus contro la Fortitudo.
"C'è chi può e chi non può, io può"
31 maggio 1998, l'ormai famosa gara 5 di finale. Danilovic segna l'ancora più celebre tiro da quattro e porta la Virtus al supplementare, per poi giocarlo in maniera sontuosa, un vero e proprio Danilovic in trance agonistica, trascinando i bianconeri allo scudetto. Negli spogliatoi pronuncerà la frase entrata nel mito.