L'ADDIO A PORELLI

Moraschini mentre legge il discorso al funerale

 

È MORTO GIANLUIGI PORELLI, UNO DEI PIÙ GRANDI DIRIGENTI DEL BASKET ITALIANO ED EUROPEO

www.legabasket.it - 04/09/2009

 

Si è spento questa mattina a Villa Toniolo a Bologna l'avvocato Gianluigi Porelli, uno dei più grandi dirigenti del nostro basket e di quello europeo: i funerali si svolgeranno lunedì mattina alle ore 10.30 nella chiesa di San Filippo e Giacomo in Via delle Lame 105. Oltre a guidare la rinascita della Virtus Bologna a partire dal 1968 (era attualmente Presidente Onorario), Porelli è stato tra i padri della Lega Basket, fondata ufficialmente, anche e soprattutto sotto la sua spinta, il 27 maggio 1970. In quella data Porelli è infatti tra i firmatari dell'atto costitutivo della Lega Società Pallacanestro Serie A assieme ad Adolfo Bogoncelli, in rappresentanza dell’Olimpia Milano, di Adalberto Tedeschi (Varese), Pietro Lucchini (Fortitudo Bologna), Giuseppe Rigola (Biella), Rino Snaidero (Udine), Aldo Allievi (Cantù), Giovanni Milanaccio (All’Onestà Milano). A quel tempo Porelli era da poco entrato nel mondo del basket, chiamato dal Presidente della Virtus Bologna Elkan a dirigere la sezione del basket di cui aveva già diretto la sezione tennis. Porelli sarebbe ben presto diventano un esponente di spicco dell'ambiente cestistico italiano rilanciando l'idea della creazione di una nuova struttura associativa, diversa dalla precedente e maggiormente incisiva che lavorasse unita su grandi temi, affrontando il problema della trasmissione TV delle gare del campionato, quello dei tesseramenti, del numero di stranieri e delle squadre partecipanti.

Nato a Mantova nel 1930, Porelli nel 1949 si era trasferito a Bologna per iscriversi alla facoltà di Giurisprudenza. Sotto le Due Torri diventa capo assoluto e indiscusso della Goliardia. Entra alla Virtus nella sezione tennis che dirige con grande successo per diventare prima consigliere e più tardi vicepresidente della società madre. Nel 1968 il presidente della Virtus Elkan gli chiede di prendere in mano la sezione pallacanestro che Porelli guida dal 1968 al 1989 quale procuratore generale: nel suo periodo vince 16 titoli nazionali. Dal 1984 al 1992 Porelli è stato anche Vice presidente vicario della Lega di Serie A maschile di pallacanestro (Presidente Gianni De Michelis), di cui era stato un fondatore. Eletto nella Hall Of Fame del Basket italiano, Vice presidente della Federazione Italiana Pallacanestro dal 1992 al 1999, Porelli è stato anche dal 1998 al 2002 Presidente della Commissione Legale mondiale e della Commissione Legale europea della FIBA, nonché membro del “Bureau Européen” e membro della Commissione Legale Mondiale. Nel 1991 ha fondato, con la lega di Spagna, l’ ULEB (Unione Leghe Europee Basket) di cui è stato Presidente per otto anni ed ultimamente Presidente Onorario.

"Gianluigi Porelli è stato un uomo geniale - lo ricorda Eduardo Portela, presidente della Lega spagnola e dell'Uleb - una grande persona e un amico. Nel suo lavoro alla Virtus, nella Lega e nell'Uleb come dirigente trasmetteva uno spirito imprenditoriale e professionale e sapeva generare fiducia. Il suo apporto al basket italiano ed europeo è stato troppo grande per poter essere quantificato. Senza dubbio, non si potrà parlare del basket italiano ed europeo nelle ultime decadi senza tenere presente il suo enorme contributo. Sarà ricordato sempre, come persona e come dirigente, specialmente da quelli che hanno avuto la possibilità di conoscerlo ed incontrarlo. Gianluigi Porelli è stato un esempio per tutti".

LE PAROLE PRONUNCIATE DA RICCARDO MORASCHINI AL FUNERALE

 

Mi chiamo Riccardo Moraschini, ho 18 anni, e gioco alla Virtus da quando ne avevo 7. Sono capitano dell'Under 19 e da quest'anno faccio parte della prima squadra.
In questi 11 anni ho potuto coltivare il sogno di giocare un giorno in Serie A, e di difendere i colori che amo, quelli bianconeri. E posso dire che il mio sogno si è avverato, visto che firmerò quest'anno il mio primo contratto da professionista, proprio con la Virtus Pallacanestro.
Sono molto orgoglioso di essere qui a salutare, a nome di tutta la Virtus, una delle persone che assieme ai miei allenatori e dirigenti, ha fatto sì che il mio sogno si tramutasse in realtà.
L'Avvocato Gian Luigi Porelli, il Presidente.
L'Avvocato ha dato alla Virtus uno stile unico. L'Avvocato ha insegnato a tante generazioni di ragazzi ad identificarsi nei colori bianconeri, e nella gloriosa tradizione di questa società.
L'Avvocato ha conquistato quella Stella che tutti noi della Virtus portiamo sul petto, e che ci rende ancora più fieri della nostra storia. Senza Gian Luigi Porelli la Virtus non sarebbe qui, oggi.
E non saremmo qui io, Tommaso, Riccardo, Francesco, Gianluca e Guido, i capitani delle squadre giovanili che sono accanto a me e che come me hanno un sogno. Un sogno chiamato Virtus, che questi ragazzi potranno continuare a coltivare grazie al lavoro e alla passione di chi, come l'Avvocato Porelli, ha posto le basi di una Società unica in Italia e in Europa.
La sua Virtus, la Virtus di Porelli, è la nostra Virtus: è un nome, un simbolo, uno stile, in cui convivono la storia e il presente, il passato eil futuro. E allora, a nome di tutta la Virtus Pallacanestro, ancora una volta grazie di cuore, Avvocato Porelli. Grazie per il passato, grazie per il presente. E per il futuro, siamo noi della Virtus a farle una promessa: quella di onorare sempre i valori della sua e della nostra Vu nera.

 

PORELLI, IL RICORDO DI OSCAR ELENI: "CAMMINARE INSIEME"


Oscar Eleni in memoria di Gianluigi Porelli che, stanco del viaggio sopra i campi assetati, ha cavalcato i suoi sogni e se ne è andato a spasso promettendoci un tavolo privilegiato quando sarà il momento di rimettersi insieme. Doveva accadere, eravamo preparati, ma noi pochi, noi pochi felici di aver vissuto tanti momenti speciali con questo gigante, sentiamo adesso che qualcosa ci è stato rubato quando non eravamo ancora pronti.

Ci aveva urlato al telefono che la battaglia finale andava combattuta senza tener conto della paura. Lui non ha mai saputo cosa fosse la paura. I sogni, sì, quelli li colorava con la sua passione, doveva essere tutto in tinta, tutto come al Madison: dalle tende, al legno duro per le battaglie. La gente doveva entrare nel suo palazzo, il palazzo della gente, non certo dell’ l’avvocatone che lo voleva bello, lontano dai fondali dell’euro facile, per vedere soltanto le quattro effe ingigantite, per amare la Virtus, per vivere con Lei le ore dello spettacolo dimenticando tutto il resto. Ci aveva lavorato tanto a quel progetto, ma alla fine era uscito in trionfo e la gente glielo ha fatto sapere, gli ha scritto, gli ha mandato un librone pieno di firme che erano baci e abbracci e lui quel librone lo custodiva come una vera reliquia. Non voleva raccontare la sua vita, ci ha mandato via troppe volte per tornare alla carica quando scherzando gli facevamo notare che senza prove scritte la gente poi avrebbe dimenticato l’eterno duro, il maestro che aveva costruito qualcosa di speciale,irripetibile.

Certo tutti sanno adesso la storia della vera Virtus, ma pochi conoscono quello che lui si è inventato per ridare vita alla grande radice, al vitigno bruciato dal tempo e da una quasi retrocessione. Un capolavoro che nessuno potrà mai avvicinare, anche chi ha vinto più di lui, anche chi pensa di aver fatto cose più importanti. Se la raccontano i generali, ma se si fermano a pensare si renderanno conto che questo

Albero gigantesco
svetta come tra le nuvole
nel campo secco.

Ci ha lasciato ricordando ancora suo nonno che nella campagna mantovana gli ripeteva sempre di non accettare mai di annegare in una pozza, perché era molto meglio annegare in mezzo al mare. Lui li ha esplorati tutti questi mari.

La vita è sogno. Aveva un quadro per ricordare che doveva andare sempre avanti con questo desiderio di volare sopra le nuvole anche quando doveva repingere i dolcissimi consigli di Paola, la meravigliosa, straordinaria regina del suo mondo quieto e turbolento alla stessa maniera. Il suo credo era la battaglia guardandosi sempre in faccia. Aveva una filosofia delal vita e della sofferenza. Gli piaceva trasgredire, oh se lo ha fatto, gli piaceva macchiarsi quanto voleva, di urlare che la macchia è libertà a chi lo rimproverava se, per caso, a tavola, si ungeva la cravatta, la camicia.

Con lui abbiamo vissuto davvero. La prima volta ci tenne per ore fuori da un aeroporto , quello di Zagabria, per valutare quello che avevamo visto nel viaggio “ di studio” sulla vita degli altri. Partita di addio per Rato Tvrdic a Spalato. Una cosa grande, una cosa meravigliosa, un modo per imparare da quella gente, da quella scuola che ancora adesso ci manda messaggi importanti, che ancora oggi avvicina l’avvocatone a Creso Cosic il campione che forse ha amato di più quando c’era da volare oltre il confine della banalità, della vita così come la vedono i grigi cavalieri della piccola apocalisse sportiva che sono sempre alal ricerca del consenso senza meritarlo.

Un colore solo, con poche sfumature per il suo Palazzo. Il bianco e il nero sulle maglie da non confondere mai, rifiutando chi voleva violentare la storia della Vu nera pagando moltissimo per cambiare. Conosceva il valore dei soldi, ma non li ha mai barattati quando era ora della zingarata per andare nel mondo dei sogni.

Ci ha insegnato a rispettare le regole della vita, della convivenza, dello sport perché ha pensato sempre al bene comune, mai al particolare. Soltanto lui poteva rinunciare ad un filotto di scudetti per non annoiare la gente, soltanto lui poteva prestare a Milano gli uomini per vederla risorgere, soltanto lui poteva credere in una Lega dove tutti si davano da fare per il bene comune, non per cercare un vantaggio che lasciasse gli altri sulla spiaggia piena di petrolio. Chiedete a chi ha vissuto con lui l’età dell’oro. Li troverete tutti abbracciati nel ricordo di Gigi l’argonauta.

Era impeto e assalto. Sapeva amare, non riusciva ad odiare fino in fondo, non conosceva il tradimento, sapeva cosa era lo stile, non aveva paura di battersi anche quando una gomma scoppiata lo aveva fatto volare oltre la prima barriera corallina della vita costringendolo a rientrare a nuoto, combattendo la depressione, dimenticando che ci volevano troppe medicine per stare sempre bene.

Lo decideva lui quando voleva stare bene e quando era il momento per dormire. Generoso e con l’orgoglio di aver costruito davvero la grande casa Virtus, di averle dato una base che potesse durare nel tempo. Si è stancato, si è battuto per inventare con i suoi amici Portela e Lespiteau la grande Europa del basket. Voleva sempre entrare a palazzo Accursio sul cavallo delle grandi battaglie, ma era felice se il sindaco, se la giunta si ricordavano della Virtus, sì, anche se si ricordavano di lui, ma non era questo quello che cercava perché altrimenti avremmo avuto il libro che ci avrebbe permesso di passare gli anni della crisi, di imparare ancora tanto.

Ci penseremo quando ci si ritroverà caro avvocato. Per adesso lasciamoci così, prendendo a calci l’ultima bottiglia vuota, andando in giro per il mondo senza dover ubbidire a nessuno. Certo che non è stato un santo, ma, cara gente, siamo orgogliosi di aver camminato con lui nelle terre difficili, di averlo avuto come maestro. Ci ha insegnato a vivere anche quando fingeva di essersi stancato di dare consigli a chi sembrava nato sordo. Il dolore è forte, ma per Gianluigi Porelli non si piange, si brinda, ci si abbraccia e si ricorda insieme.

Gli abbiamo voluto proprio bene, a lui e a Cesare Rubini che non saprà mai di aver perso questo adorabile nemico, questo cavaliere che cavalca il vento leggero per raggiungere un solo tempio passando fra montagne maestose dove lascerà qualcosa perché nella sua vita ha più dato che ricevuto.

Ci si rivede caro Torquemada. Non manca molto e il tavolo deve essere bello come quello del Diana dove ogni giorno porteranno un fiore, ma ci sono tanti tavoli dove fermarsi a ragionare, cantando alla vita che non ci lascia vivere per sempre con quelli che abbiamo scelto come compagni di viaggio.

 

Renato Villalta

Porelli uguale Virtus. Mi viene in mente questo in un giorno triste per ripercorrere tutti gli anni passati con l'Avvocato. «Quello è Porelli» mi dissero un giorno a Mestre mentre m'allenavo. Era venuto a parlare con i dirigenti della società per portarmi alla Virtus. Certo al primo incontro pensavo che fosse un burbero impressionante, ti incuteva timore ma invece dietro c'era una grande umanità. Poi arrivai a Bologna, ero un ragazzo e lui e la moglie Paola mi stettero molto vicini. Non avevano figli, anzi i loro figli erano i giocatori della Virtus. Ti riempivano la vita, ti facevano sentire protetto, sentivi la loro presenza. E questo anche quando poi sono diventato un giocatore esperto: sapevi di avere le spalle coperte con Porelli, ti potevi buttare nel fuoco e lui ti avrebbe seguito. Per questo dico che dirigenti così non ce ne sono più: lui davvero diede qualcosa in più alla società. È stato un uomo di basket e un grande dirigente sportivo, avanti anni luce. La Virtus che conosciamo l'ha inventata lui: il Palazzo in bianco e nero, la creazione di una comunità di tifosi, creare attorno alle V Nere un mondo fatto di sportività, voglia di vincere, di primeggiare, anche nello stile. E quella distinzione nella forma. Mica gli piacevano i capelli lunghi e la maglietta fuori dai pantaloncini. Mi ricordo l'anno che vincemmo il decimo scudetto, era il 1984, quello che diede la stella alla Virtus. Io ero il capitano di quella squadra, la sfida contro quella Milano di Dan Peterson sembrava persa in partenza. Lui non ci chiese mai niente, ma lo sapevamo che Porelli ci teneva tantissimo. Vincemmo anche per lui, due volte in trasferta. E mi ricordo la sua faccia soddisfatta quando portò al sindaco il pallone della partita. Amava Bologna, la città e aveva un grande rispetto per le istituzioni, per lui credo sia stato un grande giorno. Dopo ho continuato a frequentarlo, ogni tanto si andava a pranzo al Diana. Era il nostro appuntamento per raccontarci come andava, anche se io non ero più il suo capitano, e lui non era più il mio presidente. Lui sempre burbero, ma lo sapevo che mi voleva bene. Come sua moglie Paola. Poi quando s'è ammalato gli sono stato vicino, l'andavo a trovare. L'ho fatto anche giovedì pomeriggio. Quello che ci siamo detti me lo tengo per me, scusatemi, ma non aveva perso lo spirito. Addio presidente della stella, sono stato il tuo capitano.

 

Ettore Messina

L'avevo visto stanco. E soprattutto malinconico. Come non credevo d'aver mai visto, in quasi trent'anni che lo conoscevo, l'avvocato. Estate '83, sono a Bologna per il clinic di Bobby Knight, dormo in stanza con Pasquali alla pensione Perla di via San Vitale e una mattina mi chiama l'avvocato. Lo sapevo, lui aveva chiesto al mio capo d'allora, il povero Mangano, di cui ero vice a Udine, ma ero lo stesso agitatissimo. Le sette e mezzo: sono Porelli, vediamoci, vengo da lei. Mah, in quel posto, con tutto il rispetto, c'era un po' di viavai, e risposi: preferirei venire io. Bene, fa lui, casa mia. E così fu. Sotto il famoso De Chirico in salotto, ci accordammo. Sognavo la Virtus da sempre, firmai per tre anni. La clausola era che, dopo ognuno di questi, poteva mandarmi via. Fu generoso, però, e già alla prima stagione, dopo un derby Cadetti perso, roba da spararsi, allora ero così, mi chiamò e tolse la clausola. Poco dopo lo fece anche con Bucci per la prima squadra. Generoso sempre, lo ricordo così. I miei presidenti furono Francia, Gualandi, Cazzola, Madrigali. Però con Porelli, ben presto, capii di essere lo Jaki Elkann della situazione. Allevato per raccogliere l'eredità, chiamato a studiare per succedere al trono. Ognuno ha il suo avvocato. Con lui la Virtus era un posto con un fortissimo senso del club, dell'organizzazione, d'una convivenza di persone, ancor prima che di atleti. Dove badavano ai congiuntivi o poteva arrivarti in regalo, come a me, un tomo che era il manuale per l'uso delle risorse umane, d'un guru americano dell'epoca. Usi che sono rimasti a tutti: non solo io, ma Consolini, Bucchi, Valli, se in giro c'è una luce accesa la spegniamo. Ci siamo tornati anche da casa, in palestra, col dubbio che fosse accesa. Porelli t'affidava una squadra, ma pure il luogo. Però condividevi. Lui passava per autoritario, ma tu facevi le cose perché ci credevi. Nell'89, quando Francia mi nominò in prima squadra, Porelli era felice, ma pure terrorizzato che il gruppo fosse troppo debole. Via Villalta, via Bonamico, Binelli in quintetto. Finì che fui io a confortare lui. Amò tanti giocatori, e non sarebbe giusto far classifiche. Li amava, poi c'erano periodi in cui soffriva e se ne scostava. Era così, passionale. Ma sempre diretto. Ci mancherà, l'avvocato, mancherà a tutti, un altro pezzo di vita che se ne va con chi non c'è più.

 

Dan Peterson

Sì, ero americano e lui voleva un coach americano. Ma avevo allenato in Cile, e neppure avevo vinto. Quarto, puah. Bene, quello che cercava lui, Massimino, si defilò e prese me, a scatola chiusa. Deciso, un uomo deciso. Così mi ricordo l'avvocato, la prima volta che lo vidi. Avevo firmato per tre anni. Gli dissi: okay, avvocato, al terzo vinco lo scudetto e torno di là. E lo ripetei in intervista a Civolani, che ancora mi urla puffarolo. Ma così andò; terzo anno, scudetto. Solo che Gigi mi piglia e fa: Dan, fai una cazzata immane. E non la feci. Ma c'era di più, nel nostro rapporto. Eravamo amici. Per tre anni, ogni giorno, pranzo in foresteria e cena al ristorante. Ascolto continuo, lezioni di vita. Diventai l'allenatore col record di durata in Virtus. 5 anni a fila. Porelli mi prese dilettante e mi lasciò professionista. E mi pagava anche da dilettante. Mi consigliò pure di passare a Milano. L'ultimo anno a Bologna facevamo solo secondi posti. Perdo la Coppa Coppe di due, perdo la finale scudetto con Varese. Ero stufo, forse anche la gente. Zero tituli, come dice Mou. Mi cercò Cappellari, chiesi se potevo. Non si seccò, anzi parlò bene di me a Bogoncelli, che s'insospettì: se è così bravo, perché me lo dai? Andai. Fece di nuovo la mia fortuna. Tornai nell'88, da manager. Presi Sugar e l'avvocato se ne innamorò. Come tutti i tifosi della Virtus. Diventò pazzo per farlo riqualificare, lo curò al massimo, gli fece anche da babysitter. La Virtus veniva da quattro anni vuoti: primo turno di play-off, 2-0, fuori subito. Sugar riaccese il fuoco. I tifosi non andavano a palazzo per il risultato, andavano per Sugar. E i risultati vennero. La Coppa Italia di Hill, la Coppa Coppe di Ettore e, credo, pure gli scudetti dopo. Sugar fece tornare il buonumore alla Virtus. Ma aveva pure ire funeste. Un anno giochiamo il derby, vinco al supplementare, dopo aver fatto qualche cambio così. Lui scende giù, mi urla 'Tu sei pazzo', ma poi vede lì Nikolic, che allenava la Fortitudo, va a salutarlo e si placa. Altra storia. Vinciamo a Varese, è lo scudetto '76, e a me balla pure un premio di 10.000 dollari. Lui, ti ricordi, diceva sempre: io non piango mai, sono un duro. Esco dallo spogliatoio di Masnago, torno sul campo vuoto e ci trovo lui e Charlie Ugolini, l'altro duro, che piangono come vitelli. Io, felice, ma asciutto. E lui: brutto americano di m..., lo vedi che non te ne frega niente e pensi solo ai soldi. Festeggiammo così.

 

Alberto Bucci

Uno duro, tosto, determinato ma anche generoso e molto più sensibile di quanto lasciasse trapelare la sua corazza. Porelli mi diceva: finché sei il mio allenatore, sei l’allenatore migliore del mondo. Ti dava fiducia, carica, era giusto e interessato ma non invadente. Quando parlavi con lui, ogni volta te ne andavi sentendoti più ricco. Ha cambiato il modo di organizzare la pallacanestro. Veniva dal tennis e subito diede una svolta portando la Virtus a livelli di professionismo quando il professionismo non esisteva. Ero a Bologna con Fabriano, ero infuriato con gli arbitri e presi pure una squalifica a cinque minuti dalla fine: ero sui gradini del Palazzarita e Porelli mi corse dietro: mi raggiunse e mi disse che voleva che lavorassi per la Virtus. Prendemmo un appuntamento, il 29 gennaio alla Lampara a Cattolica, firmammo il contratto mentre stava nascendo mia figlia. Fu una stagione strepitosa, vincemmo scudetto e Coppa Italia, mi diede carta bianca per i miei collaboratori: con me portai Messina e il Prof. Grandi. La finale con Milano la fece in panchina invece che in tribuna, fu una cosa stupenda. Non amava stare dietro ad una scrivania, lavorava per la strada, davanti ad un aperitivo, finito l’allenamento si andava sempre a bere qualcosa insieme o a pranzo fuori. Famose le sue trattative. Stava trattando con Valenti per fargli fare la riserva di Brunamonti: Valenti chiese una cifra e Porelli gli rispose che lui valeva di più e così gli fece un contratto superiore alla richiesta. Aveva delle regole e le rispettava.

Porelli lascia l'impronta della sua mano per la Futurshow Station

Roberto Brunamonti

Da dirigente, dico che l'Avvocato è stato uno dei più grandi dirigenti italiani, e non solo. È riuscito a fondare l'Uleb e poi a dare lustro alla Lega a tal punto che c'erano nazioni che venivano in Italia per guardare ed imparare. È stato il migliore, nel suo campo. È stato lui che mi ha portato a Bologna. L'Avvocato non faceva spesso complimenti. Proprio per questo, quando ne arrivava uno colpiva perché sentito e voluto. Ricordo con grande piacere la sua presenza alla mia ultima partita da giocatore, quando giocai metà gara con la Nazionale e metà con la Virtus. Lo invitai personalmente, lui venne e ci incontrammo prima della partita. Sono davvero onorato del fatto che sia stato lui ad avermi scelto da Rieti portandomi poi a Bologna.

 

Claudio Sabatini

Il più grande presidente che la Virtus abbia mai avuto. E il più bel ricordo che abbiamo di lui è la Virtus: qualcosa che sente chiunque arriva qui, sia giocatore o dirigente. Lui ha tracciato un solco, è stato un visionario se vogliamo, ma è lui che ha inventato Piazza Azzarita, è lui che ha costruito la foresteria di Viale Cervellati, e tante altre cose che ci sono rimaste. Lavorare in Virtus significa avere l'onere e l'onore di dar seguito a quanto fatto da lui. Quello che vorrei instillare nei ragazzi di oggi è lo spirito virtussino che lui aveva coltivato. Prendere a modello il rigore e la serietà con cui ha saputo crescere intere generazioni di giovani allo sport. È un patrimonio che non deve andare disperso. Il saluto affidato a Moraschini è stato una scelta precisa, che avrà fatto piacere a Gigi. Quello di un ragazzo cresciuto nella Virtus, con la faccia giusta e l'atteggiamento giusto. Ora non dobbiamo far sbiadire il ricordo. Per questo ho voluto che Paola diventasse presidente onorario, e per questo la palestra dell'Arcoveggio ne porterà il nome.

 

Gigi Serafini

Mi ha lanciato nel mondo del basket e ha creduto in me. Il rapporto con lui è sempre stato ottimo, anche se mi ha fatto un "mazzo" micidiale in allenamento. Non restava solo dietro la scrivania, con il preparatore atletico aveva studiato esercizi particolari per farmi allenare di più, voleva addirittura che corressi i 100 metri in 11 secondi. Andavi a chiedere cinque e ti dava tre, poi l'anno dopo chiedevi sei e ti dava otto. Era capace di fare scelte impopolari, come quella di togliere le tessere omaggio. Una a testa anche ai giocatori, un grande segnale di rispetto delle regole. I miei genitori hanno sempre pagato. Parliamo dell'uomo che ha rilanciato il basket a Bologna e, con Rubini, in Italia. Dovrebbero fargli un monumento.

 

Romano Bertocchi

È sempre stato un grande. È stato un personaggio eccezionale.

 

Gigi Terrieri

È stato il mio primo, insostituibile maestro. Due anni fa lo vidi all'Arcoveggio, gli chiesi cosa ci faceva e lui mi disse che voleva vedere la palestra e che era ancora molto bella.

 

Dado Lombardi

Gigi è stato il primo dirigente a vedere il basket proiettato nel futuro. Un personaggio unico.

 

Fabio Di Bella

Sono vicino alla signora Paola.

 

Lino Lardo

Lui e la Virtus sono una cosa sola. Ancora non ero un giocatore professionista, e già era una figura mitica. La vivevo da lontano, dalla mia Liguria, ma era una sensazione forte. Oggi siamo tutti molto tristi. La mattina in cui abbiamo saputo della sua scomparsa, ci siamo radunati. Ho spiegato ai miei giocatori chi fosse Porelli, ho mostrato loro la foto che c'è in palestra. La sua figura cementa quello spirito Virtus che lui ha contribuito così fortemente a creare. Siamo vicini alla famiglia dell'avvocato, anche perché ci sentiamo anche noi parte di grande questa famiglia che lui ha costruito.

 

Vittorio Gallinari

Per me l'avvocato è una telefonata nel 1988. Era un lunedì mattina, ore 6.30, avevamo appena finito il campionato con Pavia il giorno precedente e mi suona il telefono. Rispondo con il cuore in gola perché a quell'ora doveva per forza essere successo qualcosa di grave. Ed invece era l'avvocato, mai conosciuto prima, che mi ordinava di essere a mezzogiorno a Bologna per firmare il triennale con la Virtus. Sono partito immediatamente e sono diventato un giocatore della Virtus.

 

Claudio Coldebella

Una persona molto meno severa di quel che sembrava. L'ho conosciuto bene grazie alla signora Paola che seguiva la foresteria negli anni in cui giocavo nella Virtus. Persone stupende che mi hanno aiutato tantissimo.

 

Claudio Crippa

Ho respirato l'impronta di Porelli ogni volta che andavo in sede a parlare con Cazzola.

Dino Meneghin

Ci vedevamo solamente alle partite, ma ricordo che era un uomo che incuteva rispetto ogni volta che lo incontravi, proprio come Rubini. Aveva una forte personalità, sprizzava carisma per il suo modo di parlare deciso, la stretta di mano vigorosa. Incrociandolo capivi che era uno tosto e che sapeva quello che voleva. Fece diventare la Virtus una società forte economicamente, lo considero un capostipite, un patriarca del basket italiano. Ci incontravamo alle partite, una stretta di mano e via. Poi al ristorante di via della Grada: prima di tornare a casa ci fermavamo a mangiare lì e c'erano sempre anche lui e sua moglie. Tutti si fermavano a salutarlo, si capiva che era una persona stimata al di là della sua posizione in Virtus. Quando ho smesso di giocare lo incontravo con la Nazionale e ricordo il suo modo di camminare curvo con le mani dietro la schiena. Era un uomo rispettato all'estero e tante sue idee sono state seguite anche a livello internazionale. Non l'ho mai visto arrabbiarsi con gli arbitri o alzarsi in piedi dal suo posto per protestare. Voleva imprimere una propria identità e stile all'ambiente, aveva inventato il parterre e con la gente così vicina al campo giocare era molto più stimolante. Averli così a contatto ti faceva sembrare di essere a teatro, ti metteva grande pressione psicologica e i tuoi stimoli aumentavano a dismisura. Non c'è mai stato nessun contatto di mercato. Lessi però una sua intervista nella quale diceva che il suo più grande errore fu considerarmi finito a 30 anni, quando poi passai da Varese a Milano. Sicuramente, Bologna è una città con una grande passione per la pallacanestro e un pubblico molto vicino. Questo può anche essere un aspetto pericoloso, perché con ogni persona che incontri per strada, sia virtussina o fortitudina, si può parlare di basket e non ti ricavi mai uno spazio per vivere tranquillamente. Dan Peterson lo diceva sempre: Porelli e Rubini sono le due persone simbolo del basket. Di Porelli ricordava come fosse un duro con la capacità di essere buono. Ti poteva spellare vivo in privato, ma mai pubblicamente. E il giorno dopo si era amici come prima. Come imprenditore del basket voleva intanto il bene per la sua squadra, ma poi da questa voleva costruire qualcosa di utile per della pallacanestro italiana in generale. Capì l'importanza delle grandi città e della popolarità per lo sport. Se la Virtus vinceva in Europa era un bene per tutto il movimento, ha avuto la capacità di capire che la forza della sua squadra era nel suo territorio ma poteva propagarsi anche altrove. Porelli era una persona speciale, unica. Per quello che ha fatto e quello che ha rappresentato è induplicabile.

 

Recalcati

Forse gli ho portato via una Coppa delle Coppe, ma quante volte a livello di scudetti, ha vinto lui? Mancherà terribilmente alla pallacanestro italiana. Negli ultimi anni magari si era un po’ defilato, ma i suoi giudizi e le sue previsioni andavano ascoltate perché si trattava di uno dei più grandi manager che abbia mai avuto il nostro mondo.

 

Gianni Petrucci

Un uomo straordinario, che ha contribuito a far diventare il basket, da sport di nicchia, autenticamente popolare. Per anni lottò per evitare che sulla maglia della Virtus comparisse il nome dello sponsor, e poi cercò, con successo, di salvare i colori sociali. Ha rappresentato l'epoca più bella, costruttiva e ricca di idee della nostra pallacanestro.

 

Jordi Bertomeu (commissioner dell'Eurolega)

Venivo molto spesso a Bologna da giovane, all'epoca la lega spagnola era molto più indietro rispetto a quella italiana. È la persona che, con grande pazienza, mi ha insegnato il lavoro, sia quando era in Virtus sia in Legabasket. È stato il mio tutore. Diciannove anni dopo siamo qui grazie alla sua visione di quei tempi, prima con l'Eurolega poi con la Uleb. Allora nessuno poteva pensare a una Lega europea come questa, ma ancora una volta Porelli ci arrivò prima degli altri. Da dirigente ha dimostrato grandissime qualità, una persona come ne ho conosciute pochissime. Sarò a Bologna domani per la camera ardente e per il funerale di lunedì.

L'Avvocato in una delle sue ultime apparizioni a Palazzo

Eduardo Portela, presidente della Lega spagnola e dell'Uleb

Un uomo geniale.

 

Valentino Renzi

L'avv. Porelli è stato un grande protagonista della nostra pallacanestro, oltre che di quella europea e mondiale. Come rappresentante dei club di Serie A mi piace ricordare di lui il forte senso di unità e di coesione che ha cercato di imprimere al movimento, guidando gli anni del grande boom del basket italiano.

 

Il sindaco Delbono

Esprimo il cordoglio della città per la morte di un grande uomo di sport, una personalità che ha dato lustro alla nostra comunità.

 

Walter Vitali, ex sindaco di Bologna

Porelli, è stato fra i creatori riconosciuti del basket moderno in Italia. L'attività sportiva fa parte del buon vivere cittadino. Parlo di pratica, impianti, e in questo Bologna c'è. Poi viene il professionismo. Che per molti è l'«altro» sport. Per me, la vetrina di un movimento unico: e dunque pure d'una città, e di una comunità che sa dargli valore. Chiamare Bologna Basket City esprime un valore. E Basket City sappiamo chi, qualche decennio fa, se l'inventò. La nostra diventò un'amicizia, frequentando il palasport da tifoso e incrociandolo spesso. Ricordo però che ero sindaco quando si festeggiarono i 125 anni della Sef Virtus, e mi dedicò la prima copia del libro che realizzò, «II mito della Vu nera». E ricordo infine quando, nel 2003, ci trovammo a gomito nel salvataggio della Virtus: io a cercar di annodare un dialogo fra Madrigali e Sabatini, lui a battersi nelle stanze federali. Un bel rapporto, molto diretto. Per dire, questo dolore oggi ci ha molto scosso, ma non sorpreso. L'avevo incontrato da poco e m'aveva informato lui, con le sue solite parole secche, del male che aveva.

 

Paolo Foschini, vicepresidente consiglio comunale

Io penso che l'ultima cosa che Gigi vorrebbe è essere idealizzato... Sicuramente aveva un carattere particolare, spigoloso, col quale non era difficile avere scontri piuttosto accesi... Ma aveva un cuore molto grande, perché nessuno sa che Porelli non solo per gli amici, ma per tutti, ha fatto molto. Per i nostri ospedali cittadini, per avviare i bambini e i ragazzi allo sport. Chi era al funerale, non c'era formalmente, ma perché comunque averlo conosciuto aveva portato a un impatto diverso nella propria vita.

 

Maurizio Cevenini

Porelli rappresenta un mito della storia della pallacanestro, e la sua vicinanza ai tentativo di Sabatini di salvare la Virtus è un'altra delle sue grandi iniziative. Era un uomo innamorato della città.

 

Pierferdinando Casini

Porelli è stato veramente l'emblema dello sport bolognese e il presidente di tanti trionfi virtussini e chi, come me, è sempre stato bianconero nel cuore e nella mente, non può che ricordare con grande affetto e gratitudine questo uomo straordinario.

 

L'assessore Degli Esposti

Perdiamo un uomo di grande valore.

 

La presidente della Provincia Beatrice Draghetti

Ha portato ai massimi vertici il basket bolognese.

 

Alessandro Crovetti

Ho passato con lui 7 anni straordinari da segretario della Lega più forte d'Europa.

 

Lucio Dalla

Ho un ricordo piacevole dell'Avvocato. Mi piaceva il suo essere ondivago e strano, un grande uomo. Ero molto legato a lui anche perché abitavamo uno di fronte all'altro, poi come tifoso Virtus gli porto una grande riconoscenza e gli ho sempre dato estrema fiducia perché si vedeva che era un uomo e un dirigente che avrebbe fatto solo il bene del club. Ha creato uno stile, era attivissimo e sono convinto che anche ora non starà buono. Se fosse ancora al comando oggi saprebbe di certo cosa fare, era un organizzatore nato e aveva dei sogni, cosa che adesso hanno in pochi. Un innovatore per i suoi tempi, quello che diceva aveva sempre un peso notevole, ha dato continuità alle sue idee grazie al suo modo di fare sempre pieno di classe e dignità. Una volta venne anche a vedere un mio concerto con Morandi a Catania, era una persona piacevole, divertente e mai stupida Gigi Porelli era un'aquila. Non a caso dico l'aquila, come la Fortitudo. E sa perché? A lui la Fortitudo piaceva. Non pensi al derby, ai cugini, e al resto. Chiaro che la Virtus era la sua vita ma la Fortitudo era importante che ci fosse. Un personaggio stupendo. Un amico si, credo di poterlo dire per tutte le volte che abbiamo chiacchierato insieme.

 

Andrea Mingardi

Ho visto tanti eroi del basket, ma è stato lui a mettermi in prima fila a palazzo. Lui che amava tantissimo la mia canzone "Gig" che dice Ti al piò fórt dal mannd ti un fenòmen". Oggi vorrei davvero dedicargliela. Per tutti noi è una grave perdita ma sono convinto che non andrà perduta la sua etica sportiva. Tra noi c'era un rapporto di simpatia e rispetto, era un uomo di poche parole ma quando apriva bocca erano mattoni da un chilo.

 

Nino Pellicani

Ha creato uno stile, una grossa fetta di quella che oggi chiamiamo Basket City. Ha lasciato un'impronta ed è stato il primo a trasmettere un'idea moderna. Come la storia della Fortitudo è nata da una pianta spontanea, Porelli è riuscito a rendere unica la storia della Virtus. Con quel suo modo di fare ha creato anche la famosa rivalità tra le due squadre. Sempre lui impose l'obbligo dei colori della maglia, una stagione fece a meno dello sponsor perché richiedeva un colore differente. Un concetto che in quegli anni '80 ha creato diversità, ha promosso un'elite: avere un diritto di prelazione in Virtus rappresentava una sorta di privilegio, ben al di là del costo dell'abbonamento.

 

Paolo Santi, Fossa dei Leoni

Il mio personale ricordo è quello di un avversario sempre rispettabile in confronto a tanti personaggi della Virtus di ieri e di oggi. Nei fantastici anni '80 incarnava il classico spirito Virtus, l'esatto alter ego del tifoso Fortitudo. Quello che noi chiamiamo il bavoso, il massone e via dicendo. Già ai tempi, ad esempio, girava con le guardie del corpo. Ricordo alcune sue belle iniziative, come la richiesta del 10% di capienza per il settore ospite, e quei 300 biglietti nei derby, che ci ha sempre garantito.

 

Tabba, Foreverboys

Ricordo bene quanto impegno e dedizione ha dedicato alla causa Virtus nel 2003. Lo dico perché ero presente a Roma. Fosse solo per la storia recente e considerata anche l'età, esisterà sempre massima riconoscenza nei suoi confronti. Come tifoseria rimanderemo eventuali iniziative, ora c'è la camera ardente e il funerale a cui vogliamo partecipare, un gesto dovuto.

 

Eros Palmirani, direttore del Diana

Un grande personaggio. Telefonava e diceva. ‘Siamo due’, ‘Siamo in tre’. Ma voleva sempre lo stesso tavolo. E se era occupato, con il suo modo di fare burbero e scherzoso suggeriva: “Ma perché quei signori non scelgono un altro locale?". Si definiva un anarchico bolognese. Qua veniva spesso. A mezzogiorno oppure alla sera, con la signora o con gli amici. E tanti cestisti, come Terry Driscoll. Veniva con Renato Villalta e con le rispettive signore. Alla fine, poi, il conto lo voleva pagare lui. Non voleva sentire ragioni. Altre volte, magari, alzandosi in compagnia degli amici, diceva: "Eros, oggi offri tu". E usciva. Solo che appena gli amici avevano girato l’angolo lui tornava e saldava il conto. Lo conoscevo da vent’anni. Davvero una persona speciale. Nella saletta, qualche volta, organizzava improvvisate conferenze.

 

Gilberto Sacrati

Conoscevo Porelli solo di vista. Non gli ho mai parlato. Rendo omaggio ad un grande e non importa per quale sponda abbia lavorato.

 

Toro Rinaldi, il più grande giocatore di baseball italiano

Porelli è il dirigente che tutti vorrebbero avere in società. Credo basti questo per rendere omaggio alla persona che è stata.

 

Francesca Menarini

È stato un grande dirigente, che da tifosa Virtus mi ispirava rispetto e ammirazione. Poi ho avuto modo di conoscerlo sui campi da tennis. Una personalità forte, che ha lasciato il segno del suo passaggio.

ARRIVEDERCI AVVOCATO IL RICORDO DI GIANLUIGI PORELLI, STORICO PRESIDENTE DELLA VIRTUS ED INDISCUSSO PROTAGONISTA DEL BASKET ITALIANO ED EUROPEO

di Damiano Montanari - GibaPress - ottobre/novembre 2009

 

Hanno scritto fiumi d’inchiostro, perchè di fronte ad un grande sono tanti, troppi i momenti da ricordare, gli aneddoti, i sorrisi, gli abbracci, le soddisfazioni, i successi conquistati. Come GIBA abbiamo scelto di affidare l’omaggio all’Avvocato Gianluigi Porelli ad alcuni personaggi che l’hanno conosciuto profondamente, perchè dalle loro parole non traspare solo quello che è stato forse il miglior dirigente di tutti i tempi, ma anche l’uomo, solo apparentemente scorbutico, ma in realtà buono, generoso e soprattutto illuminato. Il pupillo Villalta “Avevo un legame strettissimo con l’Avvocato Porelli – racconta infatti Renato Villalta, ex simbolo delle Vu nere e primo presidente della storia della GIBA - avendo avuto la fortuna di giocare per 13 anni nella sua Virtus, che era la sua creatura e noi, non avendo lui potuto avere figli, eravamo come suoi figli. All’inizio poteva sembrare scontroso, ma in realtà era molto generoso e diventava una bestia se qualcuno parlava male di noi. Come dirigente sportivo era di gran lunga più lungimirante degli altri, era avanti anni luce. Quando io e l’avvocato Bertani decidemmo di fondare la GIBA lui diede una spinta importante. All’inizio io e l’avvocato Bertani, anche con l’avvocato Martini, facevamo i carbonari negli spogliatoi di tutta Italia per sensibilizzare i giocatori ad unirsi in un’associazione. Porelli, che era vice presidente e fac totum della Lega, ci aiutò con il discorso contrattuale e col Fondo di Fine Carriera e fece opera di persuasione con le squadre che presiedeva. Di lui conserverò sempre un bel ricordo”. L’aneddoto di Ragazzi “Quella di Porelli era la voce di un illuminato – commenta Maurizio Ragazzi, ex giocatore della Virtus e vice presidente della GIBA – che aveva i suoi modi, anche bruschi, ma assolutamente chiari, oltre ad una visione pratica ed immediata della Virtus e della Lega. E’ sempre stato un passo avanti agli altri e, dopo di lui, in Italia ed in Europa, non ho più visto un dirigente del suo calibro. Per capire il personaggio riporto questo aneddoto. Un giorno gli chiesi perchè volesse avere avversari forti, perchè diede Bonamico a Milano, sua diretta rivale per il titolo. E lui mi rispose: “Perchè se vinco lo scudetto io, vale molto di più”. Questo era Porelli, voleva avversari forti, perchè serviva al sistema. Non so in quanti, oggi, avrebbero lo stesso pensiero”. L’ avvocato Bertani e Martini “Il Fondo è nato grazie a Porelli e a me – racconta l’avvocato Piero Bertani – ma soprattutto per l’idea dell’Avvocato che il reparto giocatori dovesse essere coeso sotto il profilo sindacale. Il Fondo era un interesse di tutti e all’inizio era volontario, perchè non c’era il professionismo nella pallacanestro italiana. Se il giocatore versava (2/5), la società versava (3/5) e per avere accesso al Fondo bisognava essere iscritti alla GIBA che era un’associazione forte. Porelli era una delle poche persone a cui bastava la parola ed una stretta di mano, perchè non veniva mai meno ad un impegno preso. Questo era uno dei suoi più grandi pregi. L’altro era la sua onestà intellettuale”. Parole sentite anche per Mario Martini. “Arrivai alla Virtus a 14 anni e ho vissuto, insieme ai miei compagni, con Porelli la mia adolescenza e la mia giovinezza, visto che tutti i giorni lui e sua moglie Paola venivano a pranzare con noi alla foresteria. Ho fatto parte del primo gruppo di ragazzi che ebbe, quello che conquistò lo scudetto Juniores, che per Porelli fu come un titolo mondiale. Era un uomo molto umano, ci seguiva, ci rompeva all’Università, con noi non parlava solo di basket, ma della vita. Gli ero molto affezionato, dopo avere vissuto più con lui che con mio padre, che stava a Montecatini. Sono stato molto male per la sua dipartita”. Poi, anche per Martini, un aneddoto. “Un giorno a pranzo Porelli mi disse: “Il basket italiano ha un punto debole: i giocatori giuridicamente non contano niente”. E aggiunse: “Devi fare da coagulante”. Così mi misi in contatto con Piero Bertani, che era l’avvocato di Massimo Osti, mio amico e grande tifoso virtussino. Così cominciò la storia della GIBA”. Così oggi vogliamo ricordare Gianluigi Porelli, un uomo che, come un grande, seppe fare grande la pallacanestro.

"PORELLI, UN AMORE INFINITO PER LA VU NERA"

La lettera. L'ex general manager bianconero Mancaruso ricorda l'avvocato a un anno dalla scomparsa. Tuffo nel passato. "I trofei, i grandi campioni, Messina, un pubblico fantastico: insieme 20 anni indimenticabili"
di Alessandro Mancaruso - Il Resto del Carlino - 04/09/2010

 

Un anno fa, il 4 settembre, moriva Gianluigi Porelli, il papà della Virtus basket. Lunedì la famiglia della moglie Paola, scomparsa pochi mesi dopo, farà celebrare una messa nella chiesa di via Lame, alle 8 del mattino. Alessandro Mancaruso, ex general manager bianconero e per anni stretto collaboratore di Porelli, ci ha inviato questo ricordo dell'avvocato.

 

Il 4 settembre di un anno fa ero a pranzo sulla spiaggia di Cesenatico. Mia moglie Adriana mi è corsa incontro con il cellulare in mano: "È Paola, Porelli è morto, mi ha annunciato. Una scudisciata all'anima che mi ha fatto vacillare. Anche se da molti anni quella festosa amicizia che mi legava all'Avvocato si era disciolta per ragioni che non ho potuto compiutamente capire, in un attimo interminabile ho rivissuto il tratto esistenziale che dal 1969 al '90 ci ha visti quotidianamente partecipare le vicende della Virtus.

Si era da poco concluso il progetto, rivelatosi utopico, della public company, che avrebbe dovuto supportare finanziariamente la stagione 68/69. "Sandro mi dai una mano?". Sapevo ben poco di basket, esercitavo una professione che proponeva esperienze aziendali; accettai istintivamente, con entusiasmo e la presunzione di poter essere utile. Porelli aveva la capacità di farti sentire parte dei Suoi progetti. Grazie a lui, un abbonamento al Madison assurse a status symbol: il pubblico è sempre stato il primo insostituibile sponsor. Fu necessario superare ostacoli, ma non mancarono soddisfazioni: la Coppa Italia, la Coppa delle Coppe, primo successo internazionale della storia bianconera. E poi scudetti: il mio ultimo (di tre vinti) fu il primo di Ettore Messina. Mi piace ricordare che il Direttivo mi delegò per convincere Bob Hill a tornare a Bologna; diversamente si sarebbe andati su Messina. È cominciata così l'avventura professionale di Ettore che dopo oltre 25 anni è, penso, l'allenatore pià apprezzato in Europa. Ne sono orgogliosamente felice.

Tristemente, ricordo un tragico episodio che ha segnato l'esistenza di Porelli. Il 20 giugno 1973 con Percudani a fianco e Battilani con il giovane giocatore Lademan sul sedile posteriore, Gigi uscì di strada tornando da Imola. Dovevo andare anch'io e mi sarei seduto a fianco di Battilani e Lademan che morirono sul colpo... Porelli riportò seri danni fisici permanenti che richiesero pesanti terapie; ne uscì provato nel fisico e prostrato nell'animo.

Il suo rapporto con la Virtus era filiale, così intenso da indurlo ad esaltare gli avvenimenti che somatizzava a livello umorale. Una personalità complessa che lo ha reso capace di grandi atti d'altruismo. Visioni pessimistiche del futuro e stress presero il sopravvento inducendolo a defilarsi da ruoli fondamentali delegati ad altri.

Il defilarsi si rivelò per Porelli una terapia aggravante. L'amore viscerale per la "sua" Virtus amplificò il conflitto interno: faccio io o delego? Tutti i successi della Virtus dal 1970, prescindendo da chi li ha direttamente partecipati, gli appartengono perché generati dalla Sua creatura.

Caro Gigi, ricorre il primo anniversario della Tua scomparsa ed io ho sentito il bisogno di scrivere i miei ricordi. Sono certo che potrai leggerli così come sono certo che disapproveresti quanto meno la forma, per la Tua insofferenza all'esternazione dei sentimenti. Il mio è un atto d'amore e credo d'interpretare il pensiero di tutto il Popolo virtussino ringraziandoTi per quanto indelebilmente hai saputo darci.

Un bacio a Paola che pare abbia voluto raggiungerTi. Il sentimento d'amicizia è immutato.

NASCE L'ASSOCIAZIONE GIGI E PAOLA PORELLI

tratto da www.virtus.it - 01/10/2013

 

Riportiamo il comunicato della neonata associazione Gigi e Paola Porelli:
In occasione del Memorial Porelli che domani sera, riprendendo la tradizione varata dall'Avvocato con il Trofeo Battilani, presenta la squadra al suo pubblico, viene presentata anche l'associazione che sei amici - Renato Villalta, Massimo Zanetti (Presidente), Kirsten de Graaf, Luca Foresti, Piero Bertani e Alberto Bortolotti -, tutti di stretta osservanza porelliana, hanno istituito pochi giorni fa con l'aiuto del Notaio Vico, di Best Union Company - per informazioni tel 051 5881511 - e del Ristorante Diana, dove l'avvocato consumava, sotto la specchiera, pasti di lavoro e non.

L'associazione - che ha sede presso la Sef Virtus, in Via Valeriani 21: un altro luogo classicamente porelliano - si prefigge di operare in due settori di stretta pertinenza dell'Avvocato, ovvero i giovani - partirà subito una borsa di studio in collaborazione con l'Alma Mater - e la città di Bologna (allo studio progetti di pubblicazione che incrocino i successi sportivi con le bellezze architettoniche, artistiche e umane felsinee).

E' previsto, presso il Museo, un corner di informazione già da domani sera (costo di adesione 50 euro). Un filmato dedicato a Porelli verrà proiettato nel corso della presentazione, che mischierà testimonianze sue con ricordi di tre protagonisti della vita petroniana, amici suoi: Ettore Messina, Walter Vitali e Gianfranco Civolani. Alla partita presenzieranno anche familiari bolognesi e mantovani di Porelli.

UFFICIALE: L’EUROLEGA INTITOLA A PORELLI IL PREMIO PER IL DIRIGENTE DELL’ANNO

tratto da www.virtus.it - 27/06/2014

 

Jordi Bertomeu è un uomo di parola. Aveva anticipato nei giorni della Final Four di Eurolega che la memoria di Gigi Porelli sarebbe stata onorata nel modo migliore, e oggi è ufficiale che all’Avvocato, anima e guida di una Virtus piena di gloria e storia, ma anche instancabile promotore e messaggero del grande basket europeo, sarà intitolato il premio che Eurolega assegnerà, stagione dopo stagione, al Dirigente dell’Anno.

Si chiama proprio così, “Euroleague Executive of Year award”, il riconoscimento intitolato alla memoria di Porelli.
“Gigi era un grande visionario del basket”, ricorda Bertomeu, “che ha sempre preso decision in anticipo sui tempi. Ha costruito un modello societario basato su stabilità economica, competitività e solide radici nella comunità. Da lui abbiamo imparato tante cose che ancora oggi sono di grande attualità, ma soprattutto abbiamo compreso la sua lezione più importante: per una lega la cosa principale è l’unione dei club, per costruire un progetto collettivo vincente. Per me è stato un onore lavorare accanto a lui, ed oggi è una grande soddisfazione rendergli omaggio attraverso questo premio”.

Gianluigi Porelli, che ha portato la Virtus a livelli internazionali ed ha contribuito a creare il mito di Basket City, ha dato vita all’Uleb insieme ad Eduardo Portela nel 1991, e ne è stato presidente per otto anni, diventandone poi presidente onorario. Il suo ruolo di guida per il basket europeo è riconosciuto da tempo. Questo premio ne onora la memoria, la passione e la lungimiranza.

 

IL 1 OTTOBRE TORNA IL MEMORIAL PORELLI. ANCHE UNA BORSA DI STUDIO A SUO NOME

tratto da www.playbologna.it - 19/07/2014

 

Un concreto e significativo riconoscimento alla figura del “padre fondatore” della Virtus Pallacanestro in chiave contemporanea, Gigi Porelli (e della consorte Paola Zanetti, responsabile per tanti anni del college).

Lo spunto è stato fornito dall’Associazione che porta il loro nome; lo hanno messo in pista Federbasket e Università degli Studi di Bologna, assegnando 3.000 € di borsa di studio a un laureato in Giurisprudenza nell’anno accademico appena concluso.

I requisiti di partecipazione prevedono il conseguimento del titolo entro la prima sessione del 2013/14 e il voto non inferiore a 110.
Il bando scade il 10 settembre.

Gianluigi Porelli è stato per ventun anni presidente e procuratore generale della società. Sotto la sua presidenza la Virtus ha vinto 4 scudetti, fra cui quello della stella, 3 coppe Italia, 10 titoli giovanili e ha giocato due finali europee. Ha co-fondato la ULEB, Unione Leghe Europee ed è stato Presidente Commissione Giuridica FIBA. Gli è stato assegnato il Nettuno d’Oro.

L’Associazione Paola e Gigi Porelli ha promosso il Memorial Porelli, in programma anche quest’anno il 1°ottobre all’Unipol Arena, e il Premio Eurolega per Dirigente dell’anno, sempre intitolato all’Avvocato.

BASKET, IN RICORDO DELL’AVVOCATO GIGI PORELLI E DI SUA MOGLIE PAOLA

di Claudio Pea

 

Porelli oggi? E perché non ieri? O domani? Perché stanotte mi sono sognato di lui, ho aperto il cassetto dei ricordi e ho trovato questo amarcord che avevo nel cuore e che non avevo mai gelosamente dato alle stampe. Dedicato al più grande dirigente della storia della nostra pallacanestro. Senza eguali. Lo diceva anche il Principe Rubini.

L’ultimo ricordo che ho di Gigi Porelli è il taxi che s’allontana con lui a bordo. A passo d’uomo. Andando incontro alle due Torri. Quella della Garisenda e quella degli Asinelli.

Nella sua Bologna dotta, grassa e (un tempo) rossa. “Chissà se ci rivedremo ancora?” mi venne da pensare mentre Berna 8 spariva in fondo alla strada. Forse no. E lo salutai con gli occhi che forse piangevano.

L’avevo visto provato. Questo sì. Ma non stanco. Gli piaceva troppo la vita per permettersi d’essere stanco anche solo mezzo secondo. Lui che poteva permettersi tutto e molto si era sempre concesso. Però già stava male. E lo sapeva benissimo. Più della Paola.

Che lo chiamava Porelli e mai Gigi. Specie quando lo sgridava. Dolcemente. Scuotendo la testa. Pure lei divertita e compiaciuta. La Paola gli perdonava tutto come solo le grandi donne riescono a fare con l’uomo che amano e del quale hanno una stima infinita: chiudono un occhio e soffrono, se soffrono, in silenzio.

Lasciando che gli altri dicano e la pensino come vogliono. Giusto quest’estate ho letto per caso una bella intervista su Repubblica a Silvia Giacomoni che ha passato cinquant’anni accanto a Giorgio Bocca. “Rivendico il diritto d’essere infelice perché ho perso un marito molto amato e molto rompiballe”.

Anche Silvia chiamava e ancora chiama il grande giornalista per cognome, ma non è tanto per questo motivo che ora mi viene da accostare Bocca a Porelli. E non credo che all’Avvocato comunque sarebbe dispiaciuto. “Il Bocca vestiva malissimo”. Come del resto Porelli. “Quella del ruvido era solo una maschera.

Piuttosto era una tempesta sentimentale con la quale non è mai riuscito a fare i conti”. Proprio come l’Avvocato. “Il Bocca granitico era anche gelosissimo. Come un Otello e come tutti i tombeur de femmes”. La differenza è che la Paola non riuscì a sopportare la perdita di quell’uomo così raro: forte e intelligente, ma anche fragile. E se ne è andata pochi giorni dopo di lui. Quasi la vita non avesse per lei più alcun senso.

Porelli ci aveva convocato a pranzo da Rodrigo, il ristorante di via della Zecca che gli era più caro dopo il Diana, un’altra delle sue fisse. Come San Luca e il portico più lungo della terra che lega Bologna al santuario sul colle della Guardia. Non ricordo se fosse già estate. L’estate del 2009. So che faceva già molto caldo.

Non ci confessò che stava morendo. Non perché avesse paura, ma perché non poteva sopportare d’essere noioso. Essendo una persona che era sempre un piacere ascoltare. Spesso la gamba gli tremava. Irrequieta. E diceva: “Questa non passa”. E così era.

L’Avvocatone, come lo chiamavano affettuosamente Renato Villalta e Mario Martini, i figli che non aveva potuto avere da Paola, non era tipo da fare sconti a nessuno. Ma era pure di una generosità unica. Quando chiamava, noi si correva: Oscar, Lorenzo e io. Fosse stato anche Natale o Pasqua.

A Cannes. Ospiti nel Grand Hotel sulla Croisette in faccia a Saint-Honorat, l’isola dei monaci trappisti che lui chiamava fraticelli. Dove ci portava a gustare l’aragosta con le cipolle. Mezz’ora, nemmeno, in barca. Il sole negli occhi. Una meraviglia.

E il giorno dopo a pranzo in quel ristorantino sulla spiaggia “dove fanno la miglior bouillabaisse del mondo”: diceva e non si poteva dargli torto, ma aveva ragione. Oscar Eleni era il suo giornalista preferito. Eppure Oscar sino all’ultimo non riuscì mai a dargli del tu. Con me e Lorenzo Sani aveva invece più confidenza ed arrivava persino a mostrare l’altra faccia di un carattere magari difficile, a volte scorbutico con chi gli andava di traverso, ma anche scanzonato come il ragazzo con la racchetta da tennis che veniva da Mantova per studiare legge e non riuscì più a staccarsi da Bologna. E dalla Virtus.

Innamorato perso dell’una e dell’altra. Mettere in fila tutte le passioni di Porelli, che non conosceva le vie di mezzo, è tanto difficile quanto per me adesso pescare nel mare dei ricordi che ho di lui. Che è stato il più grande tra i nostri dirigenti di pallacanestro. Una spanna sopra tutti. Tre passi avanti a tutti. E difatti mi manca moltissimo.

Come il Principe Rubini e il Barone Sales. Ai quali pure sarò eternamente affezionato. La prima volta che intervistai l’Avvocato fu nel suo studio legale per la verità un po’ austero e cupo. Lui e io. Più di trentacinque anni fa. E solo la scrivania in legno nero tra noi. Ero imbarazzatissimo.

Lo confesso, ma avrei voluto vedere voi al posto mio: capivo che mi stava studiando e ci tenevo a passare l’esame. Mi ero preparato le domande. Alle quali a tutte rispose. Severo e puntuale. Senza mai dire: però questa non la scrivere. Probabilmente perché non aveva proprio niente da nascondere.

E comunque, se non mi avesse mostrato il ritratto di Paola sulla scrivania, sarebbe stata molto dura rompere il ghiaccio. “E’ mia moglie a diciott’anni”, mi confessò fissandomi. “Quando vinse Miss Italia. Era poco bella?”. Posso correggerla, avvocato?, ardii chiedergli. “Fai pure”. Io piuttosto direi bellissima. E lo feci felice.

Potrei anche raccontare di quella volta nella quale Tonino Zorzi s’infilò di notte nella stanza matrimoniale dove stava riposando la Paola e staccò dalla parete il quadro di un pittore riminese al quale Porelli teneva moltissimo. “Non vorrai mica far prendere paura a mia moglie?” aveva cercato di dissuaderlo l’Avvocato, ma il Paron aveva vinto con lui la scommessa, predicendogli la conquista del primo scudetto targato Sinudyne, quello del ’76, e non volle sentir storie: “Faccio piano”. E si prese il quadro senza svegliare la Paola che continuò a dormire.

O di quell’altra in cui, proprio da Rodrigo, e quella fu l’ultima volta che pranzai con l’Avvocato, si avvicinò al nostro tavolo Giorgio Guzzaloca che voleva ricandidarsi sindaco di Bologna e propose a Porelli di finanziargli la campagna elettorale. “Ci sto, ma non hai chances.

E, se non vinci, come penso, mi restituisci il doppio dei soldi che dovrei darti”. E non gli diede. Al ballottaggio andarono infatti Delbono e Cazzola. Guzzaloca al primo turno fu solo terzo. L’Avvocato conosceva i bolognesi come le sue tasche. E non ricordo che abbia mai perso una causa. Se non con Alì Babà Celada. Ma questa magari ve la racconto al prossimo Memorial Gigi e Paola Porelli.