GIORGIO NERI

Neri in una delle sue ultime foto (foto reperita nell'Archivio SEF Virtus)

Nato a: Bologna

Il: 1915 - 27/04/1997

Stagioni alla Virtus: commissario straordinario nel 1959-1960 e nel 1961

 

IL CAPITANO

di Adalberto Bortolotti - tratto da Il mito della V nera 2 - 1996

 

Nella storia della Virtus ci sono molti capitani, ma uno solo è "il capitano". Tout court, per definizione. Capitani si nasce o si diventa? Giorgio Neri ci è nato. Chiamato a dare una dimensione temporale all'origine di quella memorabile qualifica, Giorgio Neri si riporta agli anni della Coppa Facchinetti, 1946-47, quando appunto guidava la squadra virtussina a importanti conquiste. A occhio e croce, mi sembra riduttivo, ma tant'è. La vocazione venne poi sublimata con la nomina a capitano della squadra nazionale di Coppa Davis, nei giorni ruggenti di Gardini, Merlo, Pietrangeli, quando il tennis azzurro si sedeva a capotavola, nel banchetto internazionale, e non era ridotto a raccogliere le briciole come succede adesso. Altri tempi, altri capitani.

Raccontare Giorgio Neri in un articolo è un esercizio di autofrustrazione. Perché hai materia per un libro, un grande affresco per lo sport italiano di ieri oggi e domani, e devi castigare tutto in poche righe. Giorgio Neri e la Virtus, per dire, è un rapporto che data 1921, quando all'età di otto anni, Giorgio staccò la prima tessera. Oltre settant'anni in bianconero, un amore mai appassito.

Come tennista Giorgio Neri non aveva rovescio, e vi sopperiva con un dritto terrificante. I racconti dei tennisti sono come quelli dei cacciatori e dei pescatori, popolati di prede fantastiche e mirabolanti. "Ricordo una volta, in doppio, con l'avvocato Dal Fiume, giocavamo contro Clerici e Scanagatta ed eravamo sotto 1-6, 0-5, 0-40. Vincemmo noi". Vietato dubitare, parola di capitano.

Cosa non si fa per la Virtus? Nell'immediato dopoguerra, con la sede azzerata dai bombardamenti, Neri chiamò a raccolta gli altri soci e diede manualmente il via alla ricostruzione, scaricando i mattoni, spingendo il rullo sui campi, sino a farsi i calli alle mani. E quando a Trieste derubarono Lucia Valerio di una finale già vinta, si scazzottò contro preponderanti forze nemiche, rimettendoci quattro denti. Io credo che, nelle sue molte anime, Giorgio Neri sia stato soprattutto un formidabile talent-scout.

Alla Virtus Tennis raccoglieva giovani che andava reclutando in tutta Italia, rigorosamente a sue spese.  Voleva che diventassero campioni, ma prima ancora uomini. Così li alloggiava in un pensionato e li faceva studiare. L'allenamento veniva poi. Da Merano portò a Bologna un aiuto-bagnino che giocava in modo strampalato e teneva la racchetta a due mani, prima (quanto prima? Svariati lustri, facciamo) che questa diventasse una moda. Si chiamava Beppe Merlo, giocava con le corde lente e aveva un servizietto moscio e irridente, Diventò uno dei grandi del tennis italiano. Ma la sua visione universale dello sport lo portava anche a d altre esperienze. Responsabile del settore giovanile del Bologna calcio, fornì cinque titolari alla formazione dell'ultimo scudetto: Furlanis, Tumburus, Pascutti, Capra e Bulgarelli. Da una sua capatina in Romagna, colse un ragazzo figlio di un tassista, nipote di un pescatore, che aveva piedi grandi e cervello fino. Si chiamava Eraldo Pecci.

Per riconoscenza, Eraldo portava ogni settimana al capitano una bella scelta di pesce fresco, oggetto di festosi banchetti alla Virtus Tennis. Un giorno Neri si vide arrivare una maglia azzurra: Pecci aveva debuttato in Nazionale e aveva voluto dedicare la divisa d'esordio al suo disinteressato Pigmalione.

Era rimasto ormai una figura anacronistica, Giorgio Neri, in uno sport da cui tutti cercavano di lucrare e nel quale invece lui versava del suo. Sentimentale e romantico, certo, ma anche illuminato da intuizioni lampeggianti. Come quella volta che viaggiava sull'Appennino, in un turbine di vento, e si fermò a Pievepelago a prendere un caffè e lì miracolosamente non si muoveva l'aria e il capitano s'informò e gli dissero che quello era il paese meno ventoso e meno piovoso d'Italia. Allora lui fermò la macchina e chiese un colloquio al sindaco e gli prospettò un'idea: creare lì un centro federale, per giovani che volessero passare la vacanza imparando il tennis. E già progettava campi, alberghi, sicché il sindaco chiese scusa per assentarsi un momento e telefonò a Bologna per informarsi se quel Giorgio Neri fosse un matto. "Non ci risulta, gli risposero, anche se ha una clinica per disturbi mentali". E Pievepelago fu l'apripista di un'idea meravigliosa.

Ora Giorgio Neri è un imponente patriarca di ottant'anni e un po', gli hanno appena consegnato la racchetta d'oro e in quell'occasione ci furono dieci minuti d'applausi e Pietrangeli chiese la parola per dire "Se non ci fosse stato Giorgio Neri, non ci sarebbe stato Nicola Pietrangeli".

Sono cose che riescono a  commuovere anche un vecchio capitano.

 

Giorgio Neri è nato a Bologna nel 1915.

Da tennista vinse due Coppe Facchinetti, nel '47 e nel '52; nel '54 diventa Presidente della Sezione Tennis, carica che mantiene per 20 anni. Nel '59, per meno di un anno, e per un periodo del '61, è commissario Straordinario della Sezione Pallacanestro. In quegli anni svolge ripetutamente  la funzione di Capitano (appellativo che gli rimarrà poi per sempre) della squadra azzurra di Coppa Davis. Nel 1972 è eletto Presidente della Federtennis, della quale è oggi Presidente Onorario.

Ha ricevuto nel '92 la Racchetta d'Oro.

Giorgio Neri ha ricoperto inoltre la carica di Presidente provinciale del CONI e quella di Consigliere del Bologna F.C., responsabile del settore giovanile. Fra i ragazzi che ha cresciuto ci sono cinque titolari che hanno vinto lo scudetto nel 1963-64.

Dal 1993 Neri è Presidente Onorario della Virtus Tennis. Della SEF Virtus è stato Segretario Generale e Vicepresidente.

É stella d'oro del CONI.

 

Neri negli anni '50 (foto reperita nell'Archivio SEF Virtus)

ADDIO GIORGIO NERI ULTIMO MECENATE

tratto da la Repubblica - 28/04/1997

 

Giorgio Neri, morto nella sua Bologna a 82 anni, è stato un uomo importante per il nostro tennis. Era nato bene, figlio di un noto psichiatra e proprietario di una clinica per malattie mentali, che era uso ripetere amabilmente: "L' unico che non riuscirò a guarire dalla sua mania è mio figlio". La mania di Giorgio non era altro che il tennis. Piccolo ma dignitoso giocatore di club, non tardò a passare alla direzione delle squadre della Virtus, e diventò per tutti il "Capitano", ancor prima di raggiungere quella carica in Coppa Davis. Uomo incantevole, Giorgio non aveva certo le qualità tecniche o il piglio, di un capitano autentico. Tifoso com' era, si emozionava spesso più dei suoi assistiti, che erano per fortuna, a quei tempi, tanto forti da vincere lo stesso, mentre addirittura lo incoraggiavano, e lui si tormentava sulla seggiolina. I settori in cui Giorgio diede di più, furono però quelli di talent scout Mecenate, e quello organizzativo. Portò alla Virtus non solo Beppe Merlo e Orlando Sirola, la cui classe era più che evidente. Ma ripescò addirittura un piccolissimo Paolo Bertolucci, scartato dai soliti maestracci burocrati. A Neri si deve poi il primo e unico accordo con un ministro dell' educazione per diffondere il tennis nelle scuole, e soprattutto la fondazione dei primi centri tecnici estivi della Fit. Questa grande opera di dilettante illuminato portò, troppo tardi, Neri al ruolo di presidente della Federazione Italiana Tennis, ma un gravissimo lutto familiare lo costrinse a ritirarsi, proprio nel momento in cui la sua opera dava il frutto più importante, la vittoria nella finale di Davis contro il Cile.