ZAM FREDRICK

(Zambalist Fredrick)

Zam Fredrick, statura da playmaker ma istinti da guardia purissima

nato a: St. Matthew's (USA)

il: 17/08/1959

altezza: 188

ruolo: guardia

numero di maglia: 6

Stagioni alla Virtus: 1981/82 - 1982/83

statistiche individuali del sito di Legabasket

 

IL REGISTA? NON SONO IO

di Enrico Minazzi - Giganti del Basket - Gennaio 1982

 

Sulle sue qualità si era subito favoleggiato quando da Bologna la Virtus dell'avvocato Porelli ne aveva annunciato l'ingaggio: arrivava in Italia, per la prima volta nella storia del nostro basket, il tiratore principe dell'aristocratico campionato universitario statunitense, il re della sospensione nell'NCAA che la squadra bolognese era riuscita - si fa per dire - a strappare ai professionisti di Los Angeles nonostante fosse una terza scelta dei Lakers e in virtù dell'amicizia, o meglio dei buoni rapporti esistenti fra il boss dei Lakers, Bill Sharman e l'avvocato Porelli. Zambalist "Zam" Fredrick, piccola, minuta guardia di "appena" 6 piedi e 2 (che tradotto in metri e centimetri fa 1,88), capocannoniere dell'ultimo torneo NCAA con una media-partita che sfiorava i trenta punti (28,9) in ventisette partite con un eloquente 50,( nella casella della percentuale, sbarcava in Italia, a Bologna, dove avevano chiamato da Belgrado il professor Nikolic.

Fin dalle prima amichevoli precampionato il piccolo folletto di colore nato ventidue anni or sono a Calham County, St. Matthews, nel South Carolina, aveva incantato il pubblico italiano per quella che è e resta la sua specialità: palleggio, arresto, finta e tiro, un tiro morbido e micidiale allo stesso tempo che lascia sempre il difensore spiazzato e deluso per la conclusione che regolarmente - o quasi - finisce nel canestro. Così Zam Fredrick, con bottini personali sempre pingui o comunque ragguardevoli, si era presentato alla platea italiana e agli avversari.

Contemporaneamente alle sue prime evoluzioni sotto i generosi riflettori del basket precampionato si levavano però i primi dubbi sulla sua reale utilità in quella Sinudyne che, ricca di molti solisti e molto ringiovanita (Villalta con i suoi  24 anni adesso è la balia di questa Virtus verde-verde) aveva forse perso propulsione ed idee in cabina di regia: far dimenticare e soprattutto dimenticare in fretta le magie di Cosic e le invenzioni di Caglieris non era cosa facile neppure per il professore venuto dalla Jugoslavia che è sì un grande e profondo studioso della pallacanestro ma che mago proprio non è. Dunque non poteva - né crediamo l'abbia mai pensato - cambiare in tre mesi il volto della Sinudyne senza mettere in preventivo difficoltà, ovvie, di ricondizionamento psicologico e mentale prima ancora che tecniche e tattiche. Ecco dunque che in men che non si dica, il realizzatore principe della NCAA da eroe diventa vittima: spadella due volte di seguito e da più parti si levano alti lamenti per questa Sinudyne che non sa più giocare, che non viene fatta giocare da questo Fredrick che è sì un grande tiratore ma che playmaker davvero non è. Si dimentica in fretta che Nikolic ha in squadra anche in Rolle, altro atleta ventiduenne di colore, che sotto canestro si danna come un disperato nella vana speranza di vedersi recapitato qualche pallone che non sia sporco o comunque servito in qualche maniera dopo che gli italiani lo hanno girato e rigirato senza molto combinare: e a nulla valgono gli accorati time-out dell'allenatore jugoslavo che quasi implora i suoi giocatori di far scattare quei meccanismi di aiuto, di totale dedizione al gioco di squadra, alla difesa e al ragionamento che soli possono portare alla nascita di un gruppo omogeneo e forte in grado di vincere per meriti propri e non solo per demeriti altrui. Rolle viene visto poco dai compagni; Fredrick cerca sempre di vedere il canestro (ma cosa dovrebbe lui che per quattro anni all'università non ha fatto altro che tirare?), Villalta dà molto in termini di apporto alla squadra pur in un ruolo che non è più il suo perché l'allenatore lo vuole utilizzare all'ala, lontano dal canestro (e con risultati più che positivi, se si tien conto anche dell'esibizione triestina con la Nazionale di Gamba); Generali e compagnia si preoccupano forse troppo delle ore passate in palestra durante la settimana invece di fare uno sforzo di concentrazione sul gioco da produrre. "È una questione di abitudine mentale" ci diceva Nikolic la primavera scorsa quando da consulente, a Bologna, stava preparando la sfortunata finale di Coppa dei Campioni "se uno non è abituato a concentrarsi sempre su ogni cosa che fa per la squadra io non posso chiedergli di esserlo lavorando con lui qualche settimana. Ci vuole tempo e occupazione". Il grande Alexandar probabilmente sperava di poter cambiare almeno progressivamente la testa di qualche italiano lavorando sulla distanza: ecco dunque l'anticipato raduno della squadra bolognese quando tutti gli altri erano ancora in vacanza. Ecco dunque il duro lavoro atletico di Tom Assi,ecco perciò la visione quasi paranoica dei filmati delle gare giocate con la ripetizione infinita degli errori, ed ecco lo studio attento dei lati deboli degli avversari. Così arriva la riunione tecnica della domenica mattutina, a qualche ora dalla partita, una buona abitudine che Nikolic aveva a Varese e che naturalmente anche a Bologna ha creato sconcerto e fastidio in professionisti che troppo spesso si considerano tali solo perché spendono due ore e mezzo della loro giornata in palestra a sudare. Aggiungeteci l'età media della squadra molto bassa (appena sopra i ventidue anni), l'inesperienza al nostro campionato dei due stranieri e i compiti nuovi richiesti agli italiani gettati senza timore nella mischia (Fantin ne è l'esempio più evidente: e ci sembra con risultati più che buoni); ed ecco spiegato perché dopo neppure dieci giornate di campionato, dopo sconfitte inaspettate soprattutto per come sono maturate, ecco che le critiche aumentano di consistenza.

Si accusano gli americani, Fredrick in particolare, di non essere adatti a questa Sinudyne: si scopre, a novembre inoltrato, che Zam non sa fare il playmaker o che comunque non riesce a farlo come qualcuno vorrebbe. All'interno della squadra si innescano strani ma comprensibili meccanismi di autodifesa da parte degli italiani che apprezzano il lavoro svolto dal professore, che concordano sulla sua bravura ma che non accettano il suo duro modo di agire in palestra; o che addirittura non riescono a capirlo quando lui li sollecita ad un maggior lavoro e anziché reagire con un impegno accentuato si siedono "tradendo" in questo modo la filosofia di vita del professore. Un professore che arriva addirittura a dichiarare che lui sarebbe anche disposto ad andarsene purché qualcuno gli dicesse che la squadra non va perché sono i suoi metodi ad essere sbagliati; un professore che pubblicamente dubita di sé stesso e del suo credo cestistico, ammettendo di aver sbagliato molto con questa squadra che non va come lui avrebbe voluto o come sperava sarebbe andata dopo qualche mese di lavoro. In palestra l'atmosfera diventa più pesante: si lavora ma senza la necessaria convinzione. In questo contesto si spiegano anche le voci, con più di qualche fondamento, di una specie di silenziosa contestazione esistente all'interno del clan nei confronti di Nikolic. Ecco perciò che si arriva a mettere in dubbio la posizione dei due americani, di Fredrick in particolare, reo di non saper dare un gioco alla squadra dell'avvocato Porelli. Si è anche parlato, a chiare lettere, di una sua possibile sostituzione che però nè Nikolic e lo stesso Porelli sembrano aver mai preso in considerazione, almeno ufficialmente: "Non se ne parla nemmeno" ha dichiarato il boss della Virtus alla vigilia della sua partenza per gli Stati Uniti in compagnia del Cibona di Cosic. "Giudizi sugli americani non ne dò" ha ripetuto fino alla noia l'onesto Nikolic che ha aggiunto: "i conti li faremo solo a stagione conclusa. Per adesso lavoro con la squadra che io ho voluto". Punto e basta. Le paratie innalzate dalla società funzionano. Ma l'interessato che ne pensa di tutto questo polverone sollevatosi all'improvviso attorno al suo nome? Zam Fredrick cosa ne pensa dello sbandamento Sinudyne?

"Sono in una situazione difficile" ammette lui "il playmaker tira poco e si deve concentrare molto sul gioco della squadra, deve farla giocare. Io invece sono costretto a tirare ma anche e soprattutto a far giocare i compagni. E questo a volte mi crea più di un problema perché a me piace muovermi molto sul campo, vedere il canestro, trovare la posizione giusta per tirare. Ma se devo concentrarmi sul gioco della squadra poi le cose non vanno più come dovrebbero. Io posso fare due o tre cose e posso farle in una maniera che credo buona. Penso che Nikolic abbia capito benissimo quello che posso dare alla squadra; giocando con Cantamessi o qualcun altro accanto io non più libero, posso fare molte più cose, soprattutto posso vedere molto meglio il canestro". La 'storia' cestistica ancorché breve di questo ventiduenne folletto di South Carolina aiuta del resto a comprendere esattamente come quello di guardia sia il suo ruolo preferito: a parte una brevissima parentesi quando giocava nella St. Matthews High School, Fredrick non è mai stato impiegato come playmaker bensì come guardia. Perché è in questa posizione che lui si sente realizzato, cestisticamente parlando: ed è in questa posizione che ha compiuto un'evoluzione anche come tiratore: dagli 8-10 punti-partita nei primi tre anni di università con Frank Mc Guire come coach,ai 29 di media nell'ultimo anno con nuovo coach Bill Foster al quale è rimasto legato da sincera amicizia: "A South Carolina , nell'ultimo anno di università, sono esploso come tiratore anche perché Foster ha cambiato il gioco della squadra rendendolo molto più veloce, più improvvisato di quanto non fosse quello voluto da Mc Guire, un allenatore che aveva trent'anni di esperienza alle spalle e che evidentemente preferiva un gioco lento, ragionato, con un ricorso quasi esasperante allo schema. La mia forza" prosegue Fredrick "è l'attacco: posso saltare molto, so tirare anche da lontano con buona precisione. tutto questo mi riesce meglio se gioco in una squadra che corre: questo tipo di gioco mi realizza di più. Acnhe perché con Mc Guire al massimo facevo dieci-undici tiri a partita mentre con Foster molti di più...":

Vien spontaneo chiedersi a questo punto se Fredrick si sia mai pentito di essere venuto in Italia dove ha trovato una specie di Booby Kinght europeo: il giocatore sorride alla provocazione e spiega la sua fiducia nei confronti di Nikolic. "è un allenatore molto bravo, capisce molto il basket e soprattutto sa sempre quello che sta per succedere: prevede sempre tutto. Per me comunque è stato veramente difficile digerire i suoi metodi di allenamento, Negli Stati Uniti non ero proprio abituato a lavorare così tanto. Faccio degli esempi. A South Carolina, la mia università, ci allenavamo due ore e un quarto una volta al giorno: era un lavoro lungo a sufficienza. Dirò di più: la preparazione atletica la facevamo solo prima del via della stagione lavorando più che altro sull'accelerazione, sulla velocità. Ma poi durante il campionato non se ne riparlava più. Qui a Bologna invece dobbiamo lavorare moltissimo non solo in palestra col coach, ma anche col Terribile Tom (Tom Assi, il preparatore atletico prediletto di Nikolic, n.d.r.). E anche il tipo di concentrazione richiesta qui in Italia è diversa da quella che Foster mi chiedeva a South Carolina: là giocavamo anche e soprattutto per divertirci, c'era entusiasmo. Qui invece è richiesta una concentrazione totale, incredibile. Tanto che a volte penso che tutto questo lavoro non sia necessario".

La cura Nikolic del resto ha sconcertato anche il clan degli italiani, ragion per cui era prevedibile lasciasse perlomeno perplesso Fredrick e quelli che lo avevan consigliato, nell'aprile scorso, ad accettare l'opzione offerta dalla Sinudyne. "Bill Foster, il mio coach all'università" conferma Fredrick "non voleva credermi quando per telefono gli raccontavo la quantità di lavoro svolto a Bologna col mio nuovo allenatore: lui non conosce Nikolic come io non lo conoscevo prima di arrivare in Italia. Non sapeva proprio chi fosse e non voleva credere a quello che gli dicevo a proposito dei suoi allenamenti. In ogni caso io non mi sono pentito di aver seguito il consiglio di due miei amici, John Roche che qualche anno fa aveva giocato proprio nella Virtus e di Nate Davis che è stato in Spagna: loro due, ex studenti di South Carolina, mi avevano spiegato com'era il basket italiano. Mi avevano confermato, come avevo sentito dire da qualche altra parte, che quello italiano era il basket migliore al di fuori degli Stati Uniti. E devo dire che quanto mi avevano successivamente raccontato alla Summer League di Los Angeles altri giocatori che erano già stati in Italia era tutto vero. Le squadre sono ben organizzate, la lotta per vincere in campionato è sempre molto dura, il torneo è di livello elevato, con molto equilibrio fra le varie squadre. E per essere sincero il gioco è migliore di quanto non mi fossi aspettato...".

Nessun problema dunque ad accettare il pianeta Italia dimenticando per un anno il sogno della NBA che è sempre lì, dietro l'angolo: quando se ne parla gli occhi di Fredrick si accendono. Ma non solo i suoi, anche quelli de Deborah, una ragazza ventenne di colore molto carina che nell'agosto scorso ha sposato Zam prima di seguirlo nella sua trasferta italiana. "L'NBA è il sogno di ogni ragazzo americano che giochi a basket" ricorda ancora Fredrick "dal primo canestro della vita pensi un giorno di potere giocare lì. è il paradiso: e se riesci a giocarci per due o tre anni, allora sei davvero arrivato al massimo, al top".

Il sogno NBA insomma è rinviato: ma non sfumato, giacché Fredrick ha tutte le intenzioni di giocarsi, in futuro, le sue carte nel campionato-mito dei professionisti. Non lo spaventa l'idea di andare a finire in una squadra che per il suo ruolo presenta atleti del calibro di Norm Nixon o magari di Magic Johnson. "Se mi avessero offerto qualcosa di diverso da  un "open contract" come hanno fatto io sarei subito andato con i professionisti: invece non avevo la sicurezza necessaria e così ho preferito dar seguito all'opzione che avevo firmato con Bologna".

Già, per quest'anno. A stagione conclusa si vedrà: anche perché a Bologna l'avvocato Porelli forse ha già messo a frutto il suo viaggio nordamericano di novembre. Come sempre senza scoprire le batterie prima del tempo, come sempre coprendosi bene le spalle. Fredrick resterà? Oppure se ne andrà nella dorata NBA? "Per adesso non ci penso" afferma sicuro il giocatore "adesso devo pensare alla Sinudyne, al campionato italiano dove vincere è sempre difficile: la nostra è una squadra giovane. Ha due statunitensi giovani, che devono capire bene come funzionano le cose qui a voi. Capire cosa vogliono gli arbitri, ad esempio, che personalmente non amo troppo: vanno molto male, qui in Italia. Hanno troppo controllo sulla squadra, sono troppo protagonisti e finiscono per distruggere il gioco. Negli Stati Uniti quando uno palleggia, fà un arresto può anche commettere una piccola infrazione di passi. Quasi nessuno la fischia. Qui no, vedono le cose più piccole e non quelle grosse. Non sono professionisti e non vivono il basket: non puoi fare nulla che loro non vogliano..:":

Parla ancora dei problemi di questa Virtus che secondo lui è una squadra che deva ancora esprimere tutto il suo potenziale: "Gli americani sono nuovi, l'allenatore anche, molti italiani sono chiamati a responsabilità nuove. Ci vuole tempo per tutti".

La sua analisi sul momento Sinudyne è serena: le sue espressioni sono sempre molto equilibrate, non diciamo calcolate, ma misurate sì. Al giovane Zam, figlio di un camionista e di una casalinga, nato il 17 agosto del '59, a St. Matthews, nel South Carolina dove ha finora trascorso tutta la sua vita (a differenza di altri ragazzi americani - quelli del Nord - che pur di lasciare la città di origine vanno a finire in college lontani e sperduti) difficilmente scappa un aggettivo di troppo. Neppure quando parla del suo nuovo coach jugoslavo che ha tanto meravigliato, con i suoi sistemi di allenamento e preparazione, gli amici del South Carolina. "The Duck", il papero come era soprannominato all'università, non si scompone. Cerca anzi di capire, per quel che gli riesce, cosa vuole da lui l'allenatore: riesce, cosa vuole da lui l'allenatore: forse la laurea-diploma in "business administration" non l'aiuterà molto in questa tormentata e controversa stagione italiana dove gli impegni e il calendario non consentono troppe battute a vuoto. Soprattutto se i compagni italiani a parole dicono di capirti e poi magari con gli amici rimpiangono i tempi in cui c'erano il Duca Nero Mc Millian, Creso Cosic e perfino Marquinho. Tutta gente con anni di esperienza alle spalle e che in virtù della enorme classe riusciva a duettare anche con compagni di coro un po' stonati.

Oggi questo non succede più. Ed è proprio forse da qui che nascono i mille dubbi su questa Sinudyne ricca di talenti che però sovente pensano troppo ai loro tabellini anziché al gioco della squadra. Una squadra che resta comunque una delle principali candidate allo scudetto, se non addirittura la favorita per eccellenza: non fosse altro per il lavoro in profondità che Nikolic sta svolgendo e che se oggi fa apparire pesanti e insopportabili gli allenamenti da due ore e tre quarti, probabilmente domani darà la possibilità di imporre una dittatura sul campionato. Sempre che i giocatori riescano a superare questo momento dando corpo a quel che Nikolic ha iniziato a costruire, passo dopo passo, fin dall'agosto scorso quando nessuno dava troppo credito alle difficoltà previste nel suo lavoro dall'allenatore jugoslavo. Che una volta di più aveva visto giusto.

Fredrick a Cantù segna 38 punti, la Sinudyne viola il Pianella e sbatte i brianzoli fuori dai playoffs (foto Giganti del Basket)

I CANESTRI DECISIVI DEI GIOCATORI DELLA VIRTUS - QUATTORDICESIMA PUNTATA: ZAMBALIST FREDRICK

di Ezio Liporesi - 1000cuorirossoblu - 25/04/2023

 

Zam Fredrick  giocò due stagioni nella Virtus e due sono anche i canestri decisivi che realizzò, entrambi nella prima annata e, curiosamente sempre in trasferta contro Cantù:

  • nel 1982 nella bella dei quarti di finale a Cantù, decise a favore della Virtus il secondo supplementare, con due tiri liberi a 11 secondi dalla sirena, chiudendo la partita con 38 punti e portando i bianconeri in semifinale.
  • nella prima fase della stessa stagione, segnò il canestro decisivo dell’84-85 a 5 secondi dal termine, dopo una gara equilibrata ma con la Virtus spesso avanti di qualche punto.