VALERIO BIANCHINI

 

nato a: Torre Pallavicina (BG)

il: 22/07/43

Stagioni alla Virtus: 2002/03

Statistiche individuali

biografia su wikipedia.it

 

BOLOGNA, PERCHÉ TI ODIO

di Valerio Bianchini - Superbasket 11/18 aprile 1995

 

Accadde nel 1981. Allenavo il Bancoroma del magico Larry e mi apprestavo a giocare la Coppacampioni avendo tra gli avversari la Virtus con lo scudetto sul petto, mentre noi partecipavamo di diritto avendo vinto l'edizione l'anno recedente. Devo confessare che quella della Virtus era una concorrenza che mi piaceva poco. Erano gli anni dell'avvocato rampante. Lui si era inventato il Madison di piazza Azzarita, le luci, i suoni e i colori di una piccola Nba domestica. Lui aveva negli anni 70 salvata la Virtus dal baratro, scoprendo di volta in volta Peterson, Villalta, Driscoll e il grande Cosic. Lui si andava impadronendo dell'intero movimento avendo costituito un governo ombra dietro il largo paravento fornitogli da De Michelis che era in grado di importi al presidente federale come prima la Lega non era mai riuscita a fare. Capite bene che tutto quell'attivismo avrebbe potuto trasferirsi anche in FIBA e far pendere la bilancia delle due concorrenti italiane dal lato di Bologna. Ora a un povero allenatore relegato alla periferia dell'Impero (bolognese) del basket cosa resta se non le parole, la provocazione, lo sberleffo per farsi ascoltare dai  potenti? Perciò ai giornali che mi chiedevano di fare paragoni dissi più o meno così. Noi del Banco siamo i Campioni d'Europa e del resto siamo Roma, luce del mondo e origine di ogni internazionalità. Bologna in Europa non ha mai vinto nulla e del resto cos'ha di internazionale la Città delle due Torri da offrire al mondo, solo due simboli riconosciuti in tutto l'universo: i tortellini e Lucio Dalla.

Fu una dichiarazione di amore-odio per Bologna che non mi costò nessuna fatica perché sull'argomento ero del tutto sincero. Aspetto con ansia l'arrivo di ogni Santo Natale per accostarmi trepidante a quel miracolo della storia dell'umanità che è un piatto di tortellini in brodo fumanti. Quanto a Lucio Dalla non starò a dirvi della sua arte perché, come tutti sanno, l'arte è un insondabile mistero di cui solo sappiamo che ci dona una profonda, inafferrabile emozione. Vi dirò invece del piacere della sua conversazione e della sua capacità di porre il basket sul medesimo piano della musica o della poesia o di un piatto di tortellini in brodo. Fatto sta che la mia uscita fa incazzare l'avvocato e di conseguenza tutta Bologna che per anni dal parterre ad ogni partita mi invitava a gustare i tortellini, ma per vie impraticabili e comunque lontane da quel palato che i tortellini sanno deliziare. Divenne così ufficiale il presunto odio per Bologna tanto che finii per convincermi io stesso. E si sa che se uno deve condurre delle battaglie gli argomenti per spronarsi contro l'odiato nemico gli vengono a gettito continuo. Eppure direte voi avete lo stesso dio: il basket e la stessa religione; il campionato, e gli stessi testi sacri: le pubblicazioni di Cazzola anche se si sa che girano dei ciclostilati clandestini tra i dissidenti. Beata ingenuità! Ma non vedete che davanti ai vostri occhi le guerre più tremende si combattono fra confratelli? E poi ora che l'opera dell'avvocato si è compiuta e Bologna è definitivamente "Basket City" capite che è anche diventata come tutti i luoghi del potere reale definitivamente Sodoma e Gomorra? Peccato che in attesa della pioggia di fuoco là si divertano da pazzi e tutti noi si sia un po' invidiosi.

 

VIRTUS A BIANCHINI, DUBBI E POLEMICHE

La Repubblica - 28/12/2002

 

Non si marca, Madrigali. Né a uomo, né a zona. Esonerato Tanjevic, per la panchina della Virtus ha scelto Valerio Bianchini, spiazzando tutti. Tant’è che a raccontarlo ieri, nella città dei canestri, non ci si lasciavano dietro meno bocche aperte di quando venne silurato Messina, nell’ormai fatidico 11 marzo scorso. Perché Bianchini, da sempre affilato polemista, alla Bologna bianconera non ha mai risparmiato affondi anche pesanti. Robe da riderci sopra, se si guarda allo sport con disincanto. Robe pesanti, se viste con l’occhio passionale del tifo.
Ecco perché ieri pomeriggio, negli uffici della Cto a Casalecchio, dopo aver sentito Madrigali spiegare la sua scelta (in sintesi: «C’era bisogno di un uomo d’impatto per invertire la tendenza») e Bianchini il suo entusiasmo, la Virtus ha dovuto incassare una ulteriore contestazione, avviata subito da una decina di rappresentanti del tifo, presenti all’incontro. «Lei non sarà mai il nostro allenatore, ci ha offeso, la contesteremo ogni domenica, era meglio retrocedere in A2 con Boniciolli», sono state le frasi più velenose ascoltate, pronunciate con sincero rancore ma senza mai oltrepassare i limiti della civile discussione, a cui Bianchini ha risposto col savoir faire che lo contraddistingue. «Io mi schiero per la bandiera che mi assolda, e mi scaglio contro gli altri poteri: come facevo a non attaccare Milano e Bologna, avendo allenato a Cantù, Pesaro e Roma?». Risanare lo strappo non sarà facile, riordinare le parole e i pensieri registrati ieri pomeriggio, invece ora è d’obbligo.
Dunque, ecco la voce di Madrigali: «Ringrazio Boscia, ci siamo abbracciati e quindi lasciati benissimo. Però, una svolta andava data, e mi sono rivolto a Bianchini (per lui un contratto biennale, ndr) pensando fosse l’uomo giusto. Non posso consultarmi con la piazza per ogni decisione che prendo, ma posso assicurarvi che ogni volta io ragiono come il più virtussino dei virtussini. Consolini? è una nostra risorsa, qualche tempo fa l’avevo consultato ma lui, pur mettendosi a disposizione, non ritenne opportuno il cambiamento. Credo meriti la prima squadra, ma in condizioni più facili, cioè dall’inizio».
E ora, ecco il meglio dell’intervento - pardon, la prolusione - del Vate: «Ringrazio il presidente per la chance che mi ha dato, e la possibilità di affrontare una nuova entusiasmante sfida. Quella di riportare Bologna al ruolo di fulcro del basket italiano, perché senza la centralità di Bologna il movimento rischia di affondare. Bisognerebbe addirittura pensare a un’alleanza tra Virtus e Fortitudo per rilanciare questa città unica e imprescindibile, ed è per questo che il mio augurio è di vedere il derby di Bologna nella prossima finale di Coppa Italia. E se alla Fortitudo il mio compito fu d’iniziare a vincere, proprio con la Coppa Italia, ora in Virtus la mia missione sarà riaprire un ciclo vincente come lo fu negli anni ‘90. Dissi una volta che Bologna era un utopia, ora capisco che le utopie vanno difese per poter progettare il futuro».
Madrigali ha anche spiegato che Bianchini accentrerà in sé tutti i poteri (non ci sarà un sostituto di Lombardi, dunque) e le scelte che concernono il settore tecnico (in stile Messina, per intendersi), e il Vate ha subito precisato che per il momento non chiederà né accantonerà giocatori, essendo convinto delle potenzialità del gruppo. «Tanjevic mi ha assicurato che la squadra ha margini di crescita, e questo ha aumentato il mio entusiasmo».
Ieri il primo allenamento, per tirare le somme ci sarà tempo. Anzi, mica tanto. Domani a Pesaro Bianchini dovrà vincere. Altrimenti il derby nella Final Eight sarà la prima utopia dell’anno.

«Capitano di ventura». Così sì è definito Valerio Bianchini alla sua ennesima reincarnazione ma sempre unico: adesso che è nella Bologna bianconera, evviva la Vu. L’autoritratto è degno della sua bravura. Nel suo, non fa una piega: è stato chiamato per tornare a vincere. «E ci metterò tutto il cuore, come ho fatto per ogni bandiera che è stata mia. Quando ero a Roma, Pesaro o alla Fortitudo non potevo amare la Virtus. L’attaccavo con tutte le mie forze, come era giusto». Adesso però è la sua ragione. «Boscia mi ha detto che questa squadra può crescere e io ho più carica di prima». Il Vate non si smentisce: la nuova casa è sempre la più bella.
Dando un’occhiata al curriculum non si può che ammirare il suo lavoro, zeppo di campagne trionfali sotto tanti stendardi. Bianchini, 59 anni, milanese, ha in carniere ben 25 stagioni di capoallenatore (e un paio da C.t. della Nazionale), per un totale di 758 gare dirette, con 458 vittorie. Ha vinto otto trofei: tre scudetti, l’unico ad esserci riuscito in tre città diverse, Cantù, Roma e Pesaro, due Coppe dei Campioni, una Coppa Intercontinentale, una Coppa Italia e una Coppa delle Coppe. Da due stagioni non esercita. Fino a Natale era il vicepresidente di Roseto e nei tempi recenti era sempre stato coinvolto in cambi di panchina. L’ultima parentesi per lui è stata a Milano nel 2000/2001: perdente (1 vinta, 9 perse), come non esaltanti le due precedenti a Varese (10-8) e l’ultimo rientro a Roma (1-7). Poco, dopo la Coppa Italia del '98 vinta con la Teamsystem ai danni della Virtus, poco prima di essere sostituito da Skansi (esonero ieri definito un «Coitus interruptus prima della finale scudetto»).
E adesso come maneggerà la Virtus? «Ho davanti una squadra da valutare, non mi sento di chiedere nulla. Si passa dagli anni delle grandi vittorie alla fondazione di un gruppo nuovo. La continuità la devono dare i vecchi, come ha tuonato Smodis. I presunti talenti devono soffrire e migliorare se davvero vogliono passare per l’Nba». Sekularac è uno di questi e già qualche mese fa Bianchini ne aveva parlato benissimo. «Deve fare questo cammino: affrontare la realtà». E poi: «La mia visione del basket è differente da quella di Boscia. Lui punta sui suoi progetti: e sono usciti dei capolavori come Gentile, Fucka, Bodiroga e Meneghin. Io cerco di mettere in campo subito il meglio, provando a valorizzare il talento dei singoli». E i tifosi? «Quelli si debbono conquistare. Danno un quid in più a una squadra, ma anche qui a Bologna nessuno fa più l’abbonamento per forza». Infine, dopo averlo subito tante volte, stavolta potrà usufruire del miracolo di San Gennaro, con Rigaudeau. «è tra i pochi che ragionano ancora. Vedremo di usarlo al meglio, ma anche Stockton a 40 anni sta in campo molto».

 

ECCO BIANCHINI, REAZIONI DI TIFOSI E SQUADRA

La Repubblica - 28/12/2002

 

«Non ci stiamo», è il pensiero dei tifosi. Stavolta non è la cacciata di un allenatore a provocare il mal di pancia, ma il nome del successore. Arrivati in CTO per assistere alla presentazione di Valerio Bianchini, alcuni hanno infatti lasciato la sala riunioni, proseguendo nel parcheggio il dissenso forte scoppiato poco prima. «Sarà sempre contestato. Lo odiamo dagli anni '70, non sarà mai l'allenatore della Virtus», dice Luca, componente del gruppo Forever Boys. Anche Claudio, sempre dei Forever Boys, è dello stesso avviso: «L'abbiamo insultato per 30 anni: non è degno di sedere sulla nostra panca. L'ambiente che troverà non gli piacerà». Decisa anche Arianna, che non dimentica il passato: «Lui professionista? Un professionista non parla male delle altre squadre per anni e anni». Interviene di nuovo Luca: «È un opportunista. Se Messina allenasse anche 50 anni a Treviso, non mancherebbe di rispetto alla Virtus. Il nuovo allenatore deve imparare che i tifosi si ricordano della parole». Così si comincia subito a parlare di 'nuova contestazione', dopo quella seguita all'esonero dell'11 marzo scorso: «Abbiamo fatto tornare Messina: così facciamo andare via Bianchini». Parole troppo a caldo, forse, ma che danno l'idea dell'umore nerissimo del popolo bianconero. Prova a sdrammatizzare Fabio: «Mi aspettavo un cartello: Siete su scherzi a parte...». Poi, terminata la conferenza, rimbomba il parere di altri tifosi. Gianluca Bovinelli, del Gruppo Vincere, i più vicini alla linea presidenziale: «È sempre stato anti-Virtus, è chiaro che non parte benissimo. Questo non vuol dire che lo insulteremo, ma la sua unica prova è il campo. E con lui la squadra, che da ora non ha più alibi». Mirko è ancora allibito: «Mi aspettavo di vedere chiunque, tranne lui». Il presidente Madrigali, come ha spesso fatto, ha poi tentato di spiegare le sue ragioni ai tifosi. Ai presenti, però, le parole del presidente sono sembrate una riedizione di quelle pronunciate il marzo scorso. «Se ci sarà una contestazione civile, è legittimo che la facciate: ognuno ha il diritto di esprimere il suo parere», ha chiuso comprensivo.

Al mattino con Boscia, al pomeriggio con Bianchini. Così i giocatori hanno subito sperimentato la nuova rivoluzione di Madrigali. E´ Frosini a commentarla, proprio lui che con il Vate, ai tempi della Fortitudo ebbe qualche polemica: «Quello era un momento amaro, avevamo appena perso lo scudetto, è passato del tempo. Comunque ora la proprietà ha fatto certe scelte e io gioco per la squadra, chiunque l'alleni. Cambiare allenatore due volte in nove mesi? Ci saranno motivi validi che sa il presidente. Di certo la squadra non ha reso e questo ha condizionato la scelta di oggi. Non abbiamo più alibi e siamo in discussione anche noi. Finora, tra l'altro, non siamo stati uniti». Anche Rigaudeau ha commentato la svolta: «L'abbiamo saputo a fine allenamento, dal presidente. Noi dobbiamo giocare e basta. Questo è un momento difficile e mi sento colpevole anche io. È come una mia sconfitta. Ora dobbiamo ripartire da zero. Bianchini? Di nome lo conosco».

 

"DEVO RIMETTERE LE COSE A POSTO"

Bianchini si accinge a far quadrare il cerchio tattico delle V nere. Oggi a Pesaro il più spietato dei test. "Ho detto a Rigaudeau che lui è il play: dopo Stockton è il migliore". Col francese nel quintetto titolare ci saranno Dial, Smodis e Frosini, ma resta un dubbio

di Alessandro Gallo - Il Resto del Carlino 29/12/2002

 

Dove eravamo rimasti? A Ungaretti e ai capitani di ventura? Oggi, o meglio, ieri, all'Arcoveggio, gli argomenti cambiano. Si passa dal rigore e dalla geometria euclidea  (di Messina) alla "follia" (di Tanjevic) per chiudere con la parabola, evangelica, dei talenti. La vigilia della trasferta di Pesaro si consuma così. Con Bianchini che continua ad avere in testa la qualificazione alla final eight di Coppa Italia perché, in fondo, basta un piccolo colpo di acceleratore (neppure troppo marcato), per migliorare.

"Dobbiamo riconquistare lo scettro - attacca Bianchini -, la corona. E questo mi aspetto dalla mia squadra. Per farlo dobbiamo ricominciare  a farlo dal nostro territorio, Pesaro è territorio di conquista".

Le truppe bianconere, sempre sconfitte in questa stagione lontano dal PalaMalaguti (almeno in campionato), cercheranno di saccheggiare quel Bpa Palas, che a marzo giocò uno scherzetto tremendo - il famoso -33 che costò la panchina a Messina - a una Kinder che aveva appena vinto la Coppa Italia.

"Io - insiste Bianchini - devo solo rimettere le cose a posto. In un gruppo che fu di Messina e del suo straordinario rigore. Della sua geometria euclidea. Un gruppo che poi è stato avvolto dalla "follia" di Boscia. È con i folli, che cambia il mondo. E, intendiamoci, "follia" lo reputo un aggettivo positivo, nel senso di geniale. Per le grandi intuizioni di Tanjevic.

Non c'è molto spazio per gli avversari - se non parole di elogio per Scavolini e la sua lungimiranza - perché la Virtus deve guardare soprattutto a sé stessa.

"Da questo punto di vista - insiste Bianchini - ho una filosofia opposta a quella di Tanjevic: perché io sono per la divisione dei ruoli. Ho detto a Rigaudeau che lui è il nostro play. A Roseto, del resto, dove avrei potuto prendere un sacco di neri aitanti e veloci, ho preferito Rannikko. Perché il basket è quel meraviglioso gioco del college. Per me, nonostante abbia quarant'anni, John Stockton resta il migliore. Ma dopo Stockton, al mondo, c'è il nostro Antoine. Poi abbiamo Dial, che non conoscevo, ma che si può completare bene con Rigaudeau, perché ha atletismo. I due potranno scambiarsi i ruoli in partita".

Ma la prima opzione, per far ragionare la Virtus, avrà un nome e un cognome di origini francesi, Antoine Rigaudeau. Bianchini ha già in testa il quintetto che oggi, alle 18,15, comincerà la gara con Pesaro. Il quintetto titolare dove, accanto a Rigaudeau e Dial, troveranno spazio Smodis e Frosini. Resta scoperto il ruolo di numero "tre".

Valerio l'ha già individuato, ma vuol fare una sorpresa, oggi, al Bpa palas. Lui, in modo netto, ha indicato le tre ali piccole: Sekularac, Avleev e Brkic ("sarebbe un delitto - dice di lui Bianchini - non farlo giocare"). L'impressione è che il russo - "gli ho detto solo di guardarmi negli occhi, senza tanti giri di parole, perché tanto fatichiamo un po' a comunicare" - sia un po' ai margini. E che, viceversa, Valerio voglia riportare in  auge la freschezza di Sekularac e Brkic. I due, a Pesaro, potranno sbizzarrirsi.

...

 

BIANCHINI E UN BASKET DA RIFARE

di Walter Fuochi - a Repubblica - 07/01/2003

 

Valerio Bianchini, ma chi gliel’ha fatto fare di venire a Bologna a prendersi questa brutta copia della Virtus? Decima in classifica non era da trent’anni.

Sennò mica mi chiamavano, no? Dovrò fare miracoli, pazienza. Per adesso, ho esordito a Pesaro e hanno fatto il record di spettatori, alla prima a Casalecchio è tornato al basket Lucio Dalla...

Dovrà anche vincere qualche partita e tirar su la squadra.

Lo so, e sarà dura. Perché da fuori avevo la percezione che, cambiando cinque stelle su dieci (Ginobili, Jaric, Griffith, Abbio e Bonora), più Messina, che era stato lo psicodramma cittadino, rimettersi in volo era dura. Da dentro, invece, è durissima. Perché bisogna rifare una squadra che, a un normale cambio istituzionale, ha aggiunto un terremoto tecnico, poi sviste e infortuni a catena, e infine pezze e rabberci. E questa squadra da rifare è una Juventus, con tutti i simboli e le aspettative del caso.

Ci ha già fallito un monumento come Tanjevic.

Già, ed era l’allenatore ideale, perfino ovvio, per quella situazione. Se la scommessa era che servivano grandi giocatori per riaprire un ciclo, Boscia era quello che dal nulla aveva inventato Gentile, Bodiroga, Fucka. Solo che, a Caserta o a Trieste, aspettavano 5-6 anni, a Bologna 5-6 giornate. Ma quando muore un ciclo è una tragedia. La provai a Pesaro, e allora le squadre sfiorivano per senescenza. Adesso non sei fritto perché Magnifico smette, ma perché te li frega la Nba, dall’oggi al domani. Ginobili, nella Virtus, valeva Jordan nei Chicago Bulls.

Sta aspettando nuovi giocatori?

Sì, un play al più presto, e poi un’ala. Perché i lunghi ci sono, ma dietro siamo pochi e Rigaudeau è l’unica certezza. Il cuore restano i 4 uomini del sistema Messina (Rigaudeau, Frosini, Smodis, Andersen), cui i nuovi non si sono saldati, provocando anzi dei rigetti. Su quei 4 dovremo ricostruire. E sull’imprinting di Messina. Poi, si trova quel che si trova. Una volta, la Nba era un’alleata, non una nemica. Non solo ci lasciava gli europei, che adesso razzia, ma ci spediva pure grandi giocatori. Io presi a Pesaro Darren Daye, e vinsi lo scudetto, perché dopo aver sostituito in tre belle partite Bird a Boston, alzò la cresta: visto, sono pronto? Rientrò Larry e si trovò in Italia. Dove una volta poteva arrivare un McAdoo. Non ora: guadagnano di più, là, pure se guardano gli altri che giocano.

Torniamo qua. A parte il decimo posto, a parte la finale di Coppa Italia che non farete, ha trovato pure il mitico pubblico virtussino dimezzato, da seimila a tremila.

Certo, un problema in più. Ma credo fosse legittimo che Madrigali, ereditata la Virtus di Porelli e Cazzola, volesse fare la sua come la vedeva lui. Prima, Messina era tecnico e manager, lui voleva scindere l’incarico, però è finita come si sa e si sa pure che il popolo non accetta l’oltraggio alle sue icone. Sul calo dei paganti, s’è innestata pure la crisi dell’euro: quando ci siamo accorti che tanta roba costa il doppio, il biglietto per lo sport è stato fra i primi tagli. Infine, disertare il palasport è diventato il segno della protesta. Ma Bologna non può dare in testa a un presidente come Madrigali che spende miliardi. Anzi, più che Bologna, tutto il basket italiano non può perderla, Basket City.

Eppure, non era mai stata così malata.

Direi più sulla sponda Virtus, una decadenza dell’impero che prostra tifosi abituati bene. La Fortitudo è nona, ma è un popolo meno deluso, perché s’è poco illuso. La sua unica illusione, anzi, è che Seragnoli non si stanchi di metter soldi. Ma se il basket perderà Bologna sarà una tragedia. Dopo la Milano craxiana e petersoniana, gli anni '80 in cui l’Olimpia si sentiva la 24a squadra Nba, Bologna ha tenuto su tutto, coi suoi due palasport, quando nessuno rifaceva quello di S. Siro crollato sotto la neve, con la sua inventiva, anche con le follie della sua irripetibile utopia.

Bianchini, ogni volta che rientra, trova un basket più piccolo.

No, trovo un basket che, dopo il suo boom di sport moderno e laico, staccato dalla religione calcio, l’ha seguito nelle porcherie peggiori. Ma il calcio, come le religioni, sopravvive anche agli scandali. Gli altri no. Specie se poi il calcio si mette a divorarti, chiudendo il rubinetto del Toto e gli accessi in tv, perché ha sempre più bisogno di soldi, fino a che il moloch divorerà se stesso. Intanto, il basket distruggeva i vivai, andava in totale deregulation col mercato aperto, non formava una nuova classe dirigente.

E allora lei, Bianchini, era perfino finito in Malesia. A farci cosa?

A cinquant’anni, avevo visto un mondo, e ce n’erano altri mille da vedere. In Asia avevo amici, ho fatto pure clinic di basket in India e Sri Lanka, e ho aperto in Malesia un ristorante italiano. Non è andata bene, non c’era turismo.

E poco più d’un anno fa, quando si prese la polmonite virale, come andò quei due mesi in ospedale?

Che non pensai mai al peggio, perché la natura umana ti fa ignorare quanto stai male. Piuttosto, essendo capitato nel periodo in cui tutto il basket andava in tv sul satellite e io in clinica non l’avevo, pareva m’avessero amputato quarant’anni di vita. Come zio Vanja, avevo fatto una cosa che non esisteva più, e dubitavo d’aver vissuto. Per questo, quando sono uscito, ho accettato l’incarico di manager a Roseto. Mi bastava riannodare i miei fili, anche in provincia, anche senza panchina. Adesso ho addirittura quella della grande Virtus.

Il Vate ascolta i preziosi consigli tecnici di Lucio Dalla (foto tratta da LaRepubblica.it)

BIANCHINI AL CAPOLINEA: «ADDIO ALLA PANCHINA, ORA VOGLIO LA POLTRONA»

«Con la Virtus pronto a chiudere, farò il dirigente»

di Flavio Vanetti - Corriere della Sera - 05/05/2003

 

Valerio Bianchini, sinceramente: ha sperato di evitare alla Virtus l'onta di mancare per la prima volta i playoff?

No. Immaginavo che Varese avrebbe vinto con la Fortitudo: noi non eravamo più arbitri del nostro destino. Poi abbiamo pure perso con Siena...

Che cosa c'è nel «day after»?

Soprattutto il dolore al braccio destro, rotto giorni fa mentre sedavo la rissa tra due miei giocatori. Temo che a ogni cambio di tempo mi rammenterà questa esperienza...

Ovvero, il Disastro con la «d» maiuscola.

Sono arrivato in un momento difficile. Il club tentava di passare nel modo più diretto possibile dai successi di questi anni a un nuovo ciclo di vertice. A quattro veterani ha affiancato volti nuovi. Ma la saldatura non è riuscita nemmeno a Tanjevic, colui che ho sostituito.

Colpa, secondo lei, di uno psicodramma collettivo.

Sì, legato al pasticcio con Ettore Messina, l'anno scorso: dapprima esonerato, poi reintegrato. I tifosi si sono contrapposti al presidente Madrigali oltre il pensabile: il palasport si è trasformato in un teatro della Grecia classica, con i personaggi del coro ad avere un ruolo chiave nella rappresentazione e, soprattutto, nella censura degli attori.

Che cosa c'entra con l'amalgama del gruppo?

I nuovi si sono sentiti rifiutati e la frattura s'è allargata. Quanto ai veterani, c'è chi se l'è data a gambe.

Allude a Rigaudeau?

Il suo addio per inseguire un vacuo sogno Nba è stato un segnale drammatico. Era il capitano, la Virtus gli aveva permesso di diventare "Le Roi": se n'è andato in piena crisi, rifiutando le responsabilità. E gli altri hanno mollato.

Ma come perdonare il presidente e certe sue scelte?

Madrigali ha sbagliato quando non ha trovato un accordo con Messina, dopo lo slam del 2001. Ettore era diventato un'icona e le icone non si spaccano sugli altari.

Chi gliel'ha fatta fare di mettersi nei guai?

Amo la vita spericolata...

Cacciato da Milano e ancora prima da Roma; incapace di vincere come un tempo: Bianchini è «bollito»?

Forse, ma non me ne do pena. I dubbi su me stesso li ho dal primo giorno in cui sono nel basket. Se non fosse così, sarei Ataman, coach di Siena: si sente l'unto del Signore.

Lei, anni fa, ha guidato pure la Fortitudo: ora diranno che Bianchini era un hacker nella Virtus. (risata)

Mi pare che la Fortitudo non abbia brillato, nell'anno nero dei cugini... Peraltro, è bene che i due club lavorino assieme per risalire. E si rifletta sulla tendenza a "sparare" contro i proprietari. In un sistema basato sul mecenatismo, essere ostili ai Madrigali, o agli Scavolini, equivale a suicidarsi. Nel seppellimento della Virtus c'è un aspetto da salvare: il desiderio di riscatto del suo padrone.

Quanto le pesa questa disfatta?

Poco: la mia forza è di aver sempre qualcosa da dire. Mi avvio ai 30 anni di carriera in serie A: posso guardare al movimento con occhi diversi da quelli di certi parvenu. Negli Usa gli allenatori esperti arrivano a comandare; in Italia, invece, diamo il potere agli ex arbitri: non dispero che le cose cambino.

Il «popolo» voleva il suo scalpo: è un'umiliazione?

No, pure le esperienze negative sono utili. Ma il basket si sta adeguando ai riti del calcio.

Il comunicatore perde appeal...

Negli anni 80 allenavo ragazzi con un'identità precisa. La globalizzazione ha fatto perdere certi valori e ora tutto ruota attorno ai guadagni. Un tempo i giocatori andavano dai presidenti-papà; oggi vanno dai manager: non è proprio la stessa cosa.

C'è un rapporto lacerato tra la Virtus e Bologna.

Bologna non perderà la sua passione e soprattutto non è rappresentata da una ventina di dropout, di emarginati, che vanno alle partite con gli insulti già preparati.

Che ne sarà di Bianchini?

Userò il braccio sano per scrivere: desidero sfogarmi. Sarà difficile che rimanga a Bologna, nonostante abbia un contratto; insomma, sono pronto a farmi da parte. D'ora in poi mi proporrò come dirigente: con la panchina, in linea di massima, ho chiuso.

IL VATE

di Jack Bonora - VMagazine - Dicembre 2011

 

Valerio Bianchini mi stava antipatico e non poteva essere altrimenti: io ero un bambino che tifava Virtus e lui allenava un'altra squadra. Per era un signore piccoletto che stava seduto sull'altra panchina e, quindi, era contro di noi: ricordo il pubblico bianconero ch elo offendeva e io mi univo infantilmente al coro. Trent'anni dopo lo chiamo al telefono per intervistarlo e, ovviamente, è tutto cambiato. Non è più, per me, un nemico, ma un signore che è stato un grandissimo allenatore e comunicatore e che si dimostra disponibilissimo, tanto che alla fine della lunga chiacchierata ci scambiamo l'amicizia su facebook e gli auguri natalizi.

Da dove partiamo coach?

Che ne dici se partiamo proprio da quando eri bambino, da quei primi anni 80 in cui con la tua squadra mi sono giocato due finali scudetto? Sai, posso capire che ti sia innamorato della Virtus, perché dei di Bologna, certo, ma come si faceva a non innamorarsi di campioni come Cosic, McMillian e compagnia? Una vittoria a testa: nel 1980 la Virtus, nel 1981 Cantù. In entrambi i casi gli infortuni hanno avuto il loro peso, ma non posso dimenticare una Sinudyne che ci portò alla terza artita giocando senza il "Duca nero" che si era rotto un ginocchio e Marquinho con un dito fuori uso. Al tempo i due stranieri facevano la differenza e gli italiani giocarono come leoni".

Com'era entrare al "Madison" di piazza Azzarita?

Emozionante. Porelli creò un impianto unico nel suo genere: un muro di folla vicino al campo, l'organo che faceva da colonna sonora e nessun cartellone pubblicitario. Una miscela di calore ed eleganza ineguagliabile. L'Avvocato era geniale, riuscì a dare una dimensione europea alla V nera".

E pensare che lei disse che Bologna di internazionale aveva solo i tortellini e Lucio Dalla...

Ah, ah, ah, hai ragione! Vabbè, ti racconto come andò. Era il 1984 e io avevo appena vinto con il Bancoroma la Coppa dei Campioni, il Corriere dello Sport mi intervistò e buttai lì quella battuta dicendomi: "se l'Avvocato è un goliardo, come dice sempre, allora lo sono anch'io". Lui, invece, si arrabbiò di brutto e la tirammo avanti per un bel po'. A posteriori e pensando che Bologna è la città dell'università più antica del mondo, dissi una cosa ignorante: peggio anche dei tiri di Basile!

Del passato lontanissimo ne abbiamo parlato, adesso dobbiamo parlare di quello più recente...

Lo so, e un po' mi dispiace, perché per me è più bello cullarsi in quello più lontano che mi ha regalato ben più soddisfazioni: sono stato su entrambe le panchine bolognesi e non è andata come avrei voluto.

Cominciamo con la Fortitudo.

Ho sostituito Sergio Scariolo e questo, adesso lo posso dire, è avvenuto anche perché Carlton Myers lo avevo allenato a Pesaro, spingeva perché arrivassi io.

Com'era Carlton?

In quel periodo era nel pieno dei suoi mezzi atletici e tecnici, probabilmente il terzo italiano di sempre copo Dino Meneghin e Pierluigi Marzorati. Il suo problema era il rapporto privilegiato con Seragnoli: aveva un peso superiore rispetto agli altri giocatori e questo non piaceva a nessuno, me compreso.

Però in quella finale del 1997...

Ah, beh, fu spettacolare! Il problema è che tutto ci girò storto. Noi che sbagliamo un paio di tiri con i piedi per terra, Pittis che indovina un tiro da tre che proprio non era nel suo repertorio... Zancanella che ci fischia un paio di cose opinabilissime: diciamo che giocare a Treviso allora era molto dura, perché aveva un peso politiconotevole. Però, sai, di finali ne ho giocate tante e la differenza la fa un pallone, se va dentro vinci, sennò perdi: pensa alla tripla di Douglas o a quella di Danilovic...

Andiamo già al 1998?

No, pazienza, ce n'è ancora. Dopo la delusione è tempo di rituffarsi nel lavoro per provare a vincere lo scudetto sfuggito per un soffio e io punto desico su Johnny Newmann, ala dei Knicks. Sono in America per incontralo e mi arriva la comunicazione che Seragnoli ha preso Dominique Wilkins. Non è il giocatore che voglio ma mi adeguo: so già che disporrò di una squadra fortissima ma difficile da allenare. E infatti è così, perché a sinistra ci sta lui e la destra Myers, il problema è che se la palla va da un lato poi non torna mai dall'altro... La nostra fortuna è stata prendere un fenomeno assoluto come David Rivers, un uomo che avrebbe potuto comodamente fare trenta punti a partita e, invece, ha scelto intelligentemente di giocare per la squadra, dando un pallone a destra e uno a sinistra. Troviamo, insomma, il nostro equilibrio e vinciamo il primo, storico, trofeo della Fortitudo, la Coppa Italia. Il capolinea per me arriva con il dfamoso "neuroderby". Savic come sua bitudine provoca Fucka, finisce con una scazzottata generale epocale, ma noi finiamo tutti espulsi, guarda un po', e loro no: e perdiamo. Questa sconfitta fu il pretesto per Giorgio Seragnoli, a cui non stavo simpatico e la cosa era assolutamente ricambiata, per esonerarmi. Non lui, ovviamente, di persona, perché, si sa, ad assumerti è sempre il padrone e a cacciarti un suo subalterno. Approfittarono di un mio stato influenzale per farmi sapere, per vie traverse, che non ero più l'allenatore della Fortitudo.

Bella mossa.

La peggiore. Perché, al di là dei modi, esonerare un coach una settimana prima dei playoff è come licenziare il Direttore della Rinascente una settimana prima di Natale. In ogni modo arrivò Skansi che pensò bene di far giocare Wilkins come ala forte, vicino a canestro e, a mio parere, commise un grave errore, perché Dominique era fantastico se partiva da lontano e poteva giocare più palloni. Ma è normale che se dai la squadra di punto in binaco a uno che non la conosce minimamente non puòc he portare uno svantaggio. Io avevo piena coscienza di ogni singolo meccanismo: ti ricordi quando misi galanda su Danilovic enon gli fece toccare una palla? Ma del resto Seragnoli era questo, un uomo con le sue ricchezze e le sue miserie.

Ma se lei fosse rimasto sulla panchina della Fortitudo come sarebbe andata a finire?

Avrei vinto il mio quarto scudetto, non ho dubbi. Detto ciò resta il fatto che quel tricolore la squadra l'ha perso perché era nel destino, c'era una sorte di disegno superiore, quasi divino. Danilovic che mette la tripla, Wilkins che lo sfiora con la mano, Zancanella che fischia, Rivers che si palleggia su un piede: qui qualcuno è intervenuto dal cielo!

Lo penso anch'io e penso pure che tifasse Virtus! Passano cinque anni e la ritroviamo sulla panchina bianconera...

Ho commesso un grave errore ad accettare, sono stato un imbecille. Facevo il dirigente a Roseto e dovevo capire l'aria che tirava: il fatto che quel Madrigali avesse cacciato Messina e l'avesse ripreso  una settimana dopo era un chiaro segnale, e io non l'ho percepito. Sostituì Tanjevic e io sbaglia tutto quello che potevo sbaglaire, a cominciare dal richiamare Murdock che non stava più in peidi. Poi arrivò il crollo finanziario e le cose precipitarono.

Ci rimise anche un braccio...

Mi vuoi far raccontare proprio tutto... Ok. Allenamento 5 contro 5, Brkic e Gagnuer litigano pesantemente e si mettono le mani addosso, anzi, finiscono avvinghiati sul parquet a darsele di santa ragione. I compagni li separano e la cosa sembra placarsi. David va verso la panchina e si cambia la maglia, Yannicj va a prendere lo spazzone e tutti pensiamko: "in fondo è un bravo ragazzo, ha capito di avere ecceduto e adesso va a pulire...". Ci sbagliamo perché punta dritto alla nuca di Nrkic! Nessuno dei miei giganti interviene e, allora, lo faccio io e mi becco un colpo che rompe un braccio. Se non mi fossi frapporto oggi questo ragazzo, forse, sarebbe in carrozzina e, onestamente, la ritengo la cosa più bella che ho fatto da quando sono nel absekt: ne vado ancora orgoglioso.

L'avventura con Madrigali sispegne ingloriosamente e non per colpa sua, l'incontro con Sabatini come va?

Niente di entusiasmante. Avevo il contratto anche per l'anno a venire e lui mi offre il 10%, alla fine chiudo col 30% come tutti i giocatori che accettano la transazione. Ma la situazione, ormai, era quella che era e non posso non riconoscere a Claudio di avere fatto un grandissimo lavoro per salvare la Virtus rovinata da altri.

Questo è Valerio Bianchini, uno dei più grandi allenatori italiani che a Bologna, se lo avessero messo nelle condizioni, avrebbe potuto dare tanto, tantissimo di più e che si è accorto, dopo qualche anno, che non siamo solo tortellini e Lucio Dalla...

BIANCHINI A V vs F SU RADIABO

di Ezio Liporesi - Cronache Bolognesi - 02/04/2021

 

Recentemente Valerio Bianchini, allenatore di prima piano della storia della pallacanestro italiana, è stato ospite a V vs F, la trasmissione che ripercorre la storia di Virtus e Fortitudo, in onda il martedì alle ore 19 su Radiabo, con la conduzione di Andrea Marcheselli, Fabrizio Pungetti e il sottoscritto.

"A Bologna sono stato benissimo, è una città in cui è piacevole vivere, non solo per il basket, ma è un luogo ideale per chi ama la cultura e il bel vivere; la prima volta ero venuto anche con la famiglia, i figli andavano a scuola, è stata una bella esperienza. Stavo per andare ad andare ad allenare a Parigi, fu Myers a convincermi a venire a Bologna. Il primo anno alla Fortitudo perdemmo la finale, sarebbe stato sufficiente cambiare pochissimo, mantenendo l'assetto che aveva già fatto così bene, ma il patron prese Wiilkins. Avevo già scelto l'americano per il ruolo di ala piccola, Johnny Newman, un'ala piccola con tiro da fuori; ero in America nella sua bellissima casa, poco fuori Washington, con un campo da basket davanti al giardino, con tanti ragazzi che giocavano. Mi fece salire nella sua camera a visionare i suoi highlights (che io ho sempre detestato perché sono finti) ma mi telefonò Toni Cappellari e mi disse: lascia perdere, il presidente ha preso Dominique Wilkins. Non era un'ala piccola, piuttosto un giocatore che giocava vicino a canestro, ma mi avevano preso Wilkins, non mi potevo lamentare. Io ero imbarazzato, perché avevo già Fucka e Galanda, poi Chiacig; a Bormio gli chiesi dove voleva giocare e lui rispose che ero il coach e che avrebbe giocato dove voleva il coach. Vincemmo la Coppa Italia con Galanda a marcare Danilovic, uno dei miei fiori all'occhiello dal punto di vista tattico di cui vado più fiero. Solitamente l'accoppiamento era Myers - Danilovic, quella volta ebbi l'idea di marcare quest'ultimo con un giocatore più alto. Avevamo una squadra forte ma non facile da allenare. Wilkins era formidabile nell'uno contro uno, anche nell'uno contro due, anche contro tre, ma non passava mai la palla, c'era poi Myers che anche lui amava aver la palla; fortunatamente c'era un grande playmaker, David Rivers, che calibrava i passaggi, a Wilkins, a Myers, al centro Chiacig, poi c'era Galanda, c'era Fucka. Poi arrivò l'esonero dopo i derby di Eurolega: io ero convinto che potessimo ancora migliorare, ma Seragnoli, con il quale non ci prendevamo per nulla (per colpa mia perché non bisogna pensare solo ai giocatori ma anche saper ascoltare i desideri della proprietà, avrei dovuto essere più duttile), non la pensava così. Cambiare subito prima dei playoff fu un errore, resta il rammarico. Arrivò poi Skansi, che lo fece giocare vicino a canestro, ma chi gioca in quel ruolo ha bisogno di chi gli passi la palla. Più tardi arrivai alla Virtus, fu un errore, ero dirigente a Roseto e stavo bene, ma mi feci ingolosire dall'offerta delle V nere. La Virtus due anni prima aveva esonerato Messina e poi riassunto, Venni a sostituire Tanjevic, ma c'erano problemi, il proprietario Madrigali aveva difficoltà, Rigaudeau a un certo punto andò nella NBA, insomma non fu un'esperienza felice. La pallacanestro per anni ha aspettato i mecenati, si è adagiata su queste cose, non ha pensato a strutturarsi, ai vivai, al marketing, a essere appetibile per le televisioni. Anche a livello dirigenziale non c'è più il fervore che c'era negli anni '70, che poi ha fatto vivere di rendita anche negli anni '80, mentre negli anni '90 è stata solo la Virtus a tenere alto il movimento. Dopo il sistema è crollato, la perdita del vincolo, la crisi economica. Oggi siamo di fronte a una mutazione tecnica: c'è poca lettura delle difese, il sistema di gioco è troppo casuale e ripetitivo, si fanno sempre le stesse cose, si penetra e si scarica, si cerca un tiro da tre, la palla arriva ai tiratori abbastanza casualmente; solo la Virtus utilizza per fortuna ancora i centri. Ai miei tempi si cercava di fare di tutto per preparare giochi per i tiratori come Myers e Riva, oggi resto sbalordito, di fronte a una filosofia del gioco, Belinelli diventa un giocatore come gli altri costretto a tirare marcato, poi riesce a emergere con il suo talento; la leadership di Teodosic è anche condizionante, ma non per colpa di Djordjevic, ma per il sistema attuale del basket. Il gioco è abbastanza noioso, a tenere alto l'interesse ci sono le azioni individuali, il grande atletismo, il pathos delle partite sempre in bilico, perché con il tiro da tre si riescono anche a recuperare grandi passivi, ma si potrebbe fare di più. Il derby era qualcosa che si aspettava tutto l'anno, la settimana prima del derby si camminava sui carboni ardenti, si stava sopra un vulcano che stava per esplodere, poi esplodeva dentro il Palazzo dello Sport. C'erano grandi personaggi, straordinari giocatori. Anche oggi il roster della Virtus è straordinario, tuttavia questa realtà non riesce a trasformarsi in leggenda, forse perché i giornalisti sono meno epici di un tempo, mancano le grandi dichiarazioni di Myers e Danilovic ma anche per l'assenza del pubblico, l'ambiente è estremamente asettico. Oggi Bologna è working progress perché soprattutto per quanto riguarda la Virtus costruire una squadra non è solo formare un insieme di giocatori, ma deve essere costituita da tutto un sistema coeso, per fare una squadra vincente".