BILL WENNINGTON

(William Percey Wennington)

La grinta di Wennington a rimbalzo  (foto tratta dal libro "3 Volte Virtus")

nato a: Montreal (CAN)

il: 26/04/1963

altezza: 205

ruolo: ala/centro

numero di maglia: 12

Stagioni alla Virtus: 1991/92 - 1992/93

statistiche individuali del sito di Legabasket

biografia su wikipedia

palmares individuale in Virtus: 1 scudetti

 

BOLOGNA È STANCA MA BRUNAMONTI FESTEGGIA LO STESSO

Wennington contestato e il tecnico Messina pensa ad un possibile taglio

di Luca Bottura - L'Unità - 20/01/1992

 

Scampato pericolo. Nonostante la spada di Damocle del supplementare perduto giovedì scorso contro Spalato, la Knorr ha piegato agli «over-time» la Glaxo. Ancora una volta i bianconeri devono il loro successo al grande carattere e ad un giocatore in particolare: Roberto Brunamonti. Se è vero, infatti, che la grinta ha permesso alla squadra d i Messina di ovviare all'assenza di uno straniero, è altrettanto innegabile che alcune prodezze del capitano hanno indirizzalo il match. Anche al rimbalzo. Brunamonti, mister cinquecento partite, ha catturato sette palloni sotto le plance. Gli stessi di Wennington. E qui sta il lato meno scintillante della vittoria virtussina.

A dispetto di una prova corale di discreto spessore, la partita del canadese ha addirittura provocalo la spaccatura dei tifosi. La curva non ha smesso di incitarlo nonostante i dieci punti e il 5 su 13 al tiro. Gli altri seimila hanno fischiato, e ne è nata una lite a suon di cori anche volgari. Wennington è sempre stato difeso dalla società e dal coach, anche per evidenti motivi di opportunità. Tagliarlo adesso significherebbe disputare la fase finale del'Eucoclub con un giocatore demotivato, aspettare potrebbe diventare impopolare e pericoloso. Le carenze del giocatore però - fuori dal campo persona di grandissima umanità - sembrano irreversibili, tant'è che il suo rendimento invece di crescere e calato. È questo ormai anche il pensiero dello staff virtussino: Messina potrebbe prendere presto la dolorosa decisione.

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TRIESTE DURA UN TEMPO, WENNINGTON FESTEGGIA LA RICONFERMA

di Luca Bottura - L'Unità - 24/02/1992

 

Non è durato che due giornate l'«esilio» della Knorr dal vertice della classifica. Lo scivolone della Philips contro la Scavolini nell'anticipo di sabato, ha facilitato la rincorsa degli uomini di Ettore Messina. Ordinaria amministrazione - anche se non sono mancate fasi di ingiustificata deconcentrazione - l'incontro di ieri per il quintetto bolognese, stimolato forse, e senza voler togliere nulla al tifo dei settemila spettatori, più dalle rivelazioni al vetriolo promesse ad una televisione privata dal presidente della società Alfredo Cazzola. irritato per le critiche rivolte alla sua gestione, che dalla «vis pugnandi» di Meneghin e soci.

Andiamo alla gara. La Stefanel ha perduto progressivamente la via al canestro: 55 punti, il misero bottino dei triestini a fine gara. Troppi gli interpreti da manuale in negativo: il «gioiello» Fucka ha avuto uno 0/6, mentre il play Middleton non ha voluto essere da meno del compagno di squadra con una percentuale di 2 centri su 11 tentativi. Davvero un pomeriggio da cani per i tiratori scelti della Stefanel - da Sartori (1/5) a Bianchi (0/2), mentre il convalescente Cantarello stazionava in panchina - costretti ad affidarsi al solito Gray (20 punti) ed all'intraprendente Pilutti.

La Knorr è partita di scatto con un parziale di 18-2, promosso dal solito Brunamonti (5/11). Poi dal 22' al 28' ha risolto la gara ottenendo punti in quantità sotto i tabelloni da Binelli (9/14) e Wennington (7/11) che si sono concessi soltanto poche delle consuete ingenuità. È sembrato in ripresa anche lo sloveno Zdovc (4/9) che nelle ultime partite era parso trasformato in peggio. Però, anche contro un avversano scriteriato e senza mira come la Stefanel, la Knorr (che giovedì giocherà a Tel Aviv le sue ultime possibilità di ottenre uno dei primi due posti nel suo girone del Campionato europeo) ha faticato a staccarsi per tutto il primo tempo (quando giocava contro i soli Gray e De Poi) e si è fatta addirittura raggiungere in avvio di ripresa (35-35 al 22') quando Pilutti (8/14) ha provato a scuotere i suoi compagni.

Domani, intanto, ripartirà Irving Thomas che ha fallito il provino per un'eventuale sostituzione di Wennington. Sintetico e sincero il commento a fine partita del tecnico Messina: «Siamo tornati in testa - ha detto - e per noi ò molto positivo. Ma siamo i più deboli del gruppo, anche se è un ruolo che ci va bene».

Bill Carabina in gancio (foto tratta dal libro "3 Volte Virtus")

LA KNORR SPEGNE LA PHILIPS GRAZIE A SUPER WENNINGTON

di M.B. - L'Unità - 26/03/1993

 

Manca una giornata al termine, ma la regular season ha già trovato la sua vincitrice. È la Knorr che ieri sera ha battuto la Philips 98-90, soffiando via con la forza della disperazione una lunga crisi di gioco e soprattutto - dopo i ko in Coppa a e sul fronte europeo - di risultati. Bologna ce l'ha fatta perché è riuscita a mantenere i nervi saldi nel momento cruciale della partita: correva il 7' della ripresa (punteggio di 65 pari) quando a ha reagito con una gomitata a Morandotti che reclamava un pallone per la rimessa. Gli arbitri hanno cacciato tutti e due, ma il colpo mortale l'ha subito solo Milano, che fino a quel momento aveva trovato in «Nembo Kid» un degno supporto per lo stratosferico Djiodjevic (alla fine 6/10 da tre).

ll finale del match, durante il quale D'Antoni si era aggrappato esclusivamente agli esterni e in parte a Pessina. ha riproposto sugli scudi i migliori in campo della vittoria bianconera: Wennington e Brunamonti. Il canadese, «confermato per forza» durante la settimana, ha suggellato con un eloquente 9/11 il predominio assoluto sui lunghi avversari il capitano della Knorr si è preso la bella soddisfazione di gioca' re 34 minuti, scrivere a referto un 8/11 complessivo, tappare una tantum la bocca a chi sostiene che ormai abbia poco da spendere.

Ha vinto la Knorr, insomma, perchè più squadra. Bologna ha chiuso il primo tempo sopra di otto lunghezze, pur avendo tirato con medie impressionanti. E soprattutto si è imposta perchè negli ultimi sussulti del match (ancora a un minuto dalla fine aveva solo tre punti di vantaggio) ha pescato il Sasha giusto. Per tutta la partita era sembrato che il serbo vincente l'avesse preso Milano, il tiro da tre mortifero con cui Danilovic ha ucciso il match porta a una forzata retromarcia.

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LA PRIMA MANO...

tratto da "3 volte Virtus" di Werther Pedrazzi

 

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Morandotti, intanto, continuava a fare il suo mestiere... cioè: spaccare i maroni. Adesso se l'era presa a morte per la questione Wennington. Lo difendeva a spada tratta.

"Ma pensa un po' che roba - ancora oggi se la prende Ricky - Bill era una persona perfetta, viveva per la sua famiglia, sua moglie e suo figlio, e in campo lavorava come un ossesso. E lo contestavano - Pensa un po' che fenomeni: qui da noi pigliava ottocentomila dollari e non era buono, adesso a Chicago ne prende un milione, ed è uno buono per la NBA... - Dov'era l'errore? Che lo facevano giocare pivot e lui era un'ala-forte. È bastato mettere Carera al "numero cinque", con Bill "quattro", e Wennington, forse, dico, forse, ha sbagliato un solo canestro in tutti i playoff. Allora? Di un po': chi è stato l'uomo-playoff, in quello scudetto? Wennington è stato, ma non mi daranno mai retta...".

Il rendimento alterno del canadese durante gran parte della stagione poi la sua devastante esplosione nei playoff, in effetti, è stato un gran mistero nella stagione dell'undicesimo scudetto.

"Ma quale mistero! Il mistero vero è il seguente: come ha fatto quel pirla di Messina a impiegarci tutto quel tempo prima di mettere Wennington nella posizione giusta?" - E qui, attenti, alle sovrapposizioni del dialogo, non è più Morandotti che parla, ma lo stesso Ettore Messina, con la sua proverbiale autoironia - "La mossa venne a pennello, anche per la presenza di Flavione Carera - un mattone determinante di questo scudetto, e mi pare di poter dire anche nei successivi - che ha permesso alla squadra di non dipendere più totalmente da Binelli, che è bello, ma un po' alterno, e quindi di avere sia Gus molto più rilassato e in grado di esprimere al meglio il suo potenziale, con la squadra più tranquilla. Il bello, però, sapete qual è stato? Che ci fu una reazione a catena. Che una volta appurato che il suo amico Bill era finalmente felice, anche Ricky si è messo a giocare da dio, e lo abbiamo riscoperto anche come attaccante. Quella di Morandotti contro Kukoc è stata una serie fantastica: una delle chiavi tattiche della vittoria finale contro Treviso".

Ma allora Ricky qualche volta, quando pianta casino, ci prende?

"Le esprime malamente però le vede chiare, le cose...".

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WENNINGTON: «QUANDO A BOLOGNA MI DAVANO DEL CRETINO»

di Andrea Beltrama - Corriere dei Bologna - 08/02/2014

 

CHICAGO — Bill Wennington in una tipica serata in ufficio, allo United Center di Chicago. Dove la scrivania è un tavolo a bordocampo, e i muri spalti da ventimila persone. Quindici anni dopo il ritiro da giocatore, «Carabina» è il radiocronista ufficiale dei Bulls, che segue in casa e in trasferta. E di cui è rimasto un simbolo. Vent’anni di basket. Un titolo con la Virtus, tre con i Bulls.

Quanto manca il campo?

Manca la competizione, ma quello che faccio adesso è il mestiere perfetto. Parli di basket, studi, resti nell’ambiente. Ma non hai alcuna influenza sul risultato finale. Torni a casa e puoi stare tranquillo.

A Bologna non era esattamente così, giusto?

I primi mesi furono difficili. Giocavo malino, portarono un altro americano (Irving Thomas, ndr) per farmi sentire in bilico, ma lo distrussi in allenamento. Ricordo che a fine gennaio Ettore Messina volle avere un faccia a faccia. Mi disse "Bill, sei strano, giochi bene solo quando tutti i giornali ti danno per spacciato". Ma io non avevo idea che mi volessero tagliare. Del resto, l’italiano non lo capivo, e con i miei compagni non parlavo tanto.

A cosa erano dovute quelle difficoltà?

Mia moglie era incinta, io mi ero trasferito in Europa per la prima volta. L’adattamento fu difficile, vidi mio figlio quindici giorni dopo la nascita. Siccome non potevo saltare partite, dovetti fare Bologna-Sacramento e ritorno nel giro di 48 ore. Un massacro.

E i problemi di rendimento?

Non ero abituato a giocare con un altro lungo, al college e in Nba ero sempre stato il centro. E alla Virtus invece giocavo assieme a Binelli. Peraltro l’unico giocatore che conoscevo, visto che avevamo fatto lo stesso liceo, a New York.

Poi però le cose andarono a posto.

Fu bravo Messina a sperimentare vari assetti. Quello giusto lo trovò tenendo Gus vicino a canestro e mandando me in post alto, dovevo potevo tirare o riaprire il gioco. Ricordo che in primavera Messina disse "Ci ho messo un anno a capire come giocare con te, forse non sono un grande allenatore". Ma fu proprio così che mi utilizzò anche Phil Jackson ai Bulls.

Com’era lavorare con Ettore?

Era esigente, bravissimo a gestire gli equilibri in spogliatoio. E maniacale nei dettagli: se sbagliavi una rotazione, te lo faceva notare subito, e non sempre in maniera simpatica. Ogni tanto partivano urlacci e parolacce, ma sempre nell’interesse della squadra. E il risultato finale era sempre lo stesso: tirare fuori il meglio da ciascuno di noi.

Poi arrivò lo scudetto.

Spazzammo via Treviso, in quello che è stata, di fatto, la mia prima vittoria in carriera. Ancora oggi, dico di aver vinto quattro titoli in vita mia. Quando la gente mi guarda senza capire, racconto dei miei anni a Bologna. Mi hanno rigenerato.

In che senso?

L’esperienza alla Virtus mi ha allungato la carriera. Arrivai dopo una stagione a Sacramento deprimente, con una sola vittoria in trasferta, poco spazio, in un ambiente rassegnato. Non ero più abituato a giocare tanto, ma Bologna mi restituì la gioia e la condizione, gettando le basi per quello che sarebbe venuto dopo.

E fuori dal campo come andava?

Bologna rappresenta la prima volta in cui ho vissuto in una città vera. Assurdo per un nordamericano, vero? Eppure prima avevo sempre vissuto nei suburbs, dove la vita scorre monotona. E invece qui mi ritrovai in ambiente dinamico, internazionale. Ricordo Luciano, cameriere del ristorante "la Grada". Diventammo amici, mi incoraggiò molto nei momenti difficili. Il calore della gente è qualcosa che non dimenticherò mai. Ai tempi c’erano solo due stranieri per squadra, eri più motivato a esplorare i posti, conoscere la gente del luogo.

E poi c’è la passione per il basket. Se l’aspettava, in una città italiana?

Gus me ne aveva già parlato. Quello che fu una sorpresa, invece, era la rivalità della Fortitudo. In Usa le rivalità cittadine esistono al college, non in Nba. A Bologna, invece, mi ritrovai in mezzo a una cosa mai vista. E ai tempi la Fortitudo era persino in A2 e non giocava contro di noi. Eppure andavo in giro, e mi sentivo dare del campione o del cretino a seconda della fede di chi avevo davanti. Per Pete Myers, che allora giocava alla Mangiaebevi e poi sarebbe stato mio compagno ai Bulls, era l’opposto. Una dinamica bellissima, io e Pete ne parlavamo sempre.

Dopo Messina e Danilovic, Phil Jackson e Michael Jordan.

Vincemmo tre titoli con una squadra irripetibile. Di Jordan mi è rimasta impressa la determinazione per la vittoria. Molti vogliono vincere, ma pochi sono disposti a fare tutto quello che è necessario.

E ora? 

Mi piacerebbe allenare, magari in un ambiente più umano della Nba. Ma non ho fretta, aspetto l’occasione giusta. La priorità invece è tornare finalmente a Bologna. Lo farò quest’estate, con la mia famiglia. Partiremo da lì per fare un bel giro dell’Italia. E mi verrà nostalgia.