DAVID MOSS

(David Jerard Moss)

David Moss in passaggio

nato a: Chicago (USA)

il: 09/09/1983

altezza: 196

ruolo: ala

numero di maglia: 15

Stagioni alla Virtus: 2009/10

statistiche individuali del sito di Legabasket

biografia su wikipedia

 

DAVID MOSS

di Federico Petroni per Virtuspedia - ottobre 2009

 

David Moss è la conferma su due gambe di come tutto, a questo mondo, sia relativo. Immortalità compresa, se è vero che certi talenti immersi fino al tallone nello Stige dei canestri risultano meno incisivi, qui nella Vecchia Europa, rispetto a onesti mestieranti su cui, di là dall’oceano, si sarebbe scommesso poco più di una birra. Basta dare un occhio a come è sbocciato per accorgersi che questa orchidea rasta possiede i connotati del giocatore europeo.

David Moss condivide in natali con Sharrod Ford: 9 settembre, del 1982 l’ormai ex centro salterino, del 1983 l’ala piccola neovirtussina. Nasce a South Holland, Illinois, provincia anonima, non fosse per la curiosa fertilità sportiva di questa cittadina di 22.000 abitanti, dalle cui contrade sono usciti ben tre giocatori di baseball ed un cestista da NBA del calibro di Eddy Curry, oggi ai New York Knicks. Alla Thornwood High School ci va anche il giovane scolaretto Moss, che si sorbisce ogni sorta di sport, pure il calcio, dove però rischia di essere relegato dalla stazza (oggi è 196cm per 94 kg, allora giù di lì) tra i pali o a fare la prima punta. Ruoli troppo poco estrosi, per un calderone di fantasia come il giovane David: meglio il basket.

Il salto al college lo convince definitivamente a preferire il parquet all’erbetta. La scelta cade, infatti, su Indiana State University, sui Sycamores che tredici anni prima avevano vissuto il sogno di conquistare la NCAA. Era il 1979 e un certo Bird, già diventato Larry Bird, sfidò in finale la Michigan State di un certo Johnson, già diventato Magic. Per quattro stagioni (dal 2002/2003 al 2005/2006) Moss indossa la canotta dei Sycamores, sempre sulla cresta dell’onda, prediligendo il gioco di squadra agli svolazzi egoisti, producendo tuttavia cifre di tutto rispetto: nell’ultimo anno, in 34’ di impiego, tira col 43% da 2, 41% da 3, fruttando 16,8 punti ai suoi, conditi da 5,6 rimbalzi e ben 4 assist.

Come tutti i laureati sotto le plance, il sogno ha una meta ed è il paese dei balocchi “where amazing happens”: la NBA. Il fantastico, tuttavia, non succede, perché alla Summer League del 2006, Moss non riesce a giocare le sue carte, deragliato da un infortunio che gli impedisce di mostrare agli Hawks di Atlanta il suo valore. La NBA resta un miraggio. Miraggio che diventa incubo perché per guadagnarsi stima e pagnotta, l’allora rapato (l’avreste mai detto?) 23enne Moss è costretto a fare fagotto e a vagabondare in cerca d’un contratto. Compie il tragitto inverso rispetto a milioni di emigranti che tra il XVIII e il XX secolo avevano guadato l’oceano per costruirsi il sogno americano e sbarca in Europa, in Polonia, nella semi-sconosciuta Polpak Swiece. Il primo impatto con il basket continentale non è facile: dopo quattordici apparizioni, condite da numeri nemmeno troppo scoraggianti (33,5’, con 12 punti, 4,8 rimbalzi, 3,1 assist, tirando con 49,4% da 2 e il 44,4% da 3), viene tagliato.

Si affida, tuttavia, ad un capace procuratore che gli trova un cantuccio, a Jesi, una delle piazze migliori e più lungimiranti della LegAdue per far decantare il talento. Dall’Aurora, infatti, sono usciti negli anni recenti bombardieri del calibro di Blizzard, Sato, McIntyre. Ad allenarlo, un altro giovane (nel suo ruolo): Andrea Capobianco che così ricorda il primo incontro con Moss: “La prima volta che l’ho visto, nelle prime sei azioni ha fatto un aiuto dal lato debole, un recupero, una penetrazione, un tiro da fuori e ha pure preso il rimbalzo. Da lì ho capito che non è il tipo che va in campo per fare trenta punti. Ci va per vincere le partite”. Già da questo primo assaggio, si intravedevano le sue doti di giocatore a tuttotondo, di quelli che mettono in ritmo tutta la squadra.

A Jesi gioca il campionato di Legadue 2007/2008 a fianco di Michele Maggioli, il centro che ritroverà poi sotto le Due Torri. Nella città di Federico II, Moss comincia ad espandere il suo regno: vince la Coppa Italia contro la favoritissima Ferrara, di lì a poco promossa tra i grandi, si guadagna il titolo di “Forward of the year” ed arriva a giocarsi la promozione, sfumata in finale contro Caserta. Produce statistiche da stupor mundi (come l’appellativo dell’Imperatore jesino), per un debuttante valutato 70.000 dollari: 17,2 punti, 54% da 2, 40% da 3, 87% ai liberi, 6,4 rimbalzi, 19,3 di valutazione in 33’ di impiego.

Nell’anno successivo, che poi è quello scorso, coach Capobianco sbarca nella massima serie, spostandosi appena più a sud, nella Teramo del patron Antonetti, deciso ad imbastire una squadra competitiva, costruita sulle promesse di Carroll e Amoroso e sulle certezze di Brown e Poeta. Il nuovo allenatore pretende quindi due tasselli, due uomini di fiducia: uno è il navigato 34enne Ryan Hoover, l’altro è Moss. Dice, infatti, Capobianco: “Ha un indubbio talento, grande disponibilità al sacrifico, con lui si può creare qualcosa di solido. L’importante è esser chiari sin dall’inizio”.

Deve essere molto chiaro, perché Moss si rivela il giocatore più sfruttato in tutta la stagione, con 35’ di parquet calpestato, peggiorando nei punti segnati (13,4 di media) ma affinando le sue percentuali, segno che quando alza la mano è più mortifero del solito: 54% da 2, 47% da 3, con quasi due assist, due palle recuperate e 6,3 rimbalzi (tra i migliori del campionato), per un totale di 16,7 di valutazione. Sminuisce sempre ma limitarsi alle cifre è, nel caso, di Moss ancor più fuorviante, data la sua natura di tuttofare. Proprio contro la Virtus, nel dicembre 2008, costringe ad una partita orribile il play Boykins con una difesa asfissiante, nonostante sia molto più alto dello Hobbit ex NBA, così rivelando una delle sue qualità principali: marcare ogni tipo di giocatore.

La stagione di Moss, e di Teramo in generale, si assesta su livelli qualitativi altissimi, tanto da terminare la regular season al quarto posto. C’è però un neo in questa annata, ovvero l’incapacità di esprimere quel basket frizzante, intenso, difensivo e di transizione nei do-or-die-matches. Sebbene in Coppa Italia Teramo esca in semifinale contro la Virtus migliore dell’anno, è nei playoff che si registra la stecca più evidente. Perde, infatti, per 3-1 la serie ai quarti contro Milano e Moss è il protagonista negativo dell’ultimo atto, costretto ad un’infrazione di 5” che consegna la vittoria ai lombardi.

In estate, con l’intermezzo di una Summer League ad alto livello giocata con i Trail Blazers, Moss è al centro dell’intricato mercato cestistico. Il Monte dei Paschi Siena si assicura le sue prestazioni con un triennale di circa un milione e mezzo di dollari, assieme a quelle di David Hawkins, strappato ai diretti rivali dell’Olimpia Milano. L’intento è di sostituire due pezzi pregiati come Kaukenas e Sato, attratti dalle sirene, rispettivamente, madrilene e americane. Mentre il primo va al Real, alla corte di Messina, il secondo rinuncia all’American Dream: i campioni d’Italia si trovano in esubero e decidono di cedere il prestito il giocatore più giovane e che non ha riscontri in piazze di forte pressione.

E così David Moss sbarca sulla sponda bianconera del Reno, dove si porta dietro i suoi dreads e i suoi 24 tatuaggi nonché la sua energia agonistica che ammalia tanti allenatori. Non a caso, dunque, obbedisce agli ordini di Lardo, uno che predilige “sangue, sudore e lacrime” a svolazzi e show-time. Sarebbe dovuto essere il secondo violino della squadra ma la mano fratturata del play Collins (infortunio di almeno quattro mesi) mette anche Moss in una posizione critica. Non sembra, infatti, il classico macinatore di punti, il penetratore terribile che era lo scorso anno Keith Langford. Piuttosto un uomo di sistema, che finalizza un’azione corale o anche un tiratore, non esclusivamente perimetrale ed eccellente anche dalla media, ma comunque lontano dal canestro.

Vivere per vedere. Intanto, una certezza è solida. Se anche Dante Alighieri sosteneva che i (cog)nomi sono la conseguenza delle cose, allora coach Lardo potrà contare su un difensore eccezionale. Moss, in inglese, significa “muschio”. Sì, proprio l’ostinata pianta che si abbarbica a qualunque cosa.

 

MOSS: «SE SEGNO IL PRIMO, POI NON MI FERMANO PIU'»

di Luca Aquino – Corriere di Bologna – 08/12/2009

 

«From zero to hero» recita un detto americano giocando con la rima, nella lingua inglese, fra le parole zero ed eroe.

David Moss era stato uno zero, o quasi, contro Caserta trovando i primi punti solo a tre minuti dalla fine quando la partita era già andata. Una settimana dopo è l'uomo del giorno, l'eroe del successo della Virtus nel derby di Ferrara con una grande prestazione da 24 punti, con percorso netto al tiro da tre: 4/4. Per lui che non è un realizzatore puro, ma un giocatore di sistema capace di trovare la via del canestro ma non un mangiapalloni, 24 punti sono anche il massimo in serie A.

Quella con Ferrara era una partita da vincere assolutamente dopo il ko con Caserta - sottolinea - La grande differenza, rispetto a quella gara, è che abbiamo cominciato subito a fare canestro e questo aiuta molto.

Lei soprattutto ha sfoderato la miglior prestazione dell'anno con 24 punti. In serie A non aveva mai segnato tanto.

Se segno il primo tiro so che giocherò una buona partita, è sempre stato così fin dai miei inizi. Resto aggressivo e penso che andranno dentro anche i successivi. A Ferrara hanno fatto un gran lavoro anche i miei compagni, passandomi la palla, non facendomi perdere il ritmo e aprendo il campo.

Con Caserta aveva sbagliato il primo tiro e poi anche i successivi sei. Cosa non aveva funzionato?

Proprio quello che dicevo prima, non sono mai stato in ritmo. Ho sbagliato il primo tiro, non ho trovato le mie conclusioni e dopo ho forzato troppo per mettermi in partita.

L'impressione è che, dopo i complimenti per il successo contro Avellino, siate scesi in campo scarichi con Caserta.

Eravamo un po' fiacchi, ci siamo fatti imporre il ritmo da loro fin dall'inizio e non abbiamo trovato i nostri abituali spazi.

Con Ferrara è tornato tutto alla normalità?

Abbiamo fatto le piccole cose che servono a far vincere le partite fuori casa, un recupero, un rimbalzo e una buona pressione difensiva. In campo c'erano sempre le distanze giuste fra noi, il timing per i passaggi e lo sviluppo del gioco è stato perfetto, eravamo tutti sulla stessa lunghezza d'onda e quando giochi in trasferta accumulare un buon vantaggio ti dà grande fiducia. In settimana ci eravamo allenati bene e abbiamo messo in campo quanto avevamo preparato.

Pur non essendo nella sua indole, senza Collins ci si poteva aspettare un suo maggior apporto offensivo. Nell'ultima settimana è stato anche abbastanza criticato, le ha dato fastidio?

Il mio credo è vincere, questo è il mio unico obiettivo, non guardo alle mie cifre. So quello che posso fare e che posso dare alla squadra, non mi smontano le critiche anche perché non leggo i giornali non capendo l'italiano.

Al di là di Siena il campionato è molto equilibrato. Dove può arrivare la Virtus?

Dove vuole, se avremo sempre intensità difensiva.

Cosa potrà cambiare con il rientro di Collins?

Miglioreremo perché le altre squadre lo conoscono e dovranno rispettarlo. Andre è un ragazzo che in attacco sa dov'è il canestro, è una minaccia costante per le altre squadre e quindi sarà controllato con grande attenzione. Per questo motivo si apriranno spazi per gli altri e per tutti sarà un vantaggio.

David sfrutta un blocco granitico di Fajardo

 

IL JOLLY DELLA VIRTUS

di Claudio Limardi – Corriere dello Sport – 02/03/2010

 

Da possibile delusione a leader e faro della Virtus, che grazie a lui è volata al 3° posto. La prestazione di David Moss domenica contro la sua ex squadra, Teramo, è stata la classica partita totale che ha contraddistinto l'esplosione del giocatore di Indiana State (stesso college di Larry Bird). Moss ha segnato 21 punti, andando quindi oltre le righe perché non è necessariamente un realizzatore, segnando 4 punti nei primi 20 minuti (di cui 18 trascorsi in campo) e 17 nei secondi 20 (con 5/8 al tiro). Con lui in campo la Virtus, che era pari nel punteggio al riposo, aveva un parziale di +6. Nel secondo tempo, Moss ha conquistato un solo rimbalzo, non ha distribuito assist, ma ha recuperato due palloni e subito quattro falli andando in lunetta otto volte (sei tiri liberi a bersaglio). Con lui in campo altro +12 Virtus, che diventa un +18 totale. Insomma, l'insospettabile (quest'anno) Moss ha giocato come faceva a Teramo, lasciando la sua impronta dappertutto. I suoi 34 minuti di impiego sono il carico che lo scorso anno sosteneva regolarmente e l'aveva fatto diventare con Andre Collins il giocatore più spremuto del campionato di serie A.

Oggi la Virtus può giocare con quintetti differenti, ovvero usare tre piccoli (Collins, Koponen e Vukcevic) oppure andare in campo con due guardie (Prato più Vukcevic) accanto ad un playmaker, ma di fatto Moss è l'unico giocatore che non

abbia un alter ego. Contro Teramo, se Koponen non avesse commesso il quinto fallo con cinque minuti da giocare  probabilmente Collins non sarebbe rientrato. Nessuno è indispensabile, lo dimostra la facilità con cui coach Lardo cambia i giocatori che finiscono le partite. L'eccezione è Moss. In sostanza è il miglior attaccante della squadra ma anche il miglior difensore e la sua capacità di essere utile dappertutto gli permette di produrre anche nelle giornate

in cui non segna come ha fatto contro la sua ex squadra. Il problema, non piccolo, è che Moss è sotto contratto con Siena e il suo prossimo status di giocatore europeo, con passaporto bulgaro, ne moltiplicherà il valore di mercato:

il suo sbarco alla Montepaschi sembrerebbe imminente. «Era una possibilità per aumentare le mie opzioni e non vedo perché non avrei dovuto sfruttarla, ma di questo si occupa il mio agente» dice lui. Il prossimo anno chi utilizzerà solo due americani potrà schierare quattro europei (chi ne usa tre potrà prenderne due, di europei), ecco perché le possibilità che il Montepaschi rinunci a lui sono minime. Con Moss ha un americano che non gioca con quello status. Solo lui potrebbe forzare la mano e costringere i club ad  un accordo. Ma ha interesse a farlo?

 

DUE MESI DI GRANE PER DAVID

di Daniele Labanti – Corriere di Bologna – 17/03/2010

 

Ci mancava solo la borsite, così il conto di David Moss è pieno. Proprio dopo la Final Eight, chiusa con buone cifre che avevano nascosto dubbi e problemi, l'ala americana ha sbattuto contro il muro dell'infortunio e delle inevitabili  questioni private che poi tanto private non sono visto che qualsiasi social network le sventola in piazza. In dolore al gomito è di certo il fattore più serio e quello che più degli altri potrebbe accendere la lampadina dell'allarme rosso all'Arcoveggio. Moss dal punto di vista numerico (12,8 punti, 14 di valutazione) è il più produttivo e questo lo ha troppo spesso salvato da critiche più approfondite sul suo gioco un po' «personalista» e sul come e quando quei numeri vengono raggranellati. È un buon difensore e un elemento che in un gioco veloce può esprimersi meglio, ma non è quel fenomeno che qualcuno vuol fare credere. E non è un caso che in Virtus nel momento di massima incertezza sul futuro — a Natale, dopo il ko con Treviso e il timore di non farcela a Cremona — il pensiero di dare l'assalto a Keith Langford fosse balenato. Operazione complessa e costosa, ma soprattutto inutile se non siglata fino al giugno 2011 e per questo messa nel cassetto. Nel frattempo Moss non ha fatto nulla per aiutarsi: la sua puntuale professionalità in allenamento è andata a braccetto con l'altrettanto puntuale vivacità notturna, che l'ha portato fuori dalle righe e dalle regole. Finché ha potuto (o voluto), la Virtus ha chiuso un occhio. Un solo elemento con i grilli per la testa è tollerabile, finché non si va oltre. Ad un certo punto il club — che fa dell'immagine pubblica impeccabile dei suoi atleti una bandiera — è stato costretto a fargli sapere che non gradiva. Le discoteche, una macchina ammaccata, le notti bianche: se fosse un giocatore di calcio, Moss sarebbe stato sbattuto in prima pagina almeno due mesi fa. E Dinho c'è finito per molto meno. Ora c'è di mezzo pure questo infortunio a prima vista banale, ma sempre più fastidioso. Non è così detto che sia una tegola, se la Virtus fosse pronta alla reazione. La linea del club, prudente e ferma anche sul mercato, può consentire la creazione di quella solidità a lungo assente. Ma Moss, non va dimenticato, non è un giocatore della Virtus: ha firmato un contratto pluriennale con Siena dove non è detto che torni, ma dove sicuramente mira ad andare se verrà chiamato. Qualsiasi altra soluzione preveda l'innesto di un giocatore valido e «di proprietà» sarebbe preferibile. Intanto, lavorando su David il club spera di rimetterlo in carreggiata, in campo e nelle regole. Di giocatori con dei vizi ne è pieno il mondo, basta concederseli nell'unica maniera lecita: quella che non si fa scoprire.