ASA NIKOLIC

(Aleksandar Nikolić)

Cantamessi e Aza Nikolic

nato a: Sarajevo

il: 28/10/1924 - 12/02/2000

statistiche individuali

biografia su wikipedia.it

 

Tratto da "Quando ero alto due metri " di Dan Peterson

 

Aza Nikolic venne a Bologna per il mio secondo e terzo anno alla Virtus: dal 1974 al 1976. No, non posso dire di avere imparato nulla per le coppe, ma ho osservato i suoi allenamenti ogni giorno (tranne la settimana del Derby) per due anni. Ho notato una cosa: che gli uomini sono capaci di fare molto più lavoro di quanto forse crediamo. I suoi hanno lavorato come dei cavalli. Poi, in questo, Nikolic era costante: il lavoro è stato massacrante dopo le vittorie come dopo le sconfitte. Un giorno, li ha fatti lavorare in maniera terrificante per due ore. Stop. Mi sono detto: "Chissà se andranno in spogliatoio in ginocchio o in piedi?" Nikolic: "Ora farete l'atletica con il Prof. Assi". Questi uomini, veri stracci, hanno poi fatto un'altra ora di atletica. Queste poche righe, ovvio, non possono inquadrare neanche un milionesimo del personaggio o del coach. Un episodio solo: faceva partire il 10° uomo, Ciucci' Devetag, in quintetto base, per cinque minuti, a marcare Tom McMillen. Poi, scombussolato McMillen (gioco pulito, s'intende), fuori Devetag. In questi colpi, Nikolic era anni davanti al resto di noi, forse anni luce.

 

E TU COME TI ALLENI?

di Enrico Fedreghini e Dario Colombo - Giganti del Basket - febbraio 1982

 

Il record, c'era da immaginarselo, tocca a Nikolic, che con 17 e 30 minuti alla settimana è quello che fa lavorare di più i giocatori in allenamento. Per contro il record opposto, inavvicinabile in A1 e A2, tocca inaspettatamente ad un altro allenatore famoso, Dan Peterson: quest'anno il suo Billy lavora solo 7 ore la settimana, salvo qualche rara eccezione in cui, al riposo del martedì, si sostituisce un leggero allenamento che, comunque, non contribuisce certo ad aumentare sensibilmente i ridotti carichi di lavoro della squadra milanese. Insomma, anche se non saranno certo i cestisti a lottare per ottenere la settimana corta, c'è chi la settimana ce l'ha più corta degli altri, magari, come nel caso dei giocatori del Billy rispetto a quelli della Sinudyne, molto più corta della metà.

Scatenatasi fin dal luglio scorso, quando la Sinudyne iniziò la preparazione con un mese di anticipo su tutte le altre squadre, e proseguita poi durante la stagione quando alcune formazioni (tra cui lo stesso Billy) incapparono in risultati non certo all'altezza delle aspettative, la polemica sull'importanza degli allenamenti nel nostro campionato è stata quest'anno più viva che in altre occasioni ed ha riproposto all'attenzione degli appassionati e degli addetti ai lavori un tema che negli altri anni era passato in secondo piano rispetto ad altri di diversa natura tecnica. La stessa Nazionale, per ammissione del CT Gamba, è fallita miseramente agli Europei di Praga per colpa di allenamenti sbagliati: e dunque si vede come anche a livello di rappresentativa, e non solo di squadra di club un'adeguata preparazione possa talvolta essere più utile (o più dannosa) di cento altre cose.

...

Così come non stupisce che, con soli 35' di richiamo atletico in tutta la settimana, il Billy sia la squadra che ha patito sinora il più alto numero di infortuni, mentre Sinudyne e Cidneo, che anche da questo punto di vista sono quelle che lavorano di più, hanno quasi sempre giocato con la formazione-tipo in perfetta salute. Insomma, se anche è vero che talvolta conta di più la qualità di un allenamento che non la quantità, è altrettanto vero che bellissimi cose fatte però per solo pochi minuti alla fine non producono alcun effetto. Salvo smentite, ovviamente: ma si dà il caso che, dal '70 in avanti, gli allenatori che hanno vinto di più siano stati Nikolic (tre scudetti e tre Coppe dei Campioni) e Gamba (due scudetti e due Coppe dei Campioni), cioè due sostenitori dell'allenamento duro...

 

SINUDYNE

Lunedì: riposo.

Martedì (10-12): lavoro coi pesi, potenziamento. Pomeriggio (16-19): 5' libero riscaldamento individuale; 25' contropiede in continuità e giochi collettivi; 45' lavoro sulla difesa a metà campo (chi difende va in contropiede); 45' partite di 10'-15' l'una con situazioni-partita speciali; 60' richiamo atletico (dopo il lavoro col pallone, si evitano gli infortuni).

Mercoledì (17-19): 5' riscaldamento; 25' contropiede e giochi collettivi; 40' lavoro di squadra a metà campo; chi difende va in contropiede; 40' partite finali; 10' scatti.

Giovedì (10-12): lavoro coi pesi. Pomeriggio (17-19): 60' condizionamento specifico; 45' lavoro sui fondamentali a gruppi (centri, ali e guardie); 15' scatti.

Venerdì (11-12): seduta di tiro. Pomeriggio (17-19): 5' riscaldamento; 20' contropiede; 45' lavoro difensivo a metà campo; 20' contropiede; 30' partite con situazioni particolari.

Sabato: (16:30-18): tiro e ripasso schemi.

 

BILLY

Lunedì: riposo.

Martedì: riposo o leggero allenamento.

Mercoledì (10:45-11:45): 35' richiamo atletico; 5' riposo, 20' scivolamenti. Pomeriggio (17-18:30): lavoro sulla difesa, a zona e a uomo.

Giovedì (17-18:30) 15' riscaldamento individuale con la palla; 15' contropiede e giochi a 2 e a 3 in continuità; 30' lavoro sulla difesa; 30' partita, con situazioni particolari.

Sabato (11-12) tiro; ripasso degli schemi e delle difese.

 

L’INTERVISTA DEL MESE: AZA NIKOLIC

di Enrico Minazzi – Giganti del Basket - Marzo 1981

 

La nostalgia dell'Italia, la voglia di tornare in panchina, in palestra e, particolare da non trascurare, la possibilità di racimolare un altro bel gruzzolo nell'Eden cestistico nostrano, l'hanno convinto a tornare tra noi. Per ora solo per una quindicina di giorni, non una vacanza ma neppure un periodo di lavoro. Diciamo una sorta di consulenza interessata. Tanto per vedere com'è il polso di questa Sinudyne malata, orfana di Zuccheri e che ha trovato in Ranuzzi il suo allenatore provvisorio. In attesa dell'arrivo di Aleksander Nikolic, il grande condottiero dell'Ignis europea e della nazionale jugoslava. Cinquantasette anni compiuti, la solita ulcera duodenale in agguato, i consueti due pacchetti di 'HB' bruciati ogni giorno, le solite manie portafortuna. E la tradizionale, ferrea professionalità. Nikolic è stato lontano dall'Italia cinque anni (nel '75 abbandona la navicella Fortitudo per tornare in patria a insegnare all'Università di Belgrado) ma non è cambiato nelle sue abitudini. Cestistiche e no. Rispetto al passato recente è forse divenuto più ciarliero. Ma non è una novità assoluta: anche tre anni fa, quando a Varese lo chiamarono per fare da spalla all'esordiente Dodo Rusconi, mostra un'attitudine dialettica che era sconosciuta all'epoca dei trionfi con la Ignis. In palestra invece i suoi metodi non sono cambiati: molto lavoro, due volte al giorno, per trovare l'abitus mentale del giocatore vincente. Chiedetelo ai giocatori della Sinudyne forse abituati ad altri ritmi di lavoro. La serietà e la professionalità in palestra sono del resto due punti fermi della sua vita assieme all'onestà e alla famiglia. Tornerà il professore a Bologna? Porelli tocca ferro e: spera che il polverone che si è sollevato attorno ad Aza nei pochi giorni che finora ha passato con la Sinudyne non finisca per frastornare il santone bosniaco. L'avvocato ha paura che tutto il clamore sorto attorno allo iugoslavo, le confidenze di questo o quel personaggio della Bologna cestistica, pettegola come sempre, possano spaventare l'orso e convincerlo che tutto sommato è meglio restare a Belgrado e insegnare all'Università fino all'età del la pensione, ormai vicina. Il professore, anzi Aza perché non vuole essere chiamato a quel modo, se ne è andato dopo sei partite, pochi allenamenti, molte trasferte e tante, tantissime arrabbiature per quel che combinava in campo la “sua” Sinudyne e anche per quel che succedeva attorno a lui. Nikolic ama stare dietro le quinte, non è una novità, le luci della ribalta gli fanno piacere solo se sono discrete e soprattutto se sul palcoscenico lui è in grado di costruire una grande squadra vincente. Le sue labbra, a Bologna in febbraio, hanno tremato molto perché Aza era perplesso sul da farsi. Perplesso perché ha il dilemma se lasciare Belgrado, l'Università, i suoi studenti e soprattutto la figlia 2lenne studentessa. Ma perplesso anche perché si è reso perfettamente conto di trovarsi in una posizione anomala verso Ranuzzi e verso la squadra che lo ha visto 15 giorni e poi lo ha salutato. Tornerà? L'offerta, in termini tecnici ma anche economici, di Porelli è buona. Personalmente siamo convinti che Nikolic tornerà anche perché più di tanto il santone non può restare lontano dal campo. Ma è scontato che lo slavo aspetta anche qualche segnale dalla squadra, dai dirigenti. Per ora ha visto e giudicato quel che può essere questa Sinudyne in proiezione futura. I suoi metodi, i suoi risultati sono noti. Sta alla Virtus non perdere l'autobus. Forse il più importante.

Perché ha accettato di andare a Bologna a metà stagione?

Ho potuto approfittare di un periodo di sosta all'Università: i miei studenti andavano in montagna per il corso di specializzazione di sci e così ho preso quindici giorni di ferie dell'80 che non avevo ancora sfruttato e sono venuto a Bologna. Mi avevano chiesto se ero disposto a dare qualche consiglio quando Ettore Zuccheri allenava la squadra. Poi lui se ne è andato, e io sono partito ugualmente. Ma al momento non ho proprio il tempo necessario per poter fare avanti e indietro tra Belgrado e Bologna.

Accetterà una consulenza con la squadra campione d'Italia?

No, non potrei anche perché per me non ha senso parlare di consulenza se non si ha la possibilità di seguire almeno quattro allenamenti alla settimana: solo in questo caso c'è la possibilità di parlare con l'allenatore, con i giocatori, di intervenire su certe cose. Io poi preferisco lavorare, non fare consulenze, non mi è mai piaciuto: e poi non ho mai ottenuto risultati stando lontano dalla squadra. Perché io oggi posso anche fare un allenamento e poi domani vado via e non so cosa succede realmente il giorno dopo e gli altri giorni successivi. Perché tu puoi anche preparare il miglior programma di lavoro possibile adattato per questa o per quella squadra, ma poi il problema si riduce ad una questione di uomini. Sono gli uomini che fanno rispettare il programma e che lo portano avanti. E che senso ha una cosa del genere se tu non hai la possibilità di verificare giorno dopo giorno la validità del tuo programma di lavoro? No, è assurdo parlare di consulenza.

È possibile paragonare quest'esperienza bolognese con quel la vissuta tre anni or sono a Varese al fianco di Rusconi esordiente in panchina?

Non credo, allora io servivo, per quel che mi pare di capire, come appoggio per Dodo che allenava per la prima volta la squadra. Oltretutto io a Varese non ho diretto alcun allenamento e il lavoro l'ha fatto tutto Rusconi. è lui che ha portato la squadra alla finale di coppa dei campioni: io allora ero venuto tre o quattro volte e avevo solo espresso il mio punto di vista su certi problemi. A Bologna invece la situazione è completamente diversa: ho lavorato con la squadra. Ma in un modo col quale io non sono proprio abituato a lavorare. Non conoscendo i giocatori non nel senso che non li avevo mai incontrati, ma piuttosto perché non ci avevo mai lavorato assieme in palestra. E poi la mia preoccupazione era che col mio lavoro i giocatori andassero in crisi. Così ho lavorato non dico con paura ma senza aver la sicurezza che questo tipo di intervento potesse andar bene. In una parola non sono certo che quello che ho fatto in pochi giorni possa davvero servire a qualcosa. Purtroppo è così. Ho cercato di ritoccare qualche cosa… Vedremo. E poi ho avuto poco tempo e pochissimi allenamenti a disposizione. Fossero state due settimane piene il discorso forse poteva cambiare. Invece così con la coppa dei campioni di mezzo il lunedì c'era allenamento, il martedì si partiva, il giovedì si tornava, il venerdì si potevano fare anche due allenamenti, come ho fatto; poi per restava il sabato che è il giorno prima del campionato e puoi fare certe cose, non certo spingere. Perciò, lo ripeto, penso che ci siano sta troppo pochi allenamenti, almeno come penso io di dover fare.

È in grado di fare un mini bilancio del periodo passato al capezzale di questa Sinudyne malata?

Non direi che è una squadra malata perché per me i giocatori sono bravi, si sono messi a lavorare parecchio; solo che purtroppo ci sono atleti che non riescono a dare una continuità di rendimento. Una partita giocano bene, l'altra no. E tranne che a Madrid dove forse hanno giocato in cinque, in tutte le altre partite purtroppo hanno giocato solo in tre, e mai gli stessi. Si alternano così che tu non puoi renderti conto con chi dovresti lavorare di più e con chi di meno. Per me il problema della squadra attualmente è questo.

Ma allora come spiega il fatto che questa squadra in coppa dei campioni va benissimo mentre in campionato zoppica?

C'è anzitutto una motivazione a mio avviso psicologica: loro sono andati in Russia sapendo di non avere niente da perdere. E hanno vinto. Lo stesso è accaduto col Real a Madrid. Poi col Den Bosch quando dovevano vincere sono crollati: nel primo tempo avremmo dovuto avere quindici punti di scarto, invece ne abbiamo avuti solo cinque. E poi in un momento la concentrazione è mancata e abbiamo perso di un punto in un modo strano. è successa la stessa cosa di Madrid, solo che in Spagna abbiamo avuto il tempo di recupero, in Olanda no. Diciamo quindi che in coppa ci sono state un paio di circostanze favorevoli.

E il campionato?

Non ho visto molte partite della Sinudyne nel campionato, ed è la prima volta che personalmente vivo l'esperienza di una squadra col doppio straniero. Dunque  una novità anche per me. Ma è fuori discussione che in Italia il torneo grazie ai due stranieri è ora più equilibrato perché basta scegliere due buoni americani e possono cambiare davvero tante cose. Inoltre sono usciti molti giovani buoni. Senza dimenticare che qui tutte le squadre si conoscono benissimo e i problemi per vincere sono maggiori. Ogni partita bisogna sorprendere l'avversario con qualche mossa nuova. Purtroppo per fare questo ci vuole una preparazione specifica e anche l'iniziativa dei singoli giocatori che ogni tanto possono fare movimenti al di fuori dello schema e confondere così l'avversario. Bisogna puntare molto su questo, ma soprattutto bisogna preparare tutto quanto per bene prima dell'inizio del campionato. Altrimenti ogni tipo di intervento è inutile. E anzi in prospettiva si può anche rilevare dannoso e controproducente. Purtroppo è così: sarebbe come tentare di cambiare il modo di tirare di un giocatore durante il campionato: costui si troverebbe in una situazione difficile.

Vuol dire che con Nikolic i giocatori della Sinudyne non dormono più di notte?

No, di certo, ma si trovano certamente in una situazione non facile che magari ha deautomatizzato certi movimenti, certi ragionamenti logici per i quali sono stati preparati prima. C’è insomma il rischio di trovarsi in una situazione peggiore. Questo naturalmente a livello di metodologia di lavoro.

Il suo lavoro a Bologna, pur limitato nel tempo, è servito a qualcosa?

Fino ad ora non credo sia servito: abbiamo perso e il bilancio non è positivo. Del resto non c'è un bastoncino magico e il mago non esiste. I maghi li ha inventati la storia, perché uno fa i risultati solo col lavoro. Per conto mio questo periodo è servito a poco: spero che i giocatori reagiscano un po' al mio intervento. Vorrei spiegarmi: io ho insistito molto sulla difesa, tanto che loro hanno migliorato in questo settore. Solo che non sono abituati a difendere. Questo vuol dire che avendo più concentrazione dietro, poi mancano in attacco dove non sono più lucidi. Per ovviare al problema bisognava lavorare in questo senso prima. Adesso, lo ripeto, c'è il rischio di complicare le cose.

Dal momento del suo arrivo a Bologna l'hanno indicato come il salvatore della patria, dello scudetto, della coppa. La cosa l'ha infastidita?

Più che altro, leggendo i giornali, ho avuto l'impressione che fosse arrivato un altro Haywood e che sarebbe andato in campo per giocare e risolvere tutti i problemi. Io non vorrei offendere i giornalisti che fanno parte del mondo del basket, ma io preferirei che non si scrivesse così tanto su di me. Io preferisco stare dietro i giocatori perché sono loro che soffrono, lottano, vincono. E loro devono essere in primo piano. E poi io non sono un mago, perché se pensassi davvero di esserlo sarei solo uno sciocco. E se mi sento dire che sono un mago, allora penso che mi considerano tale. Ma al di là di queste considerazioni restano le ultime due sconfitte (con Den Bosch e Recoaro, n.d.r.) che dovevano essere evitate. Perdere, nello sport, non fa mai piacere, ma perdere a quel modo…

Quale è la sua preoccupazione maggiore quando sta sulla panchina della Sinudyne?

Non so esattamente quanto può rendere questa squadra che conosco da troppo poco tempo e per la quale sono assalito da mille dubbi quando lavoro in un certo modo in palestra. I giocatori dicono sempre di sì, se li faccio lavorare molto non dicono nulla ma fanno certe facce… Allora mi chiedo se è tutto giusto quello che faccio, se serve davvero… Senza contare che qualcosa non quadra lo stesso perché se a un giocatore vengono le vesciche sui piedi dopo una partita, allora vuoi dire che magari la preparazione atletica non è stata fatta a regola d'arte…

Cosa succederà alla Sinudyne orfana di Nikolic?

Adesso io penserò cosa fare a fine stagione. Per ora devo pensare alla famiglia e all'Università. La figlia maggiore si è appena sposata, la minore studia all'università di Belgrado e non vorrei abbandonarla da sola a casa per allenare in Italia. Non ho ancora deciso cosa far a fine stagione. Per quel che riguarda la squadra è escluso che io possa tornare a breve scadenza. Nei prossimi mesi sono bloccato a Belgrado. Devo seguire gli esami, preparare i miei studenti per le tesi di laurea; senza contare che a marzo iniziano i corsi presso la Facoltà ed è difficile che Nikolic, che in passato non ha mai saltato una lezione, si metta adesso a restare a casa. Semmai ne farà qualcuna di più per aiutare quegli studenti che mi vengono a chiedere spiegazioni fuori dal l'orario normale. Dunque è difficile che mi rivedano presto a Bologna. Obiettivi impegni con la scuola me lo impediscono. Ed è da escludere che io mi metta a fare l'allenatore dalla Jugoslavia per telefono. Chi sostiene che questo è possibile dice una grossa sciocchezza. In tutta la mia carriera ho visto solo una volta un allenatore usare un "walkie talkie" perché essendo squalificato se ne stava in tribuna e solo così poteva impartire i suoi ordini alla squadra. Ma non è il mio caso. Con Ranuzzi ho preparato un programma di massima. Abbiamo parlato molto. Ma l'allenatore è e resta lui. Io ho i miei impegni in Jugoslavia e non mi posso muovere per ora.

Non verrà neppure per preparare la finale di Coppa Campioni?

Vedremo, se il lavoro all'Università me lo consentirà, verrò volentieri. Ma vorrei avere almeno la possibilità di fare tre-quattro allenamenti con la squadra: altrimenti che senso ha andare in panchina il giorno della finale senza poter preparare qualcosa per la partita?

La famiglia e il lavoro all' Università: dei due, quale è il problema più grosso da risolvere perché lei venga ad allenare la Sinudyne l'anno prossimo?

La famiglia, la famiglia, anche se a questo punto mi spiacerebbe lasciare l'Università. Ma è fuori discussione che il problema principale è rappresentato dalla famiglia, dalla figlia minore che dovrebbe restare sola a Belgrado.

La tormenta di più questo dilemma o il gioco della Sinudyne?

Tutti e due, anche se forse l'incertezza sul cosa fare domani mi rende ancor più inquieto.

Cambierebbe molto, poco, nulla in questa Sinudyne?

È ancora presto per dirlo. Non ho ancora deciso cosa fare. Di sicuro molte cose vanno riviste. Soprattutto a livello di mentalità, che poi è la base di ogni successo. Io voglio giocatori che abbiano voglia di lavorare duro. Altrimenti è meglio, che vadano altrove. Io preferisco vedere atleti concentrati in allenamento, perché così io so che quando c'è la partita non devo sollecitarli da questo punto di vista. La cosa verrebbe automatica, senza bisogno di sollecitazioni da parte mia. Ma adesso cosa posso dire? Ho paura anche ad intervenire su certe situazioni. Prendiamo ad esempio la seduta di tiro la mattina del giorno di gara. I giocatori sono abituati a farla in un certo modo (tutti in jeans, maglietta e scarpe da gioco, tranne McMillian, l'unico vestito da atleta, n.d.r.), io non so neppure se ho il diritto di intervenire. Anche se sono convinto che farla in questo modo, deconcentrati, parlando l'un con l'altro, non serve. Perché tirare alla mattina del giorno della partita serve essenzialmente per trovare la concentrazione necessaria al pomeriggio o alla sera per affrontare al meglio gli avversari. Però io non posso andare dai giocatori e chiedere loro questo tipo di concentrazione se non sono abituati a trovarla prima. Anche se questo poi crea problemi in partita quando il nervosismo nasce subito e va a discapito dei risultati, come la trasferta in Olanda insegna, purtroppo.

Professore, accetterà di allenare la Sinudyne?

Non quest'anno, questo è certo. Io sono andato a Bologna perché me lo hanno chiesto, perché io considero amici tutti quelli del basket italiano. Loro mi hanno telefonato e io sono andato. Non so neppure io perché. Mi sono detto che forse quattro occhi vedono meglio di due, ed ecco spiegato perché ho accettato l'invito. Ma la mia non è una consulenza. Deciderò solo a fine stagione se tornare o se restare a Belgrado ad insegnare. Non è facile conciliare i problemi che ho laggiù, credetemi. Adesso voglio pensarci con calma.

Forse aspetta di vedere come va a finire la stagione della Sinudyne?

No, questo no, ho davvero due grossi problemi personali da risolvere. E non posso che trovare una soluzione da solo, con la mia famiglia dopo aver valutato bene cosa fare con l'Università.

Bologna ha i mezzi tecnici, economici e le strutture per diventare la nuova Ignis del nostro basket. Le manca so lo Nikolic…

Ripeto che deciderò solo a fine stagione. Certo è che quella palestra dell'Arcoveggio è davvero unica in Europa. È progettata, realizzata al meglio per poter fare bene. Personalmente quando ci sono andato a lavorare mi sentivo stimolato a far meglio. È un impianto che mette addosso la voglia di impegnarsi a fondo. È splendida.

Allora ci rivediamo all'Arcoveggio in settembre?

Non so, chiedetemelo a fine stagione…

Il Prof Nikolic catechizza Rolle durante un time-out

GRAZIE ASA, DI TUTTO CUORE

di Gianfranco Civolani – Superbasket – 03/05/84

 

L’orco rientra nell'antro, l'orso si rintana. L'orco e l'orso bosniaco tornano a casa. Alexandar Nikolic detto Asa (o Aza?) ci lascia e chissà se e quando ritorna. Perché ritorna, io personalmente non ho dubbi, ma appunto chissà quando. Vado molto indietro e spero che la memoria non mi faccia scherzi. Anni sessanta, direi. Viene a giocare a Bologna il Petrarca Padova, vedo una Virtus (Candy, mi pare) che si frantuma di fronte a una difesa a zona ideata e articolata con i controcavoli, vedo e ammiro sommamente un giocatore che si chiama Doug Moe, ne ricordo altri in ordine sparso (Tonzig, Varotto e quel pivot di nome Peroni) e particolarmente ricordo che l'ometto che stava in cattedra all'università del basket padovano in quei memorabili anni era lui, il Nikolic nemmeno quarantenne, uno che già al suo paese aveva vinto tantissimo e che voleva massimamente sperimentarsi anche da noi.

Faccio per sommi capi la storia di Nikolic dalle parti nostre? Ma come posso procedere senza dire una montagna di banalità e senza ricucinare l'aria fritta… Faccio la storia di Varese e delle splendide cose che Nikolic e i suoi pupetti e puponi conquistarono o magari devo anche fare la storia degli altri successi dell'orco in terra slava, dico mondiali, Olimpiadi e titoli d'Europa come fossero carezze. Nikolic viaggia per i sessanta o forse li ha appena compiuti, non fa gran differenza. Si diceva in giro che non fosse più lui, perché non dovrei scriverlo? Hai visto alla Virtus, hai visto poi a Venezia? D'accordo, alla Virtus lo avevo seguito in prima persona, i risultati eclatanti erano pur stati sfiorati ma certi rapporti si erano deteriorati un po' prima del dovuto, diciamo magari anche questo. E a Venezia, bè, a Venezia Nikolic era retrocesso alla guida di una squadra non molto attrezzata o no? Gli occorreva una rivincita sul tamburo, ma figuriamoci se Asa aveva fretta di convincere chi valuta sempre in superficie. Dopodiché Pesaro con i suoi mille casini e i suoi diecimila tormenti, il basket a Pesaro tutto da reinventare, un pubblico da riconquistare, giocatori da motivare ben diversamente. Il Pesaro è stato portato a salvamento e taluni giocatori si sono debitamente rivalutati, la classifica è sufficientemente onorevole (mai dimenticarsi di com'era la situazione a metà campionato) e insomma Nikolic può dire con orgoglio che ha compiuto anche lì la sua missione e che della “critica” giovane e incendiaria può farsi - come si diceva all'inizio del secolo - un baffo a tortiglione.

Nikolic che se ne va… Intanto io non ci credo mica. Mi spiego: Asa ogni tanto ha bisogno di convincersi che casa sua è la dolcissima casa e che sua moglie e le figlie sono la dolcissima compagnia che troppo spesso gli manca e insomma ogni tanto Asa deve scapparsene a Belgrado e deve soprattutto inventarsi qualcosa per farsi una specie di training autogenono, per esempio deve molto meglio dirigere un club in Serbia che non soffrire giorno per giorno a Pesaro, a Bologna, a Venezia o chissà ancor dove. Però flusso e riflusso si alternano, però succede puntualmente che il fascino della nostra terra (e della nostra moneta, ma sì) torna a far breccia nel cuore dell'orco e siccome nel bel paese c'è sempre qualcuno disposto a vellicare l'orco con gli argomenti giusti, siete proprio disposti a scommettere che l'orco non si muoverà più dalla sua tana? Nel frattempo l'orso e l'orco se ne vanno. E mi direte: ma piantala con la storia dell'orco, non fa più notizia. E invece non la pianto no, perché penso che la cupissima mutria dell'uomo e il suo indefesso credo nel superlavoro abbiano rappresentato quasi una pietra miliare per il basket nostro. Perché è vero che per certi versi Dan Peterson ha tracciato un solco come fece il Mago Herrera nel calcio ed è altrettanto vero che il socratico-aristotelico Valerio Bianchini sta tracciando un altro solco, quello della nuova frontiera, il solco degli anni novanta. Ma non è men vero che Nikolic ha insegnato a mezzo mondo come si lavora in palestra e come sempre la domenica produci in rapporto a quel che hai assimilato tutti i giorni della settimana. Grazie Asa per questo.

Obiezione: ma se avesse smerigliato gli spigoli più puntuti della sua psiche, ma se avesse saputo calarsi nei panni del profeta dal volto umano, ma se avesse saputo anche carezzare gli atleti non sempre e sistematicamente contropelo… Amici cari, se avesse eccetera non sarebbe stato l'orco che è stato, sarebbe stato una specie di Gesù come Bianchini o un computer post-moderno come Dan Peterson o un buon papà-zio come Dido Guerrieri e insomma non sarebbe stato quel che è stato, come è stato e quando è stato, vi pare? Il burbero benefico torna a casa. Ci starà per un po' e certamente gli verranno le crisi di malinconia. Lo rivedremo fra un anno o due, ci giurerei. Lo troveremo cambiato in qualcosa? Cambiato in niente, mi gioco tutto.

 

IL RE RESTA RE

di Peppino Cellini – Superbasket – 20/05/1982

 

Le esecuzioni si susseguono da un po’ di tempo a questa parte con cronometrica puntualità in casa Sinudyne. Sono purghe che avvengono principalmente per “incompatibilità di carattere”, qualche volta per moneta, e mai (!!!) per fattori di ordine tecnico. Ancora ricordiamo, e solo come rimembranza, la rapida successione dei defenestrati: Driscoll (vinse e passò); Zuccheri (un fido che troppo osò); Ranuzzi (un grazie della Virus sarebbe stato perlomeno doveroso). Ora, dulcis in fundo, anche Asa Nikolic (un amorazzo che non stava più in piedi).

Doveva essere quello fra Porelli e Nikolic il matrimonio del secolo: il più grande dirigente della penisola, con il più grande “head coach” di fama internazionale. Questa strana unione fu propiziata da teneri conversari durati svariati mesi, colloqui intensi, stretti, telefonate notturne e diurne: unità d’intenti, sincronia perfetta fra il “manager” e lo scienziato, però i conti erano stati fatti senza l’oste. Infatti dopo la prima infatuazione, a matrimonio celebrato, e appena consumato, il “carattere” dei due “big” ebbe il sopravvento determinante. Il cozzo venne puntuale ed inevitabile e fu la fine di un idillio; letti separati, domestici a riferire ciò che era indispensabile per il “menage” quotidiano, ed il tempo necessario per sancire il divorzio consensuale dalla parti.

Asa, dunque viene accomiatato dopo la conclusione dei lavori da parte della Sinudyne; non si è aspettato neppure la conclusione-scudetto, tanto non era più cosa di interesse petroniano. Del resto, anche se la Sinudyne avesse vinto l’ambito titolo la decisione dell’Avvocato era già da tempo presa, “in pectore”; la tifoseria, la stampa tutta, e gli addetti ai lavori, nonché la cittadinanza e l’inclita guarnigione, tutti conoscevano la sorte decretata per il Professore: un’esecuzione che avviene come la fine di un incubo, una liberazione, soprattutto per la nefasta incidenza che il disaccordo ripercuoteva sulla squadra, pur portata al massimo negli appuntamenti decisivi.

Nikolic fa le valigie colme di valori tecnici, di benemerenze, di allori conseguiti in tanti anni di milizia al vertice del basket: anche in questo dannato anno trascorso in casa Sinudyne la sua impronta, il suo marchio è stato impresso, e rimane come dote: il lavoro sul giovane Fantin, un magnifico marmo che nelle abili mani dello scultore Nikolic in una sola stagione cestistica era trasformato in statua di gran valore ad arricchire la carente disponibilità di giocatori della A-1.

Bianchini il coach marcato Europa, un tecnico colto, un personaggio di cui possiamo vantarci in campo internazionale, ha tessuto con frasi nobili e profondamente sportive, perché avvenute all’indomani dell’eliminazione del suo team, l’elogio del Professore definendolo “maestro” e marcando sulla caratteristica tecnica del coach jugoslavo dei “tempi lunghi” e non del “tutto subito”, quei tempi che a Bologna non gli sono stati concessi. Molto si ripercuoterà in modo negativo su determinati giocatori, elementi a crescere della Virus.

Così ci piace ricordare Asa Nikolic con la stime che gli viene universalmente riconosciuta, sono parole che hanno un valore per ristabilire la collocazione delle pedine nella loro casella di competenza: un “Re” rimane tale anche se va in scacco matto; la colpa semmai è del giocatore incauto che lo gioca male.

Via Nikolic, la mano per la successiva partita scudetto per l’anno che verrà torna a Porelli a cui facciamo ancora professione di fede, confidiamo nella sua buona stella; l’Avvocato ancora rimane in numero uno del nostro basket, l’ultima spiaggia in cui credere per il rilancio del basket felsineo, abbiamo fede anche se non si vedono vele all’orizzonte, ma solo miraggi. Del resto lui può tanto anche in casa altrui che ha destinato Nikolic a Venezia. Vorrà dire che, caso mai, il re diventerà doge.

 

ADDIO NIKOLIC, IL PROFESSORE DEL BASKET

di Walter Fuochi – La Repubblica – 14/03/2000

 

Alexander Nikolic detto Aza, forse il più grande allenatore europeo, certo quello che aprì e teorizzò una nuova frontiera del basket, è morto domenica a Belgrado, a 76 anni. Il Professore era da tempo malato e chi lo conosceva, e ogni tanto lo andava a trovare (Boscia Tanjevic, il ct azzurro, per esempio), dice che la sigaretta, da una vita appesa all’angolo della bocca, oscillava ormai senza freno. Quel tremolio lo perseguitava da anni, così come l’ansia della perfezione nelle squadre che addestrava. Non ci fu mai, nei pensieri di Nikolic, una partita davvero buona. Né ci fu mai, all’indomani d’un trionfo, un giorno senza allenamenti. La vera festa era offrirsi altro lavoro. Nikolic era considerato un padre professionale da tutti i tecnici dell’ex Jugoslavia che, negli ultimi anni, sono emigrati a dettar legge e a guadagnare dollari in Europa. Era stato lui a piegare a discipline tattiche un gioco prima soprattutto talentuoso.

Insegnò la difesa: e oggi non c’è squadra che possa vincere confidando nel solo attacco. Nikolic era stato giocatore e allenatore in patria, quando a metà dei Sessanta venne in Italia, prima a Padova e poi, dal ‘69, alla guida della squadra che trasformò in mito: l’Ignis Varese di Ossola e Meneghin, Bisson e Zanatta, Rusconi e Morse. In quattro stagioni: 3 scudetti, 3 Coppe dei Campioni, 2 Intercontinentali, 3 Coppe Italia, battagliando in Italia col Simmenthal di Rubini e incrinando in Europa la leggenda dell’Armata Rossa sovietica. Allenò pure a Venezia e Pesaro, a Bologna (Virtus e Fortitudo) e Udine. Lasciata la panchina dopo la nazionale jugoslava, Nikolic continuò ad offrire consulenze: c’era il suo sapere dietro i successi di Jugoplastika e Partizan. C’era il suo "straordinario rigore morale", secondo Tanjevic. Il suo essere "esigente, ma anche profondamente umano", secondo Meneghin.

 

AZA NIKOLIC, I TONI DEL PROFESSORE

di Flavio Suardi - www.basketville.it - n. 3 del 16/03/09

 

Siamo come la mucca dell'Herzegovina, che dà tanto buon latte e poi dà un calcio al secchio. Una frase che ha fatto epoca, quasi quanto "rigore è quando arbitro fischia".

Aza Nikolic, allenatore simbolo della Varese dei primi anni '70 se n'è andato 9 anni fa di questi tempi, il 12 marzo del 2000. Non basta ammirare il palmares varesino di quegli anni per intuirne la grandezza: 3 scudetti, altrettante Coppe dei Campioni e Coppe Italia, il tutto impreziosito da due titoli intercontinentali. Arrivò a Varese da Padova, dove fece miracoli con in campo Doug Moe. A portarlo in Lombardia una felice intuizione di Adalberto Tedeschi, uno dei presidenti più vincenti della storia della pallacanestro varesina, nonché marito di una delle figlie del Commendator Borghi. Correva l'anno 1969 quando l'Ignis apriva ufficialmente l'era Nikolic.

Classe 1924, Nikolic potè arricchire il proprio bagaglio tecnico grazie a contaminazioni con la scuola americana. Non a caso uno dei suoi mentori fu coach Adolph Rupp, storica guida della Kentucky University salita agli onori delle cronache non solo per motivi strettamente legati all'incredibile serie di successi di questo ateneo. Fu proprio contro Kentucky, infatti, che la Texas Western di DOn Haskins /che il 13 marzo avrebbe compiuto 79 anni) conquistò uno storico titolo Ncaa schierando in campo solo giocatori di colore nel 1966. Proprio da Rupp, Nikolic ereditò la grande cultura del lavoro, trasformata poi nei primi tentativi di introdurre anche nel nostro paese il concetto di metodologia dell'allenamento, Il culto del lavoro era il principio su cui si basavano le sue idee: triplicati gli allenamenti rispetto al passato, campioni e giovani promettenti trattati allo stesso modo e senza guardare in faccia a nessuno.

Tutto questo, nonostante qualche dubbio di natura politica attorno al suo arrivo ("Chissenefrega se è un comunista, l'importante è che di faccia vincere", disse il Commendator Borghi a chi lo voleva dissuadere dall'ingaggiarlo). Nikolic guidò la Ignis ad una serie di vittorie incredibile anche dal punto di vista numerico: 32 sconfitte in 243 presenze, pari all'86% di successi. Il culmine arriva nella stagione 1972/73 con lo storico grande slam, ottenuto con una squadra votata come la migliore di sempre nella storia della pallacanestro italiana ed europea.

Tornato a Belgrado sulla panchinadella Stella Rossa, Nikolic non abbandonò la sua ormai famosissima sigaretta sempre accesa, le sue frasi ad effetto (ad un giocatore che aveva sbagliato un passaggio disse: "Non solo hai fatto passaggio telefonato, ma hai anche cercato numero su rubrica") e i suoi allenamenti estenuanti. Il suo rapporto con l'Italia continuò anche negli anni successivi, ma senza quei grandi successi che avevano caratterizzato la sua permanenza sulla panchina della Ignis. Due stagioni nella Fortitudo targata Alco tra il 1974 e il 1976, quindi sull'altra sponda bolognese nella stagione 1981/82 con la Sinudyne di Villalta, Bonamico e Rolle, conclusasi con l'eliminazione in semifinale per opera della Scavolini Pesaro in gara3 (88-87). Passa alla guida della Carrera Venezia, che conduce alla salvezza nel 1983, per subentrare poi a Pero Skansi sulla panchina di Pesaro l'anno dopo. Le sue ultime apparizioni italiane risalgono alla stagione 1984/85, quando guida per quindici gare (con tre sole vittorie) l'Australian Udine di Dalipagic e Della Fiori fino a dicembre, prima di lasciare il posto a Nino Cescutti.

La grandezza di Nikolic si può intuire anche dai successi alla guida della Nazionale Jugoslava, che allena dal 1951 al 1965. Vince il titolo mondiale del 1968, che segue l'europeo dell'anno precedente, collezionando anche due argenti e un bronzo. Entra nella Hall of Fame di Springfield nel 1998 assieme a Lenny Wilkens e Larry Bird. Una degna conclusione di carriera per chi è universalmente riconosciuto come uno dei maggiori innovatori della pallacanestro italiana ed europea.

LA RIVINCITA DI NIKOLIC

Un precedente fortunato: Rudy D'Amico, coach di Brindisi, otto mesi prima con il Maccabi aveva battuto Aza nella finale di Coppa dei Campioni, ma il 25 novembre 1981...
di Ezio Liporesi - Corriere dello Sport - Stadio - 12/03/2021

 

25 novembre 1981, dodicesima giornata di campionato. Arriva a Brindisi una Virtus che ha vinto sette delle prime undici gare, con le sconfitte equamente divise tra casa e trasferta. La squadra era partita molto bene, con cinque vittorie nelle prime sei gare, l'ultima delle quali nel derby, poi la sconfitta a Milano, al supplementare ha inaugurato una periodo di tre gare perse su quattro, dopodiché è venuta la vittoria sul Bancoroma con trentatré punti di Fredrick. Zam contro i romani era tornato oltre quota trenta dopo i trentacinque punti segnati all'esordio in campionato. In Puglia la Virtus deve affrontare una squadra che ha le sue punte di diamante in Howard, che mette a segno trentatré punti, Malagoli ventisei , e Cliff Pondexter quattordici. Cliff è fratello del più noto Roscoe: la storia di quest'ultimo, anche lui protagonista in Italia e padre di Quincy, giocatore NBA, è stata raccontata nel libro Vale Tutto da Lorenzo Sani che ha narrato le vicende post basket come guardia carceraria presso la Corcoran State Prison del giocatore americano. Le V nere, però, ebbero quel giorno due cecchini decisivi: Fredrick si confermò sui suoi standard con trentaquattro punti, Bonamico ne mise a segno ventotto. Ci furono poi i quattordici punti di Fantin, gli otto di Villalta (uscito per cinque falli) e Rolle i tre di Generali e i due di Cantamessi. Alla fine la Virtus prevalse 86-97. L'allenatore vincente fu Asa Nikolic, lo sconfitto Rudy D'Amico, ribaltando quello che era avvenuto otto mesi prima a Strasburgo: l'allenatore americano allora era alla guida del Maccabi che beffò una Sinudyne priva di McMillian e penalizzata dall'arbitraggio in finale di Coppa dei Campioni, sconfiggendola per un solo punto; Aza era sulla panchina bianconera in qualità di direttore tecnico di fianco all'allenatore Ranuzzi. Quella partita è legata, però,  anche alla storia di due Virtussini. Nella Bartolini segnò due punti Alessandro Goti: nato il 3 febbraio 1961 a Prato dove cominciò a giocare, passò poi alla Virtus dove dalle giovanili arrivò alla prima squadra con la quale vinse lo scudetto del 1979. Sempre appartenente alle V nere era poi partito in prestito e così era giunto a Brindisi. Sarebbe poi tornato alla Virtus nell'annata successiva per disputare un'altra stagione in bianconero, prima di partire per altre destinazioni. Maurizio Pedretti, nato ventiquattro giorni dopo Alessandro, il 27 febbraio 1961, a Bologna, cresciuto nelle giovanili bianconere dove fu compagno di Goti nei cadetti e nella Juniores, poi giocò anche in prima squadra, contribuendo allo scudetto del 1980. In quella gara di Brindisi Maurizio si trovò così ad essere avversario di Alessandro, poi alla fine di quella stagione finì a Rieti nell'operazione che portò Brunamonti a Bologna. Purtroppo le vite di Alessandro e Maurizio che erano iniziate nello stesso mese di febbraio del 1961 e che avevano avuto come denominatore comune la V nera, si fermarono, troppo presto, nel mese di aprile del 2018: Maurizio ci lasciò il venti, Alessandro otto giorni dopo.

Bartolini Brindisi 86: Fischetto 4, Sarra 3, Goti 2, Spinosa 4, Howard 33,  C. Pondexter 14, Malagoli 26, Vitali, Cavaliere, Campanaro. All. D'Amico.

Virtus Sinudyne Bologna 97: Fredrick 34, Fantin 14, Cantamessi 2, Pedretti, Ferro, Villalta 8, Rolle 8, Generali 3, Govoni, Bonamico 28.

AZA NIKOLIC UN GRANDE MAESTRO, MOLTO DIVERGENTE

di Ettore Zuccheri - 23/06/2021
 

Mentre un mondo cominciava ad utilizzare l’idea analitica con la progressione didattica, il grande maestro rimaneva ancorato al metodo globale con estenuanti, faticosi 5c5 adatti alla squadra, per far apprendere il gioco, metà e tutto campo. Correvano gli anni ‘70. Ha allenato a Padova, Varese, Bologna.

Se la sequenza degli esercizi analitici si prestava e si presta ancora per l’allenamento spettacolo, durante quelli di Aza Nicolic, basati come già detto sul 5c5, le esercitazioni a metà campo erano delle faticose e sofferenti prestazioni dei giocatori che sudavano sangue per imparare il gioco 5c5, dentro il loro ruolo.

Lo spettacolo era invece curato dall’altra sponda del fiume che attraversava Bologna Basket City e si potevano notare gli allenamenti di Dan Peterson che utilizzava un metodo “Misto” ovvero una via di mezzo tra “Analitico” e “Globale”.

L’analitico era comunque molto presente all’Inizio della settimana di lavoro, per i fondamentali di attacco e difesa, basati sull’esercizio, in sequenza spettacolare, apprezzata anche dal pubblico presente, tutti i giorni alle ore 16,00. Poi l’uso del “globale” e tanto gioco 5c5 solo per finire la preparazione settimanale. Un programma come “disciplina”, il cui valore è dentro il significato della stessa parola.

Due metodi comunque vincenti, espressione di culture diverse, quindi indiscutibili in quanto giustamente utilizzati e adatti alla tipologia psicologica-fisica-tecnica della squadra. Per allenare i giovani bastava copiare i professionisti? Abbiamo sempre sbagliato a farlo soprattutto perché enorme sono le diversità delle mete e si è attribuito un ruolo al ragazzo a seconda dell’altezza, che non è una capacità fisica (forza, resistenza, velocità e coordinazione), ma una caratteristica morfologica, descrittiva.

Va da sé che copiare il metodo dei professionisti per allenare i giovani, non è mai stato la strada giusta, ma farlo partendo dal 5c5 col metodo globale di Aza Nicolic è stato evitato accuratamente perché troppo difficile da proporre subito a qualsiasi squadra giovanile, figuriamoci poi agli Under.13.

Indigesto anche per gli allenatori moderni che preferiscono un insegnamento analitico, “guidato”, incanalato su sentieri forzati, dentro spazi limitati e con possibilità programmate. Tutto sotto controllo, nessuna iniziativa imprevedibile da parte del giocatore.

Invece la filosofia di gioco che parte dal globale è l’unica possibilità di far apprendere il gioco nella sua interezza con la modalità “tutti playmaker”. A nostro avviso, il suo mentore più accreditato è stato Aza Nicolic, il professore, perfezionista divergente, scrupoloso e gran lavoratore sul terreno di gioco che cercava di far apprendere la consapevolezza della realtà della gara che si trova solo nel 5c5. Contemporaneamente curava attacco e difesa, nessuno come lui.

Mi chiedeva un collega: “Perché è sempre stanco quando esce dalla palestra? Capisco la stanchezza dei giocatori, non la sua.” Infatti, col termine “lavoro” si è sempre pensato alla fatica del giocatore e mai a quella dell’insegnante.

Invece, lavorava anche lui, eccome. Grande era l’impegno, e questo era anche il motivo della stanchezza. Energie nervose che uscivano dal suo corpo formando un “campo elettro-magnetico”, una calamita, per catturare l’attenzione altrui. Quella dei suoi giocatori che, naturalmente, non potevano rilassarsi, se non con la sua benedizione.

Sempre preoccupato che le cose venissero fatte al meglio, utilizzava l’insistenza come “pressione mentale” per cercare di mantenere alta la concentrazione. Capite perché andava a casa stanco, stremato? Correggeva, fermava il gioco 5c5, faceva ripetere, fino alla consapevolezza.

Un modo particolare, divergente, per far diventare autonomo il giocatore in campo, ma dentro i limiti della sua “gabbia”. Questa la grande diversità rispetto “tutti playmaker”, diversità che noi oggi proponiamo, ma che realizziamo da molto tempo con successo.

Col grande “divergente”, 50 anni fa, non erano ammessi cedimenti di concentrazione nelle due ore e più di lavoro. Quando era soddisfatto concedeva tempi di recupero che si consumavano tirando. Agli amanti del tiro questa metodologia non è mai piaciuta, ma “il maestro” aveva ben chiara l’importanza della conoscenza del gioco che aveva la priorità su tutto. Certo, c’era un tempo per ogni cosa, anche per bere, ma una sola volta per allenamento. Disciplina richiesta su altri temi, con una cultura di allenamento diversa.

Se chiedeva ad un giocatore, alla fine del lavoro in palestra, se fosse stanco, era meglio negare. La spada di Damocle pendeva sulla sua risposta, in caso di affermazione: “Vuol dire che non hai ancora una buona condizione fisica. Farai un lavoro in più…”

Esagerato? Anche nelle vittorie. È lì che la bilancia tornava in equilibrio. I grandi campioni lo apprezzavano, facevano di tutto per accontentarlo. La soddisfazione dei giocatori pareggiava la fatica. Altri tempi.

Infastidisce dirlo, vero? Allora era più facile capire il termine sacrificio, faceva parte della vita normale. I giocatori erano abituati ad intensificare lo sforzo, a dare veramente tutto. Scoccia doverlo dire, ma è così. Certi giocatori, con grande temperamento e abitudine al duro lavoro nascono anche oggi, sia ben chiaro, ma col contagocce.

Se il divertimento è una meta da raggiungere sul campo, secondo alcune filosofie, per Nicolic no, non conosceva questo termine. Inconcepibile la sua divergenza? Mentre si lavorava in palestra non ci si poteva divertire. E gli italiani facevano un po’ fatica a comprenderlo. Lui stesso notava la differenza rispetto ai giocatori jugoslavi, ma era fiducioso nel miglioramento di mentalità.

Il divertimento e la felicità risiedono nella sofferenza per ottenerle, che è anche quella che si legge negli occhi degli avversari quando si difende duramente contro di loro.

Chi ha la memoria che funziona si ricorderà che a metà degli anni ’60, Aza Nicolic allenava a Padova poi dal ’70 la grande Ignis Varese, diventata “mitica” anche a livello internazionale. Non allenava come gli altri allenatori, basava il suo insegnamento sul 5c5, ogni allenamento. Un vero divergente.