LA LETTERA DEI 57

 

Egregio Signor Sabatini,

 

già all’indomani della Sua precedente conferenza stampa, quando informò l’opinione pubblica di voler cedere la proprietà della Virtus Pallacanestro Bologna, ci sarebbe piaciuto rispondere a quell’invito al confronto - rimasto silenziosamente lettera morta - che Lei aveva pubblicamente lanciato ai tifosi proprio in tale occasione. Il sopravvenire di un’offerta d’acquisto e la trattativa di seguito instauratasi – amabilmente descritta nei comunicati stampa col consueto tono di quando ritiene necessario “cavalcare l’onda mediatica” – ci avevano indotti a soprassedere, nella speranza che quell’onda l’avesse comodamente adagiata su altri lidi, non importa se sull’opposta riva del Reno o altrove. Ci eravamo illusi che Lei, avendo pubblicamente dichiarato un personale calo di entusiasmo, potesse ripercorrere le orme di un grande della Virtus, l’Avvocato Porelli, il quale – come Lei certamente saprà - nel 1984, dopo la Stella, “capì di essere arrivato "a fine corsa", non c'era più entusiasmo, lo dice lui; restava la passione ma non bastava. L'avvocato, in sostanza, sentiva che era giunto il momento di chiedere time out. Così le gestioni successive furono spese per cercare un seguito, qualcuno a cui consegnare la Società, qualcuno che volesse portarla avanti in linea con la tradizione”. In attesa che ciò possa ripetersi, abbiano ritenuto doveroso accogliere il Suo gentile invito per esporLe lealmente e sinceramente il nostro punto di vista. Chi Le scrive – “quattro gatti in croce” - è o è stato abbonato alla Virtus, in ogni caso è ed è sempre stato un sostenitore della Virtus, fa parte di coloro che si riconoscono in queste parole: “Come concetti fondamentali, la Virtus del 1871 è uguale a quella del 1971. Spesso il suo cammino ha trovato ostacoli difficilissimi da superare, mai si è arrestata e questi cento anni costituiscono una sorprendente continuità. Questo è dovuto soprattutto all’entusiasmo che ha suscitato sempre nella cittadinanza, vero affetto per cui, anche quando i risultati non erano di piena soddisfazione, i virtussini rimanevano e rimangono sempre fedeli alla “V”nera e continuano a sostenerne i colori”. Pur non avendo la pretesa di rappresentare l’opinione d’altri, chi Le scrive ritiene di esprimere una posizione, che, forse, da altri è condivisa se – come Lei per primo ha ammesso – il calo dei rinnovi registrato negli ultimi play off non è dovuto solo alla crisi economica ma va letto come un atto di sfiducia nei Suoi confronti. In effetti, questo non è l’unico punto su cui concordiamo alla perfezione con Lei perché Lei, ad esempio, ha anche dichiarato che il Suo stile non è “tipicamente” virtussino e anche su questo, infatti, ci troviamo perfettamente d’accordo. Ma Le diciamo di più: noi crediamo che Lei, nel constatare queste palesi realtà, sia pervenuto come noi alla logica conclusione che tra esse vi è un evidente nesso, che l’una dipende dall’altra. Non possiamo infatti immaginare che Lei non abbia realizzato – ad esempio - come sia stato doloroso assistere al tentativo di oltraggio al nome “Virtus” da parte del suo stesso proprietario; siamo infatti persuasi che Lei, a dispetto dell’apparente irrilevanza di tale imprudenza, ne abbia saputo soppesare il reale significato simbolico: dici Virtus e si apre un mondo. Il nome Virtus ha un potere di suggestione, evoca epoche, rappresenta una continuità. La vita nasce con un nome: noi esistiamo univocamente da quando, in modo sostanziale e simbolico, diventiamo un nome. Da questa realtà non può sfuggire certamente la Virtus, che anzi, proprio per questo motivo, oggi ha un problema di riconoscibilità e di identità. Avere anche solo tentato di storpiare quel Nome denuncia come minimo un’inaccettabile mancanza di sensibilità e rispetto verso il Simbolo in cui si riconoscono e si sono riconosciute generazioni di bolognesi; denuncia un grave difetto di comprensione profonda verso cosa sia la Virtus e la sua gente. Avere tentato di farlo, poi, allo scopo di ottenere il paziente sostegno dei tifosi per un progetto morto in partenza dalle ceneri di una squadra finalista - e, ciononostante, precocemente smantellata - dimostra anche scarsa considerazione del loro intelletto e della loro competenza: non occorreva infangare il nome della Virtus per convincere i virtussini a pazientare, bastavano serietà, competenza e credibilità. Ma quello appena ricordato è soltanto uno dei tanti sfregi all’identità virtussina, quello simbolicamente più eclatante sebbene sia stato archiviato come una bizzarria tra le altre. Le altre, che non è possibile qui ricordare per ragioni di spazio, si sono manifestate nella gestione quotidiana su piani diversi ed hanno riverberato i loro effetti meno simbolicamente ma, non per questo, meno negativamente. Ci teniamo a precisare che il Suo stile personale, oltre a non riguardarci, ci interessa nella misura in cui attraverso di esso si sostanzia e manifesta lo spirito, l’azione e l’immagine della Virtus che, come Lei ha recentemente ricordato, appartiene alla città; per fare un esempio, ci interessano i comportamenti e i modi tenuti nel dopo partita della gara interna contro Siena, perché non crediamo che chi rappresenta una società sportiva professionistica, a maggior ragione se blasonata come la Virtus, possa concedersi il lusso di comportarsi da tifoso, tanto meno da tifoso “maraglio”. A differenza Sua, infatti, noi non riteniamo che sia adeguato anteporre, nella temporanea conduzione di una storica istituzione sportiva cittadina, la propria personale cifra allo spirito dell’ente che si ha l’onore e l’onere di rappresentare. Anche perché noi crediamo che l’espressione, purtroppo non più in voga, “stile Virtus”, non alluda semplicemente e banalmente ad un significato estetico fine a se stesso ma, anzi, a quella reputazione faticosamente conquistata nei decenni in Italia come all’estero, tanto presso le istituzioni che tra gli avversari, e che affondava le sue radici in un modo d’essere sobrio (anche nella goliardia), appassionato, umile e competente, molto legato alla sostanza più che alla forma, ai progetti più che ai proclami (specie se annunciano la sconfitta). Questo spirito, questa mentalità, a ben vedere, sono alla base di tutti i successi virtussini se, come risulta dagli almanacchi, la media delle vittorie che vantava la Virtus nella massima serie cestistica dal dopoguerra fino al Suo arrivo - sino a quando, cioè, tale spirito non è andato del tutto scomparendo - è scesa da due partite vinte su tre ad una partita vinta su due. Ci perdoni il paragone, che potrebbe apparire ingeneroso solo se non si tenesse conto di come si dipani lungo un arco temporale che abbraccia tra loro momenti di floridezza economica ad altri di crisi profonda (quella del 2003, da Lei brillantemente affrontata, o quella che dovette affrontare l’avvocato Porelli all’inizio degli anni ’70, firmando cambiali di suo pugno), momenti di predominio progettuale, tecnico ed organizzativo, ad altri di subalternità ai grandi cicli di Milano, Varese, Cantù e, in tempi più recenti, di Treviso e Siena. Non ci obietti che i tempi sono cambiati e non sia possibile coniugare al presente quello spirito rivelatosi vincente nel passato; o che le sfide imposte dalla modernità non possano essere affrontate e vinte seguendo ragionevolmente il solco della tradizione: non Le crederemmo. Non ci opponga che la scellerata avventura di Madrigali debba essere necessariamente presa a termine di paragone della Sua cavalcata, o assunta come ineluttabile esito alternativo alla Sua dipartita: proprio Lei che, giustamente, vanta il merito di averne saputo paralizzare i devastanti e letali effetti; proprio oggi che, finalmente, si è raccolta la prova dell’esistenza di una concreta alternativa. Per questo, per la riconoscenza che verso di Lei sentiamo, non ci parrebbe giusto un finale in cui sentimenti diversi dovessero subentrare ad essa, prendendo il sopravvento; sebbene, la fitta sequela di contumelie e “ricatti morali” subiti in questi anni dalla tifoseria - avendo valicato i limiti di una dignitosa sopportabilità - lo giustificherebbe ampiamente; si tratterebbe, peraltro, di un finale inappropriato per un uomo dal Suo fiuto. A proposito, ma come Le è venuto di prendersela con gli abbonati - i più numerosi e munifici della serie a - per la bocciatura riservataLe al botteghino se il buco di bilancio, che ha dichiarato di aver dovuto personalmente ripianare, è stato essenzialmente causato da una Sua scelta tecnica errata ovvero l’ingaggio di Boykins, il secondo playmaker di fila sbagliato? Insomma, nel ringraziarLa ancora una volta per il prezioso contributo dato alla causa virtussina, speriamo voglia comprendere come, dal nostro punto di vista, non vi sia un solo valido motivo per cui il legame tra Lei e la Virtus, cioè tutti i suoi tifosi, tra cui noi, debba proseguire oltre: questa, almeno, è la nostra opinione ed è il motivo per cui non rinnoveremo o non acquisteremo l’abbonamento.