FLAVIO CARERA

nato a: Bergamo (BG)

il: 18/01/1963

altezza: 206

ruolo: centro

numero di maglia: 14 - 16

Stagioni alla Virtus: 1992/93 - 1993/94 - 1994/95 - 1995/96 - 1996/97 - 2001/02

statistiche individuali del sito di Legabasket

biografia su wikipedia

palmares individuale in Virtus: 3 scudetti, 2 Coppe Italia, 1 SuperCoppa

 

UN UOMO FORTUNATO

di Roberto Cornacchia - VMagazine

 

Abnegazione e umiltà è quello che viene in mente a tutti quando si pensa al Flavio Carera giocatore, sempre pronto a sbucciarsi le ginocchia o a rischiare una contusione per salvare un pallone. La stessa umiltà e disponibilità che trasmette come persona, visto che la parola che usa maggiormente quando parla della sua lunga carriera è “fortuna”, come se nei tanti successi ottenuti i suoi meriti fossero trascurabili.

I primi passi nel mondo dello sport furono col calcio?

Sì, com’era normale per tutti. Tra l’altro ero tifosissimo, e lo sono tutt’ora, dell’Atalanta. Poi, complice mio fratello maggiore che giocava a basket in Serie B, cominciai ad avvicinarmi alla pallacanestro e mi feci tutta la classica trafila nelle giovanili. A 16 anni esordii in serie B, quando nelle ultime partite di campionato venni fatto giocare molto più del solito per farmi fare un po’ di esperienza. La prima trasferta la giocammo a Livorno e molto probabilmente fu proprio in quell’occasione che Cacco Benvenuti si annotò il mio nome sul suo taccuino. Poi, l’anno seguente, nei play off per la promozione ci ritrovammo ancora di fronte i labronici e di nuovo, stavolta a causa di un infortunio al nostro centro titolare Massimo Lucarelli, calcai il campo più del solito. Fui fortunato oppure era semplicemente destinato che mi facessi notare da Livorno.

Però rimanesti a Bergamo.

Sì, ancora per un paio d’anni, peraltro due stagioni stupende perché conquistammo due promozioni consecutive, prima la Serie A2 e poi la Serie A1, avendo anche la fortuna di giocare assieme a due campioni del calibro di Chuck Jura e C.J. Kupec. Poi al termine di quel campionato, per questioni di bilancio, venni messo sul mercato e mi vollero a Livorno, anche se non c’era più il Benvenuti che probabilmente mi aveva segnalato ma Ezio Cardaioli.

9 anni a Livorno, una fedeltà alla maglia che nel basket odierno sembra impensabile. Ti consideravi una bandiera?

No, ma sicuramente parte di un progetto importante. Il nucleo sul quale la società aveva scommesso era composto da alcuni giocatori giovani e promettenti: il sottoscritto, Alessandro Fantozzi, Andrea Forti e Alberto Tonut. Rimanemmo tutti per molti anni, quasi un decennio, con una pazienza da parte della società nel lasciarci crescere che oggi non si vede più, solo gli americani venivano cambiati. Avemmo anche le nostre stagioni sfortunate: un anno arrivammo quinti e quello successivo, in cui tutti si aspettavano dei miglioramenti, retrocedemmo in A2. Ma non ci fu nessun repulisti, rimanemmo tutti insieme e piano piano crescemmo al punto da arrivare in finale scudetto.

Come fu riprendersi da quella sofferta sconfitta?

Non posso negare che perdere in quel modo ci abbia fatto parecchio male, anche in considerazione del fatto che per Livorno sarebbe stato un evento storico, potevamo essere l’equivalente cestistico del Verona o della Sampdoria nel calcio, mentre per Milano era solo l’ultimo di una lunga fila di successi. Per una ventina di minuti ci sentimmo in tutto e per tutti campioni d’Italia, poi passammo dalla gioia alla disperazione. Un’esperienza indelebile, dal retrogusto amaro. Poi Livorno non solo non fu più all’altezza per lottare per lo scudetto ma visse anche la crisi e la fusione, che poi ne ha decretato la fine. Sono ancora dispiaciuto per i miei compagni di allora che, a differenza di me, non hanno avuto la fortuna di proseguire la carriera in squadre ambiziose.

Avesti come compagni di squadra stranieri del calibro di Kevin Restani, Abdul Jeelani, Scott May, Lee Johnson, Rod Griffin, Wendell Alexis, Jay Vincent. Nomi che, paragonati a certi stranieri di oggi, paiono dei giganti.

Sono perfettamente d’accordo. La mia generazione ha avuto la fortuna di poter avere degli esempi visivi di grandissimo livello, era davvero un piacere vederli giocare. Poi la Nba si è allargata e quindi il maggior bisogno di giocatori, uniti al fatto che molti vengono a prenderli in Europa, ha sicuramente abbassato il livello degli attuali interpreti con passaporto straniero, anche per la maggior concorrenza di campionati, come quello turco, che all’epoca non potevano competere con quello italiano. È stato un privilegio giocare con e contro i vari Chuck Jura, Bruce Flowers e Kim Hughes: è normale migliorare quando ti confronti con personaggi del genere.

Fra i tuoi compagni a Livorno ci fu anche Joe Binion, che poi ti raggiunse alla Virtus.

Come per a me, anche per Joe giocare nella Virtus ha significato rifarsi di quello scudetto che gli era stato levato. Ho il rimpianto di non averlo avuto a fianco in quelle finali per colpa del pugno ad una vetrata col quale si ferì a Reggio Emilia. Con lui le cose avrebbero potuto finire diversamente. In un’epoca in cui gli stranieri erano solo due e, specie nelle squadre ambiziose, quasi tutti ex-NBA, lui proveniva dalla CBA ed ebbe l’umiltà di accettare un ruolo da sesto uomo, cosa piuttosto inconsueta ai tempi. Si fece apprezzare ovunque aveva giocato: Livorno, Reggio Emilia, Pistoia e Bologna. Aveva un senso della posizione incredibile e mani rapidissime, poco più di 2 metri, all’epoca poca roba per un centro, prendeva sempre una caterva di rimbalzi, anche se giocava, ricordo una volta in Grecia, contro dei marcantoni di 2,10 e oltre. Dall’impegno che ci metteva, sembrava quasi che venisse pagato in proporzione ai rimbalzi offensivi che prendeva.

Un altro ex-virtussino col quale hai giocato fu Elvis Rolle.

Accadde nell’anno della fusione con la Pallacanestro Livorno. Fin dai tempi in cui giocava nella Sinudyne dei primi anni ’80, Elvis aveva una potenza devastante e anche quando ci trovammo ad indossare la stessa canotta era ancora un signor giocatore. Poi avevamo in squadra anche Jay Vincent. Difatti la squadra non andò male sul campo, conquistammo pure i playoff, ma fuori dal parquet l’aria era irrespirabile: mettere insieme due tifoserie che vivevano principalmente della reciproca rivalità si rivelò una mossa suicida. Fu l’ultima stagione in cui a Livorno si riuscì a combinare qualcosa di buono.

Oltre a dei compagni ex-virtussini, avesti anche dei coach ex-virtussini, come Alberto Bucci.

Alberto è stato l’allenatore che ha caratterizzato maggiormente la mia carriera e al quale sono più legato, anche perché è quello che mi ha allenato più di tutti: non solo 4 anni a Livorno, ma poi anche quattro anni a Bologna e altri due Fabriano. E come se non bastasse ancora oggi, che gioco per la Nazionale Over 45, me lo ritrovo a darmi ordini da bordo campo. Non ho mai avuto problemi con gli allenatori e mi sono sempre trovato bene con tutti, ma quelli ai quali devo qualcosa di più, oltre a Bucci, sono il mio primo allenatore Euro Abate, Ezio Cardaioli che mi fece esordire ed Ettore Messina che mi volle alla Virtus e in Nazionale.

Poi finalmente Bologna, nello stesso anno in ci arrivò Danilovic. Come fu il salto da una provinciale ad una piazza da sempre abituata a stare ai piani alti della classifica?

Indubbiamente arrivare in Virtus a 30 anni per me è stato come un sogno, quando temevo di non vincere più nulla perché stava passando il tempo e avevo capito che il momento magico di Livorno si era ormai esaurito. Era un po’ l’ultimo treno per vincere quello scudetto al quale ambiscono tutti i giocatori. Sicuramente ebbi la fortuna di trovarmi con un gruppo di ragazzi super e una società seria, che lavorava con dei progetti ben chiari in mente. Demmo il là ad un ciclo vincente, si può dire che in quegli anni nacque la Virtus che dominò per un decennio. Stare su quel treno è stata una cosa molto bella e sono orgoglioso di aver dato il mio contributo. Chiaro che giocare con Danilovic e gli altri campioni stranieri era un bell’andare ma fummo comunque molto bravi: se vincere è difficile, ripetersi lo è ancora di più. Con tutto il rispetto per i sei scudetti consecutivi di Siena, la concorrenza che c’era all’epoca era un’altra cosa: ogni anno c’erano 4/5 favorite per lo scudetto, in questi ultimi anni un paio quando andava bene.

Poi però con la partenza di Danilovic qualcosa si guastò.

Sostituire Sasha non era certo impresa facile, anche se Komazec era altrettanto valido. Probabilmente stava cominciando il declino di quel gruppo, avevamo tutti qualche anno in più sul groppone. Col senno di poi devo dire che Komazec venne accettato un po’ meno di quanto non facemmo prima con Sasha, sia per il carattere diverso, sia perché noi ormai eravamo un gruppo che si conosceva da anni. Lui fece fatica ad inserirsi e poi ebbe tanti infortuni, compresi alcuni che provocarono degli attriti con la società. Forse dovevamo aiutarlo maggiormente, fatto sta che la chimica non nacque mai nonostante fossimo partiti bene con un McDonald’s Open a Londra dove il povero Orlando Woolridge aveva fatto un figurone. Qualche sassolino si era infiltrato in quel magnifico ingranaggio. Dopo cinque anni stupendi lasciai Bologna, non prima di aver lasciato in eredità alla squadra dell’anno successivo, grazie al piazzamento in campionato, il diritto a partecipare all’Eurolega che vide la Virtus vincere quella manifestazione per la prima volta. Fu con piacere che vidi i miei ex-compagni ottenere quel successo e, anche se col piccolo rimpianto di non esserci stato, sono lieto di aver contribuito anche se in minima parte a quella vittoria storica.

Ormai 35enne eppure ancora tanta carriera davanti.

Prima Roma, poi Reggio Emilia, Fabriano e Montecatini. Mentre la Virtus era tornata a mietere successi, io avevo ancora passione e non volevo smettere, anche se mi rendevo conto che le forze erano sempre meno. Davo il mio contributo e mi divertivo ma ero conscio che il meglio di me l’avevo già dato. Posso dire che i miei anni migliori furono quelli bolognesi: anche per via dell’età, assaporai quei successi come forse non avrei fatto se li avessi ottenuti da più giovane, e comunque erano successi meritati perché in quelle Virtus c’era tanta concorrenza interna per conquistarsi dei minuti da giocare e una grande pressione da parte di tutto l’ambiente.

Poi il breve ritorno, nel 2001, come sparring partner per Rashard Griffith.

Tornai molto volentieri. Ormai avevo già 40 anni, sapevo fin dall’inizio di avere un ruolo minore, ma ero in un momento personale non facile e mi andava bene così. Sono stato lì qualche mese, col compito di alzare la qualità degli allenamenti per Griffith e Paolo Barlera, che stava crescendo a vista d’occhio. Era pieno di voglia di fare e aveva tutte le caratteristiche per diventare un giocatore forte, che avrebbe dominato. Nel frattempo se n’era andato Alfredo Cazzola ed era arrivato Marco Madrigali ma lo spessore della Virtus era invariato e la volontà di vincere era sempre quella. Poi con i problemi tra il presidente e Messina, cominciò la fine di quel ciclo di cui avevo visto la nascita. Quelli dai primi degli anni ’90 ai primi del nuovo millennio furono gli anni della Virtus.

La voglia di giocare a basket però sembra non abbandonarti mai, visto che giochi nella Nazionale Over 45.

E ormai mi tocca di cambiare categoria e passare negli Over 50! Sono partite molto simpatiche perché ci si diverte, si sta con dei vecchi amici però correre su e giù per il campo richiede preparazione e voglia, non basta fare una partitella ogni tanto. Poi se, come noi, hai la fortuna di vincere, ti diverti anche di più ed è più facile affrontare i sacrifici che fare uno sport richiede. Già i miei compagni avevano portato a casa qualche vittoria prima di me, ma da quando sono in formazione abbiamo vinto 5 titoli negli ultimi 5 anni: 3 Europei e 2 mondiali. Binelli, Montecchi, Tirel, Solfrini, Ponzoni e Avenia sono tra i miei compagni e mi è capitato di giocare contro gente come Bazarevich e Kambala. Abbiamo anche rischiato di trovarci di fronte Arvidas Sabonis, poi per nostra fortuna, la televisione lituana ha richiesto la sua presenza come commentare delle Olimpiadi di Londra. Sta in campo chi regge, ogni tanto perdiamo qualcuno per strada ma poi saltano fuori i nuovi quarantenni. Il basket è sempre stato la mia vita e mi piacerebbe trovare da allenare, anche se mi rendo conto che questo è un momento difficile per il nostro movimento. Tempo fa ho allenato il Morciano nelle serie minori e attualmente seguo dei ragazzi a Bergamo.

 

LA VIRTUS INDOSSA LA MAGLIA AZZURRA E BATTE LA SLOVENIA, CON CARERA TOP SCORER

di Ezio Liporesi per Virtuspedia

 

C'erano tempi in cui i giocatori della Virtus costituivano l'asse portante della nazionale. L'8 ottobre 1995, l'Italia sconfisse la Slovenia 76-63, in una gara di qualificazione agli europei del 1997, con tre giocatori della Vu nere in campo e a guidarli in panchina Messina, che dalla Virtus proveniva e vi avrebbe fatto ritorno dopo l'esperienza azzurra. Per la prima volta la nazionale giocava a Sassari, ma le cose non cominciarono bene, tabellone rotto durante il riscaldamento e gara iniziata con mezz'ora di ritardo. Nella Slovenia alcuni giocatori che con alterne fortune passeranno dalla Virtus, Nesterovic, Gorenc e Milic. L'incontro fu dominato dall'Italia, con i tre giocatori della Virtus che furono anche i migliori realizzatori degli azzurri, segnando in totale 40 punti, il 53% dei punti della squadra. Nel dettaglio, in ordine crescente, Coldebella 12 punti, Abbio 13 e Carera 15. Ebbene sì, quella sera, Flavio difensore, combattivo, rimbalzista, pronto a tuffarsi su ogni pallone, si trasformò anche nel top scorer della nazionale italiana; imbeccato da Coldebella e Bonora (un altro con passato e futuro in bianconero), tirò con il 7 su 11 da due e catturò 9 rimbalzi; standing ovation per lui quando fu richiamato in panchina a 30" dal termine.

Ecco il tabellino della gara:

Italia 76: Bonora 2, Pittis 10, De Pol 7, Pieri 6, Galanda 2, Chiacig 2, Conti 7, Coldebella 12, Abbio 13, Carera 15. All. Messina

Slovenia 63: Horvat 8, Daneu, Nesterovic 10, Gorenc 19, Hafnar 5, Thaler 2, Alibegovic 15, Milic 2, Durisic 2, Jurkovic n.e.

"IO DECISIVO? MEGLIO RINGRAZIARE IL SOLITO BRUNAMONTI"

Derby. Parla Flavio Carera

di Alessandro Gallo - Il Resto del Carlino - 31/10/1995

 

L'espressione felice - nonostante il segno di un'unghiata, gentile "omaggio" dei lunghi del Barcellona, che gli segna il volto dalla guancia al labbro superiore - di chi ha dimostrato ancora una volta di essere utile alla causa. Flavio Carera, però, ha fatto qualcosa in più: ha dimostrato che si può essere protagonisti anche segnando un solo punto. Sua, infatti, la stoppata che ha impedito a Djordjevic il canestro del possibile pareggio, suo il tuffo (un marchio inconfondibile, ormai) che gli ha consentito di recuperare il pallone e di lanciare Komazec in contropiede e vincere il derby, quasi da solo.

Partiamo dalla stoppata: era fallosa?

"La prima impressione che ho avuto è che non ci sia stato contatto. Ma è logico che alla fine ognuno cerchi di tirare l'acqua al suo mulino".

Quindi?

"L'ho rivista anche in tivù, per me non c'è stato fallo".

Così, con molta semplicità, ha mostrato agli appassionati di basket di tutta Italia che si può essere protagonisti anche segnando un solo punto, giusto?

"Ma solo perché nella mente di tutti rimangono ben impresse le ultime azioni di gioco. Io credo che questa squadra, invece, debba dire grazie ancora una volta a Brunamonti, Che ha preso dei tiri importanti nei momenti difficili".

Ma qual è il segreto della sua continuità?

"Sto attraversando un buon momento di forma, ma anche io come tutti gli altri, ho giocato male in qualche occasione".

L'impressione, però, è che lei possa incappare in una giornata storta con formazioni come Pistoia, Siena, Forlì. Difficilmente, invece, sbaglia approccio quando dall'altra parte del campo ci sono formazioni come Teamsystem, Benetton, Scavolini, Stefanel.

"Credo che questa sia proprio la forza della Buckler: la capacità di non mollare mai nei momenti in cui si rischia di più. Abbiamo qualche calo di concentrazione, soprattutto quando l'avversario non è all'altezza, quando pensiamo di poter vincere agevolmente.

Intanto vincendo il derby avete dimostrato di essere i numeri uno in Italia.

Per il momento si. Ma tanto di cappello alla Fortitudo che è cresciuta tantissimo, nonostante Gay e Myers venissero da due infortuni. Senza contare che a loro manca anche Ferroni. Credo che in prospettiva sia una delle squadre che possa migliorare di più.

Anche a voi manca un certo Moretti, non uno qualunque, vero?

Paolo è stato importante, spesso fondamentale in questi anni. Sono convinto che tornerà al livello, e molto presto. Anche noi quindi abbiamo ampi margini di miglioramento.

È presto per dirlo, forse è pure banale. L'impressione però è che la lotta per il titolo sia "Cosa nostra". Un obiettivo al quale solo Bologna, quella virtussina e quella biancoblu, possono aspirare, è giusto?

"Auguriamocelo. Loro stanno andando molto bene, ma anche noi non scherziamo. Vogliamo arrivare fino alla fine e approdare a un poker che entrerebbe nella storia di questo sport. Senza dimenticare che già aver vinto tre titoli significa che questo gruppo ha una forza incredibile.

Pensiamo all'Europa. Domani partirete alla volta di Zagabria: con quale spirito?

Un anno fa lontano da Bologna non abbiamo raccolto tantissimo. A Zagabria tentiamo il colpaccio anche perché il Cibona ci fece lo sgambetto al veleno espugnando il nostro palazzo. Allora diciamo che speriamo almeno intimamente di riuscire a fare quello che abbiamo già dimostrato di poter fare in una partita difficile senza nasconderci dietro ad alibi di questioni di comodo. Noi dobbiamo riuscire a vincere per partire col piede giusto anche in trasferta. Il primo posto in Italia va benissimo, ma non abbiamo l'intenzione di lasciar perdere l'Europa.

La stoppata di Carera su Djordjevic

(foto tratta dai microfilm de "Il Resto del Carlino")

"VIRTUS, TI DAREMO MINUTI-QUALITÀ"

Flavio Carera in arrivo col suo carico di esperienza: "Pivot vecchi? No, solo maturi"

di Alessandro Gallo - Il Resto del Carlino - 31/07/1996

 

Buongiorno Carera, come va?

"Bene, ho goduto di ventiquattro ore di vacanza in più rispetto ai miei compagni, ma sono pronto per questa nuova avventura".

Quale futuro prevede per questa Virtus rinnovata?

"Il primo pensiero è per i compagni che non ci sono più. Roberto ha scelto la scrivania, è una perdita grave, perché Brunamonti è uno di quei giocatori che tutti vorrebbero avere al loro fianco. Coldebella e Moretti hanno scelto la Grecia: auguro loro di far bene anche lontano dalla Virtus".

E la Virtus?

"Siamo un gruppo nuovo, con diversi stranieri. Ma dobbiamo abituarci all'idea: la sentenza Bosman di fatto ha abbattuto le frontiere".

Ha subito messo il dito nella piaga: in che lingua vi parlerete quando vi troverete assieme?

"Forse dovremmo ricorrere all'ausilio di un interprete preparato. Al di là di tutto, però penso che ci vorrà un po' di pazienza prima di trovare l'intesa, ma le premesse per fare bene ci sono tutte".

Sotto canestro dovrà sgomitare di più per assicurarsi un posto, non trova?

"L'anno scorso eravamo in tre per due posti, in questa stagione siamo in quattro, ma non penso che questo costituisca un problema. Non ho mai sollevato questioni particolari per il minutaggio: dovrò semplicemente fare di tutto per guadagnare più spazio".

Rimaniamo a voi pivot. Tra lei, Binelli e Magnifico mettiamo assieme un secolo di vita...

"Alt. Non siamo vecchi, siamo semplicemente maturi. So che qualcuno potrà storcere il naso pensando a noi tre, ma io sono convinto che faremo bene. Ci sarà spazio per tutti, anche per tirare il fiato. Così potremo offrire alla squadra minuti-qualità".

Veniamo agli obiettivi di questa Virtus.

"I soliti, senza fare classifiche particolari. Questa è una società che ha l'onore e l'onere di puntare sempre alla vittoria, in qualsiasi competizione alla quale prende parte".

Ma chi potrà darvi fastidio?

"Le due finaliste della passata stagione, che quest'anno partiranno con i favori del pronostico. Vedo bene sia la Stefanel che la Teamsystem, ma la stessa Benetton cercherà di arrivare fino alla fine del campionato per raccogliere parecchio".

Brunamonti ha smesso, sarà lei allora, l'ultimo a uscire dagli spogliatoi dopo ogni partita?

"Credo proprio di sì: la maglia nera per la doccia più lenta la indosserò io. Era un primato che dividevo con Roberto, quest'anno non avrò più alibi. Al di là delle battute, però, ci tengo a sottolineare che Roberto - anche se i nuovi arrivati sono bravi - ci mancherà tantissimo. Ma sono altrettanto sicuro che saprà farsi valere anche come dirigente: è una persona che vale parecchio".

FLAVIO CARERA

"Il chi è chi" 96/97, redazione Superbasket

 

Fosse stato 10 centimetri più basso avrebbe fatto il portiere di calcio, con 20 centimetri in meno sarebbe stato uno stopper roccioso, con 30 una mignatta di centrocampo, alla Di Livio ...

Oltre i 2 metri si è dato al basket e con un talento limitato l'ha comunque buttata sul fisico ...

Le stagioni migliori sono state le prime tre a Bologna, da sesto uomo specialista in marcatura ...

Salta poco in verticale, saltava molto in orizzontale (leggi: tuffi); quasi ininfluente in attacco, dove va sempre a cercare il gancio o un sottomano ...

Doloretti diffusi sono il primo segnale dell'età cestisticamente avanzata ...

A Roma potrà dare una mano soprattutto dentro lo spogliatoio ...

Carera in palleggio

Tratto da ww.ciao.it

 

Giocatore bergamasco di grande cuore (classe '63, centro di 2.06 di altezza) che ha da sempre fondato la propria carriera su un principio semplice ma fondamentale: dare il massimo sempre e comunque, in qualsiasi frangente (forse per questa ragione Flavione è il leader di tutti i tempi del campionato italiano in quanto a falli fatti, oltre 1.700...). Principio, quello di dare sempre il massimo, preso a volte un pò troppo alla lettera, come quella volta nel '95 in cui Carera, in campo con la nazionale (di cui era capitano), si lanciò nel tentativo di recuperare un pallone, gesto che è praticamente un suo distintivo personale: solo che in quella occasione invece che la sfera Flavio trovò... il naso di una spettatrice, causando un urto così violento da rendere necessario l'intervento dei sanitari. Questo suo dare il massimo è per la verità abbastanza in contraddizione con il carattere dello stesso Flavione: che è a dir poco ipocondriaco. Prima di ogni match si lamenta di mali un po' dappertutto, ed è uso addirittura cospargersi le proprie caviglie di... acqua santa! Dopo aver esordito in serie A nella Sav Bergamo nell’82, Carera dopo 1 anno era già a Livorno, dove rimase per 9 anni: a quel punto per rilevarlo la Virtus Knorr Bologna dovette sborsare ben 6 miliardi, che portarono però a 3 scudetti consecutivi.

CARERA: "SONO TORNATO PER VINCERE"

di Mario Becca - Il Resto del Carlino - 21/07/2001

 

Un volto conosciuto. È tornato Flavio Carera. Messina ha pensato a lui per avere allenamenti sempre più intensi e un'eventuale pedina di cambio per i lunghi. Dopo aver militato nella natia Bergamo e quindi a Livorno, approdò a Bologna, dove rimase cinque stagioni, anni gloriosi con la conquista di tre scudetti, una Supercoppa e una Coppa Italia. Dopo tante vittorie la dirigenza virtussine decise di cambiare parte dell'organico e così Carera finì prima a Roma, poi a Reggio Emilia, Fabriano e infine a Montecatini, squadra con tanti stranieri ma nella quale ugualmente è riuscito a ottenere un buon minutaggio (al PalaDozza contro la Paf rimase in campo per quasi l'intera partita).

Mi ha prima contattato Messina e poi Brunamonti. Mi hanno espresso i loro progetti in modo molto chiaro e io li ho accettati. Ho parlato anche con il presidente Madrigali, direi che tutta la società si è comportata in modo molto corretto ed eccomi qua pieno di entusiasmo.

Il coach le ha già detto quali saranno i suoi compiti?

Sì, dovrò cercare di impegnare al massimo Griffith. È molto grosso e anche molto bravo, cercherò di fare del mio meglio. Ma anche di aiutarlo con i giovani. La cosa mi piace e mi stimola.

Tutto come al primo arrivo a Bologna?

Sono cambiati i tempi. Allora arrivai desideroso di vincere qualcosa e ci sono riuscito. Ora è passato del tempo, mi è stato richiesto di far parte della squadra più forte d'Europa e io mi sento onorato. Se posso dare una mano a vincere ancora con buoni allenamenti o con qualche minuto in campo o stando in tribuna sono ben felice.

Rivedere Brunamonti e Messina l'avrà riportata indietro col pensiero. Qual è il ricordo più bello legato al periodo precedente?

Sono tanti, perché tante sono state le vittorie che abbiamo ottenuto. Indubbiamente la conquista del primo scudetto è un ricordo indelebile, nella mente ci sono ancora tutti quei bei momenti che ci portarono al tricolore.

Quale delle due Virtus è più forte?

Il paragone è improponibile, perché è cambiato non solo il gioco ma anche il basket che è più veloce, più fisico, più tecnico. Noi eravamo un gruppo molto forte e l'abbiamo dimostrato. Questa nuova Virtus non ha bisogno di commenti, basta guardare il suo curriculum di quest'anno. Se pensiamo poi che ai tanti campioni è stato aggiunto un talento come Becirovic non possiamo che prevedere un futuro… ancor più bello.

Pronti ai tuffi di Flavio e alla possibilità di vederlo in tribuna.

Lo dissi la prima volta che arrivai qui. Per vincere ero disposto alla tribuna. Figuriamoci oggi...

"AVRÒ POCO SPAZIO, MA SONO PRONTO A DARE IL MIO APPORTO"

Carera, uno dei tanti lunghi a disposizione di Messina, entusiasta dell'accoglienza dei tifosi

di Mario Becca - Il Resto del Carlino - 24/08/2001

 

 Entrare in palestra applaudito insieme ad alcuni artefici del Grande Slam non avrebbe dovuto provocare nessuna emozione nel "figliol prodigo" Flavio Carera ed invece...

"Non credevo. Quando tutti questi tifosi ci hanno applaudito all'ingresso qualcosa ho provato anch'io. È stata un'accoglienza degna di una squadra che ha vinto tanto. I tifosi ci tenevano a dimostrare il loro attaccamento ed il loro "grazie" a chi ha portato a casa titoli e coppe. Siamo a ranghi ridotti ed in periodo di ferie, ma l'abbraccio è stato ugualmente molto caldo e sincero"

Guardandola da Livorno che impressione faceva la Kinder della scorsa stagione? "Una corazzata. Sì, vedendola giocare non trovavi punti deboli e vedevi che in un modo o in un altro con un giocatore protagonista o con un altro riusciva sempre a mettere ko l'avversario di turno. Era fortissima, e i risultati l'hanno dimostrato".

Lei sarà uno dei tanti lunghi (ndr gli altri sono Griffith, Frosini, Andersen, Smodis e Barlera) che avrà a disposizione il coach Messina, che campionato si aspetta di fare? "I discorsi che mi sono stati fatti sono stati molto chiari e quindi so già che in teoria saranno ben pochi i minuti che mi saranno concessi in campo. Ma mi sta bene. Se poi la squadra avrà bisogno di me oltre che in allenamento, dove dovrò fare da sparring partner a Griffith ed aiutare a crescere il giovane Barlera, anche in partita per far riposare qualche titolare, io sono a disposizione e ben felice di dare il mio apporto. E magari fare qualche gancio vincente".

Carera a rimbalzo

INTERVISTA A FLAVIO CARERA

di Marco Taminelli - www.basketnet.it

 

L'ospite di oggi a Basket Story è Flavio Carera, spirito da gladiatore. Carera per tutta la sua carriera ha fatto dell'abnegazione, del coraggio e dell'applicazione difensiva il suo assoluto marchio di fabbrica. Partito da Bergamo, dove ha iniziato, è approdato alla Libertas Livorno dove ha accarezzato lo scudetto 1989, per poi rifarsi abbondantemente con i tre tricolori consecutivi ottenuti con la maglia della Virtus Bologna. Medaglia d'argento con la nazionale azzurra nel 1997, con 129 partite disputate, ha vinto lo scorso anno a Praga il mondiale over 45.

Nella tua lunga carriera Flavio hai avuto la possibilità di far coincidere molto momenti vincenti con l’apice di ognuna di queste società: prima Bergamo, poi Livorno ed il ritorno ad altissimi livelli di una Virtus forse mai così forte.

A volte nella vita conta moltissimo anche la componente fortuna, devo dire che ho avuto la possibilità di giocare in squadre che hanno vissuto momenti di grande crescita ed entusiasmanti. Non sono mancate le delusioni e qualche amarezza ma sono felicissimo per come è andata la mia carriera in senso assoluto.

E l’inizio è proprio in crescendo con la squadra della tua città Bergamo, che disputa alcune stagioni veramente esaltanti.

Come molti ragazzini in realtà la mia grande passione iniziale era il calcio, e la “mia” Atalanta di cui sono tuttora tifosissimo. Poi affascinato dall’esperienza con l’Alpe Bergamo di mio fratello… mi sono appassionato al basket. Sono stato molto felice di aver fatto parte forse del momento più intenso e bello per la pallacanestro di Bergamo. Abbiamo fatto due promozioni consecutive, con lo storico approdo in serie A1 nella stagione 1982/83. Era una squadra molto forte con due stranieri eccezionali, Jura e Kupec, ed un gruppo solidissimo di estrazione canturina: coach Recalcati, Cappelletti, Meneghel, Natalini.

La tua cessione nella stagione successiva coincide con un altro ciclo storico per un’altra città. Questa volta Livorno, sponda Libertas.

Esperienza magnifica con un gruppo fatto da giovani in grande crescita, come Forti, capitan Fantozzi, poi Tonut, e due stranieri anche qui a dir poco fantastici, Kevin Restani ed Abdul Jeelani. Jeelani era semplicemente strepitoso: grande tecnica, movimenti sinfonici, un maestro da ammirare. Restani era il giocatore tutta sostanza, anche lui gran signore, due giocatori da cui si poteva solo imparare.

Livorno significa anche la famosa, maledetta per voi, finale con Milano del 1989.

Come sempre quando perdi una finale per una frazione di secondo e con altri episodi discussi resta sempre l’amarezza. È stata una finale incredibile, c’era una tensione pazzesca nell’aria. Ricordo l’entusiasmo della gente di Livorno, ci sono state mille polemiche ma alla fine sono d’accordo con il “mio” capitano Alessandro Fantozzi. Abbiamo provato l’ebbrezza di essere stati campioni d’Italia per 15 minuti, ovviamente con un retrogusto amaro. Era stato costruito un gruppo unito e che era cresciuto moltissimo, buttammo fuori la Fortitudo di un grande come Artis Gilmore, poi la Virtus di Richardson dopo aver rischiato in gara 1 li travolgemmo in gara 3 (che ricordo bene visto che sono riuscito a mettere persino una tripla!). Peccato per quell’infortunio (spaccò una porta a vetri con un pugno n.d.r.) che si procurò Joe Binion a Reggio Emilia durante la regular season, con lui in campo forse saremmo stati ancora più forti.

Profumo di scudetto e successi che non ti farai mancare con la casacca bianconera della Virtus.

Al mio arrivo a Bologna ho trovato una società che voleva riportare la Virtus ai massimi livelli e ci è riuscita visti i risultati importanti ottenuti. Tre scudetti consecutivi lasciano una traccia indelebile ed anche qui c’era uno spirito di squadra formidabile con un Danilovic che stava diventando già lo Zar. Proprio le sue parole quando mi definì il suo “muratore od operaio” preferito mi gratificarono molto. Significava che il mio lavoro per la squadra, la mia volontà di dare tutto veniva apprezzata all’interno dello spogliatoio. Una qualità che mi è sempre stata riconosciuta anche dalle tifoserie delle squadre per cui ho giocato. È una bellissima sensazione ricevere l'affetto ed il calore dei tifosi anche quando torni da avversario o dopo la fine della carriera, da un senso a tutto quello che hai provato a dare in campo e fuori.

Ed è a Bologna che si consolida il mito del Carera tutto cuore che con le sue scivolate difensive, i suoi ganci e la sua grinta viene eletto a beniamino del pubblico.

È una bellissima sensazione sentire il calore del pubblico che ti apprezza proprio per le doti che citavi tu. Ovviamente non potevo essere di certo il giocatore più tecnico, dovevo ricorrere ai mezzi cosiddetti di sopravvivenza per emergere. Il tuffo con recupero sapevo che piaceva al nostro pubblico e dava anche carica, era un modo per dare il mio segnale, la mia carica. Il gancio invece era un’arma se vogliamo “difensiva”. Ovvero non avendo molta esplosività per cercare di evitare stoppate da parte dei lunghi avversari utilizzavo questo gancio che ho cercato sempre di perfezionare. Certi automatismi diventano fondamentali quando giochi contro lunghi americani atletici e devastanti sotto canestro, ricordo come un incubo Lee Johnson che, ai tempi di Napoli, ogni volta che provavo qualche conclusione ravvicinata sentivo solo il rumore della palla stoppata ad altezze siderali che, sistematicamente, rispediva con altrettanta velocità in tribuna.

Abbiamo parlato di tanti stranieri ma anche a te non sono mancati esempi straordinari anche in panchina. Di “mostri” sacri come Ettore Messina, ancora nel pieno della carriera, si parla sempre moltissimo. Ci vuoi raccontare invece di Alberto Bucci ed Ezio Cardaioli, due grandi coach del più o meno recente passato.

Cardaioli è stato un allenatore importante perché è quello che ha guidato la prima Libertas Livorno davvero vincente di quell’epoca. Era un maestro assoluto di tattica, disegnava difese pazzesche che erano persino complesse per noi che dovevamo eseguirle in campo. Però spesso riusciva nell’intento, tante partite le abbiamo vinte grazie ai suoi aggiustamenti tattici e giungemmo ad un quinto posto nel 1983/84 che fu davvero una grande conquista. Alberto Bucci invece, che ho avuto il privilegio di avere sia a Livorno che a Bologna poi, è sempre stato un motivatore straordinario. Sapeva come toccarti dentro, come riuscire a farti trovare nuove energie, a darti la “missione” da compiere, un vero vincente.

Un’abitudine a vincere con Bucci che non avete perso nemmeno ora, visto che siete campioni del mondo Over 45.

Ah certo non si perde la voglia di giocare e competere, e di perdere la finale con la Slovenia di Kotnik e Perasovic naturalmente non ne avevamo nessuna voglia. Il divertimento e lo stare bene insieme è alla base di tutto, si è formato un gruppo di ragazzi che non ne vogliono sapere di smettere di giocare. Oltre a me c’erano tanti protagonisti della seria A di un tempo: Riva, Dan Gay, Fantozzi, Ponzoni, Montecchi, e Gus Binelli. A proposito di questo, Gus nessuno ci crede che ti ritiri, hai ancora troppa voglia di giocare, sono certo che ti rivediamo presto in campo!

CARERA: "NON CAPISCO I GIOCATORI CHE, CHIAMATI DALLA VIRTUS, CHIEDONO TEMPO PER PENSARCI. SPERO IN UNA GRANDE STAGIONE"

tratto da bolognabasket.it - 15/07/2018

 

L’ex Virtus Flavio Carera è stato sentito da Giorgio Burreddu per Stadio. Un estratto dell’intervista.

“Mi auguro che la Virtus possa tornare ad essere protagonista davvero, non sarà facile, si è scelta la strada del cambiamento, ma le premesse per una grande stagione ci sono tutte. Se prendi uno come Punter vuol dire che le ambizioni sono alte, ma non mi piace che qualcuno si prenda dei giorni per vedere se trova una squadra da Eurolega. La Virtus è la Virtus, bisogna essere convinti di venire e basta.
Le novità? Martelli è competente e troverà le soluzioni migliori, Sacripanti lo conosco, è uno di spessore, anche se logicamente la perdita dei due Gentile si farà sentire. Ale mi era sembrato migliorato rispetto all’ultimo periodo a Milano, si era integrato bene, ma non è stato molto fortunato. Senza infortuni forse avrebbero centrato i playoff.
La prossima Virtus farà un anno pazzesco se arriverà tra le prime quattro diventando antagonista di Milano, sarebbe un fallimento non arrivare ai playoff: scorso anno ci poteva stare, ma ora sta ritornando la vecchia voglia.
La coppa peserà, ci si allena poco, si viaggia molto, c’è dispendio di energie e ci si dovrà abituare”

 

I RICORDI DI FLAVIO CARERA: IN VIRTUS ANNI MERAVIGLIOSI

tratto da bolognabasket.it - 24/04/2020

 

Flavio Carera è stato sentito da Luca Muleo per Stadio. Un estratto dell’intervista.

“Ho passato molto tempo sui social a guardare foto, rivivere partite, il primo scudetto con la Virtus, gara 3 contro la Benetton sembra un secolo fa e in effetti è quello scorso. A Livorno e Bologna quei ricordi che ti fanno vivere un po’ con il sorriso. Ho parlato con i vecchi compagni, Brunamonti, Forti: a trent’anni di distanza posso dire di essere stato fortunato a giocare a basket in città che vivono per la pallacanestro. Peccato per quest’anno, la Virtus era tornata al top, c’era di nuovo il derby.
I “sondaggi” sui migliori nel ruolo? Sono bei giochi, complimenti a chi ci ha pensato. Mi sono autovotato, ho chiamato gli amici a casa per fare campagna elettorale ed evitare la batosta, segnare almeno il gol della bandiera. C’è stato un testa a testa tra me e Griffith, ma era indegno accostarmi a lui, non c’è neanche paragone, Griffith è uno che ha spostato gli equilibri, io solo un buon giocatore con la fortuna di avere accanto compagni e allenatori straordinari. Se andiamo sull’individualità è un’altra cosa. Come in Nazionale, io contro Marconato perdo sempre. Però è stato bello essere preso in considerazione, vuol dire che qualcosa l’ho fatto.
I ricordi degli scudetti? meravigliosi, dolcissimi per me che venivo dalla beffa di Livorno e potevo coronare un sogno sfuggito in quel modo. A Bologna, che non vinceva da 10 anni. Con un Danilovic appena arrivato e contro mostri come Rusconi e Kukoc. Che entusiasmo quei giorni, Ettore Messina, Bucci e Cazzola, Brunamonti e Joe Binion, il McDonald’s Open con le squadre NBA. C’è mancata solo la zampata europea, ci siamo andati vicini. Vincere lo scudetto per tre anni di fila non fu semplice, vuol dire avere dentro la forza di non mollare mai, ce l’avevano la società e il gruppo”


 

CARERA, “NON AVREMO VINTO LA COPPA DEI CAMPIONI, MA ANCHE TRE SCUDETTI DI FILA SONO QUALCOSA DI STORICO”

tratto da bolognabasket.it - 21/06/2020

 

L’ex Virtus Flavio Carera è stato sentito dal Carlino. Un estratto dell’intervista.

“Sono stato fortunato. Sono arrivato nelle stagioni d’oro. Non arrivammo alla Coppa Campioni, ma tre scudetti di fila entrano di diritto nella storia.
I tiri liberi? Non erano la mia specialità. Devo ammettere, però, che compagni di squadra, allenatori e tifosi non mi hanno mai fatto pesare nulla. Anche se credo che molti, tanti, abbiano tremato, almeno una volta, quando mi avvicinavo alla lunetta. Finale contro Treviso. Un quotidiano sportivo, proprio quel giorno, scrisse che Rusconi e io, dalla lunetta eravamo dei mezzi disastri. Chiusi la partita con 7/8. Negli spogliatoi fu chiarissimo il messaggio di Ettore Messina: ‘Se Flavio tira con queste percentuali dalla lunetta, forse è davvero il segno che lo scudetto è vicino’.
La finale con Livorno? Sono tuttora convinto che il canestro di Forti fosse valido. Dirò di più: se l’arbitro Zeppilli avesse avuto orecchie grandi come le mie, avrebbe udito la sirena. Ma dopo il canestro di Andrea.
Compagni? Ho giocato con Danilovic, il miglior giocatore d’Europa e non solo. Sono stato fortunato. Così come aver trovato una persona come Brunamonti. Ma sono in contatto con altri ragazzi, come Paolo Moretti, Riccardo Morandotti.
I tanti sfondamenti presi? Forse con i nuovi regolamneti qualche fischio me lo avrebbero ribaltato. Però se andate a vedere le classifiche, alla fine, in testa ai falli commessi c’ero io. Segno che poi gli arbitri non mi hanno regalato molto.


 

QUANDO CARERA "SALVÒ" DANILOVIC

di Ezio Liporesi - 1000cuorirossoblu - 05/02/2021

 

Cinque novembre 1992: al Palasport di Piazza Azzarita si gioca la seconda giornata del girone di Eurolega. La Virtus, sconfitta nettamente nel turno precedente a Zagabria, è chiamata a uno scontro fratricida: di fronte ha la Scavolini Pesaro di coach Bucci, allenatore che portò la Virtus al titolo tricolore otto anni prima. Sulla panchina bolognese Ettore Messina, che in quello scudetto della stella era vice allenatore. La sfida tra i due allenatori è solo uno dei motivi della gara: di fronte anche Myers, talento emergente del basket italiano, approdato in estate a Pesaro dopo essere stato inseguito anche dalle V nere, e Danilovic fresco campione d'Europa con il Partizan, che mentre Carlton giungeva nella città marchigiana, arrivava a Bologna con l'intento, neppure troppo celato, di riportare la Virtus ai vertici in Italia e tentare finalmente la scalata al massimo titolo europeo. Sasha è chiamato al riscatto, in Croazia non ha giocato bene, ha segnato il primo punto dopo undici minuti, quando il punteggio era già 25 a 7.

Poi il numero cinque serbo ha giocato una buona partita a Rimini in campionato, ma chiaramente la vetrina europea ha tutto un altro spessore. Invece al nono minuto Predrag ha già tre falli e non è in serata di tiro (alla fine 1 su 7). Fortunatamente i compagni iniziano bene e con una partenza sprint si portano sul 24-8 poco dopo la metà del primo tempo. All'intervallo la Scavolini ha ridotto il passivo, 38-29 e dopo sei minuti della ripresa quarto fallo di Danilovic e partita che torna in equilibrio. Negli ultimi secondi, quando il punteggio è in perfetta parità, il serbo sbaglia il tiro e Myers allo scadere regala la vittoria ai marchigiani 71-73. Solo otto punti e ventidue minuti in campo per il campione bianconero, mentre Carlton ne segna diciannove con anche il paniere decisivo e con il suo omonimo americano Pete Myers (20) è il grande protagonista della partita. Oltrettuto il Myers nazionale vive una settimana di grandissima gloria: la domenica precedente è stato protagonista nella vittoria di un punto contro Roma (arpionata con i liberi di Gracis a due secondi dalla fine), quella successiva realizzerà ancora sulla sirena il canestro del definitivo 90-88 a Milano. Niente male per un giocatore spesso accusato di perdersi nei momenti decisivi delle partite.

La Virtus, due giorni dopo la gara contro i marchigiani, ospita la Benetton, campione d'Italia. I bianconeri e Danilovic sono chiamati a una pronta risposta, ma i trevigiani sembrano una macchina perfetta in un primo tempo shock per le V nere: al 16' 25-47, all'intervallo poco meglio, 32-50. Nel secondo tempo avviene l'incredibile, sotto la spinta di Coldebella, con la grande difesa di Morandotti, con la continuità di Binelli, unico a salvarsi nel primo tempo, con un 5 su 5 di Moretti più un addizionale, con un monumentale Carera, autore di tuffi per recuperare palloni e canestri in attacco, 6 su 7, la Virtus in sei minuti con un parziale di 26-8 pareggia a quota 56. Dopo sette minuti di equilibrio, ultimo vantaggio per Treviso sul 66-67 al 33', la Knorr riprende la marcia trionfale e vince 95-86, con lo straordinario punteggio parziale del secondo tempo di 63-36. Nonostante i 37 punti di Teagle, ancora una volta la squadra veneta perde sul campo della Virtus, dove coglierà il primo successo della sua storia solo nell'aprile del 1996. In una serata di pochi punti degli stranieri, Wennington 8, Danilovic 9 (con 2 su 12), in doppia cifra cinque italiani: Brunamonti e Moretti 15, Binelli e Morandotti 14, Carera 13. Proprio Flavio è l'anima della rimonta: non solo la condisce con gli ingredienti abituali, lotta sotto i tabelloni, rimbalzi, blocchi, palloni recuperati (ben 6), ma in attacco è una furia, si sente ispirato, chiama il pallone, e lo recapita inesorabilmente nel canestro, con una serie di ganci di pregevole fattura: i suoi diciassette minuti in campo sono un esempio di furia agonistica.

Quella che all'intervallo sembrava una disfatta che avrebbe allargato la crepa nelle certezze della Knorr e di Danilovic, aperta contro la Scavolini, si trasformò non solo in un successo entusiasmante che proiettò le V nere sole al comando della classifica, ma anche in una delle grandi partite entrate nella storia delle V nere. Poi Sasha riprese a martellare il canestro, la Virtus rimase in quella posizione di vertice fino alla fine della regular season, da cui spiccò il volo verso lo scudetto numero undici, primo di tre titoli consecutivi. Carera tornò alle sue mansioni principali, lasciando nuovamente la ribalta offensiva ad altri: ormai era entrato nel cuore dei tifosi bianconeri. Carera e Danilovic erano appena arrivati a Bologna, ma il loro libro bolognese, ricco, di pagine indelebili non era che alla prefazione.

Virtus Knorr Bologna: Brunamonti 15, Carera 13, Morandotti 14, Binelli 14, Marcheselli, Coldebella 7, Moretti 15, Brigo, Wennington 8, Danilovic 9.

Benetton Treviso: Pellacani 2, Iacopini 13, Ragazzi 8, Rusconi 13, Piccoli, Esposito, Vianini 8, Mian, Kukoc 5, Teagle 37.




 

Carera e Robert Parish nell'amichevole Virtus - Charlotte del 21 ottobre 1994 (foto fornita da Flavio Carera)

RADIO A TUTTO WEB

Brunamonti e Carera ospiti a Radiabo e Basket 108
di Ezio Liporesi - Cronache Bolognesi - 19/02/2021

 

Un venerdì, quello scorso, in cui il passato della Virtus è comparsa meravigliosamente sul web grazie a due giocatori che hanno lasciato il segno nella lunga storia delle V nere. Roberto Brunamonti e Flavio Carera, ex compagni di squadra, amici nella vita, sono stati ospiti di due diverse trasmissioni su due diversi canali. Alle 18 del 12 febbraio su Basket 108, la radio dedicata alla pallacanestro, nella trasmissione Possesso Alternato, condotta al microfono e in regia dall'esuberante Michele De Rosa, con a fianco il sottoscritto e Nick Fiumi, che di Carera è stato anche compagno di squadra, l'ex pivot di Livorno, della Virtus e della nazionale italiana è intervenuto portando la sua carica di simpatia e di umanità. Un'ora dopo, chi si è sintonizzato su Radiabo, la neonata radio web, nella trasmissione V vs F, condotta dall'impeccabile Andrea Marcheselli, con Fabrizio Pungetti e ancora il sottoscritto, diretti con maestria in regia da Andrea Neri, ha potuto ascoltare l'intervento di Brunamonti, bandiera della Bologna bianconera. Ecco una sintesi delle parole dei due protagonisti.

Carera

Il sogno di tutti noi bergamaschi è di portare a casa un trofeo, speriamo di portarla a casa. L'Atalanta non vince nulla dalla Coppa Italia del 1963, questa è la quinta finale, io ero a Roma due anni fa quando perdemmo, stavolta speriamo di farcela. Venendo al basket, l'interesse del risultato fa impiegare poco i giovani, la mia fortuna a Livorno fu avere una società che ci permetteva di sbagliare, eravamo tanti giovani che dovevano crescere ed ebbero la pazienza di aspettarci. La semifinale del 1989 a Livorno contro la Knorr fu una grande soddisfazione, una serie di triple incredibili, ma la mia fu una pietra. Chiedetemi pure anche della finale, perché il canestro era buono!! La Virtus era una grande squadra, con Richardson, Clemon Johnson, Villalta, Brunamonti, Bonamico, ma noi meritammo il passaggio di turno, anche se in gara uno la Virtus arrivò vicino a vincere. Poi a Bologna quella rimonta contro la Benetton campione d'Italia, quando rimontammo venti punti e non era facile, io ebbi dieci minuti di grazia con numerosi ganci, fu una partita irripetibile per me, portai qualcosa di più del mattone abituale. Posso dire di essere entrato nel cuore dei bolognesi quel giorno, ma ho tanti ricordi belli. Sia a Livorno sia a Bologna il pubblico mi ha sempre accolto bene, anche se i tifosi bolognesi si mettevano le mani nei capelli quando andavo in lunetta; diciamo che quel giorno mi feci perdonare i tanti liberi sbagliati in maglia bianconera. Gamble oggi sbaglia molti tiri liberi nella Virtus di oggi, ma è importante per tante altre cose. Io ho sempre avuto la fortuna di avere allenatori che mi apprezzavano per quello che sapevo fare senza troppe critiche per i miei punti deboli, chiudendo un occhio o anche due per esempio sui liberi dove spesso ero anche sotto il 50%, sebbene mi allenassi tanto, ma in partita è tutta un'altra cosa. Magari adesso senza la pressione del pubblico tirerei meglio, ma tirarli nel Madison di piazza Azzarita faceva tremare le gambe. Ricordo volentieri la parentesi a Ozzano con Nick, ma io ero neanche alla frutta ero al caffè. Ero a fine carriera, avevo praticamente smesso, fare un anno con un gruppo di ragazzi giovani, mi permise di mitigare la malinconia di dover lasciare la pallacanestro. Sklero che purtroppo è mancato, Torre, il presidente Cuzzo. All'inizio di carriera ho giocato con Chuck Jura, guardandolo in palestra ho imparato tanto. Giocando con i bravi impari molto. L'ultimo anno a Bologna, avevo proprio il compito di far crescere Barlera che aveva grandi potenzialità e purtroppo è scomparso troppo presto. Per me non era un momento facile, ma Messina mi chiese proprio di far crescere Paolone e anche quell'anno lo ricordo con piacere. Poi quando mi confrontavo ogni tanto con Griffith non c'era gara. Bucci è l'allenatore a cui sono più legato: l'ho avuto tanti anni a Livorno, con lui sono cresciuto come giocatore e come uomo, poi mi ha allenato a Bologna e anche negli ultimi anni a livello Master, mi urlava ancora dietro anche quando avevo cinquant'anni, ma Alberto mi dava una grande carica. I tornei Master erano fatti in allegria, si andava ad altre velocità, ad altre altezze, ma Bucci chiedeva sempre il massimo. Anche lui è venuto a mancare troppo presto, persone di cui sentiamo la mancanza. Quando sali le scalette del palasport di Piazza Azzarita è una grande emozione e anche un certo timore, che poi con l'aiuto del pubblico, alla palla a due la paura passa. Finivo le partite con le caviglie nel ghiaccio, ma il mio sogno era giocare portiere in serie A di calcio e allora nei miei tuffi sul parquet imitavo Pagliuca. A parte gli scherzi dovevo in qualche maniera rimediare ai miei limiti fisici e tecnici, non ero altissimo, non ero esplosivo, mi davo da fare in qualche maniera, non arrivando in alto, cercavo di arrivare in basso; non potevo tiare frontalmente perché avevo la mano quadrata e allora questo gancio mi ha permesso di stare sui campi di serie A per vent'anni e in nazionale, sono stato fortunato. Alberto Bucci e ancora prima Ezio Cardaioli sono allenatori che mi hanno dedicato tempo per insegnarmi questo gancio, non naturale, ma costruito, ripetendolo per ore in allenamento. Ho visto la partita della Final Eight di Coppa Italia della Virtus, mi dispiace per la sconfitta, ma grandi meriti a Venezia, anche se in questo momento mi sembra che Milano abbia una rosa straripante, conosco l'allenatore, li vorrei "gufare", ma penso che quest'anno porteranno a casa trofei. Sono favoriti per il campionato e la Coppa Italia, in Europa sarà più difficile, ma si stanno comportando bene anche lì. Mi auguro di vedere la Virtus vincente da qualche parte, magari in Eurocup. Quest'anno è tutto condizionato dal covid, senza pubblico, ma è importante giocare, anche per portare la pallacanestro nelle case. Sarà comunque una stagione condizionato dalla particolare situazione. Di aneddoti ne ho tanti, la cosa più bella erano le partite di calcetto che il prof. Grandi, preparatore atletico della Virtus e della nazionale, ci faceva giocare prima delle finali: ricordo con l'Italia prima della finale a Barcellona '97. Era un modo di stemperare la tensione. Un'altra volta Bucci prima di una finale scudetto mise su una cassetta, come si usava fare per studiare gli avversari, senza sapere che noi giocatori avevamo messo un film hard, intanto Alberto, di spalle, continuava a parlare. Erano tutti modi per sdrammatizzare momenti di tensione. Komazec era un grande giocatore, ma non era facile venire dopo Sasha, che era il punto di riferimento della squadra. La chimica è quella che ti permette di vincere, poi in un momento importante si chiamò fuori per un infortunio al piede. Vincemmo una Coppa Italia senza Komazec, con Brunamonti in panchina, poi cercammo di recuperarlo per i playoff ma non ci riuscimmo. Era un po' la fine di un ciclo.

Brunamonti

La Coppa Italia che ricordo con più piacere fu la terza, quella del 1990. Oltretutto le finali solitamente non sono belle partite, ma quella fu invece giocata molto bene, con Richardson che in quella stagione giocò veramente benissimo: sempre bravissimo, ma quell'anno superlativo. Eravamo partiti senza grandi aspettative, Villalta e Bonamico erano partiti, ma iniziammo bene e questo facilitò le cose e così ottenemmo ottimi risultati. Ho un bel ricordo anche di quella del 1997, non tanto perché ero l'allenatore, ma perché è legata al nome di Chicco Ravaglia, che giocò molto bene e ci diede un aiuto decisivo per vincere il trofeo. Purtroppo non ha avuto modo di vivere molti altri momenti così e se ne è andato troppo presto. Poi naturalmente anche la prima Coppa Italia, quella del 1984 la rammento con piacere, anche perché è legata al nome di Bucci. Avevamo appena vinto lo scudetto, eravamo un po' stanchi e scarichi, ma riuscimmo contro Caserta a portare a casa un altro trofeo. Con Caserta vincemmo anche quella del 1989, ma è normale, la squadra campana in quegli anni era ai vertici. Naturalmente sono importanti anche quelle vinte da dirigente, è un altro ruolo, ma si è sempre presenti, si fa parte della squadra, anche se il contributo fornito in quel caso, è più a inizio stagione, quando si forma la squadra. Di derby in Coppa Italia ricordo naturalmente quello del più quarantuno, un record ancora imbattuto. Anche perché ne avevamo da poco perso uno di trentadue punti e in campo un po' a quelle cose si fa attenzione, quando vedemmo che il punteggio assumeva determinate proporzioni, ci tenevamo a spingere sull'acceleratore, perché sono poi cose che rimangono, anche per i tifosi.

FLAVIO CARERA A V vs F SU RADIABO

di Ezio Liporesi Cronache Bolognesi - 04/06/2021

 

Flavio Carera è stato ospite della trasmissione V vs F su Radiabo.

"Nei playoff si giocano partite uniche, eccezionali ed è già una vittoria poterle giocare, dopo una stagione così condizionata dal covid. La Virtus ha strappato subito il servizio vincendo in trasferta nella serie che appare più equilibrata, anche se Venezia in gara uno è andata molto vicina a vincere. Il fattore campo conta relativamente quest'anno, anche se ora con l'ingresso di una parte del pubblico le cose cambieranno un po'. La Virtus è molto interessante; è stata molto criticata, ma ha fallito solo l'ingresso in finale di Eurocup. In campionato è giunta terza nella prima fase, ma ha perso tante gare casalinghe che sono convinto, con la presenza del pubblico non le sarebbero sfuggite in numero così copioso. La squadra c'è e vederla in finale scudetto sarebbe bellissimo, come farebbe bene alla pallacanestro italiana una conclusione Bologna - Milano, una sfida che farebbe rivivere i ricordi della stella del 1983/84, quando la Virtus di Bucci vinse a Milano. La stagione è stata complicata, ma essere vicini alla finale deve essere motivo di orgoglio per le V nere. A Bologna sono grato perché mi ha permesso di coronare un sogno che mi era stato strappato a Livorno qualche anno prima. Il primo scudetto arrivò con una cavalcata trionfale (ma in campo la tensione era comunque tanta) sconfiggendo Treviso che aveva sfiorato la vittoria in Eurolega perdendo la finale contro il Limoges. Per me fu il primo titolo tricolore, come anche per Moretti e Morandotti, per lo stesso Messina, e fu una gioia immensa, poi ci ripetemmo altre due volte, cosa mai facile; quella squadra entrò così nella storia del campionato italiano, poi ci furono altre Virtus che hanno fatto la storia del campionato europeo. Sono contento di aver fatto parte della storia delle V nere. C'erano uno staff tecnico, una dirigenza e un pubblico eccezionale. In un derby verso fine partita feci una stoppata decisiva su Djordjevic, lui lamentò un fallo, ma a me sembrò buona e così fu giudicata. Il fascino di quelle partite è eccezionale, i derby, i playoff, è bello ricordarle e averle vissute. In campo vanno i giocatori, ma è importante anche l'allenatore che ti prepara per arrivare nella maniera migliore alla gara e durante la partita ha l'opportunità di vedere determinate cose e intervenire. Per arrivare a un traguardo è necessaria una chimica perfetta. Vista da fuori la Virtus ha vissuto una stagione complicata, ha inserito giocatori nuovi, che non è mai facile, anche se Belinelli si è immerso nella realtà bianconera benissimo, poi ci sono stati l'esonero e il reintegro di Djordjevic. Sono il meno indicato per parlare dei tiri liberi, ma nelle gare playoff i tiri dalla lunetta diventano determinanti, la pressione aumenta e qualche volta tremano le mani anche a giocatori importanti. La pallacanestro è cambiata, ci sono pochi giocatori italiani nel nostro campionato e spesso giocano poco. Bologna ha dato invece spazio ai giocatori nostrani, Pajola ha fatto la sua parte, Tessitori ha giocato un bel campionato. Occorre lavorare di più, Pajola è un esempio, con l'impegno e i progressi si sta guadagnando tanto spazio. Io sono stato il muratore di Sasha, la mia fortuna è stata quella di aver giocato con dei grandi compagni. Le nuove leve arbitrali devono aumentare il loro livello. Apprezzo tantissimo chi fa l'arbitro, anche giocatori e dirigenti devono aiutarli a crescere, ma anche le regole dovrebbero essere più semplici. Arbitrare non è per niente semplici, ma forse lo è di più per qualcuno che abbia giocato e possa capire meglio determinati contatti. Certi contatti dei nostri tempi oggi sarebbero tutti intenzionali; quando s'iniziavano i playoff cambiava il modo di giocare, i contatti diventavano più duri e cambiava anche il metro arbitrale rispetto alla stagione regolare. Tutti insieme spingiamo la Virtus verso la finale scudetto".

FLAVIO CARERA

di Ezio Liporesi Cronache Bolognesi - 04/06/2021



 

Carera arrivò a Bologna, dopo l'esperienza di Livorno, con impressa nella mente e nel cuore quella famosa e beffarda finale persa veramente sul traguardo finale con il canestro non convalidato a Forti. Curiosamente, proprio contro le V nere aveva stabilito due record: il suo punteggio più alto, 25 punti nel 1991, e la sua unica tripla realizzata, nella semifinale del 1989. Alla Virtus Flavio ebbe modo di "consolarsi", vincendo tre scudetti consecutivi dal 1993 al 1995, la Supercoppa del 1995 e la Coppa Italia del 1997. Giocatore di fortissimo impatto difensivo, specialista in blocchi, rimbalzi e tuffi per recuperare il pallone, decise un derby pur segnando un solo punto, perché nel finale stoppò Djordjevic e recuperò un pallone in tuffo. Anche in attacco sapeva farsi rispettare e il suo gancio era assolutamente inarrestabile. Tante le sue partite memorabili: tutti lo ricordano quando il 7 novembre 1992 trascinò le V nere a una grande rimonta contro Treviso che, avanti di 22 punti si fece rimontare da una Knorr che alla fine vinse di nove punti; bellissima anche la sua gara tre di finale scudetto di quella stagione, sempre contro i trevigiani, una cavalcata terminata 117-83; dovendo però scegliere, richiamerei una gara contro Milano, il 19 dicembre 1993, in cui stabilì cinque suoi record personali: 19 rimbalzi, di cui 14 difensivi, 5 stoppate, 5 tiri liberi realizzati e 36 di valutazione; in quella partita segnò anche 12 punti, recuperò 6 palloni e subì 7 falli restando in campo per 39 minuti, anche perché Levingston non era ancora stato sostituito e Binelli aveva contratto la varicella. Dopo cinque stagioni ricche di soddisfazioni lasciò Bologna, per tornarvi nell'estate 2001, quando le V nere, reduci dal grande slam, lo richiamarono per aiutare la crescita di Paolo Barlera e così, in allenamento, Flavio si trovò ad allenarsi con Griffith... e Belinelli. Per Flavio, in sei stagioni totali nella Virtus, 1613 punti in 341 partite giocate, al decimo posto assoluto nella storia della Virtus, per numero di presenze.

In nazionale 654 punti in 136 presenze (di questi, rispettivamente, 52 e 7 con la formazione sperimentale). Nel periodo in maglia Virtus 361 punti in 86 partite, undicesimo giocatore della storia delle V nere, per numero di gettoni in azzurro durante il periodo in bianconero. Proprio mentre giocava a Bologna ha ottenuto le più grandi soddisfazioni anche con la maglia azzurra: la Medaglia d’Argento all’Europeo di Spagna nel 1997, la Medaglia d’Oro ai Giochi del Mediterraneo in Francia nel 1993 e la Medaglia d’Argento ai Goodwill Games in Russia nel 1994.

CARERA, “UNA FETTA DELLO SCUDETTO È MERITO DI ALBERTO BUCCI”

tratto da bolognabasket.it - 20/06/2021

 

Flavio Carera è stato sentito da Dario Cervellati per Stadio. Un estratto dell’intervista.

“Da sportivo mi sarebbe piaciuto si andasse avanti ancora; questa serie è stata uno spettacolo di intensità e gioco, ma da tifoso della Virtus sono stato contentissimo così: è un successo meraviglioso. La squadra ha cambiato prefisso telefonico a Milano dandole uno 0-4 in maniera inaspettata ed è entrata nella storia. Una fetta di questo scudetto è del grande e compianto Alberto Bucci, che ha avuto il merito dopo la retrocessione di gettare le basi e costruire un bel futuro.
L’addio di Djordjevic? Un peccato, perché penso che dopo questo scudetto, che è entrato nella storia, ci fossero le premesse per continuare. La Virtus doveva essere l’antagonista della favorita Milano e non solo lo è stata, ma l’ha addirittura battuta in maniera netta, concludendo i playoff da imbattuta, un’impresa mica facile. Tanto di cappello a Djordjevic per quanto è riuscito a fare, in una situazione non agevole dopo l’esonero. Per sostituirlo serviva un grandissimo allenatore.
Sergio Scariolo era uno dei migliori su piazza. Dovrà riambientarsi nel basket italiano, ma è un allenatore di spessore. Con il cambio in panchina ci si può aspettare qualche innesto nel roster: ogni coach si porta dietro almeno un suo pupillo…”