BRANISLAV PRELEVIC
(Branislav Prelević)
Bane Prelevic nel derby
nato a: Belgrado (YUG)
il: 19/12/1966
altezza: 198
ruolo: ala
numero di maglia: 8
Stagioni alla Virtus: 1996/97
statistiche individuali del sito di Legabasket
palmares individuale in Virtus: 1 Coppa Italia
"SONO QUI PER VINCERE L'EUROCLUB"
Ecco Prelevic, il serbo-greco che ha gli stessi obiettivi della Virtus
"È l'unico trofeo che mi manca, voglio conquistarlo con questa maglia. Accordo biennale
di Alessandro Gallo - Il Resto del Carlino - 28/06/1996
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L'amico di Djordjevic. Tocca poi a Prelevic, con Frattin traduttore. Si vede che il serbo-greco preferisce il campo alle parole. "Mi hanno distrutto - spiega, riferendosi alle cinque ore di visite mediche -, ma adesso sono qui. Ho vinto tutto, mi manca l'Euroclub, vorrei vincerlo con questa maglia". Bane, amico d'infanzia di Djordjevic, ha una moglie e due figli piccoli, ieri sera è ripartito per la Grecia, ma tornerà presto per cercare casa. Per lui - a Salonicco gli offrivano un quadriennale da un milione e quattrocentomila dollari, a Bologna guadagnerà qualcosa di meno - è stato raggiunto un accordo biennale con un'opzione per il terzo anno.
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IL RITORNO A CASA DEGLI “EX JUGOSLAVI” DELLA KINDER
di Luca Bottura - L'Unità - 05/12/1996
Due battaglie, una guerra. Prima battaglia, “banalmente” sportiva: o stasera la Kinder viola il Pionir, battendo come deve i talentuosi ragazzotti del Partizan, o le final four di Eurolega saranno un metro sopra l’Everest. Seconda battaglia: quella dei ragazzi di Belgrado, che sfilano per le vie del centro chiedendo democrazia. Contro il tiranno Milosevic. Cercando di cancellare, appunto, la guerra. Che qui è storia da mutare in cronaca, speranza di resurrezione. Ferita suturata, da cicatrizzare. Più profonda, se possibile, per chi era fuori. Quelli che hanno evitato i cecchini o l’embargo (dipende dal lato della barricata), ma adesso non possiedono il libretto delle istruzioni. Per il futuro. E il ritorno a casa, una casa vista bruciare da lontano, è stretto parente del dolore. Con lo sport che diventa scenario. Soltanto.
La Virtus ne ha due. Tre, quasi. Perché Bane Prelevic è serbo di nascita ma all’estero, in Grecia, ci andò che aveva 21 anni. Ora ne possiede pure il passaporto. Ieri sera è andato a vedere il derby tra le due squadre della sua vita: la Stella Rossa, dove esordì, sospinto dal padre Miroslav che ne era il presidente. E il Paok Salonicco. Alla ricerca di una normalità squillante. Della Jugoslavia che fu, anche di quella della “kosarka”, ha poca voglia di parlare. Ha appena letto l’Herald Tribune che spara su Clinton e sulle sue indecisioni. Ma a domanda risponde che non si occupa di politica, non ne discute neppure coi genitori. Sul “Panini” del basket federato, l’ultimo prima della frantumazione, Bane non c’è neppure. Non lui. Ma in quell’ultima polaroid di gruppo prima del big bang, accanto al logo dei Mondiali di Belgrado ‘94, fanno passerella tutti gli assi che ce le avrebbero suonate anche in seguito. Anche divisi, anche dopo che - appunto nel ‘94 - i Mondiali si erano giocati in Canada. Dallo sloveno Zdovc, che diede il via alla diaspora abbandonando il ritiro jugoslavo nel bel mezzo degli europei ‘91. A Tony Kukoc, croato, stella dei Bulls. Passando per Sasha Danilovic, serbo, che da Bologna si è trasferito a Miami e l’altra sera ha messo sette triple su sette in faccia a New York.
Per finire con Zoran Savic (bosniaco) e Arijan Komazec (croato). Gli altri due reaparacidos “bolognesi”. Amici, divisi. Già alla dogana, da un visto (quello del ragazzo di Zara) soppesato per quasi un’ora. A mo‘ di monito. Per fargli capire, lui ch’è il secondo nemico a giocare qui dopo il conflitto, il caldo che stasera gli rotolerà addosso dalle gradinate. Arijan, che della Jugoslavia unita è stato l’ultimo miglior marcatore, non scusa ma comprende. «Fino a 21 anni - dice sul pullman, sorriso amaro - mi avevano insegnato a essere jugoslavo. Non le capivate voi, le differenze tra le diverse etnie. Non volevamo conoscerle noi. Un bel giorno hanno cominciato a spiegarmi che la mia nazionalità stava cambiando. Giornali, tv. Qui come in Serbia. Un lavaggio del cervello. Coi risultati che sapete. La sofferenza. Ora che vivo in Italia, mi capita di pensare a cosa significherebbe una secessione. Ma rischiate meno: credete nello stesso dio».
Zoran Savic è di Zenica, poco oltre Sarajevo. Bosniaco e serbo. Fuggito attraverso il tunnel del Monte Igman quando preferì il basket spagnolo alle sofferenze dell’assedio, dopo aver vinto tre Coppe dei Campioni a fila con la Spalato delle meraviglie. Spalato, in Croazia. Anche lui non vorrebbe svisare verso argomenti lontani dai canestri. Poi però trova un’aggregante generazionale. Che lo avvicina ai manifestanti dei fiori, delle catene di mani, della libertà cercata come un bisogno fisiologico. Mentre la radio fa da sottofondo, anacronistica: non più cronache di piazze traboccanti, ma musica yankee. Blue Moon, Oh Diane. «I sussulti dei giovani - dice Savic - sono sempre puri. Rispecchiano richieste reali, sincere. Sono loro la miglior testimonianza che la guerra era voluta da pochi. Ancora oggi c’è chi ti grida “serbo assassino” e non ha mai letto un libro, un giornale, non sa che chi ha deciso il conflitto oggi è contestato. Si vive male, qui in Serbia. E il desiderio di cambiamento, ora passa per le strade. Sperando che siano larghe».
La speranza infine scolora nel sudore. I tre ex jugoslavi (”Che brutta definizione”) allacciano le scarpe per l’ultimo allenamento, per una nuova partita importante. Contro molti avversari. Dieci in campo, ragazzi come loro - con buone ali: Beric, Tomasevic, Cubrilo - sospinti da 6000 forsennati. Arbitri modesti come lo spagnolo Mas e il lituano Dovidavicius, a forte rischio intimidazione. Fantasmi, più di uno, nella testa. «Ma è solo una battaglia di sport», spazza via Savic. Un’altra battaglia.
PRELEVIC, STELLA EUROPEA IN PANCHINA: "A 30 ANNI È DIFFICILE CAMBIARE TUTTO"
di Andrea Tosi - La Gazzetta dello Sport - 12/02/1997
Nell'instabile panorama del basket italiano, dove il paradosso è spesso la norma, succede che al comunitario più qualificato della serie A, un giocatore da 800mila dollari di stipendio (1 miliardo e 200 milioni l'anno), possono bastare 10 punti e due triple tirando col 33% in 24' per dimostrare di essere ancora un campione vero, lo stesso che col Paok aveva vinto coppe importanti. Fino all'anno scorso, in Grecia, queste cifre erano spazzatura per Bane Prelevic, da due mesi a questa parte oggetto misterioso della Kinder, oggi invece sono il segno di una ritrovata vitalità. Con l'infortunio di Arijan Komazec, la Virtus e Bucci hanno bisogno del Prelevic d'inizio stagione quando il serbo-greco partiva nel primo quintetto e segnava sui 20 punti di media. La crescita di Alessandro Abbio e il passaggio in panchina hanno sprofondato Bane nel grigio anonimato che mescola il nero della crisi tecnica e di fiducia col bianco del sospetto di uno sciopero in campo. E comunque quando un professionista gioca come un dilettante diventa dura tornare quello di prima. "Il mio problema - semplifica Prelevic - è di essermi trovato in una situazione alla quale non ero abituato. A 30 anni, dopo 10 passati giocando sempre da titolare per 35' a partita, non è facile adeguarsi ad un ruolo nuovo, soprattutto se questo passo avviene cambiando Paese, squadra, compagni, allenatore. Ma col passare del tempo anch'io ho cambiato atteggiamento mentale verso il basket: giocare molto o poco non m'importa più tanto, quello che voglio è aiutare la squadra a vincere. A 20 anni non avrei pensato le stesse cose, magari mi sarei arrabbiato a stare in panchina o a tirare 1/12 com'è successo contro il Bayer. Ora la prendo con più filosofia, aspetto le partite future, se ho fatto male, per riscattarmi". Prelevic sorride, dice "no problem, it's your job", ok è il tuo lavoro, se lo provochiamo con qualche domanda maliziosa. Come questa: si sente frustrato o male inserito in questa Kinder? "Né l'uno né l'altro. Non gioco per la gloria, per i posteri o per i ricordi. Non ho foto o articoli di giornali che celebrano le mie gesta nei cassetti di casa. Rispetto le scelte del coach e coi compagni c'è un buon feeling. Non sono frustrato se gioco poco, però è difficile fare bene in 5'. Gli specialisti ci riescono, ogni squadra vincente ne ha almeno uno. Io posso diventare il tiratore tattico di Bologna, però così posso anche espormi a brutte figure perché se vado dentro a freddo e sbaglio 3 tiri ho giocato male. Saranno le situazioni a stabilire il mio utilizzo, non temo di fallire perché sento che la fiducia nelle mie qualità, da parte della squadra, é rimasta intatta. Forse la gente che viene al palasport è rimasta delusa per qualche mia partita negativa ma non posso controllare i pensieri dei tifosi. Solo rispettarli". è un Prelevic "buonista", che parla bene di Bologna e della Virtus, eppure ci sono voci di un distacco imminente, col suo ritorno anticipato a fine di questa stagione in Grecia. "Qui ho un contratto biennale che scade nel maggio '98 e ho tutta l'intenzione di rispettarlo - puntualizza l'ex Paok -. Inutile fare smentite, posso solo dire che tutto quello che ho trovato a Bologna mi piace. Guardare le cose da come e quanto sto in campo in questo momento è sbagliato. All'inizio brillavo perché giocavo molto, adesso devo muovermi in una realtà tecnica diversa. In questa Kinder ci sono tanti ottimi giocatori, nessuno può stare in campo 40'. Prendo e prendo quello che viene. Mi basta vincere: è l'unica filosofia utile in questi casi".
"NON IL LEADER MA UNO DEL GRUPPO"
La Kinder ha riscoperto Prelevic nella sfortunata sfida con la Benetton. "Sono a disposizione del coach, per 5 o 40 minuti. Ora cerchiamo una svolta". Sarà la Coppa Italia?
di Alessandro Gallo - Il Resto del Carlino - 21/03/1997
Lei più incisivo, la Kinder che, rispetto a Siena, cresce ma che, comunque, è costretta ad alzare bandiera bianca. Cosa succede Prelevic?
"È un momento difficile".
Solo questo?
"La Stefanel ha tirato per tutta la stagione eppure si trova, in campionato, dietro di noi. E che dire poi della Scavolini che ha preso Esposito, ha cambiato squadra, dispone di un impianto nuovissimo, e si è ritrovata nelle retrovie".
La Virtus però è abituata a stare in alto. Molto in alto.
"Lo so, me lo ricordo bene. Se son venuto qua a Bologna è perché conoscevo il valore di questa società".
E quindi?
"Posso dire che momenti così li ho già vissuti, anche a Salonicco. Capita, succede, però bisogna reagire".
In che modo?
"Io ne conosco uno solo".
Quale?
"Giocare con la stessa intensità, con accanimento. Come abbiamo fatto con la Benetton, e se possibile meglio".
Eppure contro Treviso, nonostante tutti i vostri sforzi, non è andata bene.
"Non posso che ribadire quello che ho già detto. Che dobbiamo insistere".
Però il dato è allarmante: otto sconfitte nelle ultime dieci partite sono un sintomo chiaro.
"Eppure basta poco per cambiare una stagione".
Lei intanto l'altra sera ha dato l'esempio. È stata la sua miglior prova da quando è arrivato a Bologna?
"No, decisamente no. Spiegatemi un po' quel che serve giocar bene e perdere. A me interessa il futuro della Virtus, solo un successo può farmi sentire appagato".
Ma lei si sente il leader di questo gruppo?
"L'ho già detto più di una volta: faccio quello che il coach mi chiede di fare. Che mi chiedano cinque minuti o quaranta per me è lo stesso, perché l'intensità e la concentrazione deve essere identica".
A proposito di quaranta: lei è però l'unico che ha un bottino simile nelle mani. Perduto Komazec è diventato lei il principale terminale offensivo, quello con il miglior talento, non trova?
"Se la mettiamo così allora ci sto, ma ribadisco che in questo gruppo non ci sono leader particolari, ma atleti che sanno rendersi utili in qualsiasi momento".
Bene, allora parliamo di Komazec.
"In che senso?".
Arijan si è chiamato fuori.
"Queste sono domande che dovete rivolgere a lui. Lui sa come sta. Lui sa se può giocare o meno. Lui deve decider. Noi non possiamo entrare in merito a una vicenda che lo riguarda direttamente".
L'altra sera, però, vi siete trovati per cementare il gruppo.
"Ma siamo sempre stati un gruppo: dobbiamo solo ritrovare la via del successo. Continuo a pensare che non sia così lontana".
Forse vi manca un pizzico di fortuna.
"Indubbiamente, perché senza fortuna non vai da nessuna parte. Ma non possiamo pretendere che questa ci cada in mano dal cielo. Dobbiamo rimboccarci le maniche per ritrovarla".
Intanto c'è la coppa.
"Già, al campionato penseremo poi".
E tra capo e collo vi capita la squadra peggiore, Verona.
"Gran bel gruppo, quello. È un'ottima squadra, che sa sempre cosa fare. Ci hanno battuto poche settimane fa, rappresentano veramente un bel complesso".
Talmente bello che forse è il favorito per la vittoria finale.
"È un team imprevedibile, anche perché ha quel Dalla Vecchia che tira da tre con ottime percentuali di realizzazione".
È un ex della Virtus: e quando arriva da queste parti ci tiene a far bella figura.
"Si intuisce che è molto motivato, ce ne siamo accorti tutti. Ma quanti anni ha?".
Trentatré compiuti da poco.
"Una bella età: si vede che ha esperienza per come sa gestirsi sul campo".
E stasera?
"I compagni mi hanno raccontato di quel che accadde un anno fa, alla Stefanel. Noi dobbiamo ripetere lo stesso cammino, ma...".
Ma?
"La forza e la determinazione dobbiamo trovarla dentro di noi: nessuno ci regalerà nulla".
Bane Prelevic MVP della Coppa Italia
PRELEVIC MATTATORE BOLOGNA SI RISCATTA
di Walter Fuochi – La Repubblica – 23/03/1997
Coppa Italia alla Kinder: magari, ne risorgerà, dopo tanto penare. In una finale acre, bordata pure da acredini di curva, Cantù le ha opposto solo un tempo: 75-67 alla fine, dopo il -3 di metà.
Ancora poco brillante, però concreta e reattiva, decisa a battersi in difesa, la Virtus orfana di Komazec (domani nuovo consulto medico) è andata dietro a Prelevic, talento serbo-greco che pareva smarrito e ieri ha preso il premio di miglior giocatore del torneo. 18 i suoi punti, 14 di Abbio, 13 di Magnifico. La Polti è stata a lungo solo Bailey (23 punti e 13 rimbalzi), tradita soprattutto da Pete Myers (2 punti e 5 falli). Dopo il suo primo successo da coach, Brunamonti porterà la squadra 5 giorni fuori città, in ritiro: se la compatta (con o senza Komazec), può reiscriverla alla corsa per lo scudetto.
Milano è arrivata terza, battendo Verona 70-68, ma in parterre si parlava soprattutto di Nazionale. Una notizia: il Dream Team Usa verrà a Roma il 25 luglio '98. Un' indiscrezione: chissà se Mike D'Antoni parteciperà agli Europei in Spagna, come assistente di Messina. Il coach che Treviso perderà ha ormai deciso: farà il manager ai Denver Nuggets (Nba).
CI VUOLE UN FISICO BESTIALE?
di Sergio Tavcar - www.sergiotavcar.com - 11/11/2011
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Forse qualcosa su Prelević, giocatore sicuramente bravo ed ottimo tiratore, quando in giornata. Non sono tanto d'accordo con Lofoten che fosse una pippa, anzi, quando giocava nel PAOK era più che decisivo, in quanto giocava per quello che sapeva fare: essere un terminale dell'attacco imbeccato dai compagni (Korfas) per un tiro od una penetrazione. Era sì lento ed infatti non fu mai preso in considerazione dalla nazionale jugoslava, neanche da lontano. Forse fu rovinato dalla fama di infallibile cecchino che gli era stata cucita addosso. Era sicuramente un buon giocatore, ma campione non di certo.