NELLO PARATORE

(Carmine Paratore)

Nello Paratore con Terry Driscoll (foto tratta da Giganti del Basket)

 

nato a: Il Cairo (Egitto)

il: 08/04/1912

stagioni in Virtus: 1969/70

statistiche individuali

biografia su wikipedia.it

 

PARATORE CHI È

di Andrea G. Relli - Giganti del Basket - n. 8 dicembre 1967

 

Parlare con lui è parlare di basket, parlare di lui è parlar di basket. Per Carmine Paratore, ribattezzato Nello dalla mamma, la pallacanestro è musica, danza, e lui sa che è nato per ascoltarla e viverla.

La storia della mia giovinezza coincide con la storia del basket egiziano" dice con un tono assolutamente spontaneo e privo di qualsiasi sfumatura immodesta. Carmine "NEllo" Paratore per gli egiziani conta ancora quasi quanto un faraone. Anche per l'Italia in questi tredici anni ha fatto molto, moltissimo. Solo che da noi, talvolta, riesce più difficile manifestare riconoscenza.

Quando e dove è nato, professore?

L'otto aprile 1912, al Cairo naturalmente.

Ma andiamo con ordine: il primo che si stabilì con famiglia, armi e bagagli al Cairo fu nonno Paratore, un mucchio di tempo fa. Poi venne al mondo Santo, padre di Nello. La storia di Paratore padre è tranquilla fino alla data dello scoppio del secondo conflitto mondiale, poi diviene all'improvviso tumultuosa: da Baghdad in Italia, poi in Palestina, quindi in Australia. Ove vive tuttora lavorando nel campo dell'edilizia.

 

Carminello Professore d'Egitto

Eravamo tre ragazzini - ricorda Paratore - mio fratello, mia sorella ed io, il maggiore: frequentavamo la scuola italiana al Cairo. Era una scuola mastodontica, dove entravi all'asilo e uscivi con la licenza liceale o un diploma professionale. Il cortile era enorme. Serviva per la ricreazione, l'educazione fisica, lo sport, insomma. C'erano due campi di baske in terra battuta.

Eccola, la parola. Finalmente è saltata fuori. Ragazzi, attenzione si comincia a parlare di pallacanestro. Protagonista assoluto il professor Carmine "Nello" Paratore.

Io tenevo in grande considerazione lo sport, perciò praticai quasi tutte le discipline:calcio, ciclismo, atletica leggera, basket. I migliori risultati li ho ottenuti negli ultimi due. In atletica ho corso i 100 piani anche in 11"1.

In Egitto, intorno agli anni venti, c'era una grande confusione nel mondo della pallacanestro: non esisteva federazione e quindi campionati; fiorivano invece molti club privati di cui l'YMCA e l'Università statunitense erano i poli d'attrazione. In più due regolamenti (il francese e l'americano) in grande contrasto l'uno con l'altro.

Nell'ambito della colonia italiana al Cairo, il basket si giocava a scuola. C'erano le squadre liceali e quelle dei ginnasiali (con Paratore in prima fila). Un bel giorno l'insegnate di educazione fisica, professor Roscio, un pisano, organizzò tra i due gruppi scolastici una gara amichevole. Paratore - non alt, molto bruno, con i capelli corvini incredibilmente ricci - giocava all'ala ed era un formidabile tiratore da media distanza.

Tiravo bene, perché, oltretutto, ero ben provvisto a diottrie. Poi però a 18 anni presi il tifo e la malattia mi procurò un abbassamento della vista. Misi gli occhiali e divenni un playmaker...

I liceali quella volta furono clamorosamente sconfitti e la loro boria nei confronti delle ultime leve scemò a vista d'occhio: per i confronti "esterni" arrivarono ad inserire nelle loro fila due ginnasiali: Paratore e Aiello.

Una mattina, però, Paratore andò a scuola, parlò ai compagni di ginnasio: Ragazzi, creiamo una sezione basket composta di soli ginnasiali. quotiamoci, compriamo un pallone e facciamo un torneo interno.

Aderirono in 80 circa e si formarono 8 squadre ginnasiali. Si viveva il 1928. Il torneo ebbe un grande successo. Continuamente venivano alla ribalta nuovi giovani a dimostrare continui progressi. "In una partita con la scuola armena, l'arbitro cercava il capitano. Non l'avevamo ma i compagni indicarono me: fui così capitano-allenatore: Ecco come iniziò la mia carriera".

La pallacanestro fioriva, nella colonia italiana e in tutto l'Egitto. La squadra della Guardia Reale dava la paga a tutti e Nello Paratore andava ad allenarsi anche alla "Staff University" americana del Cairo, seguendo i consigli di un professore statunitense cominciando insomma a studiare il basket USA. Era già giocatore, capitano, allenatore e dirigente della sezione basket della scuola. Mancava qualcosa.

Così intorno al 1930 demmo vita alla Federazione Egiziana Pallacanestro, inizialmente Comitato del Cairo. Fui uno dei sei fondatori. Gli altri cinque erano egiziani. Divenni così anche dirigente federale.

Il basket egiziano cresceva: solo al Cairo c'erano più di dodici squadre che facevano la serie A. Le squadre italiane di Paratore andavano fortissimo. La formazione maggiore (prima chiamata ONB - Opera Nazionale Balilla - e poi OGIE - Organizzazione Gioventù Italiana Estero) - vinse il titolo assoluto egiziano per tre anni consecutivi: dal 1931 al 1933.

Avevamo anche una fiorente sezione femminile. Un giorno la signora Varetto venne dame e mi manifestò la sua intenzione di formare una squadra tra le ragazze. Io le dissi: "Raduni 80 ragazze e facciamo una selezione". Naturalmente nessuna delle 80 aveva mai praticato il basket, ma io guardai soprattutto alla loro agilità e alle doti atletiche. Presi le migliori venti e cominciai ad insegnar loro i fondamentali.

E qui c'è un particolare da rilevare: nella squadra femminile della Scuola Italiana militava con onore l'attuale signora Paratore...

In sei mesi la squadra femminile, da zero, era diventata campione regionale del Cairo. "Nel 1935 volevo andare in Abissinia per partecipare alla guerra etiopica e invece mi convinsero a fare l'allenatore di tutte le squadre dell'OGIE". Paratore - che nel frattempo studiava anche presso una sorta di ISEF egiziano - iniziò così la sua vera e propria carriera di allenatore. Ebbe anche i suoi primi compensi.

 

Flauto e tresette contro la guerra

Mi sposai nel 1938. Poi scoppiò la guerra.

Scoppia il conflitto mondiale e il professore Paratore affoga nel flauto le amarezze di tre anni e mezzo di campo di internamento, preso alla vigilia del 1940 dalle autorità militari egiziane, reo di essere stato sorpreso ad ascoltare la radio italiana. Tre anni e mezzo lontano dalla famiglia, con il figlio Mario, il maggiore, che aveva solo un anno. nel '45 nascerà Tullio e nel '52 Laura. "Fin da bambino, nei ritagli di tempo, mi dilettavo a suonare il flauto. Una passione ereditata e alimentata da mio zio. Eravamo seimila italiani internati nel campo di Geneffa, nella zona del canale, vicino ai Laghi Amari, a 150 chilometri dal Cairo. Come passare il tempo? Dapprima si faceva molto sport, ma poi dovemmo smettere perché la scarsa alimentazione non ci concedeva troppa forza fisica. Allora si giocava a carte, a bridge e a tresette (altra passione!) soprattutto: oppure suonavo il mio fedele flauto". Il faluto fu un fedele amico e gli fece ottenere anche la liberazione anticipata dal campo, nel luglio del 1944, perché il Corpo Ricreativo inglese aveva bisogno di orchestrali.

Suonavamo. Suonammo sempre per un anno e mezzo, fino alla resa del Giappone. Ma almeno eravamo liberi. Finisce la guerra e nella vita di Carminello Paratore il basket riprende il sopravvento, il flauto torna in soffitta.

In questo periodo molte squadre egiziane mi volevano alla loro guida e, nel 1947, accettai di allenare una squadra armena. Però mantenni la guida anche della formazione italiana. Questa naturalmente gratis.

Poi, nel 1948, Paratore, che in Egitto cominciava davvero a farsi una fama di mago del basket, fu assunto da una squadra del Cairo, il "Farouk", mentre nello stesso periodo la Federazione egiziana ingaggiava il coach USA Harris con il compito di preparare la squadra per le Olimpiadi del 1948.

 

Con gli Egiziani al titolo d'Europa

Harris fece un corso allenatori e io risultai primo. Mi scelse come assistant-coach per allenare il gruppo di atleti di interesse nazionale del Cairo. Un italiano alla guida della squadra egiziana! Buona parte dei dirigenti federali fece mostra di arrossire di indignazione e Paratore fu boicottato in tutti i modi. Harris lo difese sempre finché, alla vigilia delle Olimpiadi, un ordine dall'alto defenestrò Paratore e, al suo posto, insediò un egiziano. Harris andò a Londra mala squadra naufragò. Harris restò in Inghilterra e subito dopo tornò negli USA. Al Cairo cadevano le teste dopo la disfatta. Furono cambiati molti dirigenti federali e Paratore ebbe la sua grande rivincita: l'Egitto organizzava gli Europei del '49 e lui fu chiamato a guidare la Nazionale. Stupii tutti chiedendo che mi concedessero un raduno collegiale di tre mesi. Ci preparammo in un campo militare a 10 chilometri dal Cairo e vincemmo gli Europei.

Paratore te lo dice così. Con semplicità. Come per inciso. Ma la vittoria dei "coccodrilli" fu, per gran parte, merito suo. Tra le altre, fu battuta la Francia che l'anno prima era stata seconda alle Olimpiadi dietro agli USA. Il Paese sembrò impazzire dall'entusiasmo per questo piccolo uomo dagli occhiali e dai folti baffi, fatti crescere durante la prigionia proprio per fare dispetto a un ufficiale egiziano.

Paratore portò l'Egitto al terzo posto (ex aequo) ai mondiali del '50 a Buenos Aires, alle spalle dell'Argentina e Stati Uniti e, nel '51, al trionfo nei Giochi del Mediterraneo.

L'Italia cestistica ormai lo conosceva bene e la nostra Federazione finalmente lo chiamò. Ma l'accordo non fu raggiunto. Così, nelle qualificazioni per le Olimpiadi di Helsinki, Paratore era ancora alla guida della Nazionale egiziano quando questa batté gli azzurri mettendoli fuori dal gioco...

In Italia però venni nel '54, accettando l'invito di Scuri. Dovevo fare l'istruttore federale; sembrava per dirigere il Centro CONI, ma poi di questo non si parlò più e esordii alla guida della Nazionale femminile a Faenza per Italia-Svizzera. Doveva venire Jim McGregor e Jim arrivò infatti. Lui curava la Nazionale dei "moschettieri", io tutte le altre.

Dopo i Giochi di Melbourne, ai quali peraltro l'Italia non partecipò, Paratore finalmente ebbe in mano le sorti dei nostri "moschettieri", che non ha più abbandonato da 11 anni. Ma questa del "Paratore italiano" è un'altra storia.

 

Nello Paratore con Dado Lombardi in panchina (in Nazionale - foto tratta da Giganti del Basket)

QUASI COME UN PADRE

Giganti del Basket - n. 8 dicembre 1967

 

Dare un giudizio sul professore per me è difficile, perché non ho che da parlarne bene e rischio di fare la figura dell'adulatore. Tanti anni di eccellenti risultati, tanti giocatori lanciati in maglia azzurra parlano a favore del tecnico della nostra Nazionale. Paratore è un grande allenatore, crede nei giocatori, siano giovano o anziani, e nella loro intelligenza individuale.

È un buon psicologo: io in Nazionale ci sono stato 105 volte, ho cambiato molti compagni ma mi sono trovato sempre bene, perché lui ha saputo creare un ambiente di base, sempre uguale, molto buono, come una famiglia: ci sono screzi momentanei, ma poi tutto passa e si tira avanti tutti insieme. Per me (parlo sempre per esperienza personale) il professore è come il padre di questa famiglia e non solo per quanto riguarda il basket: spesso mi sono trovato a parlare con lui di problemi extra-sport e ne ho sempre avuto facilmente buoni consigli. Tutto ciò al difuori delle sue capacità indiscutibili di tecnico puro.

In panchina poi è generalmente un freddo, un calcolatore, molto all'altezza; e quando si trova in difficoltà (può capitare a tutti con la pallacanestro d'oggidì) non esita a consigliarsi con Giancarlo Primo.

Raramente sbaglia e quando lo fa certamente se ne accorge. E sa correggersi.

 

NELLO PARATORE

di Dan Peterson - www.basketnet.it

 

Se i lettori giovani mi permettono ancora di andare indietro nel tempo, con questo profilo non parlo di 'ieri' ma dell'altro ieri. Tempi preistorici. Ma importantissimi per la storia del Basket Italiano. Anzi, pochi allenatori hanno scritto più pagine di storia che Carmine 'Nello' Paratore. Un soggetto davvero incredibile. Nato a Cairo, ha allenato la nazionale di Egitto negli Europei del 1949, pure vincendo l'oro a Cairo. Cosa faceva l'Egitto in un Campionato Europeo? Non lo so. So solo che ha portato l'Egitto all'Olimpiade del 1952 a Helsinki. Due capolavori in un paese dove il basket era sconosciuto.

Ha poi allenato la nazionale italiana per lungo tempo, 1957-68. Questo comprende anche tre Olimpiadi: 4° posto a Roma nel 1960; 5° posto a Tokio nel 1964; 8° posto a Città del Messico nel 1968. Anche qui, due capolavori. Poi, dopo il 1968, è subentrato Giancarlo Primo per Paratore. Quindi, nessuna medaglia in quel tempo ma l'Italia sempre competitiva, soprattutto nel 1960, disputando due ottime gare contro gli USA, quando gli USA erano davvero gli USA: Oscar Robertson, Jerry West, Jerry Lucas. Paratore è stato il coach che ha allenato l'Italia in più Olimpiadi: tre. È un record che forse durerà per sempre.

Achille Canna è stato un suo grande giocatore, titolare nella squadra Olimpica nel 1960. Ho chiesto a Canna qual'era il vero segreto di questo grande coach. La risposta: "Era uno psicologo straordinario. Tutti gli allenatori conoscono la tecnica, il basket. Ma lui sapeva tirare fuori il meglio da tutti, di mettere loro a loro agio. Una cosa straordinaria di lui, rarissima negli allenatori, è che lui riusciva a 'salvare' un giocatore non in partita quel giorno. Lo toglieva e gli parlava, anche con forza e veemenza, e lo rimetteva in campo. Nove volte su dieci, quel giocatore si riscattava e giocava ai suoi livelli. Pochi sanno fare questo. Lui, sì."

Ho chiesto a Canna se ricordava un episodio personale con Paratore. Disse Canna: "Ero uno che aveva poca voglia di allenare, che voleva solo fare la partita. Prima dell'Olimpiade del 1960, mi disse 'Achille, ti vedo svogliato, senza energia mentale nell'allenamento.' Io dissi, 'Coach, è nel mio carattere. Ma ci sarò nelle partite.' Lui mi fissava negli occhi e mi disse: 'Non basta!' Mi spiegava che io ero il leader della squadra, che i compagni mi guardavano, che dovevo dare esempio. Ho capito che aveva ragione lui. Lui aveva questo grande talento di toccarti proprio dove forse ti faceva male ma dove ti faceva anche bene."

Infine, ho chiesto ad Achille se Paratore potrebbe allenare ancora oggi, fosse ancora in vita. La risposta: "Senza dubbio. Lui non solo ti metteva al tuo agio; non solo ti rimetteva 'in partita'; ma anche comunicava l'importanza di non mollare mai, di giocare fino in fondo. Oggi, tutti gli allenatori conoscono perfettamente il gioco, la difesa, la tattica (anche se lui era grande stratega e grande tattico), ma ciò che è la differenza sempre fra un coach e un altro è la psicologia. Lui, persona affabile e molto 'umana', farebbe anche grande cose nel contesto attuale. La tecnica cambia con i tempi ma le grandi qualità umane non passano mai di moda."