GIANLUIGI PORELLI
Gianluigi Porelli nel 1982 (foto Giganti del Basket)
Nato a: Mantova
Il: 10/06/1930 - 04/09/2009
Stagioni alla Virtus: dal 1968 al 1989 - Presidente onorario dal 1989 al 2009
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E VENNE L'UOMO ALLA V NERA
di Gianfranco Civolani - Giganti del Basket - Ottobre 1969
E venne un uomo. Non esageriamo, d'accordo. In ogni caso l'era Porelli data dal '68, un anno fa. Gianluigi Porelli: marcia verso i quaranta, avvocato ex mammasanta della goliardia petroniana. Formidabile organizzatore, personalità marcata, muso duro, sempre duro, troppo duro, forse. Fatto si è che quest'uomo approda alla Virtus Tennis, ripulisce tutti gli angoli più bui, si segnala insomma per la sua quasi ascetica, smania di moralizzare a tutti i costi, a tutti i livelli.
Gli sussurrano che urge il suo intervento nella sezione basket. E Porelli si imbarca di buon grado nell'avventura. Chiede un anno di tempo per sapere, per imparare, per capire. Intanto restituisce dignità alla sezione. Nel senso che finalmente impronta in senso giusto i rapporti con la ditta abbinata. Cede in giuste dosi, ma riscatta taluni giocatori di proprietà della Candy. Non promette niente. Anzi, chiede, quasi esige e in cambio garantisce aria sana, buona contropartita pubblicitaria e basta.
L'annata è dura. La squadra frana lentamente. Porelli paga lo scotto, è naturale. Conferma Sip quando a tutti è chiarissimo che il ceko avrà per forza di cose vita corta. Di qui la conseguente cacciata di Sip e il rimpiazzo con una soluzione di compromesso, con quella coppia Ranuzzi-De Sisti che può fare soltanto da palliativo. E infatti la squadra rotola. Tocca punte insolitamente negative. La squadra ha in Skalecky l'americano sbagliato e poi troppi giocatori si producono sottotono. Porelli comprende che c'è urgente bisogno di cambiar rotta.
Chiede pazienza ai fans e alla stampa. Accordare fiducia a quest'uomo nuovo non costa niente. La Virtus-Candy arriva decima, vergogna. Ma Porelli da tempo si è messo al lavoro. Provoca la separazione consensuale con quelli di Brugherio e si ritrova solo, esattamente come aveva voluto. Il Consiglio Direttivo della gloriosa Virtus è modellato su misura per Porelli. C'è dentro gente che serve alla società e che non rompe l'anima. Gente che consegna il bastone di comando con immensa fede. Porelli si avvale di un grande fido, di Richelieu Dino Costa. Costui è come la scimmietta famosa: non sa, non sente, non vede. Se gli chiedete di Buzzavo o di Rundo, capace che risponde candido candido: "Chi sono?". Insomma è l'uomo che fa per Porelli. Premuroso, capace, e soprattutto una tomba.
Dunque si parte dall'anno zero. Porelli dà la caccia all'abbinamento, roba sui settanta milioni almeno. Mi confida un giorno che se l'abbinamento non viene, andrà a finire che torneranno a comparire le V nere. Non ci credo, non posso crederci. Ci vogliono cinquanta milioni, minimo. E io li trovo, vuol vedere? mi fa lui. E il bello è che li trova. Sentite come: si circonda di amici importanti, li vellica con il sacro blasone della Virtus, li responsabilizza a certi livelli, li fa partecipi di una specie di grande crociata dell'iseale sommo. Il demoniaco Peppino si sbraga addosso dal ridere. Dite a Porelli che si provi a togliermi anche solo una lira, sussurra agli amici. Ditegli che incominci da me, se ha il coraggio. Nell'offertorio ci cascano tutti. Talune persone - certi Gandolfi, Zanarini e altri - staccano milioni come noccioline. E il bel Peppino firma l'assegno, come gli altri. Un milione qui, un milione là. Sembra la catena di S. Antonio. Incredibile: pare che quindici o sedici persone abbiano messo mani al portafoglio ed ecco quarantacinque milioni battenti, sonanti sul tavolo del diabolico Porelli.
Il presidentissimo, nel mentre, cattura un certo Paratore, un certo Driscoll, un certo Nanni da Livorno e minuzzaglia varia. Cifre, cifre: Paratore costa dieci milioni all'anno, per trentasei mesi. Driscoll venticinque milioni, per sei anni di esguito, se lo yankee vuole. Nanni trenta milioni fra cartellino e ingaggio. Con gli altri stipendi si va sui quindici milioni. E poi ci sono ancora il cast degli allenatori delle leve. Conclusione: una Virtus che viene a costare sui novanta milioni, senza contare le trasferte.
Seconda conclusione: quindici milioni di abbonamenti pressoché assicurati, venticinque milioni netti di incassi preventivati. Siamo a quota quaranta. Aggiungiamoci i quaranticinque rappattumati con la storia dell'offertorio. Manca poco per far quadrare i conti. Mancano venti milioni, fra tutto, e a stare larghi. E allora? E allora i sistemi di reperimento sono tanti, mettiamo un prestito da una banca, chissà.
Finisce che Porelli si sgancia da qualsiasi gioco industriale e commerciale. Finisce che quest'uomo dota la squadra di un grande maestro dello sport come Paratore, di un pivot-monstre come Driscoll, di un lungo valido come Nanni e di altri giovani di buone doti (Leombroni, tanto per dire il primo).
Di colpo l'ambiente tributa il trionfo all'uomo nuovo. I fans sognano le V nere sulle maglie e un terzo-quarto posto possibilissimo, il rientro nel grande giro, per farla breve. I fans promettono la più corale e compiuta adesione ideologica alle nuove frontiere prospettate dal grande capo. Porelli programma per cicli. Se gli riesce di pilotare questa Virtus in alto, se gli riesce di ricreare tutto un grosso fervore operativo attorno alla sua società e alla squadro, sia chiaro che dopo - e lui ci giura - sarà anche facile trovare un'industria che ti dà grano e fiducia incondizionata.
L'uomo Porelli personalmente a me va. Un tipo schietto, sincero, e per questo mi piace. Gli puoi porre tutte le domande, gli puoi prospettare tutti i problemi. Non nasconde mai la verità. Se può, ti risponde esaurientemente. Altrimenti ti dice che non può risponderti, e amen. Un uomo che ti guarda dritto in faccia, che magari ben poco è disposto a concedere di sé stesso al suo interlocutore. Un uomo che può senz'altro non piacere, lo ammetto. Un uomo che cura le relazioni che gli servono, e solo quelle. Un uomo autentico, comunque. Le dittature in genere mi fanno ridere, solo ridere. Ma credo nelle dittature a livello di società sportiva. Il regime Porelli vuol dire Virtus autonoma, forte, dotata di una sua confortevolissima sede e traguardata nel futuro. Il bel castello cadrà se l'anno prossimo non ci sarà una ditta affluente. Ma l'imperativo del vivere pericolosamente era l'unico modo per rappezzare la baracca. Il dittatore ha raccolto idealmente i fans e ha gridato "A noi!". Adesione oceanica, circa quarant'anni dopo.
PORELLI, È L'UOMO DEL RILANCIO BOLOGNESE
Nel grande basket riappare (gradita) la V nera dell'antica Virtus
di Gianfranco Civolani - Tuttosport - 01/11/1969
Era mattina, fuori. Dentro era notte, per gli altri. A Gigi le fiches cascavano dalle tasche. Gli era riuscito persino di far piatto con due vergognosissimi sette. Al ventesimo full della serata Gianluigi Porelli buttò le carte in alto e disse solennemente: "E se facessi poker con la Virtus?".
La prima immagine di Gigi Porelli mi rimanda ai tempi della goliardia. Lui proconsole o non so cosa, io matricola, mi pare. Io a cercar protezione sotto la gabbana del mammasanta, lui a spellar gente e incatenare, se le tasche non vuotavano moneta.
Me lo ricordo un giorno d'aria bassa. Qualcuno aveva osato contestare la sacra potestà dei proconsoli dell'Ordine del Fittone. Sacrilegio, prigione a vita. Forse il contestatore ante lettera si era pure cavato la giacca, insomma era pronto a spingere la contestazione agli estremi limiti. Ricordo appunto questo Porelli con la pallottola in canna, lo ricordo dunque portare due gran sganassoni e magari prenderli indietro, o darne un altro paio per soprammercato. Ricordo un polverone, un esplosione di contumelie, lo sdegno degli anziani, la fifa delle matricole, le botte nel polverone, dicevo.
A un certo momento mi informano che la Virtus Tennis ha bisogno di una scopa. Giorgio Neri è come le fanciulle in fiore di Proust. Non capisce la necessità di scopa e scopino. Pare che Neri il capataz regni, ma non governi. Qualcosa non quadra a tutti i livelli, ecco. Bastano pochi mesi e l'uomo della Provvidenza ripulisce perfino gli angoli. L'uomo della Provvidenza è un mantovano che cala dalle sue nebbie qui da noi per studiare i codici. Me lo descrivono: muso duro, durissimo. Non guarda in faccia nemmeno al padreterno. Porta avanti la santa crociata della massima seriosità, della massima operatività a tutti i livelli. L'uomo nuovo della Virtus, convengono in città. Poco simpatico, poco duttile, mi aggiungono. Ma capisce da matti. Oggi si direbbe: il Grinta. Si chiama Porelli. Anzi, Avvocato Porelli.
Comincio a capire che quest'uomo approderà presto alla Virtus basket. Laddove l'equivoco regna sovrano, appunto. Rapporti equivoci - ovvero non sempre chiari - fra la sezione basket e l'industria. Anarchia al vertice, si vive alla giornata. Manca una seria programmazione. Tutto magari dipende dal fatto che l'americano di turno sia giusto o farlocco. Mills è una valle di lacrime e la squadra frana. Swagerty è tre volte okay e si riesce a toccare un secondo posto che fa gonfiare il petto.
Programmi traguardati in prospettiva, ecco di cosa si avverte la carenza. E dunque arriva il duce della V nera. Dà giù di spada. Non smussa, lui abbatte, taglia secco. Meglio: taglia i rami secchi.
Restituisce dignità alla sezione, la libera da certi giochi, riscatta tutti i giocatori. dialoga con tutti da duce, non da liberto. Cura le relazioni che gli servono, vellica chi ha credito in società e magari pure in banca, si circonda di amicizie utili, delle sole che possono rendergli.
E programma. Parte da zero, senza una lira in tasca. Ingaggia per tre anni un maestro di sport, Nello Paratore. Va in America un paio di volte e torna con una terza scelta dei Detroit Pistons, certo Driscoll che spopolava nel Boston College. Manda in un campus USA un grissinone di nome Serafini. Ingaggia Danilo Nanni da Livorno, per elevare l'altezza-media. Ristruttura il Consiglio, lo plasma come gli pare. Fa pendant ad alto livello con Piero Dalla Verità, il boss dei codici, gran patrocinatore di Benvenuti. Gli altri del Consiglio rimettono le loro volontà al sommo duce. Collaborano, si producono, ma solo a livello esecutivo. Il trait d'union fra la società e gli atleti è un fido, un uomo pronto a saltare nel fiume, se occorre. Un politico, di quei politici cardinalizi, parlo di Dino Costa.
Porelli si presenta da un paio di ditte e spara ottanta milioni per un anno. Quasi sbatte la porta se non lo prendono in parola nello spazio di pochi minuti. Non ammette che si dubiti del suo prodotto. Un giorno gli dico che per l'antica Virtus si annunciano campane a morto. E lui mi risponde che tornerà a garrire la gloriosa V nera. Benissimo, ma la grana? La grana verrà, amico mio, la grana verrà.
E il bello è che la grana arriva. Ecco cosa significa avere santi su questa terra. Qualche amico che sgancia milioni a fondo perduto. Incredibile, eppure accade. Cinquanta milioni rappattumati così, più quindici che entrano con la cessione di Marisi più dieci per Giometto che se ne va e fanno settantacinque. Quanto valgono Paratore più Driscoll tradotti in cifre? Valgono un'adesione oceanica dei fans. E cioè cinquanta milioni fra incassi e abbonamenti. Cosa costa un campionato alle V nere? Cento milioni, pressappoco. I conti tornano, ovvio.
Il duce della V nera parla chiaro: "Quest'anno si va avanti così. Ma l'anno prossimo la V nera la sacrificheremo, per forza. Però io devo sapere cosa vale esattamente il prodotto che ho in mano. C'è qualche ufficio-marketing che sta lavorando per me. A fine annata saprò cos'è questa Virtus, tradotto in moneta. Ho tenuto tutto, anzi conserverò gelosamente ogni foto pubblicata, ogni ritaglio che ci riguarda. Cosa varrà il mio prodotto? Cento milioni come minimo, ne sono convinto. E allora visiterò molte industrie e farò un discorso semplice, esplicito. Dirò: ho un prodotto che vale cento milioni. Chi vuol essere il primo a comprare per ottanta quello che vale cento? Chi vuol essere il primo a fare l'affare?
Dipende da come si regge la baracca, è intuitivo. Vedi il piazzamento della squadra, in primo luogo. L'uomo comunque ci ha provato. L'uomo è schietto, genuino. Non fosse perché gli piacciono il poker e il bridge, parrebbe una lastra di vetro. Simpatico? Non so, non mi interessa. Capisce? Capisce sì, è coraggioso, temerario.
Gli faccio osservare che magari l'impalcatura si regge su palafitte. Se l'anno prossimo l'industria resta sorda, chi terrà in vita le V nere?
E lui: " Fin da ragazzo passo le sere a giocare d'azzardo. Non perdo quasi mai. Sono campione di bridge. E sa perché sono campione? Perché gioco benissimo e perché so scegliere. Tenga presente che sono campione in coppia. Mi scelgo sempre il compagno migliore".
PROVVIDENZA
di Gianfranco Civolani
Non dico che avevo ancora le braghe alla zuava, ma quasi. Diciotto anni, matricola di Legge. Una mattina faccio un salto su al Magistratus, mi dicono che c'è una specie di incontro-scontro dei fuoricorso e mi dicono pure di stare alla larga perché ci sono tipi un po' spicci e sai come cominciano e sai anche che spesso finiscono a cazzottoni. Fa niente, andiamo a vedere. C'è appunto maretta. A un certo momento un tipo un po' riccioluto fa: «E se vi dico che è così, non rompetemi le palle, chiaro?». «E io invece - fa un altro - mi diverto a rompertele». «E io - fa il primo - ti rispondo così». E via un papagnone sul grugno che fa degenerare la discussione in rissa. Alla larga, me lo avevano anche detto.
Ognuno ha il suo Sessantotto, anche la Virtus basket nel Sessantotto ha un ribaltone alle porte. Adesso arriva l'avvocato Porelli - sento dire - che dà un calcione a tutti quanti e rimette un po' a posto il casino che c'è. Chiariamo: la Virtus basket andava così così e soprattutto andavano malaccio le finanze. E quando arriva l'uomo-spazzatutto, mi ricordo immediatamente che quell'avvocato di anni trentotto è il medesimo che là al Magistratus aveva sparato il suo gran papagnone. Oh mamma, stai a vedere che ci sarà qualche papagno anche per i giornalisti che non si adeguano o no? Ma poi chi è 'sto Porelli che viene chiamato alla Virtus basket come Provvidenza? Già, mi informo subito ed ecco chi è Porelli. Un mantovano che a diciotto anni viene a studiare legge a Bologna e che professa il suo sconfinato amore - fin da bambino, giura lui - per le V nere. Il ragazzo ha grinta, capacità, grandissima personalità. È stato un tennista di terza categoria e - dovrei supporre - anche un buon pugile. Lo fanno entrare alla Virtus tennis e là fa piazza pulita di certe situazioni (ci rimettono qualche privilegio anche i giornalisti soci, vengo a sapere) e comunque ripiana ogni tipo di possibile groviglio. E quando arriva in Virtus basket, fa la faccia truce a tutti quanti, si circonda di amici fidatissimi (Fiero Gandolfi e Ugolini detto Charlie Nebraska, altro soggetto molto pronto a menar le mani) e in un baleno cambia il mondo.
I risultati inizialmente non sono molto confortevoli e certe pensate (via Lombardone e Cosmelli) sono massimamente osteggiate dalla tifoseria e dalla stampa. Anch'io mi interrogo e spesso mi pongo con l'esimio avvocato in situazione conflittuale. Ma lui è un abilissimo giocatore di bridge e di poker e azzarda e ci rimette pure del suo (firma parecchie cambiali personali) pur di vedere trionfare certe sue idee manageriali. La Virtus - gran disdoro - rischia pure la retrocessione, ma poi Porellone è straordinario nel reperire denaro e soprattutto nel riuscire ad amministrare (al meglio, ma certo) il denaro di chi ne ha assai più di lui. Provvidenza ha un caratteraccio, io lo chiamo il duce truce e lui chiaramente non gradisce. Duce mi fa schifo, tu pensa che io voto a sinistra, mi rinfaccia negli anni. E intanto la sua Virtus cresce con un nuovo look e qui dovrei elencare come e di quanto lui Porellone fa lievitare uomini, cose, strutture e infrastrutture della sua beneamata V nera. Un palasport tutto rammodernato in bellezza, la palestra Virtus con un giardino curato da chi aveva perfino studiato piante e fiori a Londra in Regent Park. Tutte pistolaggini se la squadra non vince mai, gli dico io facendolo imbufalire.
L'uomo ha un carattere di ferro, ma anche terrificante per chi dovrebbe accostarlo. Non guarda il prossimo, lo guata. Scrivo che ha una sgradevolezza programmata e lui mi dice lealmente che forse è proprio vero. Recita appunto anche cose sgradevolissime, ma sempre guardandoti dritto in faccia e mai raccontandoti cose che non siano autenticamente vere. E poi la squadra comincia a vincere, quattro scudetti Porelliani fra i quali il magico scudetto della stella con Alberto Bucci in panca. E quando Porellone una maledetta notte ha un incidente stradale ed è in fin di vita, il popolo Virtussino trema per l'uomo e soprattutto per il sommo dirigente che ha saputo dare un'impronta indelebile a un club che viene invidiato nel mondo intero. Poi naturalmente accade anche a Porelli quel che accade a ogni comune mortale. Si stanca, capisce che tutto è un po' troppo ripetitivo, ma la sua Virtus non la molla mica al primo coglioncello che passa per strada, la molla a chi ha i soldi e cerebro a quell'Alfredo Cazzola che quasi ricalca per copia conforme il Dux e che ha solo più voglia e più soldi, direi.
Chi era e chi è Porelli. Vi racconto due episodi. Il primo: un giorno mi avverte che mi darà querela. E te la dò - fa - perché un articolo contro di me non doveva scriverlo un amico, altro che. Il secondo: un giornalista che conosco bene scrive un libro sulla Virtus, un volume commissionato proprio da Porelli. Quanti soldi vuoi? dice lui. Mah, non so, due milioni sono troppi? Due milioni sono la cifra sbagliata - ridice lui. Beh, allora un milione e mezzo. Ma no, pistola, minimo tre milioni e passa subito in sede che ti faccio trovare l'assegno. Provvidenza detto anche Torquemada e Robespierre e Savonarola e Duce Truce era ed è fatto così. Prendere o lasciare. La Virtus prese e fu la sua fortuna. E qualcuno di noi lo apprezzò un po' in ritardo, ingratitudine delle umane genti e dell'ordinary people.
GIANLUIGI PORELLI
di Dan Peterson - www.basketnet.it
Potrei scrivere non un solo Blog ma un libro intero riguardante i miei cinque anni con lui alla Virtus Bologna, 1973-78, io coach allenatore, lui come General Manager (in realtà, il vero Big Boss). Lui aveva promesso ai tifosi della Virtus, nel Maggio del 1973, un coach Americano. Aveva un pre-contratto con Rollie Massimino, vice a Penn, se Rollie non diventasse capo a Villanova, il che è successo. Disperato, Porelli chiamò l'Avv. Richard Kaner, agente del suo USA, John Fultz, per un coach USA. Ero l'unico disponibile nel mondo. ''Coach a scatola chiusa.''
Un giorno, Porelli era arrabbiato con John Fultz. Siamo nel 1973-74 e non si poteva cambiare USA. Lui a me: ''Coach, parla tu con Fultz. Se parlo io, lo mando a casa! Digli queste cinque cose.'' E me le elenca. Io fermo Fultz e dico, ''John, uno, due, tre, quattro, cinque. Capito?'' Fultz, ''Sì.'' Porelli mi vede dopo: ''Hai parlato con Fultz?'' Io: ''Sì.'' Porelli: ''E la risposta?'' Io: ''Risposta? Ho parlato io.'' Porelli: ''Torna da Fultz e fai tutto come domande!!'' Vado, ''John, forse non mi sono spiegato bene ieri. Quindi, uno? Due? Tre? Quattro? Cinque?'' Fultz, 'interrogato,' ha capito domande meglio che affermazioni. Lezione.
Un altro giorno, sempre nel 1973-74, mi intervista Stadio. Il giorno dopo, alle 12:30, Porelli arriva nel mio ufficio e, da buon avvocato, mi chiede (sempre domande!): ''Coach, tu hai proprio detto questo?'' E mi fa vedere STADIO. Io, ''Sì, perchè?'' Porelli: ''Coach, tu non puoi dire queste cose.'' Io: ''Perché? Le dice Rubini!'' Porelli: ''Coach, ti do una notizia: Tu non sei Rubini.'' Insomma, altra lezione. Fate conto che ho fatto ogni pranzo con Porelli in foresteria e ogni cena al ristorante. Fate anche conto che ogni pasto con lui è stato come un anno di università. Anzi, più di qualsiasi università che ho fatto io.
Ogni tanto, a cena, lanciavo un'idea a Porelli... al ristorante. Lui, pugni sul tavolo (forchette che volavano, piatti che ballavano, clienti zittiti, silenzio totale): ''Cosa stai dicendo? Sei impazzito? Mentre io sono alla Virtus, questo non PASSA!'' Io: ''Gigi, OK.'' Poi, quasi sempre, il giorno dopo, in foresteria, arriva Porelli e si siede vicino a me a fa 'ballare' la gamba e mi guarda. Non dico niente. Lui mi guarda ancora. Poi, si sbotta: ''Coach, ho avuto un'idea!'' Chiaro, è la mia idea... migliorata (e non poco). Io, ormai un po' furbo, non dico che è mia idea, ma dico: ''Gigi, ottima idea. Facciamola proprio così! Contenti entrambi.
Dico sempre che Porelli mi ha trasformato da 'dilettante' a 'professionista'. Ed è proprio così. Allenare nell'NCAA mi ha fatto diventare coach. Allenare il Cile mi ha fatto capire il mondo. Allenare il Virtus mi ha fatto diventare professionale. Tutto merito di Porelli, che mi dava lezioni ogni giorno. Non vedevo l'ora di vederlo, o per le lezioni o per i 'fuochi artificiali.' Ovvio, quello è un altro discorso per un altro giorno. Dico solo questo: Con lui non passavano 24 ore senza una scena da scrivere un pezzo da prima pagina. Posso dire tranquillamente che ho riso più con lui in cinque anni che nel resto della mia vita.
...
Ieri ho parlato di come, secondo me, la Famiglia Allievi e la società Pallacanestro Cantù hanno fatto un lavoro fantastico nel coinvolgere loro sponsor, la Famiglia Gabetti, nel basket. Come detto, la Famiglia Gabetti è stato sponsor di Cantù per tre anni, 1977-80, poi proprietari dell'Olimpia Milano per 14 anni, 1980-94, vincendo tutto. Rimane il dubbio: è l'unico caso in cui una società ha lavorato così bene di coinvolgere uno sponsor al punto che lo sponsor è poi diventato proprietario o socio. No. Eccone un altro.
Nel 1973, la Virtus Bologna ha trovato un nuovo sponsor: la Sinudyne. So questa storia perfettamente perché anch'io sono arrivato alla Virtus quell'anno, proprio dopo l'uscita di Nico Messina come allenatore e della Norda come sponsor. Sapevo già che il nostro deus ex machina, l'Avv. Gianluigi Porelli, faceva un lavoro perfetto con ogni singola cosa che riguardava la società: vivaio, stipendi il 27 del mese, trasferte, divise, staff tecnico, regole per i giocatori, alimentazione, e una miriade di altre cose. Non avevo dubbi che avrebbe anche lavorato bene sullo sponsor.
Porelli aveva usato un rapporto sugli sponsor per spiegarmi tutto. Lui era convinto che, per motivi di marketing, il periodo medio per uno sponsor era di tre anni per avere un ritorno sull'investimento. Mi disse che, se lo scopo della sponsorizzazione era raggiunta in tre anni, lo sponsor lasciava il basket. Ma, mi diceva, se lo sponsor è anche coinvolto al livello emotivo - al di là del beneficio di marketing - potrebbe anche rimanere più tempo. E mi ha citato Ignis Varese, Forst Cantù, Simmenthal Milano, All'Onestà Milano ed altri. Sapevo dove voleva arrivare.
Bruno Berti era il CEO della Sinudyne - NordMende. All'inizio, chiaro, faceva piacere a lui vedere il nome su una divisa così importante, sentire i tifosi gridare il nome della sua ditta, leggere quel nome sui giornali, e via dicendo. Sono certo che il mitico Berti non aveva dubbi sul valore dell'investimento fatto. Ma anche notavo che lui, pian piano, entrava in società, ad assistere le riunioni della CdA. Alla fine, diventò socio (se non sbaglio) al 22%. Insomma, da sponsor puro al doppio 'incarico' di sponsor + azionista. E il nome è rimasto non 3 anni bensì 10 anni.
Voglio precisare che non c'è stata nessuna pressione su Bruno Berti. Anzi, non funziona se la società stressa una persona che già dà un contributo. Bruno Berti, grazie all'Avv. Porelli e i soci, è stato coinvolto nella maniera più naturale e soft possibile. Ha vinto pure tre scudetti e altre cose. Quindi, ora abbiamo due esempi: la Famiglia Gabetti che va da sponsor a Cantù a proprietario a Milano; Bruno Berti che passa da solo sponsor della Virtus a fare anche azionista della Virtus. È una strada da percorrere. Domani, ancora, un altro esempio.
Tratto da "Virtus - Cinquant'anni di basket" di Tullio Lauro
Nato a Mantova nel 1930, esperienze agonistiche dome nuotatore, come buon tennista (fino alla terza categoria) e come pugile, nel '49 si trasferisce a Bologna per iscriversi alla facoltà di Giurisprudenza. Sotto le Due TOrri diventa capo assoluto e indiscusso della Goliardia. Entra alla Virtus attraverso la sezione tennis, con eccellenti risultati, prima di essere in un certo senso cooptato dal basket. Ma sentiamo dalle sue parole tratte dal capitolo dedicato a Bologna e scritto da Enrico Campana del libro 60 anni del campionato, la storia, il percorso che l'hanno portato ad essere in "numero 1" della Virtus pallacanestro e, in assoluto, forse, l'uomo più importante del basket italiano degli anni a cavallo tra i '70 e gli '80.
"A Mantova, quando si parlava di basket, io stavo per la Virtus senza conoscere il basket" racconta Gianluigi Porelli "ma perché mi ricordava Bologna città bellissima che su di me ha esercitato sempre una particolare attrazione". Poi una volta trasferito a Bologna Porelli arriva alla Virtus, come detto, attraverso la sezione tennis. "Infatti, piantando una polemica nel tennis arrivai alla segreteria. Diressi la sezione a modo mio, intendendo rendere un servigio alla collettività. Furono migliorati gli impianti, i soci aumentarono da 500 a 1000. Divenni quindi consigliere e più tardi vicepresidente della società madre, quindi nel 1968, Elkan, il presidente, mi comandò di prendere in mano la pallacanestro, non in senso strettamente tecnico. Voglio dire dal punto di vista delle finanze, del ricambio giocatori, del vivaio".
"Porelli come sempre fece subito un gran polverone" questa volta è Enrico Campana che racconta "Un polverone rumoroso. Schioccò la frusta per cacciare i mercanti dal tempio, puntò l'indice contro il cosiddetto potere occulto o diritto precostituito. Il basket, molto scosso,lo vide come la reincarnazione di due diabolici personaggi della storia. C'è chi lo definì Torquemada, avvicinandolo allo spietato capo dell'Inquisizione, oppure nuovo Robespierre, il terribile collega avvocato-deputato che durante la Rivoluzione francese eliminò ad uno ad uno gli avversari politici nel segno di una dittatura mai dimenticata".
"Al mio arrivo" è l'avvocato Porelli che racconta "cercai subito di chiarire il rapporto con lo sponsor... Gli ostacoli ambientali poi erano terrificanti. C'erano cinquanta presone che volevano mettere naso, cinquanta che sapevano tutto, cinquanta che volevano fare a modo loro la squadra. Il primo provvedimento fu quello di fare prato rasato, di chiudermi dentro e di escludere tutti".
Il primo campionato con Porelli in sella, ma solo per capire, sapere, imparare, è un anno duro, come abbiamo visto, un anno da dimenticare, Ma Porelli ormai è saldamente in sella e va avanti. "Chiede pazienza ai fans e alla stampa" racconta in cronaca diretta Gianfranco Civolani dalle colonne di Giganti del basket "Accordare la fiducia a quest'uomo nuovo non costa niente. Porelli da tempo si è messo al lavoro, provoca la separazione consensuale con la Candy e si ritrova solo, esattamente come aveva voluto. Dunque siamo all'anno zero. Porelli dà la caccia all'abbinamentone, roba da settanta milioni almeno. Se l'abbinamentone non viene, andrà a finire che torneranno a comparire le Vu nere." Francamente nessuno, nemmeno i più innamorati della Virtus crede che si possano trovare quei cinquanta milioni che servono a far andare a vanti la baracca. Ma nessuno ha fatto i conti con Porelli che invece quei soldi li trova. "Sentite come" racconta ancora Gianfranco Civolani "si circonda di amici importanti, li vellica, con il sacro blasone della Virtus, li responsabilizza a certi livelli, li fa partecipi di una specie di grande crociata dell'ideale sommo... Nell'offertorio ci cascano tutti. Talune persone staccano milioni come noccioline... Un milione qua, un milione là. Sembra la catena di Sant'Antonio. Incredibile, pare che quindici o sedici persone abbiano messo mano al portafoglio ed ecco quarantacinque milioni battenti, sonanti, sul tavolo del diabolico Porelli".
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Con l'apertura dell'era Sinudyne e dell'era Peterson (quella Porelli era già aperta da un lustro) terminano dieci anni di notevoli sconvolgimenti "Sono stati dieci anni vivaci, per Bologna basket" ricorda Gianni Menichelli dalle colonne di Giganti del basket: "Sono mancati gli scudetti dell'era Minganti, ma non le novità a getto continuo, le sorprese, i cambiamenti. Merito della Virtus, società di nobile blasone, di antica e diffusa popolarità, d'incredibile instabilità d'umori e decisioni. Per anni ed anni la Virtus ha vissuto il boom del basket all'insegna del cambiamento dei dirigenti, di formule sociali, di abbinamenti, di americani, di allenatori, soprattutto. Oggi però, finalmente, in via Ercolani sembrano aver cambiato... rotta: sembrano aver scelta la strada della costruzione nella stabilità. Hanno... una situazione sociale e patrimoniale invidiabile, con le casse piene... Porelli manager-ufficioso con poteri semi-dittatoriali, i programmi ambiziosi rivolti alla costruzione in proprio di palestre e pletorici vivai. Vi innestano un tecnico catturato tra Stati Uniti e Cile e affermatosi qui in pochi giorni, per indubbie capacità professionali, a dispetto di abitudini e carattere un po' sud un po' nord americane. Superato lo scoglio delle quali, Dan Peterson potrebbe lavorare perla Sinudyne da tre a cinque anni e montarvi un impianto tecnico con pachi pari in Europa".
...
Ma se si parla di meriti di questo scudetto, di quella che molti pronosticano la nuova era Virtus, non possiamo ricordare ancora una volta l'Avvocati. E quando si parla di Avvocato, a Bologna, non ci sono confusioni, si tratta di Porelli e non di altri. "Lui è il leader della società, lui dà le multe e i premi, io non c'entro, io divento leader solo nei 26 metri per 14 del campo" dirà Dan Peterson "a me sta bene così". E ancora Gianni Menichelli dal numero di Giganti del basket dedicato allo scudetto delle Vu nere: "Porelli è soprattutto un abile venditore del prodotto Vu nera" scrive "ne ha fatto salire alle stelle, in un decennio, l'indice di gradimento e la domanda d'acquisto, presso il pubblico e presso i potenziali abbinatori. Per fare questo ha dovuto rimettere a nuovo il prodotto, lucidarlo, rilanciarlo. Adesso per accontentare tutti Porelli dovrebbe usufruire di un palazzo da 20mila posti. COsa si vuole di più da un manager cestistico?".
L'Avvocato abbracciato a Sugar
DUCE, DUCE
di Gianfranco Civolani - Giganti del Basket - Marzo 1979
Premessa: la discriminante che per me vale in ogni tempo e in ogni luogo è quella che divide gli intelligenti dai cretini. Dunque riconosco a Gigi Porelli grosse qualità di organizzatore e di condottiero. Fra l'altro lo so pure uomo abbastanza amabile se si ha voglia di calargli quel maschera di voluta sgradevolezza e soprattutto se non ci si confonde con il branco dei reggicoda (ce ne sono tanti anche fra i giornalisti specializzati, si abbia il coraggio di scriverlo). Però io credo che Gigi Porelli abbia il dovere direi organico e istituzionale di offrire ai fans Virtus un supersquadrone per alcuni anni di seguito. Basta fare un ragionamento molto semplice: i fans portano puntualmente in cassa vagonate di milioni, il che fa ammontare il patrimonio globale a un vero tesoro. Ma allora perché almanaccarsi, basta prendere il meglio del meglio.
Per esempio: si poteva prendere di meglio di un Wells e di un Cosic, sissignore e si dovevano tenere giocatori come Antonelli e Bonamico, perché no.
Porelli generalmente mi racconta che gli scudetti del futuribile saranno tutti targati Sinudyne o comunque Virtus e io gli rispondo ogni volta che il tifoso se ne freda del futuribile perché a questo mondo non si sa nemmeno se domani si è ancora vivi.
Io curo le infrastrutture, io ho una foresteria che fa invidia a tutti, io ho un po' di appartamenti per i ragazzi, mi dice Porelli. Sai cosa interesano 'ste cose alla gente, sai cosa contano le infrastrutture per vincere gli scudetti. Rovescio addirittura il discorso: si vincono tante belle cose anche in carenza delle strutture che la Virtus Sinudyne può ostentare. Non so come si piazzerà quest'anno la squadra di Driscoll. Dal primo al quarto posto, suppongo, più probabilmente seconda o terza anziché prima, a occhio. Ma Porelli se lo chieda veramente: si è fatto di tutto per dare agli impagabili fans ciò che essi stessi avevano il diritto di pretendere?
Dopodiché riconosco al duce delle Vu nere tutte le prerogative che si addicono a un dirigente di altissimo livello, ma non vedo perché dovrei fare il reggicoda anch'io.
L'uomo Porelli ha particolarmente una qualità: parla in faccia alla gente, guarda dritto negli occhi e non usa il filtro della diplomazia. Benone, diciamo le cose come sono e teniamoci visti. Senza rancore, mi raccomando.
CINQUANTA DOMANDE ALL'AVVOCATO GIANLUIGI PORELI
Tratto da "Virtus - Cinquant'anni di basket" di Tullio Lauro
Perché il divorzio con la Sinudyne?
Non è stato un divorzio per incompatibilità. La Sinudyne è stata con noi dieci anni, dopo un periodo csì lungo si dice che cessi l'efficacia del mezzo e i proprietari della Sinudyne che sono nostri soci nella Virtus SpA, ci avevano già detto da qualche anno che nel momento in cui avessimo trovato una sponsorizzazione più vantaggiosa loro si sarebbero fatti da parte.
E la Granarolo Felsinea come è stata agganciata?
Ci siamo guardati attorno. Volevamo uno sponsor bolognese e il Comune ci ha presentati a questo COnsorzio di due cooperative: la Granarolo e la Felsinea.
Una comunista e una democristiana, la Virtus è il compromesso storico nello sport dunque...
Non vogliamo entrare in cose che non ci competono, però il fatto è questo. E quello che conta è che sia un'azienda bolognese di grossa importanza con i suoi 8mila soci.
Per quanti anni durerà questo nuovo matrimonio?
Come minimo per 4 anni, ma io credo che andrà avanti di più.
È vero che avete rinunciato ad offerte più vantaggiose?
Sì, a breve periodo le altre sponsorizzazione proposte ci avrebbero dato di più. Ma siamo contenti di aver scelto la Granarolo Felsinea perché crediamo che alla lunga sarà più vantaggiosa.
Lei si presenta agli sponsor dicendo: "i colori sociali sono questi, sulla maglia c'è una Vu nera, prendere o lasciare"?
Esattamente e nel caso della Granarolo Felsinea se non l'avessi fatto io questo discorso probabilmente me lo avrebbero fatto loro.
Ma il matrimonio con la Granarolo Felsinea è stato comunque contrastato, perché?
é semplice: in un primo momento non potevamo chiamare la squadra con la doppia denominazione perché la FIP lo vieta. Per questo erano nate le idee tipo Granalat eccetera. Il problema, da parte dello sponsor, era che ci volevano entrambi i nomi. La soluzione è stata trovata quando qualcuno ha ricordato che esisteva un prodotto, credo una mozzarella, che si chiamava proprio "Granarolo Felsinea".
Lei, avvocato, quando parla usa spesso il noi, chi sono gli altri?
Quando uso il noi intendo la Virtus e il suo Consiglio Direttivo.
Chi sono gli uomini del "noi"?
Sono Berti e Longhi, i due proprietari della Sinudyne che hanno il 15% a testa delle azioni, sono Ugolini e Canna che hanno il 15% anche loro a testa, poi Galletti proprietario dell'Alcisa che ha il 10% e il sottoscritto che ha il 30%. Ecco chi è il noi.
I rapporti con la vecchia madre Virtus?
Siamo giuridicamente un'altra cosa, ma sentimentalmente siamo gli stessi, sempre. Io per esempio sono da 20 anni vicepresidente della Virtus.
Quanti amici ha Porelli a Bologna?
Se parliamo di amici veri, sono due o tre.
Quando vincerà la stella aumenteranno?
Non credo che derivi da quello. So di essere poco simpatico alla gente perché ho poco dialogo convenzionale.
Nasce tutto dalle scelte che lei ha fatto...
Certo ho fatto una politica societaria per la città, ma basata sui conti, sui soldi. Ma è proprio per questo che la Virtus è solida.
Ha detto politica per la città, un esempio...
Presto detto: gli abbonamenti sono carissimi, magli altri 1.400 biglietti che mettiamo in vendita sono sempre a 4.000 lire in qualsiasi incontro di campionato o di play-off. E tutti sanno che sono in vendita due giorni prima, nei posti prefissati, dove non se ne possono comperare più di due per volta per evitare il bagarinaggio. Poi abbiamo 1.000 abbonamenti per bambini a 20mila lire.
Parliamo di allenatori. Periodo Peterson a a parte, lei ha cambiato in media più di un allenatore all'anno. Ora c'è Bucci...
Volevamo fermarci con l'ipotesi degli stranieri. In Italia il migliore fra quelli disponibili secondo me era Bucci. Il rapporto con lui è ottimo, tanto è vero che gli ho confermato il contratto molto presto. Ma non azzardo previsioni. Un allenatore, a parte il minimo di risultato che deve dare, deve anche sapersi inserire nella filosofia societaria. Gli allenatori in quasi tutte le altre parti d'Italia devono fare di tutto un po'. Qui non devono fare di niente, se non seguire la prima squadra e basta.
E quando c'era Peterson...
Con lui c'è stato il miglior rapporto possibile, una volta che capì l'Italia.
Lei disse una volta che l'unico allenatore italiano per la Virtus poteva essere gamba, conferma?
Era un altro contesto. Su Gamba confermo, confermo anche che mi piace Bianchini e che Peterson è il massimo. Ma comunque mi tengo Bucci.
Villalta sarà capitano a vita?
Fin quando smetterà di giocare.
Come capitano meglio lui o Bertolotti?
Sono due bravissimi capitani e due bravissimi giocatori, forse Villalta è in assoluto più forte come giocatore, il più forte italiano che abbia mai avuto in Virtus.
I due americani di quest'anno la soddisfano?
Non vogliamo discutere queste cose prima della fine del campionato.
Si è sentito parlare di Tonut a Bologna, cosa c'è di vero?
Un bel niente. Figuriamoci se lascio andare Bonamico per Tonut...
Una rapida graduatoria degli stranieri della Virtus...
Facile: primo Cosic, poi Driscoll, quindi McMillen.
E il più scarso...
Facile anche questo: Cook.
Brunamonti farà meglio di Caglieris?
Farà diverso. Potrà fare meglio per certe cose e peggio per altre. Ma sta migliorando. Noi vogliamo competere per il titolo e per farlo Roberto deve competere con D'Antoni, con Caglieris e con Marzorati, non so se mi spiego. Il playmaker è il ruolo fondamentale della squadra, questo è un insegnamento di Peterson, oramai abbondantemente recepito da tutti. Ci arriverà, è solo un problema di testa.
Binelli sarà un crack?
Anche qui è solo un problema di testa. Deve mettere su ancora 9/10 chili di muscoli e poi deve crescere come uomo. Tutto qui, poi sarà veramente un fuoriclasse.
Fantin è stato un buon investimento?
Certo tornerei a prenderlo. Ma il problema è lo stesso di Brunamonti: si deve rapportare agli avversari che una squadra che punta allo scudetto si deve trovare di fronte. Lui deve vedersela con i vari Premier, Riva, Sacchetti, è questo il termine di paragone.
A Bologna c'è chi dice che Rolle è "buono con i tristi e tristo con i buoni" cosa ne dice?
Mah, non credo. Lui di sicuro soffre il marcamento fisico di due giocatori: Brewer e Meneghin. Ma d'altra parte bisogna vedere se in giro c'è di meglio. Io non ne sono mica sicuro. Gamba in un'intervista ha detto che il miglior pivot del campionato è Rolle. Gamba non è che debba avere per forza ragiona, però qualcosa ne capisce. Certo Moses Malone è sicuramente meglio.
In 18 anni, qual è l'errore che vorrebbe non aver fatto?
Ce n'è qualcuno che riguarda qualche allenatore, ma non voglio dire chi.
E qualche colpo di genio?
Il più grosso colpo di culo è stato Peterson. Se proprio devo ricordare qualche decisione che è servita molto, dico l'idea della Società per Azioni e l'abolizione dei biglietti omaggio, cosa che mi procura ancora adesso gli odii di molti. Erano 800, ora solo poche decine.
È vero che lei nei rapporti di lavoro è un uomo insopportabile?
Deve essere vero perché faccio fatica io stesso a sopportarmi.
Con lei si resiste poco a lavorare...
Sono molto esigente, se le cose non sono fatte come si deve, i rapporti di lavoro possono finire. Ma un giorno o l'altro manderanno via anche me.
È possibile mandare via il 30% della società?
Come no! Certo non mi possono licenziare, ma i sistemi ci sono.
Torquemada, Robespierre, le "porellate". Su di lei sono nate definizioni a iosa. Cosa ne pensa?
Mi sono completamente indifferenti.
Cosa ne pensa dei giornalisti?
Io baso tutti i miei rapporti sul rispetto reciproco. Secondo me i giornalisti sono troppo abituati ad essere trattati servilmente. Io non faccio il servitore di nessuno né pretendo che i giornalisti facciano i miei servitori.
Nell'80 disse di essere "sotto la doccia"...
Io sono spesso sotto la doccia perché tutto finisce. Io ho fatto per 30 anni l'avvocato e poi mi sono stufato. Sono da 18 anni nel basket che è un mondo che porta uno stress terrificante. Ogni tanto mi viene l'istinto di lasciare andare, poi i fatti mi coinvolgono e rimango.
Anche perché non ha delfini, non ha successori...
Questo è il problema, bisogna pensarci seriamente. Ma dobbiamo risolverlo noi Virtus, non è che possiamo chiederlo al Comune di Bologna.
Aspetta la stella, per cercare l'erede...
No, assolutamente.
Ma insomma la Virtus è un giocattolo di Porelli?
No, la Virtus è un giocattolo di Bologna.
Cosa rappresenta la Virtus per Bologna?
La storia dello sport bolognese, dal 1871 in avanti, quando la Virtus organizzava le gite fuori porta, lo sport di allora.
Il nome di un giocatore che vorrebbe non aver ceduto...
Per un po' Caglieris, ma avrei preso Brunamonti lo stesso.
Chi poteva prendere e non ha preso...
Sacchetti era diagnosticato finito per via della schiena, avrei potuto comperare Magnifico ma mi era stato definito un mezzo scartino da parte di doveva poterlo giudicare bene. Poi Dino Meneghin del quale non mi sono mai interessato, ma se si ripetesse l'occasione lo prenderei di corsa. Potevo prendere Costa, ma non ci piango sopra.
Tifare Virtus a Bologna è di moda?
Tifare per la Regina in Inghilterra è di moda?
La Virtus è tradizione, questo è assodato. I cugini della Fortitudo sono un incidente?
Assolutamente no, la Fortitudo è una società che fa una buona pallacanestro. è la seconda squadra bolognese, in questo momento.
Meglio lo scudetto e la Coppa Europa?
A questo punto è una domanda difficilissima. A noi occorrerebbero tutte e due per completare un discorso. Ma comincerei con lo scudetto della stella.
Vorrebbe un impianto da 15mila posti?
No, va bene quello che c'è. Al massimo si può arrivare a 10.000.
La Virtus è in attivo?
Certo, da qualche anno, anche se in realtà non ci dividiamo nessun utile.
Scelga 4 persone per fare un viaggio: un suo uomo di ieri, un suo uomo di oggi, un suo avversario di ieri e un suo avversario di oggi...
Peterson come ex, Canna come attuale collaboratore. Tra gli avversari Rubini ieri e fra quelli di oggi Bulgheroni.
Avvocato, arriverà la stella?
Certo, ma non so quando.
Quest'anno, magari?
Ci proviamo. (ndrc: l'intervista è fatta alla vigilia della stagione 1983/84)
Meglio una palestra o uno scudetto?
Meglio tutte e due.
l'INTERVISTA DEL MESE: GIANLUIGI PORELLI
di Bruno Bogarelli - Giganti del Basket - Dicembre 1979
Fin quando ero a Mantova, quando la televisione ancora non c'era e lo sport ad alto livello lo si seguiva sui giornali, io facevo il tifo nei diversi sport per tre cose: l'Inter nel calcio, Bartali nel ciclismo e la Virtus nella pallacanestro. Il perché di questa faccenda non lo so dire, sono cose che nascono dalle discussioni da caffè, tra amici. Resta il fatto che sotto il profilo cestistico la Virtus era per me un'attrattiva: una squadra famosa, non come il Simmenthal di Milano, ma abbastanza per essere oggetto di una discussione.
È con questo affetto sportivo che Gian Luigi Porelli, diciamo ventenne, fa il suo ingresso alla facoltà di giurisprudenza dell'Università di Bologna nel 1949; il campionato di calcio lo vinceva il Torino, il giro d'Italia lo vinceva Coppi e la Virtus vinceva lo scudetto. Quattro anni per laurearsi durante i quali Porelli, giocatore di Tennis, si iscrive alla Virtus Bologna Sportiva. La Virtus, l'università e l'attività goliardica caratterizzano la vita bolognese di colui che negli anni settanta un noto giornalista milanese soprannominerà il Torquemada del basket, l'inquisitore spietato. E nella vita goliardica lo spirito di Porelli si affina e da questa esperienza coglie i maggiori spunti della sua filosofia di vita.
Io ho diretto la vita goliardica bolognese per sette anni, dal '52, quando non ero ancora laureato, al '59, quando ero laureato da un pezzo. Sono stato Gran Maestro dell'Ordine del Fittone e gli “statuta goliardica” prevedono che il Gran Maestro possa restare in carica fino ad anni 82, quindi io, ventinovenne, ero in grande anticipo. È stata per me un’esperienza di enorme interesse ed è stata quella che, io ovviamente predisposto, ha maggiormente influenzato il mio modo di fare quelle piccole cose che ho poi fatto. Dall'esperienza goliardica nasce il massimo del mio spirito critico nei confronti di quello che è l'establishment, l'autorità costituita, il perbenismo, i sistemi cristallizzati, il pensare pretenzioso, la gente che crede di essere depositaria del buon senso, del giusto. Un'idea quasi da film western, dove il buono e il cattivo sono sempre chiaramente identificati, si sa sempre come andrà a finire. C'è molta gente che pretende di stare sempre dalla parte dei buoni, di quelli che sanno fare le cose, che sanno come devono essere fatte. Questo tipo di idea io l'ho abbastanza rifiutata: io non pretendo di essere sempre dalla parte del giusto, perché commetto moltissimi errori, ma soprattutto non pretendo di imporre agli altri il mio modo di pensare. Questo è il lato più avvilente della cosa, insieme alla malevolenza chiaramente manifestata nei confronti di chi dimostra di non adeguarsi a questo cliché, di non accettare il ruolo di benpensante.
Dalla goliardia alla professione di avvocato, alla carriera sportiva, sempre alla Virtus. Segretario della Virtus Tennis, consigliere della società madre, vicepresidente e, nel '68, a capo della Virtus basket. Undici anni di lotte che hanno fatto di Porelli in Italia l'uomo pi importante della pallacanestro moderna. Il Porelli di oggi non si differenzia di molto da quello che imperversava nelle aule dell'ateneo bolognese negli anni cinquanta. Il successo lo ha intaccato poco, i riconoscimenti dell'ultima ora sul suo operato ancor meno.
Gigi Porelli bandiera della professionalità: il basket italiano l'ha issata sul più alto pennone riconoscendo in lei la massima espressione dell'efficienza societaria e della professionalità sportiva. Quanto la gratifica questo o le pesa?
Sotto il mio profilo posso dire che la cosa mi è assolutamente indifferente. Cosa vogliamo dire? Diciamo che mi documento, che prendo tutte le informazioni utili, che giro, parlo con la gente, la ascolto cercando di recepirne i gusti, setaccio tutte le informazioni e prendo le idee applicabili alla mia realtà. Ho l'abitudine di leggere tre o quattro giornali al giorno, prestando particolare attenzione alle pagine sportive, ho letto alcuni libri in merito alla conduzione aziendale. Insomma occuparmi di basket mi diverte e quindi è automatico, se una cosa mi piace, tenermi informato. Bisogna dire che io non ho alcuna forma di sudditanza nei confronti del potere costituito e ho quella dose di incoscienza tale da spingermi a rischiare tutto, se le valutazioni, nate da un confronto con le obiettive possibilità, mi spingono a farlo.
Lei stato vicino alla morte...
Si, molto vicino. Al momento non è stato niente, un dramma incosciente, finché non mi sono trovato a reagire furiosamente alle invalidità fisiche rifiutando quanto la realtà mi proponeva. Il dramma è venuto dopo, faccia a faccia con un altro me stesso, padrone di nuove e profondamente diverse valutazioni su i vari concetti: l'amicizia... la fedeltà... il denaro... Scompensi enormi, in un dopo estremamente negativo per la fiducia che nutrivo negli altri.
È sempre stato così aggressivo, crudo, anche prima del l'incidente?
Sotto un certo profilo molto di più, ma in maniera diversa, certamente più umana. Emergere non mi interessava e se vogliamo neanche oggi, ma è innegabile che il gretto raziocinio ora gioca un ruolo importante.
Coloro che nel basket non la amano e forse non solo nel basket, la considerano una testa calda, o così amano definirla: perché?
È sempre il solito discorso delle etichette affibbiate sulla base del proprio metro da parte di chi è convinto di essere nel giusto sempre, per tradizione, per eredità, come fatto acquisito. Per cui stabilisce che in certe circostanze ci si debba comportare in un certo modo: la forma prima della sostanza. Io ho invece l'abitudine di usare il linguaggio che meglio identifica e chiarifica le mie opinioni. Di questo ne soffre la forma mentre ne guadagna la sostanza con invitabile disappunto di chi questa sostanza è costretto a subire.
C'è stato un periodo che tra i giocatori pronunciare il suo nome era una specie di reato, lei era considerato uno spauracchio, meglio girare al largo: perché?
Anche qui contano gli schemi dai quali uno non può uscire senza guadagnarsi odio e inimicizie, ma non ne faccio una colpa ai giocatori. Abituati al dirigente che si leva le braghe pur di vincere una partita, i giocatori ci hanno marciato sopra, capovolgendo addirittura i ruoli, oltre che sconvolgere gli equilibri del rapporto. Loro sono certamente le figure principali del nostro movimento ma nonostante tutto dove c'è un dirigente ci deve essere un diretto, seppure in un rapporto basato sul consenso: e i diretti sono loro, non c'è dubbio. Il concetto banalissimo della puntualità, per esempio: in una squadra non sono molte le cose che un giocatore deve fare, però bisogna che le faccia. La società da parte sua ha i suoi impegni: tutela e assistenza dei giocatori, organizzazione, denaro pattuito, civiltà di rapporti, assistenza medica e così via. Le regole ci sono, sono semplici, basta rispettarle e farle rispettare.
Se è così semplice perché spesso ci troviamo di fronte a giocatori che fanno e disfano a loro piacimento?
L'origine è nella passione sportiva di molti dirigenti, una forza motrice insostituibile per il progresso di ogni sport, ma che determina nel dirigente una forma inconscia di sudditanza nei confronti del grande protagonista. Mentre il rapporto di lavoro basato su impegni che vanno rispettati, particolarmente se il lavoro è ben pagato. E pertanto bisogna pretendere, altro che sudditanze.
Da spauracchio dei giocatori a vate: come è arrivato alla cogestione società-giocatori per la Coppa dei Campioni?
I giocatori che ho potuto conoscere sono tutti ragazzi molto avanzati dal punto di vista culturale, però anormali, perché abituati ad avere titoli sui giornali, a firmare autografi, a percepire stipendi da direttori di banca, in un età in cui i loro coetanei mediamente o studiano o lavorano per bisogno e raramente per un alto salario. Premesso e superato questo, una volta chiariti i rispettivi ruoli, non c’è difficoltà ad andare d'accordo con loro. Quello della cogestione per la coppa è un esperimento che ha buone possibilità di riuscita anche se è innegabile che siamo un po’ nel futuribile. Finché i confini sono ristretti e ben delimitati come quelli di un'attività di coppa che si basa su strutture indipendenti, i presupposti sono ottimi; diverso sarebbe allargare il concetto di cogestione a tutta la società. Anche per realizzare un progetto di questo tipo sono importanti i presupposti: io non accetto di fare l'avvocato e passare la metà dei miei redditi alla società per giustificare la mia passione sportiva. Ognuno fa la sua parte e siamo pari, senza possibilità di equivoco. Comunque è molto difficile: ripeto, siamo nel futuribile, anche se abbiamo posto la prima pietra.
Rapporti Lega-Federazione, da sempre lei è stato uno dei più accesi e credenti sostenitori della Lega, schierandosi spesso su posizioni di critica accesissima nei confronti dell'organismo federale.
Cito a memoria alcuni dati: percentuale del pubblico della serie A in rapporto all'intero movimento, 90%; denaro mosso dalla serie A in rapporto all'intero movimento, 90%; denaro versato alla FIP dalle società di serie A ri spetto a quello versato da tutte le restanti società, 25%; spazio riservato dagli organi di maggiore informazione agli avvenimenti della serie A rispetto a quello riservato al resto del movimento, 99%; potenziale in voti per l'elezione dei rappresentanti in seno al vertice federale, 2,66%. Ho citato a memoria e pertanto i dati non sono precisi ma si discostano di pochissimo dalla realtà. Dal confronto di questi dati chiunque si può rendere conto in quale rapporto assurdo debba vivere il nostro settore. E in federazione dimostrano di non capire. Pazienza poi se le cose andassero bene, siccome invece bene non vanno io, come società, ho bisogno di imporre le mie necessità, che sono tanto determinanti per il movimento e allo stesso tempo di carattere totalmente diverso da quelle del resto degli affiliati. Ecco perché credo nella Lega e mi batto per essa. Io apprezzo quel che dice Carraro quando sostiene che le leggi si possono cambiare: eccomi, io sono qui per cambiarle. Obbiettivamente se sono scemo accetto di stare al 2,66%, se solo mi sveglio un attimo, pretendo qualcosa di più omogeneo e consono a quello che gestisco, perché ne ho bisogno. Certo, gestire un fenomeno come la serie A è difficile, ma noi abbiamo il diritto di provare, ognuno deve fare i suoi errori.
Questa nuova Lega si è presentata ai nastri di partenza con i favori della critica e del pronostico, una Lega forte. L'episodio della Canon che, contravvenendo alle decisioni della Lega, mette in crisi il pool, e quello di Bogoncelli che cerca di prendersi il vantaggio degli oriundi hanno dato subito uno scossone alla nuova immagine. E il braccio di ferro con la Federazione, intrapreso e poi abbandonato a metà, non ha certo contribuito a consolidarla.
Dividiamo bene le cose. Il fatto che ci sia un associato che fa delle cazzate non vuol mica dire che la Lega sia debole. Certo il ripetersi di questi episodi finisce poi per indebolirla, ma deve esserci un ripetersi. Per quanto riguarda il braccio di ferro altro non era che un'azione nei confronti di un apparente (ma a parer mio certo) intendimento della FIP di non procedere nel dare quella delega che da tempo la Lega reclama. E credo che se adesso qualcosa si muoverà in questo senso, sarà merito anche di quest’azione. Noi vogliamo restare nell'ambito della Fip e delle sue caratteristiche: il braccio di ferro, come qualcuno lo ha inteso, non ci interessa. Sconfitte e vittorie non esistono, esiste la volontà di accelerare un processo, questo sì. Il Presidente della FIP ha vinto nella misura in cui ha capito che la Lega deve avere una forma di autonomia; in questo senso ha vinto, e non perché‚ ci ha dato la multa. Se c'è stata una vittoria della FIP essa si identifica con la nostra.
Nella gestione della sua società lei non si è mai dimostrato di manica particolarmente larga per quanto riguarda gli stipendi dei giocatori, è sempre stato un economo. Come mai non ha battuto ciglio sui 36 milioni di Coccia?
Nella gestione della Virtus ho sempre fatto un conto di costi e ricavi subordinando i compensi dei giocatori alla loro produttività. Lo stesso discorso vale per Coccia, con la differenza che in questo caso i soldi sono stati investiti prima di produrli, ma era inevitabile. Certo è che lui dovrà produrre il denaro che guadagna: in che misura è difficile dirlo. Anche il concetto di produttività si presta a diverse interpretazioni: che rapporto c'è tra il parquet nuovo del Palasport e la produttività oppure tra la produttività e le palestre che stiamo costruendo e per cui ci stiamo svenando. I valori da tenere presenti sono molti. Diciamo che quanto guadagna Coccia costituisce un fatto accettabile bisogna dargli tempo.
Ci parli della sua Federazione, di quella che lei sogna o vede nel futuro, con tanto di uomini e fatti.
Diciamo che posso solo esprimere l'augurio che in federazione ci siano uomini che producano per il movimento, senza bruciare la loro capacità produttiva per il mantenimento del potere politico. È una realtà che contamina le strutture politiche di diversi stati e lo sport ovviamente non ne è esente. Per quanto riguarda gli uomini è inutile inseguire delle chimere, abbiamo quello che il movimento produce e non possiamo fare certo dei miracoli.
Lei ha avuto due grandi nemici nella sua carriera di uomo di basket: Bogoncelli e Rubini.
Contesto la premessa in quanto Rubini non è mio nemico bensì mio amico e con Bogoncelli ho rapporti cordiali. Diverso è dire che mi sono trovato in passato a contestare il loro comportamento, questo sì. Rubini e Bogoncelli sono stati i primi veri professionisti del basket, studiandolo a fondo, analizzandolo e sfruttando il potere che i mezzi e la conoscenza specifica del problema davano loro, vincendo sempre. Tutto questo è stato un bene fino ad un certo periodo, oggi non lo è più. Comunque il binomio si è sciolto, Rubini ha preso un'altra strada e Bogoncelli rimane alla guida della società milanese che nel contesto cestistico gioca un ruolo di estrema importanza, importanza che tutti le riconoscono. Ma per questo non possiamo accettare, presupponendo di giocare a poker, che le regole vengano cambiate e che, a carte date e viste, si faccia valere il tris più della scala. Mettiamo sul piatto tutto quanto una città come Milano può dare e i vantaggi che possono derivarne per la società dalla semplice ubicazione. Bogoncelli si accontenti di questo e non cerchi più vantaggi di quelli che ha già. Il personaggio Rubini è un personaggio unico, vero e proprio patrimonio della pallacanestro italiana, un uomo che ha vinto una medaglia d'oro alle Olimpiadi, che ha un passato enorme di sportivo, che da giocatore a 23 anni allenava una squadra dove c'erano giocatori che di anni ne avevano 29 o 30. Un uomo le cui doti di personalità e di carattere non si discutono, un uomo di grande determinazione con una profonda conoscenza dello sport. A questo Rubini credo, al Rubini che si mette a piangere per televisione sulla nazionale, beh, a quello credo un po' meno.
Dopo il divorzio consensuale tra la Virtus e Dan Peterson, lei disse che l'unico allenatore italiano che avrebbe potuto sedere sulla panchina della Sinudyne era Sandro Gamba.
Certamente e lo confermo ancora oggi. La competenza cestistica del personaggio non si discute e siccome sono convinto che le doti umane siano le prime necessarie per condurre degli uomini, la scelta non poteva cade re che su di lui.
Ha mai amato qualcuno nel mondo del basket?
Non so, è molto difficile. Potrei dire Bertolotti e tutti direbbero perché è il più debole: è un ragazzo profondamente buono, umano, pieno di ansie e di preoccupazioni. Ho lavorato molto bene con Peterson, ma dire che lo ho amato è un po' azzardato. Stimo in grande misura il custode del palasport, competente, appassionato, efficiente, umano anch'egli, con i suoi difetti ma con grandi fatti positivi da mettere sul piatto della bilancia. Ho amato qualcuno... Non saprei dire.
Due anni fa, facendo riferimento al suo lavoro nella pallacanestro, mi disse che ormai era sotto la doccia. Casa intendeva dire?
È un'espressione tennistica che si usa quando un giocatore, pur continuando a rimanere in campo, è già entrato psicologicamente nell'idea di infilarsi sotto la doccia calda. Così è per me nei confronti del basket, si tratta di una doccia lunga e io ci sto sotto, anche se non sento l'acqua calda sopra la testa.
E allora le due palestre che la Virtus sta costruendo, come si spiegano?
Si spiegano in maniera semplice: è un'idea di dieci anni fa che finalmente siamo riusciti a tramutare in realtà. Un gesto di grande significato che ha richiesto un altrettanto grande sacrificio da parte degli azionisti. Una operazione dal costo di 800 milioni il cui successo si basa sulla massima funzionalità societaria con prospettive di grande propaganda per il basket, attraverso corsi per 400-500 bambini. Un'azione di grande prestigio per la società, che mettendo i due impianti al servizio della scuola assolverà in pieno le sue funzioni sociali, qualcosa per cui vale la pena di restare a giocare sul campo.
Lasciare il basket vorrà dire per lei lasciare lo sport?
Chi può dirlo?
l'INTERVISTA DEL MESE: GIANLUIGI PORELLI
di Enrico Minazzi - Giganti del Basket - Gennaio 1983
La sua società viene comunemente indicata come modello di professionalità e di funzionalità; la sua squadra, da anni, ormai, è indicata come la favorita numero uno per il titolo; i suoi giocatori sono indicati come i più bravi, i migliori in circolazione, comunque un gruppo ricco di nazionali e di talenti che nessun'altra formazione è in grado di schierare; le sue idee, in materia di politica cestistica, sono condivise da molta gente e comunque, quando vengono pronunciate, rappresentano qualcosa di più di un'opinione personale. Spesso e volentieri finiscono per diventare materia di discussione e, il più delle volte, argomenti intorno ai quali poi il basket italiano degli anni '80 si misurerà. è l'uomo che sa sempre trovare la maniera per stupire l'ambiente con soluzioni e trovate anche estemporanee, a volte discutibili, altre un po' meno: è comunque un personaggio che non si ferma certo davanti alla chiacchiere altrui. Lui, Gianluigi Porelli, mantovano "procuratore generale della Virtus Sinudyne"m come ama ricordare con un po' d'enfasi ogni qualvolta ne ha l'opportunità, alle chiacchiere e alle parole preferisce i fatti. Così l'estate scorsa mentre l'Italia cestistica e la Bologna pettegola e salottiera si interrogava sul nome del tecnico che avrebbe sostituito Nikolic sulla panchina della prima squadra bolognese, lui annunciò a sorpresa l'ingaggio di un suo collega rappresentante della nostra Lega negli Stati Uniti, avvocato celebrato, un passato lontano di allenatore alla Farfield University. La sua avventura sulla panchina bolognese è durata poco: neppure il tempo di concludere il girone d'andata e l'avvocato numero due della Sinudyne si è tirato da parte.
A questo punto si è riaperta la discussione su questa squadra che per potenziale tecnico ed atletico avrebbe dovuto rappresentare un punto fermo nelle finali scudetto degli ultimi anni e che invece ad ogni stagione si propone come la squadra più forte, col telaio migliore, con l'assistenza migliore, a volte addirittura col pilota migliore (forse che Nikolic l'anno scorso era un brocchetto qualunque?) ma che poi, messa in posta, rischia di fare la fine di Stirling Moss, il pilota inglese più veloce degli anni sessanta che vinse molte gare ma non riuscì mai a conquistare il titolo di campione del mondo terminando con un'etichetta lusinghiera ma limitante: l'eterno secondo. Ecco, questa definizione sembra calzare alla perfezione per la Virtus: e non importa se poi cronisticamente finisce quarta anziché seconda. La realtà è lì da vedere: questa squadra che a detta di tutti (ed è stato un vero e proprio plebiscito, quest'anno) è la più forte, che ha saputo (e potuto) prendersi quello che gli mancava (l regista, vale a dire Brunamonti), ha finito il girone d'andata con almeno 6-8 punti di meno rispetto alle previsioni, dunque con tre-quattro sconfitte di troppo rimediate durante la fase ascendente che è stata davvero in salita, fatta di fatica, sudore, litigate, incomprensioni, dimissioni, fiducia e cambi di direzione che sicuramente non hanno contribuito a dare un assetto stabile a questa turbolenta Sinudyne. Che, non dimentichiamolo, dal ritorno di Terry Driscoll negli Stati Uniti non è più stata capace di vincere niente bruciando allenatori e soprattutto stagioni che non hanno concretizzato , a livello sportivo, alcun risultato.
Allora, Avvocato, se è vero che la squadra è l'espressione della società e se la Virtus, come comunemente viene indicata, è la società modello della nostra pallacanestro, cosa c'è che non va in questa squadra? è la società che non è modello o è piuttosto la squadra che non riesce ad esprimere quello che è la società alle sue spalle?
Primo: se la società sia modello o non non è una qualifica che ci siamo dati noi; se altri lo dicono, noi lo lasciamo dire agli altri. Più probabilmente siamo un modello di società. E se domani si dimostrasse che modello non è, gli altri sono padronissimi di non copiare quello che facciamo noi. Fatta questa premessa, sotto il profilo dei cambi d'allenatore, che è di questo che poi si parla, è statisticamente vero che nei quindici anni di mia gestione noi abbiamo cambiato quindici allenatori, è altrettanto vero che quando abbiamo trovato gli allenatori con i quali ci poteva essere un'unità di conduzione, gli allenatori sono rimasti perché Dan Peterson è rimasto cinque anni. E Terry Driscoll due anni e sarebbe rimasto ancora se non ci fossero state delle discordanze di carattere economico. Fatte queste premesse mi sembra assodato, (questo è un riscontro che sto facendo anno per anno e che ha ulteriori verifiche, o forse le finali verifiche quest'anno) che la nostra è una squadra difficile da allenare. E probabilmente nella nostra società è difficile allenare. A meno che non ci sia uno spirito di adattamento; perché la nostra non è una società per definizione 'modello', ma sicuramente diversa in quanto ci sono dei principi, dei canoni, degli schemi che debbono essere rispettati. L'allenatore ha piena autonomia tecnica e questo è un discorso sul quale non ci possono essere contestazioni: tutti quelli che sono stati da noi lo possono confermare; non ha piena autonomia organizzativa perché nell'organizzazione si deve adattare a quelli che sono gli schemi predisposti e collaudati dalla nostra cultura, dalla nostra esperienza, dalla nostra personalità. Poi, di mezzo, c'è una zona d'ombra che possiamo chiamare 'zona d'ombra disciplinare' nei confronti dei giocatori che non è ancora stato chiarito a chi tocca. Gli allenatori vorrebbero che il vero potere disciplinare spettasse a loro ma con l'alibi che viceversa i provvedimenti li prende la società. Ora, questo è un concetto che non condivido. Perché o un allenatore si prende la responsabilità di fare determinate cose, al limite di escludere un giocatore, o di dargli una multa (ammesso che le multe servano, e io non lo credo) e lo fa, altrimenti non lo faccia. E allora lo faccio io; ma il fatto dell'alibi a me non va. La situazione è questa: questa è la zona d'ombra. La squadra poi è stata costruita sulla base di una mentalità nella quale noi abbiamo creduto tutti, ed io per primo; probabilmente è una mentalità sbagliata.
Se in Italia c'è una squadra che è voluta dalla società, questa è proprio la Sinudyne: non vi mancano i giocatori, potete permettevi il lusso di cedere elementi da quintetto base rimpiazzandoli senza problemi: a questo punto non si capisce perché con una squadra "vostra" per un problema di gestione degli uomini, per l'impostazione, di una certa organizzazione al tecnico si debba arrivare a questo assurdo valzer delle panchine.
Bene, intanto però bisogna vedere, (e qui non voglio fare delle critiche eccessive sul passato o delle osservazioni sugli uomini) quali sono gli allenatori che sono venuti. Diciamo che possiamo avere sbagliato delle scelte all'inizio, diciamo che l'unico allenatore che è venuto di grandissimo nome, sicuramente il più grande come nome, è Nikolic; e per quel che riguarda quest'ultimo evidentemente c'erano delle differenze mentali di impostazione che non erano assolutamente tecniche perché di lui non ci siamo mai sognati di mettere in discussione la competenza tecnica né tanto meno il risultato perché con quella squadra lui, per me, ha ottenuto il massimo. Certamente d'erano delle differenza di mentalità per le quali ad un certo momento si è pensato - d'accordo con lui - di chiudere il rapporto. Ma bisogna poi vedere chi erano gli altri. Se poi si vuol dire che la società ha fatto degli errori scegliendo gli allenatori sbagliati, questo è ancora un altro discorso. Ma sul fatto del cambio non significa che se io faccio un errore o se la società fa degli errori non vuol dire che debba perseverare. Io cambio, cambio ad oltranza, e ne cambio anche ventisette, se ritengo possa servire.
L'impressione però è che questa Virtus, efficiente e proiettata nel futuro per mille altre cose, non riesca a venire a capo del problema della panchina che per la squadra è sicuramente il più importante. Perché? é proprio impossibile riaprire un'era stabile come quando a Bologna c'era Peterson?
Ripeto che nella nostra società per qualche motivo è probabilmente difficile allenare; e parlo nell'ambito dei giocatori italiani. E qui la colpa non è loro ma mia, di sicuro. E poi bisogna vedere quali sono gli allenatori in circolazione. Ci sono poi tutti questi allenatori da corsa? Perché qui ci vuole un allenatore da corsa, la situazione è difficile e richiede un particolare talento, una particolare abilità, una particolare mentalità, una particolare intelligenza, un particolare spirito di adattamento, chiamiamolo come vogliamo. Io credo nella politica del consenso: per guidare un gruppo anzitutto è necessario che il tecnico ottenga questo consenso. A parte il fatto che io non credo che un allenatore possa rimanere all'infinito in una squadra italiana dove il nucleo base resti stabile a lungo. Alla fine ci sarebbe assuefazione, verrebbero a mancare stimoli nuovi. La cosa invece non succede nei "college" americani dove un tecnico può rimanere anche una vita intera nella stessa università proprio perché annualmente c'è quel ricambio di atleti che rappresenta una novità. Per la realtà italiana, la mia in particolare perché non voglio dettar sentenze per nessuno, mi sembra che il periodo ideale sia di cinque-sei anni. Poi magari tornare dopo sette-otto anni. Parlo di Dan Peterson, il tecnico col quale noi ci siamo trovati meglio: se fra due-tre anni vorrà tornare, ammesso che ce ne siano i presupposti, potrebbe tranquillamente farlo. Non credo però che un tecnico debba rimanere troppo a lungo; né per troppo poco tempo. Ma se sbagliamo, ritengo non si debba continuare a farlo. Cos' cambio. Ed evidentemente si cambia anche dove si può cambiare: perché non è così facile cambiare i giocatori. E questo è sicuramente un condizionamento dell'ambiente. Gli stranieri sì, ma gli italiani no, visto che è su di loro che si fanno delle programmazioni più lunghe, da lustri. Se l'errore c'è, va rettificato, al di là degli schemi che vogliono le società poco serie se cambiano gli allenatori. Se ho un'azienda e prendo un dirigente che non va lo cambio, se torna a non andare lo cambio ancora e così via fin quando non trovo una soluzione che mi vada bene. E su questo nessuno pone eccezioni. Perché ad un certo momento il responsabile finale sono io e se la mia azienda va bene o male ne raccolgo i profitti o ne pago le conseguenze io, solo io. Il discorso vale anche per le società sportive, va fatto alla fine, in sede di consuntivo. E non solo a livello di risultati, ma anche di modo di fare un certo tipo di sport. Perché in fin dei conti l'allenatore è uno che viene, riscuote i suoi denari e poi se ne va da un'altra parte. E non vedo perché debba essere così compianto, quando fa parte assolutamente delle regole del gioco.
Sovente si sente dire che l'ambiente di Bologna influenza in maniera decisiva l'andamento delle cose in casa Virtus. In quale misura questo è vero?
È un'analisi che non ho mai fatto perché dovrei fare delle introspezioni nei confronti dei giocatori che non ho mai fatto perché questo è contrario alle mie idee. Posso pensare, visti i risultati, che in questo ambiente - dove ogni giocatore suppongo, abbia il suo piccolo clan, i suoi tifosi, al sua piccola cerchia - alla lunga, l'affetto che lo circonda possa finire per esaltarlo facendogli considerare gli altri solo causa delle sue cattive prestazioni. Questo ambiente frazionato, parcellizzato può creare una mentalità non corretta. Però debbo dire che questo lo sto pensando, "inventando" in questo momento, perché non conosco nessun amico di Renato Villalta né degli altri. Non li conosco, né li voglio conoscere.
Lei prima ha parlato di colpe sue e della società: quali sono?
Dopo quindici anni di attività per questa squadra, per questa società devo riconoscere che sono in certo senso battuto. Battuto perché il modo in cui io ho cercato di impostare la conduzione dei giocatori - lasciamo stare i programmi, la programmazione generale della società queste sono cose che proseguono autonomamente - il modo di gestire la prima squadra è probabilmente sbagliato. Io mi sono affidato al massimo senso di responsabilità o, se vogliamo, di professionalità da parte degli italiani. Debbo dire che in questo senso forse gli atleti sono stati troppo responsabilizzati: e questo ha finito per portare un po' alla disperazione del gruppo. Così il giocatore, agevolato dalla struttura della società sempre puntuale nelle sue prestazioni, un po' contando sulla struttura nazionale dove - può pensare - bene o male riuscirà a prendere gli stessi soldi se non di più. Tutto questo ha finito per creare uno stato di tranquillità su quella che è la loro collocazione di giocatori. E mentalmente hanno finito per trasformare la loro attività da attività di risultato ad una di prestazione. Loro si sentono praticamente assolti per il tempo che impiegano a fare determinate cose invece di sentirsi impegnati per come giocano. E questo è un concetto assolutamente sbagliato. perché per fare due ore di allenamento al giorno se prendo uno dei miei operai, che so, potrà avere 200 mila lire al mese. Dico per dire. Dall'altro lato loro si sentono assolti fornendo la prestazione e non attraverso i risultati. E questo ha finito per creare una serie di alibi per cui nessuno si sente mai responsabile per le cattive prestazioni della squadra, per cui la colpa è sempre di un altro. Del compagno di squadra che non farà il blocco, dell'altro che tira troppo in fretta e allora anch'io devo tirare in fretta: o magari del fatto che l'allenatore è sbagliato e così via. Insomma tutta una serie di circostanze per cui questo mio modo di vedere che rappresenta il modo di conduzione di una squadra, di seguire i giocatori è sbagliato, ma non per causa loro, ma mia. Ho sbagliato perché sono ragazzi giovani che finiscono per sbandare dal concetto base, vuoi per le foto sui giornali, vuoi per gli alti stipendi, vuoi per tutta questa situazione complessiva.
Il correttivo ideale quale è? Rivedere tutti i parametri che fin qui hanno caratterizzato questi rapporti Virtus-giocatori?
Sicuro: ad un certo momento i giocatori debbono essere richiamati, non parlo neanche tanto del campionato attuale. Ma loro hanno diritto di fruire di certi guadagni in funzione di quello che rendono, di quello che fanno la domenica. In relazione al gioco di squadra, non a sé stessi. Perché il punto non sono le statistiche, perché molti giocano per le loro cifre ed è sbagliatissimo. Quello che conta è il gioco sommerso.
Cosa non ha funzionato con Bisacca?
Ciascuno era troppo convinto delle sue idee. Sul piano dei fatti non era molto adattabile, così come non lo sono io, così come i giocatori, al limite, sono addirittura dei disadattati. Tutto nasce da qui: ognuno era nel suo giusto. Poi non arrivano quegli aggiustamenti che sono indispensabili per coesistere fra persone di mentalità diversa. Lui ha verificato per primo, da sé, l'impossibilità di far collimare le sue idee col nostro modo di vivere. E questo è stato un grosso atto di responsabilità. Premessa che questa verifica non l'avessero già fatta degli altri prima... Anche se lui l'ha manifestata per primo.
I giocatori si ritengono dei professionisti: spesso però finiscono per distrarsi troppo con le loro attività extracestistiche...
Non lo so dire con certezza. Vedremo. Quel che è certo è che il loro primo impegno deve essere quello di giocare. Ma ripeto, l'errore è mio, ma a questo punto cambio, sono in una fase di cambio violento. Come? In termini pratici non so ancora come. Ci sto pensando. Farò anche delle vaccate. E non è detto che nel corso della stagione non succeda qualcosa. Certo gli italiani non posso cambiarli...
Farà giocare gli junioree?
È un'ipotesi. Alla Divina Provvidenza non c'è limite. Nessuno, qualche anno fa, si immaginava Driscoll o Ranuzzi allenatori? O no?
Parliamo della sua posizione in Lega: dentro come rappresentante della Virtus, sul confine per quel che riguarda giunte e cariche varie. Perché? Cosa c'è di vero nel suo brontolio con Coccia?
La Lega appartiene, politicamente, ai trentadue rappresentanti che la compongono. Dunque anche a per per un trantaduesimo: io non accetterò mai che nessuno mi espropri di questo diritto, tanto più se non è uno degli altri trentun rappresentanti delle società. Per il momento comunque questo fatto del ritiro della fiducia a Coccia non intendo discuterlo in via esplicita. Lui è un personaggio che può svolgere una funzione utile per la Lega. Ma i discorsi politici li accetto solo dagli altri rappresentanti. è una transazione che non accetto da nessuna parte e non vado oltre. Per quel che invece riguarda la mia posizione riguardo una candidatura, trono a ripetere che ho un'inchiesta della magistratura sulla faccia, l'ho da cinque anni e sarebbe disdicevole che un domani l'istituto Lega potesse venir attaccato attraverso di me perché sono sottoposto ad un'inchiesta che avrebbe potuto avere sviluppi clamorosi. Se uscirò da quest'inchiesta, come credo, completamente assolto, se sarò ancora nel basket e ne avrò voglia, a quel punto sarò disponibile per un'eventuale candidatura.
Questa Sinudyne non è costruita troppo ad immagine e somiglianza di Porelli?
Non mi sono mai posto il rpblema. Credo nelle cose che faccio. tanto più che le cose passano sempre attraverso il consenso dei miei soci della Vritus. E siccome io sono il più appariscente, il più prepotente, finisce che compaio sempre io. Ma la prego di credere che tutte le decisioni in casa Virtus passano all'unanimità. E non è sempre detto che le decisioni che porto avanti siano le mie. Di norma sono condivise. Ma alla fine, se non vengono accolte, io mi adatto. E a quel punto la decisione assunta diventa mia. I miei soci poi accettano di non apparire. Diciamo che io sono un uomo di statistica, ma dietro, sotto, ci sono loro che fanno gioco sotterraneo.
QUEL CINICO, RISSOSO, INOSSIDABILE PORELLI
"Ho divorziato consensualmente da Gazzoni e farò una squadra forte. Sì, sono un uomo di potere e anche antipatico. Voto Pci, amo la città, ci vivo da dio ma la trovo troppo snob. Passo la mano ma non abdico. Alla Virtus regalo un nuovo sponsor e un altro presidente"
di Walter Fuochi - La Repubblica - 10/07/1988
Bologna è lontana. Forse, al Tropico del Cancro. Ma ride, l'avvocato Porelli, anche quassù nel freddo di Rotterdam. Tifa Italia accanto al presidente Vinci, se ne va per negozi con la signora Paola, si apparta e parla fitto con l'adorato Dan Peterson. Entra una sera al Casinò dell'Hilton ed esce con le tasche piene di fiorini: quasi un milione alla roulette, bel colpo. Gesticola, laggiù nel parterre del palasport, contro la mole massiccia di Boris Stankovic, il segretario della Fiba, lo jugoslavo che governa il basket mondiale: stanno parlando, naturalmente della riqualificazione di Rochardson, il round sembra acceso, dalla tribuna stampa seguiamo e ci aspettiamo il peggio. Ma no, è solamente il solito avvocato, truce, agitato, minaccioso, con l'indice biblico, anche quando scherza.
I due si lasciano con una pacca sulla spalla: c'è chi dice che Richardson verrà a Bologna, chi giura che sarà impossibile vedere il campione nero, uscito dal tunnel della cocaina, con la maglia della Virtus. E proprio da questo argomento, scopo principale del viaggio di Porelli in Olanda, si può partire, una mattina di sole e pioggia che filtra dai vetri del Park Hotel di Rotterdam, aprendo il sentiero fra canestri e vita, Bologna e amici, gioco e potere. Un solo patto: non una parola sullo sponsor che sostituirà la Dietor di Gazzoni. Discorso proibito, anche se i tempi stringono: domani o dopodomani Porelli mostrerà la nuova maglia bianconera, con su scritto Pepsi Cola o Knorr.
"La settimana prossima la Nba emetterà il verdetto sull'abolizione della squalifica di Richardson. Ci sono buonissime probabilità che il giocatore venga riammesso. E la Virtus ha già un contratto di due anni, "non tagliabile", firmato da lui. Senonchè, la faccenda si è complicata.
Richardson è un super giocatore e, fuori dalla sua brutta storia, è ancora uno che fa gola alla Nba. Ecco qua il ritaglio di un giornale americano. Celtics e Lakers sono interessati a lui, ma soprattutto lo vogliono i New Jersey Nets. Tanto che Willis Reed, il coach dichiara qui: "La nostra rinascita partirà da Richardson". Come concorrenza non c'è male, ma si vede che è il destino di quest'anno. Abbiamo dovuto battere Caserta per Gallinari, Milano per Bonamico; bene, io dico, batteremo anche la Nba. Con in mano un contratto che ritengo inattaccabile. Siamo arrivati primi per pochissimo, questione di ore. E adesso non intendiamo mollare Richardson. Ed ecco la seconda tappa. La Nba dà l'okay a Richardson, ma ci vuole anche il sì della Fiba, la federazione internazionale. Le rivolgeremo una domanda di tesseramento, allegando la sentenza americana che Ray è "pulito", come si dice. Io non credo che la Fiba si opporrà. Non ha una normativa in materia di droga. E non può trascurare un patto di importanza sociale come il recupero di un ragazzo che vuole cancellare il suo errore. C'è il precedente negativo dell'Hapoel, lo so: Richardson avrebbe voluto giocare in Israele, la Fiba disse no. Ma la differenza è che l'Hapoel non aveva in mano la sentenza Nba".
Dagli intrighi internazionali al divorzio con Gazzoni. Che cosa non funzionava più, avvocato Porelli?
"A un certo punto non siamo andati più d'accordo. Normale. I motivi? Marginalmente il ruolo di Peterson, assolutamente no Richardson, principalmente un disaccordo sul mio ruolo nella Virtus. Abbiamo rotto consensualmente, credo che con Gazzoni resteremo amici. Lui ha giovato alla Virtus. A Bologna è un grosso personaggio, ha immagine, dava il senso di una società radicata nella città. Adesso ho già quattro nuovi industriali che vorrebbero comprare azioni: ma non ce ne sono più. La Virtus va avanti, e bene".
Con Porelli al timone. Inossidabilmente, da vent'anni?
"A fine luglio ci sarà un nuovo presidente, e non sarà una comparsa. La mia presenza diminuirà, questo ciclo di vent'anni si sta già modificando, anche erché io accuso un'usura. Ma dalla Virtus non mi farò cancellare, finché campo. Questo sia chiaro".
Perché questo mito della Virtus, nascendo a Mantova, neppure a Bologna?
"Perché in provincia, si fa il tifo al caffè, un'idea l'hai in testa, anche irrazionalmente. Nei dualismi di allora, io ero interista, bartaliano, virtussino. Quando venni a Bologna per studiare, nel '49, mi iscrissi subito alla Virtus".
E alla goliardia...
"Sì, sono ricordi che rivivo ancora volentieri, un bel periodo della mia vita, e non solo perché ero giovane. Sono stato Gran Maestro del Fittone fino a 28 anni, cominciai come Barone di Giustizia e ogni mattina tenevo tribunale all'Osteria delle Campane, per i casi controversi sulle matricole. Poi la mia sede era il Caffè del Teatro. Carte, boccette. Poco studio, ma avevo una memoria formidabile".
"Vivevo di notte. L'esedra era il nostro tabarin. Donne e champagne? L'idea magari era quella, i soldi un po' meno. Lucio Dalla suonava il clarinetto nella mia band quando aveva 15 anni con Giardina, per un po' anche Pupi Avati. Era la Magistratus Jazz Band. E feci anche il disc jockey per un locale che gestii, a metà degli anni '50, in via Zamboni, vicino alle Due Torri. Si chiamava Whisky a Go Go, fu uno dei primi a proporre dischi, non la solita orchestrina".
Il basket come cominciò?
"L'andavo a vedere da tifoso, ma il mio sport era il tennis. Ero terza categoria, non male. Nel '68 Elkan mi chiamò: avevo lavorato bene come dirigente alla Virtus Tennis, mi propose di entrare nella sezione pallacanestro. Era una barca malandata. Ci ho rischiato la vita, veramente. Non avevo mai firmato una cambiale, quel cumulo di debiti è un'angoscia che non dimenticherò. Un'altra, terrificante, fu quando ci salvammo dalla B negli spareggi di Cantù. Poteva finire tutto. Poi prevalgono i ricordi belli. I migliori: quando conobbi Dan Peterson; il primo scudetto; e il primo con Cosic in campo".
Richiamare Peterson non è stata un'operazione nostalgia?
"no. Dan mi ha dato la carica. Noi siamo diversissimi, forse nei nostri caratteri non c'è una sola cosa in comune. Ma lui ha entusiasmo e me lo trasmette. Se il ricambio della Virtus comincia adesso, davvero, con Dan sento di avere un amico vicino. Non ne ho molti, a Bologna. Quelli veri sono importanti".
Si sente un uomo di potere?
"Sì e no. Lo sono, evidentemente, perché posso fare molte cose. Non lo sono perché seguo strettamente le regole. E allora, nel senso ambiguo che ha oggi questa parola, di consentirsi qualcosa oltre i confini del lecito, non mi sento un uomo di potere".
Lei si dichiara comunista.
"Da sempre: è la mia idea su come debba essere gestita la cosa pubblica. Una filosofia forse, più che un credo politico. Prevengo l'obiezione. La Virtus è lontana anni luce dai comunisti. No, la Virtus, semplicemente, non si identifica in un partito o nei partiti. I miei soci sono tutto fuorché comunisti, è vero, ma per la Virtus non vuol dire niente, conviviamo benissimo".
La Lega Basket è un'altra poltrona importante: presidente dietro De Michelis significa altro potere.
"La Lega è una sfida a me stesso, all'entusiasmo che avevo perso nelle altre cose. Quando ci sono entrato, l'ho fatto perché sentivo in ciò che facevo scarse motivazioni. La professione, anzitutto. Sono un avvocato civilista, ma oggi non faccio quasi più niente. Una decina all'anno di pratiche extragiudiziali e non voglio sapere d'altro. Non gioco più a carte, troppi rischi: e il gioco è stata una delle grandi passioni della mia vita. La Virtus è un amore di cui ormai conosci tutto. E allora la Lega: un'idea, una fantasia, un'illusione forse. Di lavorare insieme per un obiettivo, con gente di valore".
Perché Bologna è piena di anti-Porelliani?
"Perché sono antipatico, rifiuto il dialogo, non do confidenza, non voglio attorno rompipalle. Sono sempre stato così, anche da Gran Maestro. Detesto il perbenismo, l'ipocrisia, quelli che l'avevano detto prima, i lettori dei giornali passati, i benpensanti. Sono per le parole sbattute in faccia. Anche sgradevoli, ma vere".
Bologna è un buon posto per fare basket?
"Il migliore e il peggiore. Nel primo senso: la pallacanestro è diffusa, fa parte di una cultura, intesa come comportamento collettivo; insomma assomiglia a ciò che altrove è il calcio. Il palasport pieno è entusiasmante. Ma Bologna è anche una città troppo snob. L'ho detto mille volte. Da noi, se apri una bottiglia di champagne d'annata, c'è sempre quello che salta su a dire che sa di tappo".
E Bologna da vivere?
"Il massimo. Io ho girato il mondo, a Milano e Londra ho anche abitato, posso dire di essere andato dappertutto. Bene, non c'è posto più bello di questa città. Soprattutto quando, ogni volta che ci torno, mi basta vedere S. Luca per riempirmi di allegria".
Porelli, burbero e pungente
L’AVVOCATO PORELLI: "STORIA, SUCCESSI, STILE: QUESTA È LA V NERA"
di Alessandro Gallo - Il Resto del Carlino - 13/06/2007
Avvocato Porelli, la Virtus torna in finale. Lei cosa pensa?
Quello che pensano tutti. Aspetto di vederla giocare.
Ricorda ancora quel 31 agosto 2003 a Roma?
Certo. Ero là.
Lei uscì perplesso da quel consiglio della Federbasket. Pensava che la Virtus sarebbe sparita?
Questo mai. In quel momento notai solo una grande ostilità nei confronti della Virtus. Intendiamoci: la Virtus aveva commesso un errore. Ma avrebbero potuto aiutarla. Non lo fecero. Poi subentrò Sabatini. E a lui bisogna riconoscere grandi meriti. Ma la Virtus non sarebbe sparita. Mai.
Perché?
Perché se parliamo di sport e di simboli la Virtus è qualcosa di importante. Gli scudetti, la sua storia, i trofei. Chiaro che la Virtus deve rispettare le regole, come tutti. Resto convinto, però, che quattro anni fa ci fu una grande ostilità nei confronti della Virtus. Dava fastidio e, per certi versi, era irraggiungibile. Se il basket dovesse perdere la Virtus o Milano sarebbe una tragedia.
Sicuro?
Le rispondo citando Goethe che disse "La storia non si eredita. Ma la si conquista giorno dopo giorno".
Siena-Virtus: chi vince?
Siena è favorita e la Virtus ha già raggiunto un grande risultato. Ma non credo che la Virtus voglia affrontare questa serie tanto per fare.
C’è qualche giocatore di oggi nel quale rivede qualche bianconero dei suoi?
I paragoni non mi sono mai piaciuti. Anche perché ho le mie classifiche. E me le tengo per me senza avvicinare questo a quello.
Parliamo di queste classifiche.
Cosic, il più grande. E poi Peterson: strepitoso, un grande allenatore. Ecco, forse Markovski ha qualcosa di Peterson. E Richardson. Cosic è stato il più grande d’Europa che abbia giocato nelle mie Virtus. Sugar il talento più incredibile.
E l’italiano?
Facile, Villalta. Ma fu grande l’intuizione di spostarlo dal ruolo di centro a quello di quattro. Aveva la sua mattonella: non sbagliava un tiro.
Villalta, l’acquisto più costoso?
No.
Ma come? E quei 400 milioni di lire pagati a Mestre?
In una valigia, in contanti. È solo che per Brunamonti ho speso di più.
Quanto?
Un miliardo. E sa come l’ho preso?
No, dice.
Mi sono presentato anche in quell’occasione con la valigetta, in contanti. Un conto è parlare di cifre, un conto invece è presentarsi con il denaro pronto. Davanti a una valigetta da un miliardo di lire, mi creda, la gente non regge. E cede.
Torniamo a questa finale.
Non cambio idea: Siena è favorita, ma la Virtus può dire la sua.
Lei ieri, Sabatini oggi. Cos’avete in comune?
Mi sembra ovvio, la Virtus. Ha presente la citazione di Goethe? Claudio fa parte della storia della Virtus. Come il sottoscritto.
Dica la verità, avvocato, Qualche consiglio gliel’ha dato a Sabatini?
Mai. Né a lui né ad altri.
Perché?
Perché sono uscito di scena nel 1989 e da allora non mi sono permesso di dare consigli a nessuno. E’ giusto che ognuno vada per la sua strada.
Leghiamo questo suo disimpegno al calo, a livello nazionale, della pallacanestro?
Non voglio fare polemiche. Anch’io ho fatto le mie cretinate. Magari ne avrò fatta qualcuna di meno...
ADESSO PORELLI È FRA GLI IMMORTALI
di Alessandro Gallo - Il Resto del Carlino - 10/02/2008
...
L'avvocato Porelli: che BasketCity gli debba molto lo si capisce dalla gente che prende posto in Cappella Farnese; due per tutti, gli ex sindaci Walter Vitali e Giorgio Guazzaloca. Per rendere omaggio all'avvocato ci sono anche Achille Canna, Claudio Sabatini e tutti i dirigenti e i collaboratori che hanno fatto grande la Lega Basket.
Se l'assessore Patullo, materialmente, consegna la coppa a Porelli, è Renato Villalta, uno dei suoi figliocci bianconeri, a tratteggiarne il carattere e la personalità. "L'avvocato? Semplicemente il numero uno, in tutti i sensi - dice Villalta -. Per noi è stato un padre, un fratello. Sembra un duro, ma ha uno spessore umano incredibile".
E l'avvocato, come sempre, scolpisce le parole. "Quante offerte ho ricevuto per vendere Villalta e Brunamonti? Nessuna - commenta con orgoglio - non ce n'era bisogno. La Virtus non vendeva i giocatori migliori: le altre società lo sapevano. La Virtus più bella dopo le mie? Ho apprezzato molto quella di Danilovic".
PORELLI, L'INTERVISTA AL CARLINO IL GIORNO DELLA SUA ELEZIONE NELLA "ITALIA HALL OF FAME"
Alessandro Gallo - Il Resto del Carlino - 04/09/2009
Il giorno in cui Gianluigi Porelli ricevette il riconoscimento per la 'Italia Hall of Fame' di basket a Bologna nel febbraio 2007, rilasciò ad Alessandro Gallo del Resto del Carlino questa intervista.
Avvocato, lei nella Hall of Fame: complimenti.
Grazie, sono contento.
Per lei, però, non è il primo premio.
Ne ho diversi, pure uno speciale.
Quale?
Le racconto una storia.
Vada.
Ho guidato la Virtus dal 1968 all’89. In quel 1989 mi sentivo al capolinea, stanco. Eravamo 4-5 soci che poi avrebbero venduto a Gualandi. Manifestai l’intenzione di lasciare e la voce cominciò a girare.
E cosa successe?
Mi arrivò a casa un libro di pagine bianche. In testa una lettera che mi invitava ad andare avanti.
E nelle pagine bianche?
Firme. Le ho contate: erano 1.200 firme di persone che mi chiedevano di restare alla guida della Virtus. Qualcuno dei firmatari lo conoscevo, ma 1.200 sono tanti.
Si parla tanto di Uleb: lei è il papà dell’Unione delle leghe europee.
L’ho fondata io, ma l’idea fu di De Michelis, non posso prendermi meriti non miei. Non ero socialista, ma De Michelis è stato un personaggio straordinario che ha fatto tanto per il basket senza mai chiedere nulla in cambio.
Il ricordo più bello?
Lo scudetto dell’84. Ma posso citare tre canestri in fila di Buzzavo dalla posizione di post basso contro Livorno. Era lo spareggio del 1971 per non retrocedere. Non ci fossero stati quei canestri la storia sarebbe cambiata.
Il ricordo più brutto?
Nessun dubbio, Strasburgo, 1981, la finale di Coppa dei campioni. Arrivammo là: le prime file erano occupate dagli israeliani, nonostante avessimo diviso i biglietti a metà. Andai da Stankovic: non volevo giocare.
E poi?
Mi convinsero i miei giocatori. Avevano ragione loro: bisognava giocare, però…
Però?
Ho avuto ragione io: perdemmo con tante fischiate assurde. Non ho mai digerito quella sconfitta.
Torniamo allo scudetto della stella.
Titolo speciale per come maturò.
Perdeste gara due in casa, in piazza Azzarita.
Non solo. A Milano, gara tre, Bariviera andò in lunetta per due tiri liberi. Li sbagliò entrambi: poi Brunamonti ci diede il +3 finale. Tornammo da Milano in pullman: piazza Azzarita strapiena. Tutta gente che ci aspettava per festeggiare: Andalò aveva acceso tutte le luci del PalaDozza. Scesi dal pullman prima di arrivare in piazza, per defilarmi. Uno spettacolo incredibile.
I colpi di mercato?
Villalta prima e Brunamonti poi. Brunamonti era già sulla strada di Pesaro.
Poi che accadde?
Il presidente di Rieti venne nel mio studio. Volevo Brunamonti, ma aveva già un mezzo accordo con Pesaro. Gli dissi: apri quella borsa. C’era un miliardo di vecchie lire in contanti. Lo convinsi così.
Gli stranieri?
Due: Richardson e Cosic. Richardson forse è stato il colpo più incredibile. Andai a parlare personalmente con Stern nella Nba: Sugar riprese a giocare.
Cosic?
Fummo fortunati.
Perché?
Ero a Modena, a casa di un amico. Mi disse che a Cosic avrebbe fatto piacere giocare nella Virtus. Non lo lasciai finire: salii in auto e andai a Lubiana, dove si trovava Kreso in quel momento. Ci accordammo in pochi minuti. Ho avuto tanti buoni giocatori, come Driscoll, per esempio, ma Cosic…
Dica.
Una volta andai all’allenamento. C’era un po’ di elettricità. Cosic in campo fermò il gioco tenendo la palla in mano. Guardò Caglieris, che era un signor giocatore, e gli disse: ‘Per fare le case servono muratori e ingegneri. Voi siete i muratori, io l’ingegnere’. Dopo, vincemmo sempre.
Tanti colpi, ma le bufale?
Bufale mai, un rimpianto sì.
Quale?
Ero grande amico di Conti, proprietario della Fortitudo. Avevamo già preso Ferro, avevamo bisogno di una guardia. Lui mi disse di prendere un lungo, non mi lasciai convincere.
Chi era quel lungo?
Magnifico; con lui avrei vinto 2-3 scudetti in più.
E’ stato l’unico errore?
L’unico del quale mi sono reso conto. Chissà quanti ne ho fatti, in tutti questi anni...
PORELLI: «VIRTUS, ESEMPIO PER TUTTA L’EUROPA»
di Alessandro Gallo - Il Resto del Carlino - 19/06/2008
«La Virrtus? Una società modello, un punto di riferimento per il basket europeo».
Gianluigi Porelli, l’uomo che negli anni Settanta rilanciò il club bianconero portandolo ai massimi livelli, non ha dubbi. Non vuole fare polemiche ma alcune considerazioni di Cazzola non gli sono andate proprio giù. L’avvocato, che resta presidente onorario tanto della Sef quanto della Virtus fa riferimento a un’intervista apparsa su Sportweek.
«Cazzola dice di aver acquistato Virtus e Bologna, due bandiere cittadine in difficoltà. Sulla Virtus, anche se non l’ho venduta io, credo di poter dire qualcosa».
L’avvocato e il suo gruppo avevano ceduto un anno prima dell’arrivo di Cazzola. «Dopo ventun anni — ricostruisce la sua avventura — ero arrivato al capolinea. Ero stanco, lo erano i miei soci. Fummo contattati anche dal gruppo Ferruzzi: Ivan Gardini era un nostro tifoso. L’offerta c’era, ma non me la sentii di cedere a loro: erano di Ravenna, non di Bologna. Così, Gualandi, che già deteneva il 10 per cento delle azioni, prese la maggioranza. La Virtus era una società solida: un modello per il basket europeo. Non avevamo ancora vinto un trofeo continentale, ma due volte eravamo arrivati in finale. Due sconfitte, per complessivi tre punti, ma la Virtus era lì».
Di piu’: sono gli anni in cui il Gruppo Ferruzzi, rilevato Roma, bussa di nuovo alla porta dell’avvocato. «Ero a Roma, Carlo Sama, che si trovava nella sede del Messaggero, si offrì per riportarmi a Bologna. Nel viaggio di ritorno mi disse che Roma era fortemente interessata a Brunamonti. Per lui erano disposti a offrire dieci miliardi di vecchie lire. La trattativa non iniziò nemmeno per il semplice fatto che la Virtus non era disposta a privarsi del suo play». Una squadra che non vinceva lo scudetto dal 1984 (quello della stella, con Brunamonti in campo e Bucci in panchina, con Messina come vice) ma che, come club, vantava una solidità invidiabile.
«Facemmo valutare le proprietà immobiliari del club: c’erano otto appartamenti per i giocatori, gli uffici e la palestra dell’Arcoveggio. Valore immobiliare per 5 miliardi di vecchie lire. Ma, soprattutto, debiti zero. Gualandi la cedette a Cazzola così, come l’aveva presa da noi. Una società presa come modello da tanti altri club. Sia detto senza polemica: né Gualandi né io vogliamo essere protagonisti. Ma questa precisazione sulla Virtus è doverosa».
27 maggio 1970: nasce la Lega Basket sulla spinta di Porelli, qui seduto al tavolo.
27 MAGGIO 1970, ORE 18.30: NASCE LA LEGA SOCIETÀ PALLACANESTRO SERIE A
tratto da weblegabasket.it - 27/05/2020
Preceduta da una riservatissima riunione preparatoria nel novembre del 1969 svoltasi al Ristorante “Da Giannino” a Milano, il 27 maggio del 1970 alle 18.30 presso la sede dell’All’Onestà in via Procaccini nasce la “Lega Società Pallacanestro Serie A”, Vi arriva dietro la spinta di quello che diventerà la sua anima e il motore per tanti anni, l’avvocato Gianluigi Porelli, patron della Virtus Bologna: come membro del quadrumvirato insediato dopo la riunione del novembre 1969 (insieme a Bogoncelli, Gualco e Corsolini) era stato lui a preparare la bozza del nuovo Statuto dove la Lega si poneva subito alcuni punti di sviluppo tra cui fondamentale la costituzione di un fondo comune tra le società grazie alla tassa di iscrizione e le quote associative: “Da questo testo – scriveva “i Giganti del Basket”, la rivista nata nel 1966 sulla spinta del boom dei canestri – salta agli occhi una cosa: che la nuova Lega non sarà inutile o vana o velleitaria: e che chi volesse – tra le società di Serie A – astenersi dall’adesione avrà pochi vantaggi e molte gatte da pelare: mentre se la volontà e l’impegno saranno unanimi la voce delle società sarà finalmente forte”.
Una vera e propria chiamata alle armi che trova risposta il 27 maggio nella firma dell’atto costitutivo della Lega Società di Pallacanestro Serie A sotto la presidenza assembleare di Porelli. Sono 8 su 12 i club presenti e vale la pena ricordarne i nomi: Adolfo Bogoncelli in rappresentanza dell’Olimpia Milano; Gianluigi Porelli (Virtus Bologna); Adalberto Tedeschi (Pallacanestro Varese); Pietro Lucchini (Fortitudo Bologna); Giuseppe Rigola (Biella); Rino Snaidero (Udine); Aldo Allievi (Cantù) e Giuseppe Milanaccio (All’Onestà Milano).
Presidente viene eletto Adalberto Tedeschi, presidente di Varese, vice è Bogoncelli e segretario il varesino Giancarlo Gualco. Vengono subito fissati i quattro punti di sviluppo: tesseramento giocatori; numero delle squadre da portare a 14; rapporti con la Rai. con la Lega protagonista nella trattative. Parte una storia di 50 anni, con la consapevolezza, scrive ancora la rivista “Giganti del Basket – che “il basket italiano oggi ha assolutamente bisogno di una organizzazione dirigenziale diversa, più moderna, più efficiente, impostata sula collaborazione e sul fine comune dello sviluppo di tutto il movimento e non di un singolo componente ai danni dell’altro:”.
Parole ancora attuali e che avrebbero costituito da quel giorno il filo che lega diverse generazioni di una storia che racconteremo nelle prossime settimane attraverso le parole dei protagonisti.
IL BLOG DEL COACH: GIGI PORELLI
L’Avvocato. Per me, in Italia, ce n’erano solo due: Gianni Agnelli e Gigi Porelli. Difficile sempre dire chi è stato il più grande dirigente mai nella storia del Basket Italiano. Ma nessuno meglio di Gianluigi Porelli. Ha costruito la Virtus da una situazione difficile. Giovanni Elkann, Presidente della Virtus Madre, ha chiesto a Porelli, Presidente delle Virtus Tennis, di prendere in mano la Virtus Basket nel 1968. Porelli è andato contro tutto e tutti ma l’ha fatto. E’ stato un creatore della Lega Basket, deus ex machina di tante grandi manovre che ha portato il Basket Italiano al momento più alto della loro storia.
Ma Porelli, per me, era un mentore. Dico sempre, “Nel 1973 sono arrivato alla Virtus come un bravo dilettante. Dopo cinque anni con Porelli, sono uscito un umile professionista.” Passavo giornate intere con lui. Pranzo in foresteria. Allenamento al Palazzo dello Sport. Cena ovunque. Ogni incontro era come un anno di università. Un giorno, sparo una stupidità sulla stampa. Il giorno dopo, lui mi becca in sede: “Coach, hai detto questo?” Io, “Sì.” Lui, “Tu non puoi dire questo.” Io: “Perché no? Lo dice Rubini.” Porelli: “Coach, tu non sei Rubini.” Lezione di umiltà memorabile.
Quel primo anno non è iniziato bene: 0-3 in campionato. Il Resto del Carlino, sotto la firma di Stefano Germano, pubblica un pezzo: “Oggi, Peterson si gioca la panchina.” Era la mattina della 4a del campionato, in casa, contro Pesaro. Porelli viene nel mio ufficio con il giornale: “Coach, hai letto questo?” Dissi di no. Lui: “Sono venuto qui a dirti che questo non è vero. Tu stai lavorando bene. Sappi questo: dietro di te c’è il cimento armato, che sono io.” Quanti allenatori, in una situazione del genere, hanno sentito parole del genere? Poi, abbiamo vinto la gara e anche altre. Cimento Armato.
Una sera, a cena, a Rodrigo, lancio una mia idea. Porelli, gridando a voce alta: “MA CHE C—O DICI? MA SEI IMPAZZITO? MENTRE IO SONO ALLA VIRTUS, QUESTO NON PASSERA’ MAI!!!!” Fate conto l’intero ristorante fermo, tutti immobilizzati. Non dico niente. Il giorno dopo, a pranzo, Porelli: “Coach, ho avuto un’idea.” Era la mia idea della sera prima, migliorata. Conosco lui. Dico, “Ottimo. Sono d’accordo.” Ho raccontato questa storia anche davanti a lui. Lui, duro ma sportivo, con grande senso di umorismo, anziché negarlo, gridava, “VERISSIMO!!!!” Uno showman, a dire poco.
Poi, imprevedibile. Nel 1976, vinciamo lo scudetto a Varese. Dopo, aspettando i giocatori, Porelli gira il campo, abbracciato con Giancarlo Ugolini. Due uomini duri che piangono come vitelli. Mi vedono. Non sto piangendo. Porelli: “TU! COACH! AMERICANO DI MERDA! NON TE NE FREGA NIENTE DELLA VIRTUS! TI INTERESSA SOLO IL PREMIO. SEI LICENZIATO!” Lascio passare un po’ di tempo. Dico, “Porelli, posso almeno tornare a Bologna nel pullman?” Porelli: “Non fare il fenomeno! Ma non parlare con me! Non ti voglio sentire!” Il vero Numero Uno.
IL SESSANTOTTO DELLA VIRTUS: L'INIZIO DELL'ERA PORELLI
di Ezio Liporesi - basketcity.net - 22/10/2021
Tanti piazzamenti prima della guerra, poi l'interruzione bellica fu un taglio di lama che aprì una nuova epoca: sei titoli in undici stagioni, il mito della Sala Borsa in cui le V nere li vinsero (tranne il primo), una Virtus che insomma diventa grande. Poi inizia l'epoca del Palasport e quel mito soffre di una nuova incredibile serie di piazzamenti alla rincorsa del settimo scudetto che non arriva. C'è bisogna di una nuova scossa, ma arriva per tutt'altri motivi: la crisi finanziaria della società impone una soluzione. Gianluigi Porelli ha già messo ordine nella sezione Tennis; non ha ancora quarant'anni, nativo di Mantova, ma bolognese dai tempi degli studi in giurisprudenza, insomma da una ventina d'anni. Rimettere in sesto la situazione disastrata non è cosa semplice, né veloce. È il 1968 e quel campionato 1967/68 è emblematico: a quattro giornate dalla fine la Virtus è al comando con 28 punti, insieme a Cantù e Ignis Sud Napoli, poi l'Olimpia Milano con 26. La Virtus incappa in una sconfitta casalinga contro l'Ignis Varese e viene superata dall'Oransoda Cantù che sale a 30, Milano raggiunge Bologna e Napoli a 28. Nella giornata successiva i bianconeri passano in trasferta contro l'altra Milano, la pallacanestro Milano sponsorizzata All'Onestà, mentre l'Ignis Sud batte il Simmenthal, tagliandolo praticamente fuori dalla lotta per il titolo, mentre regge in testa Cantù. Nella penultima giornata è in programma il derby e le V nere sono costrette a vincere per mantenere speranze di scudetto. La stracittadina Virtus-Fortitudo nella massima serie è giovane, ha appena quindici mesi e mezzo. Si gioca in casa Fortitudo il 31 marzo alle 15,30 ed è la prima volta che il derby va in tv sulla Rai. La trasmissione televisiva tiene lontano tanti appassionati dagli spalti. Molti dei presenti hanno approfittato della stagione primaverile per recarsi presto in Piazza Azzarita e fare pic-nic sulle panchine. Dentro il Palazzo l'atmosfera non è delle più calde, in sottofondo il brusio di transistor che fanno rimbalzare da lontano le voci di "Tutto il calcio minuto per minuto" con il Bologna, forte di cinque reduci dallo scudetto di quattro anni prima (Furlanis, Janich, Fogli, Bulgarelli e Haller) impegnato a Varese a raccogliere un certo non esaltante 0-0. Intanto sul parquet il bianconero Lombardi fa 30 punti, esattamente come nella prima sfida tra le due squadre, il 15 dicembre 1966, anche allora con le V nere in trasferta; contrariamente ad allora, però, stavolta la Candy non riesce ad avere la meglio ed è l'Eldorado a vincere 78-68. per la Virtus addio sogni di gloria, lo scudetto va a Cantù. Il disagio tecnico si unisce a quello economico: in giugno sono in programma gli ottavi di finale della prima edizione di Coppa Italia, ma a Roseto la Virtus non si presenterà. La rinuncia costa il 2-0 a tavolino. Le sofferenze non sono finite, risalire con le casse vuote, nonostante l'impegno di Porelli, non è facile, né breve. Il percorso attraversa anche una salvezza acciuffata agli spareggi, nel 1971, ma poi l'avvocato ha idee e coraggio e forse anche un po' di fortuna quando assume come allenatore Dan Peterson. Nel 1974 arriva la Coppa Italia, nel 1976 lo scudetto, poi due secondi posti, una finale di Coppa delle Coppe nel 1978, altri due titoli nel 1979 e 1980, le sfortunate finali di Coppa Campioni e campionato nel 1981, lo scudetto della stella nel 1984 e la Coppa Italia nel 1989, quando giunge il momento di lasciare il timone, pur rimanendo una figura di riferimento per il mondo della Virtus pallacanestro fino agli ultimi suoi giorni e anche dopo. Porelli, infatti, non viene ricordato solo in occasione del Memorial istituito per ricordare lui e la moglie Paola, ma resta un modello come dirigente per tutta la pallacanestro italiana.
LA VIRTUS E LE FRASI CELEBRI - QUINTA PUNTATA: GIGI PORELLI
“A Bologna appena uno sta per aprire la bottiglia di champagne si alza subito qualcuno, dal fondo, a dire che sa di tappo”
Frase pronunciata dall'avvocato a sottolineare il carattere oltremodo polemico e incontentabile del pubblico della Virtus.
"Vorrà dire che il prossimo lo faremo durare di meno"
9 novembre 1980, 4 secondi al termine di Fortitudo - Virtus, punteggio di parità. Bertolotti segna due liberi per la F e le V nere pareggiano con Villalta, tra le proteste degli avversari che affermano essere trascorso più tempo di quello che era segnato sul cronometro all'inizio dell'azione. Ai supplementari la Virtus vince 100-102 (40 punti di McMillian), ma le polemiche non si placano e Porelli se ne esce con la frase citata.
CHI ERA L’AVVOCATO PORELLI?
di Ettore Zuccheri - tratto dal libro Gianluigi Porelli - 12/12/2023
Non l’ho mai conosciuto, ma gli devo tutto. Era affascinante quando parlava ai giocatori e io giocavo, ma con rendimento altissimo e lui aveva sempre un sorriso quando mi incontrava.
Pagava i giocatori per il loro rendimento e aveva specialisti che gli compilavano la classifica. Vi ricordate quell’anno? Primo, Massimo Cosmelli, secondo Ettore Zuccheri, ultimo Gianfranco Lombardi.
Sapevo che mi stimava ma come intuizione, non per complimenti. Sapeva tutto di me, senza avergli mai detto nulla di particolare, di confidenziale e io non sono mai andato oltre il consentito. Era il mio boss ed io un funzionario, esecutore dei suoi voleri sportivi.
Non sei più un giocatore, ma sei libero di andare dove vuoi, mi disse. Il tuo cartellino costa poco.
Se invece vuoi allenare, il settore giovanile è tuo. Fai quello che vuoi con loro, per questo compenso. Domani voglio la risposta. Aveva le idee chiarissime, ma io no, perché mi sentivo ancora un giocatore.
Decisi di allenare. Norda Juniores1972, subito campioni d’Italia. La Virtus non vedeva scudetti da una vita e anche quello Juniores gli sollevò il morale. Aveva preso la gestione della Virtus, ma non come fanno tutti. Era un finanziatore della Virtus, il principale e se tutto fosse andato male avrebbe perso i suoi risparmi. Un coraggio incredibile.
Facevo giocare i miei ragazzi come se fossi io in campo, ma non sapevo se fosse didattico, giusto sotto il profilo educativo e tutte quelle storie che accompagnano la filosofia dell’allenatore. Ero un giocatore non un allenatore, avevo imparato a giocare da solo. A Budrio (BO) non c’erano allenatori ed ora facevo la stessa cosa come allenatore.
All’Avv. Porelli andava bene così. Ero un eretico nel mondo dei colleghi perché l’allenatore doveva essere professionista, iscritto nell’albo professionale, ma non mi hanno mai bruciato perché lui mi difendeva. L’Avvocato Porelli era un grande difensore, immenso.
Mi mandava in giro per l’Italia per scegliere i giovani. Se avessi detto OK per un ragazzo, avrebbe telefonato il giorno dopo al suo presidente. Andava con l’assegno e prendevano così i giovani nel College che aveva ideato per farli studiare e giocare. Direttrice del College sua moglie Paola, una persona dolcissima.
Volle che lavorassi con Dan Peterson, col quale sono stato sei anni ma per un “progetto” che solo lui, l’Avvocato Porelli, conosceva. Stiamo parlando di 50 anni fa e un giorno mi disse che non mi avrebbe mai fatto allenare la Virtus perché sono i tifosi che scelgono e loro hanno scelto Driscoll. Dagli però una mano, ma solo se te lo chiede, mi disse, andandosene.
Non so se potete comprendere come si possa dare la Virtus in mano ad un grande giocatore che non ha mai allenato, solo perché aveva fiducia che sarebbe andato benissimo con me. Ma allenare vuol dire soprattutto “gestire” e occorrono attributi e cultura che sicuramente io non avevo. Dissi sì a Terry e vincemmo, ma grazie all’Avv. Porelli e Kresimir Cosic, due scudetti di seguito.
Sapevate che una volta c’erano due geni in casa Virtus? E c’erano anche due amici che avrebbero potuto continuare a vincere, ma non per merito loro. Fu per questo motivo per il quale, l’Avvocato Porelli troncò tutto? Fece di tutto perché il più grande giocatore della Virtus, Cresimir Cosic, tornasse al Cibona.
Il resto è storia, domande senza risposta.
GIGI PORELLI
di Ezio Liporesi - tratto dal libro Gianluigi Porelli - 12/12/2023
Da virtussino di vecchia data, mio padre conosceva bene Porelli e da abbonato mi portava con sé, acquistando per me, bambino, il biglietto direttamente fuori dal palazzo, finché un giorno trovammo il bottegino chiuso e i biglietti esauriti. Mio padre mi lasciò un attimo fuori con chi controllava i titoli d’ingresso ed entrò nel Palasport alla ricerca di Porelli. Tornarono insieme dopo pochi minuti, l’Avvocato mi chiamò e disse a mio padre: “Oggi l’ho fatto entrare, ma che non succeda mai più”. In questo ricordo personale c’è forse tutto l’Avvocato Porelli, che mai avrebbe lasciato fuori un piccolo tifoso, un potenziale abbonato di domani, ma che allo stesso tempo combatteva duramente ogni favoritismo e in quell’occasione fece un’eccezione che rigorosamente doveva rimanere tale. Porelli era questo: persona di grande intelligenza e lungimiranza, capace anche di grandi slanci, ma irremovibile quando pensava di fare il bene suo e della Virtus. Fu chiamato a risollevare una Virtus in grave crisi economica e la riportò ai vertici, la condusse per la prima volta a una dimensione europea, alla stella dei dieci scudetti, ma fu poi anche duramente contestato in annate poco felici. Una delle sue mosse vincenti fu, nel 1975, confermare Dan Peterson dopo cinque sconfitte nelle prime sei gare, quando molti avrebbero voluto sostituito il coach americano, ma quella coraggiosa decisione pagò e a fine stagione arrivò lo scudetto. Nel 1978 analogo brutto inizio fece Terry Driscoll, debuttante in panchina dopo essere stato grande protagonista in campo, con tre sconfitte nelle prime quattro partite, ma anche in quel caso la fiducia fu ripagata e la Virtus vinse lo scudetto, anzi due consecutivi. Porelli aveva naturalmente a cuore le sorti delle V nere ma più in generale quelle della pallacanestro italiana (fu anche vice presidente di Lega) ed europea, non per vera e propria generosità, ma perché i successi della sua Virtus meritavano un palcoscenico adeguato: l’Avvocato aveva ben presto capito che una pianta rigogliosa risplende maggiormente in un ricco giardino piuttosto che in un piccolo orticello.
PORELLI
di Ettore Zuccheri - Caffè dei Divergenti Sportivi - 26/09/2024
Normalmente, cosa s’intende per “bene”? Se è stato un allenatore, che ha vinto molto. Un giocatore viene ricordato per le sue capacità di solito realizzative, un dirigente se ha agito bene sotto il profilo organizzativo, avendo avuto anche intuito nelle scelte, realizzate con successo.
Ovvero persone che, ricevendo compensi per il loro agire, hanno risposto, operando con professionalità o passione, ottenendo successo. In questo modo la squadra, di conseguenza la società, è diventata “più forte”.
Di fronte a questi tipi di ricordi, considerando il nostro periodo storico, dove i “valori” sono state sostituiti dal business, cosa dovrebbe fare la Virtus? E, a chi giova? Viene da chiedere: “Come va fatto “il bene” della società per non essere dimenticati?”
L’unica persona che, negli ultimi 60 anni, ha agito esprimendo, dando un senso vero alla parola “bene” quindi con valore spirituale, è stato l’Avv. Porelli che ha risollevato la Virtus dopo un periodo nero, fatto di insuccessi a tutti i livelli, in via di estinzione.
Ha davvero raggiunto, onorato un “valore” della vita sociale, rischiando però di tasca propria, ovvero sborsando i suoi risparmi per impegnarli nella ricostruzione della società. Rischiare in una situazione tragica vuol dire credere fortemente in sé stesso.
Gli stava talmente a cuore il “bene” della società fino a rischiare i suoi “beni”, semplicemente per vederla rinascere, per farla diventare “più forte”. Va da sé che fare il bene della società vuol dire farla diventare più forte.
Come? Non ricevendo “medaglie” dalle organizzazioni sportive. Per farla diventare più forte ha costruito una struttura che possa durare nel tempo, per molto tempo, rimanendo dentro i limiti stabiliti dalla situazione economica del periodo storico. I faraoni costruivano le piramidi, lui ha costruito il tempio della Virtus, la sua palestra, dentro un ambiente migliorabile nel tempo.
Il suo nome è legato alla palestra, anche se ha avuto intuizioni di ogni tipo, a cui si è giunti dopo 50 anni. La palestra Porelli è la piramide della Virtus.
Così la Virtus è diventata più forte, per la sua struttura che rimane nel tempo, la palestra. Giocatori, allenatori, dirigenti, funzionari della Virtus nel loro periodo storico, sono come gocce del fiume Virtus. Possono essere ricordati in un libro, oppure sui social dai tifosi.