ORLANDO WOOLRIDGE

(Orlando Vernada Woolridge)

Big O e i suoi occhialoni

nato a: Mansfield (USA)

il: 16/12/1959 - 31/05/2012

altezza: 205

ruolo: ala

numero di maglia: 8

Stagioni alla Virtus: 1995/96

statistiche individuali del sito di Legabasket

biografia su wikipedia

palmares individuale in Virtus: 1 SuperCoppa

 

 

"È COME GIOCARE NELLA NBA"

Woolridge, MVP della Supercoppa esalta la sua Buckler
"La facilità nel trovare il canestro è la stessa. Ma non ho vinto solo per me"

di Alessandro Gallo - Il Resto del Carlino - 17/09/1995

 

Sotto sotto ci aveva pensato fin dal mattino. Da quando aveva visto allenarsi i vecchi amici, Gracis e Pittis, sotto lo sguardo attento di Mike D'Antoni. Adesso Orlando Woolridge è l'uomo più invidiato da Moretti. Sì, di Nanni, il regista, perché Big O, giudicato miglior giocatore della prima edizione della Supercup, se n'è tornato a casa con un mostruoso vasetto di Nutella. Il simbolo del comando, dell'uomo che fin dall'inizio ha creato problemi alla difesa della Benetton. Ventisei punti per Orlandone e se a questo ci aggiungiamo pure 6 rimbalzi, 2 palle recuperate e una stoppata data (a Bonora), possiamo ben capire l'impatto che l'ex giocatore di Treviso ha avuto sulla partita.

Orlando è contento: accetta di posare con mille e più tifosi sconosciuti che già l'adorano, scambia occhiate affettuose, distribuisce pacche e manate in egual misura. Lino Frattin, il vice di Bucci, lo segue come un'ombra: per Orlando è il traduttore, l'autista (che effetto vederlo rannicchiato a bordo di una Panda), ma anche un amico al quale confidare le impressioni di questi primi 40 giorni all'ombra delle due torri. Continua dunque la striscia vincente di Orlando - una Coppa Italia e una Coppa Europa nel suo palmares - gli manca solo quello scudetto che in maggio non avrebbe mai potuto vincere. La forza della difesa Buckler l'aveva sperimentata sulla sua pelle: ne è rimasto talmente impressionato da fare, sin dai primi giorni, quei raddoppi e quegli aiuti che Bucci chiede sistematicamente ai suoi ragazzi. Qualcosa che prima di questa nuova avventura, forse nessuno gli aveva mai chiesto.

Orlando comincia a difendere duro e alla fine si può pure distendere con la maglietta fatta stampare in tutta fretta da Coldebella per festeggiare questa prima Supercup.

"Quando sono sceso in campo - racconta - non pensavo assolutamente al titolo di Mvp. Volevo vincere, sì, ma il trofeo, insieme con i miei compagni. All'inizio non è stato facile: sono un professionista, ho girato il mondo, ma sentire il saluto dei vecchi tifosi e dei vecchi compagni mi ha toccato. Sono un professionista, ma sono anche un uomo".

Trenta partite di campionato un anno fa - arrivò a stagione iniziata per sostituire l'ombra di Barlow - chissà quante ne potrà disputare d'ora in avanti.

"Sono avvantaggiato - ammette - perché ho già avuto modo di conoscere il metro arbitrale, le pause del vostro campionato, il modo di giocare". Ma il vantaggio più grosso, e Orlando lo ammette senza paura di sbilanciarsi, glielo ha offerto su un piatto d'argento proprio Alberto Bucci.

"Sì - sottolinea il numero 8 bianconero - questa squadra ha una velocità incredibile. Mi sembra quasi di essere tornato nella Nba, la facilità nel trovare il canestro avversario è la stessa".

Un bel complimento, insomma, al coach delle V nere che però non cambia idea: la vera Virtus sarà pronta nella seconda metà di ottobre in coincidenza con la trasferta a Londra per il Mc Donald Championship. I ragazzi di Albertone, comunque, sono apparsi già in grande spolvero e con il successo di ieri hanno infranto un tabù, quello di vincere qualcosa anche nel palazzone di Casalecchio. Il "soggiorno obbligato", lontano dalle atmosfere più accattivanti di piazza Azzarita, sarà meno duro. Festeggia la Buckler: Abbio, Brunamonti e Morandotti spruzzano spumante senza avere pietà per nessuno, si posa per la foto ricordo, si attende la prima partita di campionato. Intanto Orlandone se ne può andare con il suo sorriso e l'indice destro proteso verso l'alto, come solo i numeiri 1 possono fare. Il "Woolridge time", insomma, è appena cominciato.

 

BIG O

di Walter Fuochi - VMagazine - Giugno 2012

 

Orlandone si sciacquò la bocca nella pancia del Forum. Era finita da pochi minuti la stagione di una Virtus tronfia e sgonfia, sbagliata nei progetti e malvissuta fra campo e spogliatoi, e ceduta quella semifinale mai nata ala Milano che ci avrebbe poi vinto lo scudetto '96, l'uomo nero vomitò ira e sdegno. Aveva dovuto giocare, ruggì, accanto a un bimbo viziato che frignava solo e non la passava mai, Arijan Komazec.

E lui, Orlando Woolrdige, quattordicimila e rotti punti in quasi mille partite Nba, affronti simili non poteva tollerali. Detestava il croato, probabilmente ricambiato. Non furono mai nemmeno una coppia, figuriamoci una squadra. Addio, Basket City, e per sempre. A perdere, in una Bologna dove da tre anni Re Alfredo aveva abituato a vincere patrizi e plebei, Orlandone era arrivato da Treviso. E a Treviso, qualche mese prima, dalla Nba. Aveva varcato i 35, ma era una stella vera: calante, però ancora vivida e intensa, soprattutto per l'Europa. Aveva molto guadagnato e, suppoongo, ancor più dilapidato, priam e dopo, se l'ultima breve di cronaca rimbalzata pochi mesi fa dalla Luoisiana raccontava d'un suo furto da povero disgraziato. Tubi d'alluminio per 1.500 dollari, da rivendere al mercato nero.

Non era, ahinoi, l'ultima notizia: solo la penultima. Ai primi di giugno avremmo saputo che Orlando non c'er apiù, ucciso a casa dei suoi, a 52 anni, da una malattia di cuore. Wollridge era stato, nella sua vita migliore, una prima scelta Nba, chiamato da Chicago col numero 6, e s'era diviso, da attore protagonista, fra molte squadre: le più prestigiose, i Bulls del nascente Michael Jordan e i Lakers dell'affermato Magic Johnson. Aveva avuto anche guai di droga, era stato costretto, per rientare nel giro, alla riabilitazione, ma a Philadelphi lo stipendiavano ancora con due milioni e mezzo di dollari a stagione quando, all'inizio del '85, decise che non era più felice, nel campionato più grande del mondo, e atterrò a Treviso, per completare la stagione con la Benetton.

Vinse subito una Coppa Italia (e fu il miglior giocatore delle fineli) e un'Europa Cup, dopodiché perse la finale scudetto contro la Virtus. Mezzi rotti sia lui che Naumoski, D'Antoni li spedì in campo, ma non aveva squadra per reggere una sfida che la Buckler allora padrone stravinse 3-0. Danilovic si congedò dal PalaDozza come un ultimo imperatore: segnò 40 punti, fece l'inchino alla platea, consegnò il terzo scudetto di fila e se ne volò a Miami. Sarebbe tornato a casa, due anni dopo, per il tiro da quattro.

Dovendo varare tutta un'altra Virtus, Cazzola, che aveva già prenotato Komazec, puntò proprio su Woolridge. Allarmavano, quando arrivò a Bologna, l'età sinodale e la fama da magnifico perdente. Confortavano la classe purissima e il fisico ancora scultoreo: un'ala forte di 206 centimetri e meno d'un quintale, tutta muscoli e tiro, eleganza e velocità. Poca difesa, e pochi rimbalzi, vero, ma la Virtus coniò, per la sua scintillante dozzina, uno slogan che riassumeva un programma.

Showtime, scopiazzando quelli di Los Angeles. Alberto Bucci spingeva la truppa a 70 tiri in 40 minuti: scopo del gioco, provare a vincere facendo un canestro in più anziché prenderne uno in meno. Non era il basket più adatti ai tempi: sia prima che dopo si vinsero Coppe dei Campioni coi punti della briscola. Ma per un po' funzionò. E incantò. Fece poi la punta al suo orgolgio di epurato per sciorinare a Londra, in faccia agli ex colleghi Nba, un McDonald's Open da ovazione. Segnò 91 punti in tre partite, trascinò la Buckler alla finale contro i Rockets e la timbrò con 34 punti che scossero anche gli inviati yankees. E questo cosa ci fa qui? Non l'avremo mandato via troppo presto?

Pure il campionato, subito, ingannò. E un derbym che a Basket City è una sempiterna prova del fuoco, illuse le folle biancoenre. 29 ottobre 1995, Casalecchio: una stracittadina, alla fine strappata dalla Vritus, in qualche modo storica. Fu l'unica di Woolridge, ricca di 17 punti. Fu la prima con lEffe in petto di Carlotn Myers, che debuttò in campionato dopo un lungo infortunio e già in quel primo morso, pur perdente, si svelò come il prossimo più acerrimo nemico che la Vu nera si sarebbe ritrovata, non solo in città. Fu la recita più tonante di Komazec, che con 28 punti fallacemente promise d'esser ancor più letale di Sasha. E fu quella più struggente di Brunamonti, che nell'anno dell'addio la fece svoltare con 3 triple filate, beffardo contrappasso alle parole di vigilia di Giorgio Seragnoli, che già, in intervista, l'aveva sgradevolmente prepensioanto (e forse avrebbe dovuto farlo con chi gli scriveva i discorsi).

Tanto, o forse tutto, con Woolridge si frantumò la notte di Lisbona. Solo occi, letteralmente. Fine novembre '95, piegato il povero Benfica solo all'ultimo tiro di una partitaccia immonda, Orlando accusò, la mattina dopo, una mano rotta. Vanament la società alzò il muro del silenzio, evocando collisioni assassine a rimbalzo. Ma ci fu chi setacciò il filmato e non rilevò mezz immagine con una mano bianca anche solo vicina alla sua nera. Forse sarebbe stata da cercare nel dopopartita, santificata a Venere l'alba portoghese.

Di lì, Orlando non fu più lui. Andava dentro e fuori, e l'energia giovane di Anthony Bonner, arrivato a surrogarlo, piaceva tanto di più a pubblico e critica, nonché a Bucci stesso. Solo che, per ragion di stato, finì l'anno Orlando. E lo finì male, affondato a Milano, e ancora prima umiliato dall'ultima notte di coppa, quando il Real Madrid banchettò al PalaDOzza (115-96) e più di tutti s'ingozzò Arlauckas, (non) marcato da Woolridge, conficcando 63 chiodi nel costato e nella credibilità di un San Sebastiano nero di cui nessuno ormai si fidava più. Così come dello showtime: che era tale soprattutto per chi quella Virtus incontrava.

Finì dunque, il nostro eroe, maledicendo l'Ariano solipsista, finì da Wandissima, aggrappato alle tende d'un irato viale del tramonto, e finì tornando a casa, ad allenare una squadra femminile. Qui, allora, quelli che non vincevano non accontentavano. E così andò a Woolridge, liquidato senza rimpianti come il pavone nero che sapeva fare la ruota quando meno serviva. Si sarebbe visto poi di peggio. Passasse adesso sotto i portici, un Orlandone Woolridge...

Woolridge premiato come MVP della Supercoppa 1995/96

IL CUORE TRADISCE ORLANDO WOOLRIDGE
GIOCÒ ANCHE A TREVISO E BOLOGNA

Morto a 52 anni Big O, che dopo 13 anni in Nba sbarcò in Italia vincendo Saporta Cup e Coppa Italia con la Benetton e Supercoppa Italiana con la Virtus
tratto da www.gazzetta.it - 01/06/2012
 

13 anni di Nba giocando anche col primo Michael Jordan. Due stagioni in Italia da protagonista tra Treviso e Bologna, sponda Virtus. Orlando Woolridge aveva un posto speciale nel cuore di tanti tifosi di basket, conquistato a forza di giocate spettacolari e fantastiche schiacciate. Ma il suo, di cuore, lo ha tradito a 52 anni, portandoselo via dopo una lunga lotta con un problema cronico. Woolridge è morto ieri nella sua Louisiana, nella casa dei genitori. 

LA CARRIERA NEGLI USA — Dopo la cavalcata con Notre Dame fino alle Final Four Ncaa del 1978, Woolridge entra in Nba come sesta scelta assoluta nel draft 1981. Finisce a Chicago, dove nonostante con i suoi 205 centimetri si segnala per esplosività e schiacciate da urlo. Il suo anno migliore ai Bulls è il 1984-85, quando chiude a 22,9 punti di media in una squadra che accoglie il primo vagito Nba di un certo Michael Jordan. Ma Woolridge e His Airness non vanno molto d'accordo e Big O cambia aria: finisce ai Nets dove resta per due anni, poi altre due stagioni ai Lakers, tre anni equamente divisi tra Denver e Detroit, poi Milwaukee e Philadelphia. Chiude con l'Nba nel 1994, a 34 anni, dopo 851 partite a 16 punti di media.

IN ITALIA — Ma Big O ha ancora voglia di giocare e dice sì alla chiamata arrivata dall'Italia e il 20 novembre sbarca alla Benetton. Woolridge infiamma subito il pubblico del Palaverde con il suo basket atletico e spettacolare ed è il faro della squadra allenata da Mike D'Antoni che è una delle protagoniste assolute della stagione. In campionato colleziona 30 presenze a 20,2 punti di media e trascina la Benetton fino alla finale scudetto persa 3-0 con la Virtus Bologna. Ma Treviso si consola con la Coppa Italia e la Saporta Cup, il primo trofeo internazionale dell'era Benetton, su cui Woolridge mette la firma trascinando la squadra al 94-86 nella finale contro il Baskonia. Woolridge nell'estate del '95 lascia Treviso e passa alla Virtus Bologna. Big O con le V nere vince la Supercoppa Italiana e in campionato colleziona 25 presenze a 18,2 punti di media. La corsa della Buckler si ferma in gara-4 delle semifinali scudetto contro Milano e Woolridge decide di dire basta. Ciao Italia e ciao basket da giocatore (da allenatore ha collezionato una stagione in Wnba con Los Angeles e due in ABA tra Houston e Arizona). Ieri il suo cuore lo ha tradito.

 

TALENTO E SIMPATIA DALL'NBA ALLA VIRTUS

E' morto "Orlandone" Woolridge.  Aveva 52 anni, soffriva di una malattia cronica al cuore. Dopo le strabilianti avventure nel campionato americano atterrò prima a Treviso poi a Bologna

di Walter Fuochi - La Repubblica - 01/06/2012

 

Orlando Woolridge, morto a 52 anni giovedì notte a Mansfield, in Louisiana, per una malattia cronica al cuore, era arrivato in Italia come una delle stelle più splendenti della Nba: Treviso e Bologna, sponda Virtus, furono i suoi approdi, due capitali d’un basket ben più ricco e felice d’adesso, in quella lontana metà degli anni Novanta.
 
Woolridge era stato una prima scelta Nba, ed uno da quasi mille partite tra i "pro", la maggior parte delle quali divise, da attore protagonista, fra i Chicago Bulls di Michael Jordan e i Los Angeles Lakers di Magic Johnson. Guadagnava ancora due milioni e mezzo di dollari a stagione quando, all’inizio del ’94, decise di non esser più felice, nel campionato più grande del mondo, e atterrò a Treviso, per completare con la Benetton la stagione ‘94-95. Vinse subito una Coppa Italia (e fu il miglior giocatore delle finali) e un’Europa Cup, dopodichè perse, azzoppato pure da un infortunio, la finale scudetto con la Virtus. 

Avendo abbagliato per strapotenza e fantasia del suo gioco offensivo, fu proprio la Virtus, che doveva rifondarsi dopo l’addio di Danilovic per la Nba, a sceglierlo, nell’estate del ’95, per metterlo accanto a Komazec e tentare la strada di uno scintillante showtime. Vennero subito una Supercoppa, poi uno strepitoso McDonald’s Open, attizzato dal confronto con gli ex colleghi della Nba, e la squadra di Alberto Bucci andò bene per un po’, poi però mostrò limiti in campo, soprattutto difensivi, e spaccature in spogliatoio, fallendo tutti gli obiettivi. 

Orlandone, come lo chiamavano, si ruppe pure una mano, in un misterioso incidente a Lisbona, dopo una gara di coppa col Benfica, e di lì iniziò ad andare dentro e fuori, giocando solo 19 gare di campionato e alternandosi in squadra col giovane Anthony Bonner, chiamato a sostituirlo. Era ormai pronto per chiudere la carriera, tornare negli States e dedicarsi ad allenare. La sua morte, ieri, ha dolorosamente colpito la città del basket: anche se non aveva legato il suo nome a vittorie, il suo gioco spettacolare e la sua estroversa simpatia avevano fatto di Woolridge, che spesso si esibiva in campo con occhialoni alla Jabbar, un ammirato protagonista dei parquet.