"SONO VENUTO PER VINCERE. LA SERIE A, POI IL DERBY"
Grinta pura per la Virtus
di Alessandro Gallo - Il Resto del Carlino - 28/11/2003
Del pivot non ha l'altezza. Ma lui, risponde a questa obiezione, battendosi prima il cuore e poi la testa. Spiegando che alle volte si può sopperire alla mancanza di centimetri con altre caratteristiche.
Andres Ricardo Pelussi ha tutte le carte in regola per diventare un protagonista, a modo suo, dell'Adidas Sport Week Cup. Basta ascoltarlo. Pelussi il suo soprannome è "Gringo", ma con quella protezione, all'avambraccio, sembra un po' Russel Crowe,
Si ritrova nei panni del "Gladiatore"?
"Beh, l'idea mi diverte (ride, ndr)".
Ma perché gioca sempre con quella protezione?
"È una lunga storia".
Ce la racconti.
"La causa di tutto è un incidente, capitato qualche mese fa. Mi sono scontrato con due cavalli..."
Prego?
"Proprio così, stavo guidando, era buio. L'auto è finita contro due cavalli. La mia fidanzata, per fortuna, non s'è fatta nulla".
Lei no. Ma per il "Gringo" quindi conseguenze.
"Direi 24 giorni di ospedale, qualche cicatrice e qualche osso rotto. Compreso quello dell'avambraccio, fissato ora da due placche tenute unite da 16 bulloni".
Non è doloroso?
"No, alta tecnologia. Non fa male".
È vero che in campo picchia?
" È il mio modo di giocare".
Anche i compagni?
"In allenamento tocca anche a loro. Intendiamoci, è solo agonismo, nulla di più".
E i capelli li tiene lunghi per accrescere la sua fama da guerriero?
"No, da 6-7 anni ho deciso di tenerli così. Non ci sono secondi fini".
S'è fatto male, vero?
"Sì, un piccolo stiramento alla gamba".
In forse per domenica?
"Non mi alleno oggi, ma domani (oggi, per chi legge, ndr) torno in campo".
Sicuro?
"Sì, voglio giocare".
La stessa grinta che le permette di giocare sotto canestro, giusto?
"Cosa c'è di strano?".
Lei, del pivot, non ha la statura classica.
"Vero, ma io voglio giocare in quel ruolo, posso farlo. L'ho sempre fatto. Come in Argentina, dove ho vinto tanto".
Ha giocato a calcio?
"Sì, anche a calcio, poi ho scelto il basket. Fino a 16 anni sono stato nella squadra del mio paese, poi mi sono trasferito a Cordoba, dove sono rimasto per 9 stagioni, vincendo tanto".
Poi l'Italia.
"La Virtus. Che ho scelto per vincere ancora. Il mio scudetto, si chiama promozione in serie A. potevo andare in Spagna, ma i miei erano di Fontaneto d'Agogna, in provincia di Novara, per questo ho voluto l'Italia".
La presenza di Masieri e Martin l'ha aiutata?
"Certo, due connazionali come loro...".
Ci sono anche Delfino e Prato.
"Patricio giocava con me, Carlos lo conosco. Mi hanno già parlato del derby. Vorrei giocarlo".
PELUSSI: "VIRTUS, TI CONQUISTERO'"
di Marco Martelli - La Repubblica - 24/10/2004
Nella Virtus che oggi affronta Trapani, e in quella che sette giorni fa ha piegato Scafati, torna a stagliarsi la mole di Andres Pelussi. Venerato fin dal primo giorno da un pubblico bisognoso di icone, malgrado non fosse né Ginobili né Sconochini, idealizzato benché, da uomo d'area, avesse statura modesta, nell'ultima estate "El Gringo" argentino è stato capace di convincere una parte dello staff tecnico bianconero, inizialmente tentennante. E adesso torna a graffiare: la prima volta in casa, oggi, di un anno che tutti vogliono più bello di quell'altro.
Pelussi, che cos'è per lei Bologna?
Una città bellissima, di cui mi sono innamorato subito. È sicura, si cammina tranquillamente, quando guidi non hai mai paura. Nel basket, la reazione dei tifosi è stata subito incredibile: francamente, non ho parole per descriverla. Poi, Bologna mi ha aperto le porte del basket europeo e della Virtus.
E la Virtus cosa significa?
Quando ci penso, so di essere molto fortunato ad essere arrivato dall'Argentina alla società migliore d'Italia e d'Europa. Una società che ha vinto tanto, tutto, e che ora dobbiamo riportare là in alto: serie A1 ed Europa.
Questa Virtus di che pasta è?
È un gruppo bello, tranquillo, giovane. E che lavora duro, oltre a saper bene qual è l'obiettivo: vincere, facendolo con concentrazione e responsabilità.
Sembra tutta un'altra cosa, rispetto all'anno scorso.
No, solo le persone sono diverse. Anche l'altro era un gruppo bravo, con giocatori importanti: diverso perché c'erano cinque americani, ma ci si allenava bene ugualmente. Io sono contento di aver avuto e conosciuto quei compagni.
Tanti compagni, tre allenatori: Ticchi, che l'ha portato qui, Bucci, Consolini.
Ticchi l'ho conosciuto poco, purtroppo: il lavoro però è così, e a un allenatore tocca lasciare, come a un giocatore. Ma da tutti e tre, come da quelli che ho avuto in Argentina, ho preso qualcosa. Un allenatore è una persona che ti aiuta a migliorare.
A Consolini piace il suo tiro. Forse non gli dispiacerebbe vederne, prima o poi, qualcuno da tre.
Ah sì? Io so di essere capace, ci lavoro e tiro spesso. Ma in campo faccio quello che mi chiede lui: alla squadra serve che Pelussi difenda, prenda rimbalzi, e quello faccio. Se poi avesse bisogno, non ho problemi.
In estate, in diversi momenti, pareva che alla Virtus non sarebbe rimasto. Come viveva quel periodo di attesa?
Tranquillo. Aspettavo la decisione della Virtus, perché la decisione era solo loro. Fosse per me non cambierei mai: ho ancora contratto, qui ho una casa e una città che mi piace, e qui vorrei vincere.
Sempre in estate c'era la nazionale argentina. Lei è stato uno degli ultimi tagli: come dire, un oro olimpico sfumato per un soffio.
Eravamo 14-15, qualcuno doveva restare fuori. Alla fine è stato più o meno il gruppo del Mondiale 2002, quando stetti a casa per la pubalgia. Sarebbe stato bello, sì, ma sono troppo contento per quello che hanno fatto. Chissà se mi ricapita fra tre anni.
Delfino ha detto: io, uno come Pelussi, lo vorrei sempre.
Carlos è grande, e qui in Italia non avete ancora visto niente, per me. Ha solo 21 anni: può fare cose incredibili, ha talento puro. Vederlo giocare mi diverte, e mi piace proprio.
Cosa le manca dell'Argentina?
Le persone. Non tanto lo spazio fisico, perché qui sto benissimo: ma gli amici a Suardi, la famiglia, i miei nipoti.
I giocatori argentini, che spopolano in Europa e ora vincono anche nel mondo, hanno qualcosa in più?
So che si formano qui in Europa, Italia o Spagna. Sconochini ha aperto la strada, dieci anni fa, e anche Oberto è qui da 6 o 7. Qui si migliora, si gioca in campionati di livello, si fa l'Eurolega. E si vedono i risultati: argento ai mondiali, oro ad Atene. Il miglior pivot? Scola.
Dopo una stagione e qualche mese in Italia, vista la nostra A1, Pelussi potrebbe starci?
Non lo so, io voglio stare con la Virtus. Qui ho contratto, e non m'interessa se in A2 o in C2. Poi sarebbe bello arrivarci con la Virtus, in A1.
Nel caso, tornerebbe il derby. Avrebbe voglia di giocarlo?
Come no... Me ne ha parlato Hugo, me ne ha parlato Ginobili, anche se non c'è me ne parlano anche qui. Io ci spero.
Ultimo ritratto: Sabatini, il suo patron.
Mi fa una bella impressione, è una persona che rispetto tantissimo. Abbiamo fatto anche un paio di gare di tiro da tre: io ho vinto la prima, lui la seconda. Aspetto volentieri Gara 3.
PELUSSI: 'VOGLIO VINCERE, ANCHE DA CAPITANO NON GIOCATORE'
di Marco Martelli - La Repubblica - 15/04/2006
Gioca da capitano, vive da capopopolo, anche se dalla panchina s'è alzato poco, ultimamente, pure a causa di un dito malmesso. Ma oggi Andres Pelussi, unico giocatore reduce dal biennio di LegaDue, simbolo per molti virtussini della rinascita della Signora, vuole che il derby sia la sua partita.
Pelussi, che gara sarà?
In carriera non sono mai entrato in campo chiedendomi cosa sarebbe successo. Io vado per vincere, sempre. Anche quand´ero in Argentina.
Là, che rivalità c'era?
Boca Juniors, senza dubbio. Per le finali rispolveravano il vecchio Luna Park, teatro degli incontri di pugilato, un'arena da 15 mila posti. 12 mila erano nostri, una serie la chiudemmo 4-0. Ma una rivalità che si vive come qui, tutto l'anno, non l'avevo mai vissuta. Anche se all'andata, quando entrai in campo, pensavo di averne già giocate altre, di quelle partite. Forse perché ne sento parlare dal primo giorno in cui sono arrivato, e in più avevo i racconti di Hugo e Manu.
Per voi, non è il miglior momento dell'anno.
Non sono d'accordo. Abbiamo vinto partite importanti, come Siena e Livorno, e Biella ci ha fatto capire che se non diamo il 100% veniamo bastonati. E ce l'ha fatto capire anche Markovski.
Pelussi, al primo anno di A, quanto ha dato finora?
Il 100% in ogni allenamento, perché la Serie A era un sogno. Mi sento bene a giocarci, dopo due anni di sofferenza e obbligo di vincere. Quando sono in campo sto benissimo. Finora il campionato è stato splendido: abbiamo sbagliato un paio di partite ma anche fatto un paio di imprese.
Con Siena e Roma, in casa, Pelussi fu una chiave difensiva.
Mi auguro di esserlo anche oggi. Io so quel che posso fare e conosco i miei limiti. Siamo tutti importanti, non solo io, e se gioco zero minuti e vinciamo, sono contento lo stesso. Perché non mi piace parlare di me.
È stata una vigilia di schermaglie. Ha letto?
Sì, ma non m´interessa chi costa di più. Poche volte guardo con chi gioco, se costano tanto o sono nazionali. Anzi, se lo sono, meglio: mi carico di più. Io ho il mio lavoro di giocatore.
Cosa le piace della Fortitudo?
Niente. Neanche il nome.
L'avrà vista giocare, però. Pericoli pubblici?
Sono sincero, non la guardo. Credo dipenda da noi, non ho tempo di guardarli. Loro sono bravi, costruiti per andare anche alla Final Four di Eurolega, ma io guardo a noi. E so che se entriamo con la nostra intensità, non c´è bisogno di pensare a ciò che fanno loro. Sono convinto di quello che abbiamo fatto in queste 27 partite, segreti non ce ne sono: giocare la nostra pallacanestro. Non è mancanza di rispetto: rispetto la Fortitudo come Roma e Reggio Calabria, per me tutte sono uguali. Sono convinto sia così anche per loro.
Il vostro pubblico si gaserà, leggendo queste parole.
Ma è dall'inizio dell'anno che ci stanno dietro. Sempre ottomila, oggi saranno anche di più. In certe partite è stato fondamentale, non solo importante, e io particolarmente sento quel qualcosa in più, quando ci caricano. Per giocare, ho bisogno di questa gente.
PELUSSI: "TRA ME E LA VIRTUS È AMORE RECIPROCO"
di Alessandro Gallo - Il Resto del Carlino - 17/05/2006
Pranzo al Cierrebi, ieri, con Markovski e capitan Pelussi. Congedo da Veal e Lang (partiti ieri), gli altri saluteranno in questi giorni. Pelussi sogna l’arrivederci, non l’addio.
Pelussi, arrivano ancora mail in suo favore. Che fa, resta o va?
La Virtus vuole tenermi e io voglio restare.
Non vi siete messi d’accordo sulle cifre.
Non abbiamo nemmeno cominciato a parlare. E non dovevamo farlo: c’era il campionato e dovevamo concentrarci solo su quello.
Nell’affetto dei tifosi, nonostante non abbia la tecnica di Ginobili, ha superato il suo connazionale.
Sono arrivato qui nel 2003. Sono arrivato alla corte della squadra più importante d’Europa. E ogni giorno, in palestra come in partita, ho dato il massimo. Anche perché la gente mi è sempre rimasta vicina.
Club più importante d’Europa, non sta esagerando?
Lo è stato. Ma per me è ancora così. Sono diventato un tifoso: la Virtus è la mia vita.
Anche senza playoff?
È la prima volta che mi succede. In dieci anni di carriera sono sempre arrivato almeno in semifinale. Abbiamo perso sei partite in fila, peccato. Ma la squadra ha sempre giocato con il cuore. E quando dico la squadra intendo anche Rodilla e Carl English, che non hanno finito la stagione con noi.
Il momento più bello di questi tre anni?
L’ultima gara in casa, quella con Varese. Non abbiamo vinto nulla eppure c’è stato l’abbraccio e la festa della gente. E’ stato straordinario. Ho cercato di allontanarmi perché stavo per mettermi a piangere. Non voglio che quella sia la mia ultima gara in bianconero.
Il momento peggiore?
Non c’è mai stato. O meglio: quando sono arrivato ero reduce da 6-7 mesi di inattività per il terribile incidente in auto. Ero una scommessa.
A proposito di momento peggiore. Lei torna in Argentina ora, tra un po’ sarà inverno.
Vero. Però ho bisogno, almeno per due settimane, di rivedere la famiglia, gli amici, il cane. E’ il modo migliore per ricaricare le batterie.
Ha già parlato con Markovski e Sabatini?
Non c’è stato bisogno. So che mi vogliono. Adesso ci sono i miei procuratori. Il mio lavoro è la palestra. Il proprietario sa che voglio restare.
Prima del derby disse che della Fortitudo non le piaceva nemmeno il nome. Solo la Virtus?
In quel momento ho esagerato. Ero carico per il derby e sono andato oltre. Ho il massimo rispetto per la Fortitudo e per i suoi sostenitori. In quel momento ho parlato da tifoso, perché della Virtus sono un tifoso.
Ieri il pranzo di chiusura. Quale discorso ha fatto?
Non c’è stato bisogno di discorsi particolari. Quello che dovevamo dirci ce lo siamo ripetuti dopo Napoli.
Quanti giocatori vorrebbe rivedere in maglia bianconera?
Non sono in grado di rispondere. Però un desiderio ce l’ho.
Quale?
Voglio giocare nella Virtus.
Altri club, però, l’hanno cercata.
Davvero? Il mio sogno, però, è quello di rimanere qua. Ho un debito da onorare con tutti i tifosi che mi hanno mostrato il loro affetto.
PELUSSI: "ARRIVEDERCI VIRTUS SE MI VORRETE ANCORA"
di Marco Martelli - La Repubblica - 20/05/2006
Quando stamane si sveglierà, Andres Pelussi vedrà la campagna di Santa Fè e la sua nuova casa, avrà accanto la splendida Karina e alle spalle trenta ore di viaggio, sulla rotta Bologna - Suardi, via Madrid, Santiago del Cile e Cordoba. Davanti, invece, il punto interrogativo. Con il contratto in scadenza, 40 mila euro ancora sospesi tra domanda ed offerta, il rinnovo del capitano virtussino appare tutt’altro che automatico, benché l’abbia reclamato una robusta ondata di mail spedite dai tifosi al sito virtussino e alle redazioni dei giornali.
Pelussi, per la terza volta parte e per la terza non sa se ritorna. Frustrante?
«Già. Ma qui m’ha portato un allenatore che dopo due mesi non c’era più, intendo Ticchi, e dopo ne sono venuti altri. Capisco le perplessità: ognuno ha i suoi uomini. Però, se ogni volta sono tornato, evidentemente sono servito».
Questa, però, pare la più difficile.
«Oggi, finito un triennio positivo, sono tranquillo. Credo che ci accorderemo, o meglio, voglio che ci si accordi. Perché ogni giorno mi sveglio e ringrazio la gente per l’amore che mi dà».
Qualche tappa. A gennaio, Sabatini dice: chi vuol restare, cambi agente. Cos’ha pensato?
«Che parlava di me».
Ma può uno screzio con altre persone pregiudicare il suo accordo?
«Non so cosa pensare. Al mio rappresentante, Carlos Raffaelli, e a quello italiano, Stefano Meller, ho chiesto che si trovi un accordo. Non voglio che, per un problema di terzi, saltino le mie chances di rimanere in un club che sento come casa mia. Ho un buon rapporto con Markovski e Sabatini, ma l’agente di Pelussi non sono io. Io gioco, e ora devo riposare. Per il resto c’è l’agente».
Cosa chiede, Pelussi?
«Non certo un milione. Anzi, nemmeno io so quanto valgo. Ho appena finito il vecchio triennale, in essere dai tempi dell’A2. Un contratto d’A2, insomma. Per sentirmi completo ne chiedo solo uno di A, per me e la mia famiglia. Che credo di meritare, dimostrando che a questo livello posso stare. Qui, poi, sono capitano, un onore che pochi hanno avuto e pochi avranno».
Si è sentito capitano, quest’anno?
«La gente mi ha fatto sentire capitano ogni giorno e a questo punto, più che chiedermi se sono ottimista o no, cerco di pensare positivo. Conosco la situazione del club, gli enormi sforzi di Sabatini per non farci mancare mai, e tutti lo sappiamo, ogni mese i nostri soldi, sempre regolari. Conosco anche la mia, però: non ho 22 anni, ma 28, una famiglia e una figlia in arrivo. Credo che tutto questo, compresa la mia dedizione, meriti un accordo».
Ancora Sabatini: le possibilità di rimanere le decide Pelussi.
«Non è così. Siamo in due. Pelussi e loro. 50 e 50».
Ha visto passi avanti, durante l’anno?
«Mai. Mi hanno fatto capire le loro intenzioni, certo, ma non abbiamo mai parlato di soldi. Eppure, sono fiducioso perché parla il cuore virtussino. Poi la mia certezza di non chiedere milioni, ma solo il riconoscimento per i tre anni di partite ed allenamenti».
Saprà tutto delle mail che girano fra le redazioni e la casella di posta della Virtus.
«Li adoro, ma non dipende da me. Con Varese è stato il culmine: settemila persone erano con me, e non voglio che sia stata l’ultima. Salgo sull’aereo e penso alla sola cosa che mi manca: un derby».
L’ultima domanda. Se non s’arriva a un accordo, e il contratto che chiede glielo offre un’altra squadra italiana, cosa fa?
«Non ci voglio nemmeno pensare. L’ho sempre detto, la Virtus è la mia prima scelta. E la mia scelta l’ho già fatta. Di quel 50 e 50, il mio l’ho messo. Vorrei che la Virtus mettesse il suo».
PELUSSI: "RICORDO TUTTO DI BOLOGNA, I TIFOSI SONO NEL MIO CUORE"
tratto da bolaroundpress.com - 16/12/2018
Cuore, grinta e orgoglio. Queste tre parole descrivono probabilmente al meglio il tipo di giocatore che era Andrés Pelussi. Argentino, classe 1977, ha vestito per tre stagioni la canotta bianconera. Arrivato a Bologna nel 2003, alla sua prima esperienza europea, Pelussi è diventato ben presto un idolo dei tifosi per il grande carisma ed attaccamento alla maglia dimostrato. È stato tra i protagonisti della promozione nel 2005, nonché capitano nella prima stagione in serie A dell’era post-Madrigali. “El gringo”, “l’animale” o, come dice Ginobili “l’orco”, è rimasto molto affezionato alla Virtus e alla città di Bologna.
Di seguito riportiamo l’intervista realizzata da Francesco Strazzari per BOLaround.
Ciao Andres, intanto come stai e cosa fai adesso? Riesci ancora a seguire il campionato italiano?
Sto bene, adesso lavoro qui in Argentina, purtroppo faccio fatica e seguo poco la pallacanestro italiana in questo momento.
Parto subito chiedendoti i tuoi ricordi legati a Bologna: cosa ti è rimasto di più nel cuore?
I tifosi, sono sempre stato molto amato da loro, dal primo giorno, dalla prima partita hanno capito che io non avevo il talento di Sasha, Rigaudeau o Manu, ma hanno capito che io avevo il cuore. Ho sempre giocato così: prima il cuore, poi tutto il resto. Penso che loro abbiano visto in Andrés Pelussi la grinta. La Virtus è stata la squadra che mi ha fatto un po’ conoscere al basket europeo. Mi manca tanto la città, voglio tornare presto. Ho avuto un paio di volte l’occasione di tornare, ma per questione di impegni e di lavoro non sono riuscito. Ho visto che adesso gioca al Paladozza, è bellissimo. Ma davvero la gente si ricorda di me? Mi fa molto piacere sentire questo, sono stati anni bellissimi.
A Bologna hai avuto diversi allenatori, tra cui Alberto Bucci e Zare Markovsi (l’ultimo a portare la Virtus in una finale scudetto): com’era il tuo rapporto con loro?
Zare c’è stato il terzo anno, è molto bravo, ho trovato un allenatore molto serio e tranquillo. Non mi conosceva ma mi disse che aveva bisogno di me; ho giocato molto con lui, ho imparato davvero tantissimo. Anche dai giocatori: soprattutto Marko Milic e Dusan Vukcevic, ricordo tutti ma loro due in particolare mi sono stati vicini in un momento difficile.
Bucci so che adesso è il Presidente, quando sono andato sul sito della Virtus e ho visto questa cosa mi ha fatto davvero molto piacere. Ha delle grandi capacità, è arrivato in un momento difficile perché dovevamo salire subito. La squadra era forte però non funzionava bene, ma quando è arrivato lui siamo migliorati tantissimo. Alla fine abbiamo perso con Jesi, che quell’anno era fortissima.
Una piccola parentesi sul derby: cosa ti ricorda questa partita?
Loro in quella stagione erano fortissimi, noi eravamo appena saliti dalla Legadue, eravamo una squadra ancora in costruzione. Ricordo una partita in casa nostra al Palamalaguti (ora non si chiama più così giusto?), e tre mesi fa con mia figlia grande gliel’ho fatta vedere su Youtube. Ho un ricordo bellissimo, il PalaMalaguti pieno di virtussini, una situazione incredibile.
Hai sempre detto che uno dei tuoi rimpianti più grandi è stato la Nazionale: a causa di un problema fisico sei rimasto escluso dai Mondiali 2002.
Avevo fatto tutta la preparazione nel 2002, e l’ultima amichevole giocata a Cordoba mi sono fatto male proprio negli ultimi minuti: un problema al muscolo dopo essere scivolato e il giorno dopo mi hanno detto che dovevo stare fermo almeno 3 settimane. Quindi mi hanno detto “sei fuori”: è stato molto difficile, un momento bruttissimo. Ma è così, quando uno va su tutte le palle al 100%, rischia.
Restando in tema Argentina, qui a Bologna sono passati anche Ginobili e Sconochini: so che li conosci abbastanza bene, che rapporto hai con loro?
Manu a 40 anni ancora gioca con cuore, è un professionista al 100%, ha talento, testa, tutto. Ci incontriamo in qualche città e parliamo un po’ di tutto. Hugo lo vedo poco ma è il giocatore con più “attributi” che abbia mai visto nella mia vita. In nazionale dava sempre il 100% su tutto, e chiedeva sempre di marcare il giocatore più forte dell’altra squadra. Pensava sempre alla squadra e alle sue necessità, è una bravissima persona.
Qual è stato il momento più bello della tua carriera se dovessi sceglierne uno?
Tanti momenti belli, posso ricordare i primi momenti in Argentina (con l’Atenas Cordoba), abbiamo vinto tutto. Della Virtus mi ricordo tantissime cose, in particolare quando suonava la musica e Gigi Terrieri presentava le squadre, entravamo in campo e c’erano 6-7mila persone, incredibile. Sono rimasto amico di Gigi e della sua famiglia, un bravissimo uomo, è nato un bel rapporto di amicizia. Tanti bei momenti, ogni anno mi è rimasto qualcosa, anche di brutto, ma nella mia testa la Virtus ci sarà sempre perché quando sono arrivato in Italia ho visto una società differente, una cultura bellissima, la storia della pallacanestro…quando son tornato in Argentina ero migliorato come persona e professionista, ho imparato tante cose che mi hanno fatto crescere.
Sei entrato nel cuore dei tifosi virtussini: cosa ti senti di dirgli dopo tanti anni? Tornerai?
Mi ricordo sempre di tutti, dei Forever Boys e di tante persone che mi hanno fatto sentire importantissimo. Quando tornavo a casa volevo che arrivasse subito un’altra domenica, avevo la necessità di sentire i tifosi. Voglio tornare, mi fa piacere che ancora qualche persona si ricordi di Pelussi, perché io vi ricordo tutti, ricordo ogni partita. Quando hanno fatto lo striscione “Pelussi a vita” alla mia ultima partita: quello rimarrà per sempre nel mio cuore. È stato un riconoscimento alla mia carriera, al lavoro fatto e lo ricorderò per sempre. Indossare la maglia della Virtus non è facile, è una maglia pesante perchè ha una storia, l’hanno indossata giocatori molto importanti, ha vinto tutto in Italia e in Europa… per indossare quella maglia bisogna avere gli attributi.
Voglio tornare a vedere una partita della Virtus al Paladozza e cantare e saltare insieme ai tifosi.